Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-12-15, n. 202008022

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-12-15, n. 202008022
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008022
Data del deposito : 15 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/12/2020

N. 08022/2020REG.PROV.COLL.

N. 08128/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8128 del 2015, proposto da
Freccia Cinzia, rappresentata e difesa dall'avvocato M G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M M in Roma, via Arezzo, 38;

contro

Provincia di La Spezia, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, 8 maggio 2015, n. 00442/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020, con le modalità di cui al comma 6 dello stesso art. 84, il consigliere Angela Rotondano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe in tema di risarcimento danni il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria ha respinto i riuniti ricorsi proposti dalla sig.ra Cinzia Freccia, a suo tempo iscritta negli elenchi delle attività socialmente utili di cui all’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81 ( “Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144 ), fino alla cancellazione disposta, ai sensi dell’art. 9 del citato decreto, dalla Provincia della Spezia- Centro per l’impiego di Sarzana, con provvedimento prot. n. 12329 del 13 luglio 2001, già oggetto di annullamento giurisdizionale.

2. La ricorrente proponeva l’azione risarcitoria per l’accertamento del danno derivante dall’illegittima cancellazione dagli elenchi dei lavoratori socialmente utili (di seguito anche soltanto “L.S.U.” ), in via di riassunzione a seguito della declinatoria della propria giurisdizione sulla controversia da parte del giudice del lavoro in favore del giudice amministrativo (sentenza del Tribunale della Spezia- Sezione Lavoro n. 365 del 16 ottobre 2013).

2.1. Con un secondo ricorso la medesima domanda risarcitoria nei confronti della Provincia della Spezia (di seguito “la Provincia” ) era riproposta in via di ottemperanza ex art. 112, commi 3 e 4, Cod. proc. amm., sotto il profilo della mancata esecuzione del giudicato di cui alla sentenza dello stesso T.A.R. Liguria n. 1318 del 5 luglio 2007, che aveva annullato il su indicato provvedimento di cancellazione dagli elenchi delle attività socialmente utili per insussistenza, nella fattispecie, dei presupposti.

2.2. Con quest’ultima decisione, premesso che la nozione di rifiuto (di assunzione, di incarichi di collaborazione, di partecipazione ad attività formative ovvero dell’avviamento a selezione) dovesse essere intesa in senso restrittivo, stante la gravità della conseguente sanzione, si riteneva, infatti, che, per un verso, la Provincia aveva erroneamente qualificato come rinuncia tacita il comportamento della ricorrente, di produzione di un certificato medico nel corso della selezione presso la società Consortile Logos (ove la predetta ricorrente si era regolarmente presentata a seguito di convocazione del 28 giugno 2001);
e che, per altro verso, la rinuncia tacita o il rifiuto tacito non apparivano, comunque, idonei a determinare la cancellazione dagli elenchi, che doveva invece riconnettersi esclusivamente ad una manifestazione espressa di volontà negativa del lavoratore.

2.3. La ricorrente lamentava, pertanto, che, qualora non fosse stata illegittimamente cancellata dagli elenchi L.S.U., avrebbe avuto accesso ad una serie di prerogative e di contratti di lavoro (di collaborazione coordinata e continuativa e a tempo determinato), alla fine dei quali sarebbe stata assunta a tempo indeterminato in virtù dei processi di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili previsti dalle leggi finanziarie del 2007 e del 2008, come in effetti accaduto per gli altri lavoratori iscritti negli elenchi.

2.4. Su queste basi, la ricorrente domandava la condanna dell’Amministrazione provinciale al pagamento delle somme a titolo di importo mensile previsto ex art. 4 del D.Lgs. 81/2000, dalla cancellazione dagli elenchi L.S.U. sino alla data della pubblicazione della sentenza, medio tempore non corrisposte e ammontanti ad euro 33.879,94, nonché al risarcimento dei danni subiti per perdita di chance lavorativa, mancato guadagno futuro e danno morale conseguenti alla perdita della possibilità di assunzione presso l’ente pubblico, quantificati in complessivi € 500.000,00, ovvero nella (maggiore o minor) somma ritenuta di giustizia, detratto quanto percepito nelle varie occupazioni svolte nelle more.

