Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-13, n. 201401265

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-13, n. 201401265
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401265
Data del deposito : 13 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03019/2012 REG.RIC.

N. 01265/2014REG.PROV.COLL.

N. 03019/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3019 del 2012, proposto da:
G M in proprio e nella qualità di amministratore e legale rappresentante della società "O Scialapopolo s.a.s.”, rappresentato e difeso dall'avv. C S, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via della Scrofa, 14;

contro

Comune di Castellammare di Stabia, in persona del sindaco in caria, rappresentato e difeso dall'avv. C D S, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE III n. 1010/2012, resa tra le parti, concernente ORDINE DI CESSAZIONE DELL'ATTIVITA' DI PUBBLICO ESERCIZIO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellammare di Stabia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Consigliere Doris Durante;

Udito per il ricorrente l’avv. Terracciano, per delega dell’avv. Sarro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di Castellamare di Stabia con provvedimento n. 20481 del Dirigente del Settore Urbanistica - Suap ordinava al signor M la cessazione dell’attività di pubblico esercizio condotta nel locale denominato “O Scialapopolo” in Castellamare di Stabia alla via Passeggiata Archeologica 3, perché lo stabile era interessato da opere abusive.

2.- Il signor M impugnava il provvedimento con ricorso al TAR Campania, deducendo violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Con motivi aggiunti impugnava il successivo provvedimento del 13 luglio 2011 del medesimo dirigente con cui veniva revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande rilasciata a suo tempo sul presupposto che l’autorizzazione non avrebbe potuto essere rilasciata in assenza di regolarità edilizia – urbanistica del cespite in cui si svolge l’attività commerciale (la domanda di condono edilizia presentata dalla proprietaria del cespite nel 1994 sarebbe stata rigettata con provvedimento del 24 settembre 1998).

3.- Il TAR Campania con sentenza n. 1010/2012 del 27 febbraio 2012 dichiarava il ricorso improcedibile relativamente all’ordinanza 20481 del 3 maggio 2011 perché superata dal successivo provvedimento di revoca dell’autorizzazione e respingeva il ricorso quanto all’impugnazione della revoca, sul presupposto che la condizione di abusività del cespite impedisce in via originaria il rilascio, ovvero la permanenza in vigore di titoli abilitanti all’esercizio di attività commerciale.

4.- Con atto notificato il 5 aprile 2012, il signor M nella qualità di legale rappresentante della società “O Scialapopolo” ha proposto appello chiedendo l’annullamento o la riforma della suddetta sentenza perché erronea alla stregua dei seguenti motivi:

1) error in iudicando; violazione e falsa applicazione della l. n. 287 del 1991;
violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, violazione della l. n. 241 del 1990 e difetto di motivazione, attesa l’estraneità dell’abusività dell’immobile alla revoca dell’attività commerciale;

2) error in iudicando; violazione e falsa applicazione della l. n. 287 del 1991;
violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, violazione della l. n. 241 del 1990, in quanto la tutela di interessi prettamente edilizi e urbanistici trova diversi e specifici rimedi giuridici nell’ordinamento;

3) error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 e della l. n. 287 del 1991, difettando i presupposti per l’annullamento in autotutela;

4) error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990;
difetto di motivazione con riguardo al vizio procedimentale lamentato dal ricorrente e sanato secondo il giudice di primo grado con l’integrazione postuma in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo.

4.- Il Comune di Castellamare di Stabia, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’appello, con conferma della sentenza di primo grado.

5.- Questa sezione con ordinanza n. 939 del 2013 del 4 dicembre 2012, disponeva a carico del Comune di Castellamare di Stabia incombenti istruttori (relazione dettagliata sull’attuale stato della pratica edilizia relativa all’immobile sede dell’esercizio commerciale in oggetto, la pendenza di eventuali istanze di sanatoria, nonché le decisioni adottate dal Comune in ordine al suddetto fabbricato ed alla compatibilità, fino all’eventuale demolizione, con l’attività esercitata, o gli interventi necessari per rendere la struttura agibile, ove si fosse optato per il mantenimento della struttura, fissando l’udienza di merito alla data del 21 maggio 2013).

Con ordinanza n. 2780/2013 del 21 maggio 2013 veniva reiterato l’ordine istruttorio, che tuttavia non veniva assolto dal Comune di Castellamare di Stabia.

Le parti depositavano memorie difensive e alla pubblica udienza del 17 dicembre 2013, il giudizio è stato assunto in decisione.

6.- L’appello è fondato e va accolto.

Il signor M veniva autorizzato con provvedimento del 21 aprile 2008 all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale denominato “O Scialapopolo” sito alla via Passeggiata Archeologica in Castellamare di Stabia.

