Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-06-30, n. 201703210

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-06-30, n. 201703210
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703210
Data del deposito : 30 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/06/2017

N. 03210/2017REG.PROV.COLL.

N. 04733/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4733 del 2016, proposto da S C, rappresentato e difeso dagli avvocati P B e G C, con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. G C in Roma, via Cicerone, 44;

contro

il Comune di Lerici, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'avvocato R B, con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. Rita Brandi in Roma, via Albenga, 45;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA -GENOVA -SEZIONE I, n. 242/2016, resa tra le parti, concernente demolizione di opere edilizie;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Lerici;

Vista la memoria difensiva della parte appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica dell’8 giugno 2017 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati G C e R B;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


1.Con la sentenza n. 242 del 2016 il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha respinto il ricorso promosso dal signor S C avverso il provvedimento n. 23 dell’8 giugno 2015 con il quale il Comune di Lerici (SP) ha ordinato la demolizione di una tettoia realizzata sul lastrico solare di proprietà.

Si tratta di una struttura metallica avente una superficie di circa 40 mq. , con paletti di legno infissi su vasi e con una copertura di plastica e chiusura con cannicciato sul lato verso monte, esistente “in loco” da circa 40 anni.

In particolare, la sentenza di primo grado ha rilevato che:

-“la realizzazione di una tettoia, anche se in aderenza a un muro preesistente, non può essere considerata un intervento di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consiste nella rinnovazione o nella sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto, cosicché la sua costruzione necessita del previo rilascio di permesso di costruire (cfr. ad es. CdS n. 319\2015)”;

- “costituisce jus receptum l’orientamento per cui l'ordine di demolizione di una costruzione abusiva integra una sanzione di natura oggettiva e reale che costituisce atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi pubblici coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione;
né, infine, è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non può sanare (cfr. ad es. CdS n. 4878\2014 e T Liguria 1755\2014)”;

- “la (invero dubbia) esistenza del vincolo accennato nell’intestazione del provvedimento, non ha assunto alcun rilievo nella parte motiva e dispositiva della sanzione irrogata, basata su considerazioni e richiami normativi di carattere unicamente edilizio, attestanti l’abusività del manufatto, di cui neppure risulta chiesta – da parte della ricorrente che si dichiara mera acquirente di un bene già esistente - la eventuale sanatoria”.

2.Il signor C ha impugnato la sentenza censurandone argomentazioni e statuizioni con quattro motivi.

Premesso che viene in rilievo una struttura precaria, totalmente aperta, non infissa al suolo ma semplicemente appoggiata con pali lignei su vasi e, inoltre, collocata “in loco” da diversi decenni, con il primo motivo si deduce l’erroneità della decisione nella parte in cui il T ha ritenuto che la struttura realizzata necessitasse di un permesso di costruire.

Ad avviso dell’appellante, le reali caratteristiche della struttura fanno sì che la stessa sia qualificabile come arredo per spazi esterni e non quale opera di trasformazione edilizia.

Dalle caratteristiche suindicate emerge inoltre la natura rimovibile della struttura e l’assenza di una nuova volumetria.

Il travisamento dei fatti e la falsa rappresentazione della realtà dei luoghi nei quali sarebbe incorsa la sentenza si desumono anche dal fatto che la struttura risulterebbe invisibile dall’esterno e sarebbe quindi inidonea ad alterare lo stato dei luoghi, irrilevante sotto il profilo urbanistico e ricadente nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 e degli articoli 6, comma 2, e 21 della l. r. Liguria n. 16 del 2008, trattandosi di un elemento di arredo pertinenziale –privo quindi di propria autonomia funzionale- rispetto all’edificio. Verrebbe in questione un’attività edilizia libera in quanto non comportante la creazione di nuova volumetria, e non una costruzione rilevante sotto il profilo urbanistico –edilizio. Ne consegue che la sanzione applicabile sarebbe non la demolizione ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 ma unicamente la sanzione pecuniaria prevista dall’art 6 del medesimo d.P.R. per la mancata comunicazione dell’inizio dei lavori.