3. L’adito Tribunale amministrativo, con la sentenza in epigrafe, nella resistenza dell’intimata Amministrazione provinciale (la quale si costituiva soltanto nel secondo giudizio in via di ottemperanza introdotto dalla ricorrente, insistendo per il rigetto), ha riunito i ricorsi e li ha respinti, ritenendo infondata la domanda risarcitoria formulata.

In particolare, la sentenza ha ravvisato l’inesistenza dei presupposti connessi all’azione risarcitoria sia per il fatto che la mancata instaurazione di un rapporto di pubblico impiego non poteva in alcun modo costituire, ex artt. 2056 e 1223 c.c., una conseguenza immediata e diretta della cancellazione dagli elenchi, sia in considerazione del mancato esperimento da parte della ricorrente degli ordinari “strumenti di tutela” previsti dall’ordinamento che, ai sensi dell’art. 30, comma 3, Cod. proc. amm. e 1227, comma 2, c.c. avrebbero “secondo l’ordinaria diligenza” potuto evitare i danni lamentati.

4. Avverso la sentenza ha proposto appello la ricorrente di prime cure, deducendo la complessiva erroneità ed ingiustizia delle relative statuizioni, di cui ha invocato l’integrale informa.

4.1. Non si è costituita, benché ritualmente intimata, l’Amministrazione provinciale.

4.2. Nell’ udienza del 21 maggio 2020, tenuta mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6 del d.l. n. 18 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione, sulla base degli atti depositati.

DIRITTO

5. Con l’odierno appello la ricorrente di primo grado critica le statuizioni di rigetto della domanda risarcitoria formulata, avente ad oggetto la condanna della Provincia appellata al pagamento delle somme dovute per i titoli specificati in narrativa, sia in relazione all’assegno mensile di utilizzo per prestazioni in attività socialmente utili, sia per la perdita della “possibilità non trascurabile di esito favorevole nella stabilizzazione del suo rapporto lavorativo” .

5.1. In primo luogo l’appellante, nel ricostruire i fatti a fondamento della pretesa azionata, assume di aver prestato la propria opera a partire dall’anno 1997 nell’ambito di un progetto interregionale (tra la Regione Toscana e la Regione Liguria) di lavori socialmente utili, denominato “Master”, relativo alla rivisitazione dell’uso del territorio e alla sua salvaguardia, suddiviso in 11 sub-progetti (dal primo al settimo affidati alla Provincia di Massa e Carrara, dall’ottavo all’undicesimo affidato a quella della Spezia), risultando in particolare assegnata al sub progetto n. 8, che riguardava la pulizia dei fiumi, dei parchi e del verde nel territorio provinciale della Spezia.

5.2. Premette altresì che il 29 maggio 2001 era stata stipulata, tra il Ministero del Lavoro e la Previdenza Sociale e la Regione Liguria, una Convenzione avente ad oggetto “la predisposizione e la realizzazione di progetti di stabilizzazione con affidamento a terzi, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 81/2000, dei servizi di manutenzione ordinaria e valorizzazione del territorio, finalizzati all’assunzione di n. 114 soggetti per la Provincia di La Spezia, con contratto a tempo indeterminato” .

5.3. Sostiene poi che l’illegittima cancellazione dagli elenchi delle attività socialmente utili disposta nei suoi confronti a causa della mera produzione nel corso del colloquio per la selezione di un certificato medico - condotta malamente interpretata dalla Provincia quale rinuncia tacita all’assunzione o all’avviamento a selezione, ma in realtà finalizzata esclusivamente a “rendere note alcune patologie di cui era affetta ”- oltre a determinare la mancata corresponsione delle indennità mensili per la prestazione di attività socialmente utili, aveva determinato la perdita della chance di una stabile occupazione, secondo quanto previsto dalla disciplina di legge in subiecta materia , poiché la stessa non avrebbe potuto usufruire di talune prerogative, come accaduto per gli altri lavoratori iscritti negli elenchi.