L’immobile di proprietà della signora Graziuso Cristina sin dal 1988 è stato utilizzato ininterrottamente per l’attività di ristorazione e solo di recente, dal 2008 dal signor M subentrato nell’attività in forza di fitto di ramo d’azienda.

Al signor M venivano rilasciate tutte le autorizzazioni e nel 2009 anche l’autorizzazione per la vendita di generi di monopolio.

Nel 2011 veniva contestata la violazione dell’art. 3, commi 1 e 7 e dell’art. 10 della l. n. 287 del 1991, in quanto “ esercitava l’attività di somministrazione tipologia A (ristorante e pizzeria) senza rispettare le vigenti norme in materia edilizia – urbanistica”.

Seguiva la comunicazione di avvio del procedimento di revoca e si ordinava l’immediata cessazione dell’attività di pubblico esercizio di cui all’autorizzazione del 2008.

Il provvedimento sospeso dal TAR veniva sostituito dal provvedimento di revoca dell’autorizzazione.

6.1- Dall’esposizione dei fatti emerge che l’unica ragione posta a base della revoca è l’illiceità del manufatto in cui si svolge l’attività.

Sennonché la disciplina delle autorizzazioni per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande contenuta nella l. n. 287 del 1991, come integrata dal d. lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, prevede espressamente le ipotesi di revoca, tra le quali non compare quella di abusività edilizia – urbanistica.

Ne consegue che l’accertamento dell’abusività della struttura, peraltro non imputabile al ricorrente non può assurgere in base alla legge citata a motivo di decadenza o di revoca dell’autorizzazione commerciale, attenendo ad altri aspetti relativi esclusivamente all’attività commerciale.

Ciò evidenzia l’illegittimità della revoca dell’autorizzazione rilasciata al ricorrente, atteso che l’unica motivazione sulla quale poggia il provvedimento di revoca dell’autorizzazione commerciale consiste nell’abusività dell’immobile.

6.2- Invero, la condizione di illiceità del manufatto adibito all’esercizio dell’attività commerciale se esula dalla normativa di riferimento e, quindi, dai presupposti legittimanti la revoca, potrebbe in limine dare luogo ad annullamento in autotutela dell’autorizzazione a suo tempo rilasciata al signor M.

Ma sotto questo profilo, anche ove non si consideri rilevante il nomen iuris del provvedimento e lo si valuti alla stregua di annullamento in autotutela, atteso che il requisito della regolarità dell’immobile sotto il profilo edilizio – urbanistico va valutato in sede di rilascio delle autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande, l’atto risulta ugualmente illegittimo perché adottato in carenza dei requisiti per il corretto esercizio dell’autotutela.

Ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, l’annullamento in autotutela presuppone oltre all’illegittimità dell’atto, valide ed esplicite ragioni di interesse pubblico ed il provvedimento deve intervenire entro un termine ragionevole e previa valutazione degli interessi dei destinatari dell’atto da rimuovere (cfr. Cons. stato, V, n. 1946 del 7 aprile 2010).

Nel caso non vi è alcun riferimento all’interesse pubblico e attuale alla rimozione dell’atto e alla prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del privato inciso dalla cessazione dell’attività commerciale in essere, malgrado l’amministrazione sia stata sollecitata da questo giudice con ben due ordinanze istruttorie ad esprimersi sulle ragioni ostative al permanere dell’esercizio commerciale in essere.

L’amministrazione, invero, non assume nemmeno la necessità della pronta demolizione del manufatto abusivo e del ripristino dello stato dei luoghi.

D’altra canto a fronte di un provvedimento così grave per il destinatario, nessuna considerazione vi è con riferimento al legittimo affidamento del privato che è subentrato da pochi anni nell’esercizio di un’attività in essere da più di venti anni, assumendo notevoli impegni finanziari.

E’ principio consolidato che l’autotutela non può essere finalizzata al mero ripristino della legalità violata, dovendo essere il risultato di un’attività istruttoria adeguata che dia conto della valutazione dell’interesse pubblico e di quello del privato, tanto più ove intervenga dopo un considerevole lasso di tempo e si sia consolidato l’affidamento del privato.

Il provvedimento impugnato è quindi illegittimo e va annullato, non essendo intervenuto in un termine ragionevole ed essendo stato adottato in spregio alla disposizione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e dei principi in materia di annullamento in autotutela, non essendo stata minimamente considerata la posizione del privato del tutto estraneo all’abusivismo contestato, in disparte la considerazione che gli aspetti di natura prettamente edilizio – urbanistica nel rilascio delle autorizzazioni commerciali, sono valutabili ex ante ma non ex post (cfr. Cassazione civ. sezione II, 5 ottobre 2009, n. 21273).

Per quanto esposto, assorbito ogni altro motivo, l’appello deve essere accolto e deve essere riformata la sentenza impugnata.

Quanto alle spese di giudizio, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti.

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