A riprova della irrilevanza della struttura viene menzionata l’inerzia dell’Amministrazione, protrattasi per decenni, quantunque il Comune non potesse ignorare l’esistenza della tettoia, in quanto visibile nella documentazione fotografica allegata a una risalente pratica di condono ex l. n. 47 del 1985 presentata nel 1986.

Con il secondo motivo viene dedotta l’erroneità della sentenza per avere, il giudice di primo grado, considerato legittima l’ingiunzione di demolizione quale sanzione che non necessitava di un obbligo motivazionale specifico, segnatamente in ordine all’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla applicazione della sanzione demolitoria, anche in relazione a una comparazione di detto interesse con gli altri interessi coinvolti.

Ad avviso dell’appellante gravava invece in capo al Comune un onere di motivazione “rafforzato”;
un obbligo di motivare ulteriore rispetto al mero riferimento all’interesse al ripristino e al rispetto della legalità, e ciò anche alla luce della risalenza agli anni ‘70 della tettoia e del fatto che il C non è il responsabile del ritenuto abuso avendo acquistato l’immobile in epoca successiva alla sua realizzazione.

Nell’appello si evidenzia inoltre che l’Amministrazione comunale sarebbe stata a conoscenza dell’esistenza della tettoria sin dal 1986, data della presentazione della domanda di condono edilizio da parte del proprietario dell’epoca;
la tettoia era visibile dalla documentazione fotografica allegata alla pratica di condono del 1985;
indipendentemente dalla “tolleranza” mantenuta dall’Amministrazione per 40 anni, il Comune non è intervenuto per oltre cinque anni, vale a dire dal sopralluogo effettuato dal Comune nel maggio del 2010, ingenerando così nel privato una oggettiva condizione di affidamento circa la legittimità della struttura.

Con il terzo motivo l’appellante contesta la sentenza per avere omesso di pronunciarsi sul quarto motivo del ricorso di primo grado, con il quale era stata dedotta dal C l’illegittimità della scelta comunale di demolire, e ciò alla luce dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza ricavabili dagli artt. 33, comma 2, e 34, comma 2, del T.U. n. 380/2001, in base ai quali è prevista la comminazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione qualora non sia possibile demolire il manufatto senza arrecare pregiudizio a quanto legittimamente realizzato. L’appellante ritiene che la demolizione della tettoia sarebbe idonea ad arrecare pregiudizio ai piani sottostanti, a favore dei quali essa ha svolto nel corso di molti anni la funzione di riparo dalle intemperie, e di copertura.

Con il quarto motivo si deduce infine, “in via prudenziale”, l’illegittimità dell’ordine di demolizione nella parte in cui viene fatto riferimento a un vincolo paesaggistico che, in realtà, non esisteva al tempo della realizzazione della tettoia.

In ordine alla censura anzidetta, riproposta in appello, il signor C segnala che la sentenza di primo grado, pur considerando dubbia l’esistenza del vincolo, non aveva considerato tale aspetto rilevante per fondare una declaratoria di illegittimità dell’ordinanza impugnata, ritenendo l’ordinanza medesima motivata essenzialmente su profili di carattere edilizio.

3. Con memoria di costituzione del 28 luglio 2016 il Comune di Lerici ha controdedotto alle argomentazioni dell’appellante concludendo per il rigetto del gravame.

In particolare, l’Amministrazione comunale puntualizza che la struttura oggetto dell’ordinanza di demolizione avrebbe una superficie rilevante, di complessivi 40 mq. (10 X 4).

La volumetria non sarebbe inferiore a 80 mc. .

Si tratta inoltre di una tettoia con putrelle in ferro e copertura presumibilmente in plastica.

Tali caratteristiche renderebbero la struttura realizzata lontana dalla nozione di arredo esterno;
né la medesima rientrerebbe nell’ambito di applicazione della normativa sulla pertinenze urbanistico / edilizie.