5.4. La Provincia aveva infatti dapprima affidato (giusta delibera n. 227 del 30 giugno 2003) agli iscritti nelle graduatorie dei L.S.U. incarichi di co.co.co. (rinnovabili per 5 anni, dal 1 giugno 2003 al 31 luglio 2004, e poi confermati con successivi delibere), approvando i progetti relativi alle attività socialmente utili;
quindi, a seguito della finanziaria del 2004, aveva approvato (con deliberazione n. 446/2004) una disciplina quadro delle selezioni pubbliche finalizzate all’istituzione di graduatorie per l’assunzione di personale a tempo determinato, per poi procedere infine, dopo l’entrata in vigore delle finanziarie del 2007 e del 2008, alla stabilizzazione mediante assunzioni a tempo indeterminato del personale precario, in servizio da almeno tre anni.

5.5. Su queste basi, l’appellante contesta le statuizioni di rigetto delle prime cure, fondate, da un lato, sul rilievo per cui i lavori socialmente utili non sono finalizzati alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (ciò desumendo dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2000, a mente del quale “l’utilizzo nelle attività di cui all’art. 3 non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro” ), dall’altro sul mancato esperimento degli ordinari strumenti di tutela contemplati dall’ordinamento ( in primis , la formulazione in ricorso di apposita istanza cautelare di sospensione immediata degli effetti del gravato provvedimento di cancellazione, ma anche la tardiva attivazione del giudizio di ottemperanza, promosso a notevole distanza dal giudicato di annullamento, ed al solo fine di domandare il risarcimento dei danni, in luogo della sollecita richiesta all’Amministrazione di eseguirne le statuizioni, reiscrivendo la ricorrente negli elenchi L.S.U.) che avrebbero consentito di elidere o, comunque, di mitigare le prospettate conseguenze pregiudizievoli.

5.6. L’appellante si duole, infatti, che la sentenza non avrebbe adeguatamente considerato tutte le circostanze rappresentate in ricorso, volte a dimostrare i danni che le erano stati arrecati dall’illegittima cancellazione dagli elenchi, anche sotto il profilo della perdita di chance lavorativa e di una stabile occupazione.

5.6. Avrebbe poi errato la decisione appellata a ritenere infondata la deduzione della ricorrente secondo cui la disciplina normativa in materia di lavori socialmente utili sarebbe finalizzata a favorire la stabile occupazione giovanile, costituendo ciò, in definitiva, lo scopo effettivo dell’anzidetta normativa: e avrebbe pure errato nel concludere, su tali premesse, che il danno relativo alla mancata instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato non potrebbe costituire conseguenza immediata e diretta della disposta cancellazione dagli elenchi.

5.7. Con tale affermazione la sentenza avrebbe anzi del tutto trascurato che, secondo la disciplina recata dalle leggi finanziarie del 2007 e del 2008, la stabilizzazione presupponeva lo svolgimento, negli anni antecedenti al 2007, di attività quali contratti di collaborazione coordinata e continuativa e contratti di lavoro a termine, che la ricorrente non aveva potuto svolgere proprio per effetto della cancellazione dagli elenchi L.S.U.

5.8. La sentenza non avrebbe, inoltre, neppure adeguatamente considerato che tutti i lavoratori socialmente utili impiegati dalla Provincia appellata hanno trovato una definitiva collocazione lavorativa, ad eccezione di coloro che vi hanno rinunciato dietro indennizzo, e salvo la ricorrente (a seguito dell’illegittima cancellazione).

5.9. Sotto altro profilo, la sentenza sarebbe pure errata laddove sostiene l’insussistenza del diritto al risarcimento del danno per non avere la ricorrente impiegato, secondo l’ordinaria diligenza, tutti gli strumenti di tutela previsti per evitarlo.

Ed infatti se è vero che l’introduzione della domanda di annullamento costituisce condotta esigibile ai sensi dell’art. 30 Cod. proc. amm. e 1227, comma 2, Cod. civ., ai fini dell’attribuzione del risarcimento del danno, la ricorrente doveva essere allora ritenuta diligente, avendo ritualmente e tempestivamente impugnato il detto provvedimento di cancellazione: per converso, la mancata formulazione della richiesta di misura cautelare non può, di suo, comportare il totale venir meno del risarcimento, ma al più incidere sulla sua quantificazione;
né la ricorrente aveva alcun onere di domandare l’esecuzione del giudicato, richiedendo espressamente alla Provincia la reiscrizione negli elenchi che doveva, di diritto, conseguire all’annullamento dell’illegittima cancellazione.

In ogni caso, come chiarito dalla giurisprudenza richiamata nell’atto di appello, il dovere di non aggravare le conseguenze dannose non implicherebbe l’obbligo di iniziare un’azione giudiziaria in capo al danneggiato.

6. L’appello è infondato per tutti i profili di censura, che sono suscettibili di trattazione congiunta, e la sentenza merita di essere confermata, perché esente dalle doglianze formulate.

7. In primo luogo, giova evidenziare che, come già affermato da questo Consiglio di Stato in analoga fattispecie (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 30 dicembre 2014, n. 6421), “secondo regole generali dell’ordinamento, il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale per illegittimità dell’atto amministrativo, ma richiede altresì la positiva verifica di tutti gli appositi elementi previsti dalla legge, siano essi di ordine contrattuale o extracontrattuale: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, è indispensabile che sia accertata la presenza di una colpa (o del dolo) dell’amministrazione, che sia provata l’esistenza di un danno ingiusto al patrimonio del preteso danneggiato, che sussista un nesso causale tra l’illecito ed il danno subito” .

7.1. Orbene, nell’odierna controversia, il Collegio non ravvisa i presupposti connessi all’instaurata azione risarcitoria e alla lamentata responsabilità colposa dell’Amministrazione per il pregiudizio patrimoniale asseritamente patito in relazione all’illegittimo provvedimento di cancellazione dagli elenchi L.S.U. a ragione della mancata corresponsione delle indennità mensili previste dalla legge, nonché della perdita di chance quanto alla privazione della possibilità di usufruire di prerogative, sviluppi e opportunità (alla luce della normativa sopravvenuta e dei successivi atti adottati dall’Amministrazione in applicazione di tale disciplina), che avrebbero in tesi consentito all’appellante di conseguire l’auspicata stabilizzazione.

7.2. A tale riguardo va, infatti, anzitutto evidenziato che la giurisprudenza amministrativa ha già più volte avuto modo di chiarire che il rapporto instauratosi con lo svolgimento dei c.d. lavori socialmente utili trae origine da ragioni di ordine essenzialmente assistenziale (c.d. ammortizzatori sociali), riguardando un impegno lavorativo di suo precario e dai caratteri peculiari (quali il compenso orario uguale per tutti, sostitutivo dell’indennità di disoccupazione, versato dallo Stato o dalla Regione e non dal datore di lavoro beneficiario della prestazione, e l’occupazione per non più di ottanta ore mensili): si tratta, pertanto, di un rapporto che si colloca concettualmente e per disciplina normativa, al di fuori dall’ambito del rapporto di pubblico impiego e, tra l’altro, non è assistito da alcuna automatica stabilizzazione (cfr. Cons. di Stato, VI, 6241/2014 cit.;
Cons. di Stato, VI, 15 marzo 2007, n. 1253;
27 giugno 2007, n. 3664;
11 settembre 2008, n. 4344).

7.3. Pertanto, non ha base l’assunto dell’appellante secondo cui i lavori socialmente utili sarebbero in realtà comunque finalizzati alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

7.4. È invece corretta e non merita le critiche che le sono state rivolte la statuizione della sentenza secondo la quale tra i lavoratori socialmente utili e l’ente pubblico che si avvale delle loro prestazioni non si costituisce affatto un rapporto di lavoro subordinato, ma un rapporto giuridico di carattere previdenziale fondato sull’art. 38 della Costituzione: ne viene che il danno relativo alla mancata instaurazione di un rapporto di pubblico impiego non può costituire una conseguenza immediata e diretta della cancellazione dagli elenchi dei L.S.U.;
dal che il profilo di infondatezza del ricorso introduttivo, bene ravvisato dalla sentenza impugnata.