Il Comune appellato precisa inoltre che ai fini della legittimità dell’ordinanza di demolizione non è richiesto un obbligo di motivazione particolare atteso che sarebbe sufficiente l’illiceità dell’opera realizzata e non sarebbe nemmeno richiesta una comparazione particolare tra gli interessi coinvolti, non potendosi riconoscere nessun affidamento tutelabile in ordine a una situazione di fatto abusiva. Parimenti contestata è l’osservazione dell’appellante circa la conoscenza da parte del Comune, sin dal 1986, dell’esistenza della tettoia.

Al riguardo, il Comune osserva che dalla documentazione allegata alla pratica di condono non emerge la realizzazione della tettoia.

4. Con ordinanza n. 3389/2016 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare osservando che “a un primo e sommario esame l’appello non appare manifestamente privo di fondamento con riguardo alla censura relativa alla qualificazione del manufatto non come costruzione, ex art. 3, comma 1, lett. e/5 del d.P.R. n. 380 del 2001, elemento rilevante dal punto di vista urbanistico –edilizio, ma come arredo per spazi esterni, irrilevante al fine anzidetto” e che “l’esecuzione del provvedimento impugnato in primo grado è in grado di arrecare al ricorrente e odierno appellante un danno grave e irreparabile;
inoltre, nella comparazione degli interessi coinvolti nella presente controversia appare prevalente l’interesse del privato alla conservazione del bene fino alla avvenuta definizione del giudizio di appello nel merito”.

All’udienza dell’8 giugno 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5.L’appello è infondato e va respinto, con le integrazioni motivazionali che seguiranno rispetto a quanto rilevato con la sentenza di primo grado.

5.1. Con il primo motivo di gravame parte appellante insiste sulla qualificazione della struttura descritta come elemento di arredo esterno, in quanto tale irrilevante sotto il profilo edilizio-urbanistico. Nel contempo, viene contestata la qualificazione, operata dall’Amministrazione comunale, e condivisa in sentenza, di opera edilizia che necessita di permesso di costruire e, quindi, realizzata abusivamente, dal che, Comune e T hanno fatto discendere la legittimità della ingiunzione di demolizione.

Il Collegio ritiene tali deduzioni prive di fondamento e inidonee a sovvertire le pur assai stringate considerazioni svolte dal T a sostegno della motivazione di rigetto del ricorso sul punto.

Infatti, la struttura oggetto dell’ordinanza di demolizione dev’correttamente qualificata non come elemento di arredo esterno ma, al contrario, come opera riconducibile alla categoria di cui all’art 3, comma 1, lett e/5 del d.P.R. n. 380/2001, ossia come manufatto rientrante tra le nuove costruzioni. Sulla base della disposizione sopra citata “si intendono per ..."interventi di nuova costruzione" quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali … e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.

Per le opere rientranti nella nozione suddetta di “interventi di nuova costruzione” è richiesto il permesso di costruire ai sensi dell’art 10 del d.P.R. n. 380/2001, salvo che per le opere che siano destinate a “soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Il concetto di c.d. “opera precaria”, enucleabile dal dettato normativo richiamato sopra, e sul quale parte appellante insiste, deve essere inteso avendo riguardo non tanto ai materiali utilizzati o all’amovibilità delle strutture o all’ancoraggio all’edificio o al suolo, bensì con riferimento, essenzialmente, alle esigenze, stabili o temporanee, o meno, che la struttura è deputata a soddisfare (cfr., “ex multis”, Cons. di Stato, sez. VI, n. 1619/2016).

A questo riguardo, è lo stesso appellante a fare leva sul notevolissimo arco temporale intercorso tra la realizzazione della struttura, risalente agli anni ‘70, e l’ordine di demolizione, emanato nel 2015, il che è di per sé indice della evidente non precarietà, sotto il profilo funzionale, della struttura in discussione, e della sua stabile funzionalizzazione al migliore godimento e utilizzo del lastrico solare, destinazione evidentemente permanente e non transitoria.

Quanto alla struttura in sé, come si è anticipato sopra al p.

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