7.4. Se, dunque, in linea generale la disciplina in materia di attività socialmente utili non lascia spazio alla pretesa volta alla stabilizzazione del rapporto prestato a favore dell’amministrazione utilizzatrice, venendo allo specifico caso oggetto di giudizio, va poi anche osservato che l’appellante non ha neppure fornito alcuna prova, neppure a livello indiziario, del nesso causale esistente tra l’illegittima cancellazione del suo nominativo dagli elenchi delle attività socialmente utili (come accertato dal giudicato) e i danni lamentati: a tale conclusione si perviene anche alla luce della documentazione versata in atti e delle difese svolte in primo grado dalla difesa intimata, che smentiscono l’assunto in ordine alla sussistenza, in capo all’interessata, di “una possibilità non trascurabile di esito favorevole nella stabilizzazione del suo rapporto lavorativo” .

7.5. Risulta in particolare dagli atti del giudizio che, come in precedenza accennato, la Provincia di La Spezia nell’anno 1997 aderiva al progetto denominato “Master” nel settore ambientale, di cui era con altri enti locali promotrice, e ai sub progetti ad essi collegati, con destinatari i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità o disoccupati da oltre 24 mesi, senza trattamento previdenziale.

Le professionalità ricercate per l’area della Provincia della Spezia erano di numero complessivo pari a 462 di cui, per quanto qui rileva, n. 121 manovali per mansioni equipollenti al III livello di qualifica funzionale.

L’attuale appellante veniva inserita nel progetto sub. 8 (denominato “Analisi delle caratteristiche ambientali e delle situazioni di dissesto potenziale o in atto al fine di pianificare ed effettuare interventi di ordinaria manutenzione negli alvei fluviali e nei parchi” ) e assegnata all’Ente Parco per prestare la propria attività lavorativa, consistente in interventi di manutenzione sulla sentieristica e sui percorsi esistenti, pulizia degli arenili e lavori di manovalanza, sramatura ed esbosco, con mansioni riconducibili al III livello qualifica funzionale.

7.6. Diversamente, i 43 soggetti di cui alla delibera n. 227/2003, ai quali la Provincia aveva affidato incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, cui fa riferimento la ricorrente per affermare la predita di chance di stabilizzazione, sono stati assegnati, fin dall’inizio della loro attività, alla Provincia della Spezia, con particolari progetti, lavorandovi con continuità ed acquisendo professionalità e specializzazione anche attraverso la partecipazione a corsi formativi, sempre all’interno dell’Ente.

Tale circostanza è confermata dagli elenchi delle graduatorie in atti, dai quali emerge che tutti i predetti lavoratori hanno prestato la propria attività per la Provincia e comunque in livelli superiori rispetto all’odierna appellante.

7.7. Quest’ultima non ha invece provato nulla in concreto quanto allo specifico percorso professionale cui poteva essere interessata, sul quale poter fondare il diritto a conseguire la stabilizzazione: in particolare, non ha dimostrato che poteva rientrare, per titoli, ovvero per formazione e professionalità già possedute o nel frattempo acquisite, nell’ambito di uno dei progetti di attività socialmente utili della Provincia di cui alla delibera 227/2003, assegnati in effetti, in base alle rispettive graduatorie, a lavoratori in possesso del diploma di scuola superiore (che la ricorrente pacificamente non ha conseguito) o comunque adibiti a mansioni di una superiore qualifica funzionale (rientranti in particolare nella IV o V qualifica funzionale).

I criteri utilizzati dalla Provincia per la stipulazione dei suddetti contratti, come illustrati nei rispettivi bandi, richiedevano, dunque, non solo titoli di studio differenti rispetto a quello posseduto dalla appellante, ma anche specifiche conoscenze che quest’ultima non ha dimostrato di aver acquisito, in base ai progetti oggetto dei bandi.

Pertanto, alla data di chiusura degli elenchi L.S.U. della Provincia della Spezia (31 dicembre 2003), soltanto 43 lavoratori (degli iniziali 462 per l’intero territorio provinciale), erano stati assegnati in forza degli anzidetti contratti di collaborazione alla Provincia: quanto agli altri, in parte trovavano occupazione, in parte aderivano al bando per la fuoriuscita volontaria, in parte rimanevano in attesa di collocazione, senza tuttavia alcuna certezza in ordine al conseguimento di una stabile occupazione

7.8. Insomma, se anche l’appellante fosse rimasta iscritta negli elenchi degli L.S.U. fino al dicembre 2003 (e anche a prescindere dall’eventuale proposizione della domanda incidentale di sospensione in via cautelare del provvedimento di cancellazione, che, ove formulata, le avrebbe consentito di ottenere plausibilmente l’immediata reiscrizione negli elenchi e il ripristino dei connessi benefici, come bene rilevato dal primo giudice) non avrebbe avuto comunque nessuna possibilità di impiego presso la Provincia, né mediante la stipulazione dei citati contratti di collaborazione coordinata e continuativa, né tanto meno mediante un’assunzione a tempo determinato (attraverso una selezione pubblica in seguita avviata dalla Provincia, all’esito della quale sono stati assunti 39 soggetti, anche provenienti dall’esterno). In relazione a tale ultimo profilo, si osserva, infatti, che l’odierna appellante non avrebbe avuto neanche alcuna chance di ottenere un contratto a determinato, essendo in concreto sprovvista del requisito di ammissione relativo al titolo di studio. L’appellante non avrebbe poi potuto partecipare neanche all’unica selezione pubblica per assunzione a tempo determinato nel profilo professionale di operatore informatico (categoria B1 del C.C.N.L. Enti locali), per la quale era richiesto soltanto il titolo di studio posseduto, in quanto comunque sprovvista dell’ulteriore requisito di ammissione consistente nell’aver svolto prestazioni assimilabili alla posizione di operatore informatico.

Inoltre, non è stata neppure provata l’assunzione a tempo indeterminato da parte del Consorzio Logos di tutti i lavoratori socialmente utili impiegati nei servizi esternalizzati dalla Provincia: non è infatti al riguardo sufficiente la sola produzione della citata Convenzione del 2001 tra il Ministero del Lavoro e la Regione Liguria, dalla quale emergono soltanto le modalità di assunzione dei lavoratori socialmente utili.

7.9. In conclusione, alla luce delle su esposte considerazioni, non risulta raggiunta la prova del danno da perdita di chance di una stabile occupazione, non avendo l’appellante dimostrato, neppure in via presuntiva e probabilistica (ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate), di aver perduto, quale conseguenza dell’adozione dell’atto illegittimo, l’occasione di conseguire il bene della vita che avrebbe potuto ottenere se l’Amministrazione non avesse disposto la cancellazione dagli elenchi degli L.S.U.: l’appellante non ha, infatti, fornito elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la concreta possibilità di essere selezionata e poi assunta dalla Provincia né, in definitiva, l’esistenza di un nesso causale tra il provvedimento illegittimo e gli effetti dannosi prefigurati.

8. È parimenti infondata la pretesa a conseguire l’indennità mensile relativo al c.d. assegno di utilizzo per la prestazione di attività socialmente utili, ex art. 4 del D.Lgs. n. 81 del 2000, dalla data di cancellazione a quella di pubblicazione della sentenza di accoglimento del ricorso.

8.1. Ed invero, nel caso in questione, la Provincia della Spezia è stata autorizzata a proseguire le attività socialmente utili fino al 31 dicembre 2003. Ne viene che a partire da tale data in ogni caso l’appellante non potendo prestare dette attività, ormai concluse, neppure avrebbe potuto percepire la relativa indennità.

8.2. Ad ogni modo, stante la peculiare natura assistenziale del lavoro socialmente utile, nella fattispecie concreta deve ravvisarsi quanto meno la presenza di un errore scusabile da parte del competente Centro per l’Impiego che interpretò le circostanze di fatto rappresentate (quali, in particolare, la produzione di un certificato medico e la contestuale richiesta nel corso della selezione presso l’ente utilizzatore, per il sub-progetto al quale era stata assegnata, di essere preferibilmente adibita ad attività di ufficio, come ammesso dalla stessa appellante) nel senso di rifiuto di avviamento alla selezione, in relazione al posto disponibile per la qualifica e il livello contrattuale corrispondente alle mansioni che avrebbe effettivamente svolto.

9. L’appello deve essere pertanto respinto.

10. Nulla per le spese, non essendosi costituita l'Amministrazione appellata.

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