Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-04-04, n. 201701565

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-04-04, n. 201701565
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701565
Data del deposito : 4 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/04/2017

N. 01565/2017REG.PROV.COLL.

N. 02594/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2594 del 2015, proposto da:
A D C, rappresentata e difesa dagli avvocati B C e G M S, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere dei Mellini, 10;

contro

Comune di Taviano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato M E, con domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;

nei confronti di

G M M non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione III n. 2132/2014, resa tra le parti, concernente demolizione di opere edilizie abusive - diniego sanatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Taviano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2015 il Cons. A P e uditi per le parti gli avvocati Scipio e L’Abbate per delega di Esposito;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza qui impugnata riferisce, in punto di fatto, quanto segue.

La ricorrente – proprietaria del primo piano di un fabbricato di due piani (distinto in catasto al foglio 23 particelle 819 e 820) in Taviano (zona “B1 - di completamento edilizio”) con ingressi da via Vittorio Emanuele III n. 67 e da via Fiume n. 20 (realizzato dal padre negli anni ‘50 del secolo scorso), confinante sul lato est con l’adiacente immobile della controinteressata sito in via Fiume n. 22 (in origine costituito dal solo piano terra realizzato negli anni ‘30 del secolo scorso) – con il ricorso introduttivo del giudizio impugna l’ordinanza di demolizione di opere abusive n. 15 del 15 marzo 2012 emanata dal Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Taviano (con cui sono le sono state contestate “difformità riferite alla planimetria del progetto anno 1956 consistenti in un diverso sviluppo della scala esterna di accesso e in un aumento della superficie coperta e del volume edificato in corrispondenza dei lati ovest e nord dell’immobile, dove risultano edificati nuovi vani residenziali ed accessori e alcune superfici terrazzate con balcone su strada … nonché la realizzazione del c.d. pozzo-luce sul lato est dell’edificio. Le difformità sono riscontrate anche in relazione alle planimetrie presentate in variazione catastale presso il Catasto di Lecce nell’anno 1999. Si rileva infatti che sono stati edificati dei vani al primo piano sulla copertura anche dell’u.i. distinta al fg. 23 p.lla 1043 sub. 2 e che una porzione del cortile a piano terra risulta occupata e destinata ad ampliamento di altra unità immobiliare confinante - a piano terra - di proprietà della sig.ra D C A”), nella parte riferibile al predetto immobile a primo piano di sua proprietà (distinto in catasto al foglio 23 particella 819 sub. 2).

Con motivi aggiunti notificati in data 14 marzo 2013 impugna, altresì, la nota prot. n. 489 del 15 Gennaio 2013 a firma del Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Taviano recante diniego del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 6 Giugno 2001 n. 380 e della Legge Regionale Pugliese 30 Luglio 2009, n. 14, richiesto dalla ricorrente in data 11 Giugno 2012, nonché la relazione istruttoria del Responsabile del procedimento datata 14 Gennaio 2013, la valutazione sulla conformità urbanistica dell’intervento resa dal Responsabile del procedimento il 18 Ottobre 2012 e la nota prot. n. 12853 del 19 Ottobre 2012 di comunicazione dei motivi ostativi al rilascio della sanatoria.

2. La sentenza ha dichiarato il ricorso in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e per la restante parte (motivi aggiunti) lo ha rigettato.

In primo luogo, il Tribunale rileva che l’impugnazione dell’ordinanza di demolizione n. 15/2012, proposta dalla ricorrente con il ricorso introduttivo del presente giudizio, è divenuta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

In proposito, è appena il caso di rammentare che l’insegnamento giurisprudenziale consolidato ha condivisibilmente chiarito che l’istanza di permesso di costruire in sanatoria, presentata successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuto difetto di interesse;
il riesame dell’abusività dell’opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato dall’istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 6 Giugno 2001 n. 380, comporta infatti la necessaria emanazione da parte del Comune di un nuovo provvedimento, che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio, oggetto dell’impugnativa (ex plurimis: T.A.R. Campania Salerno, I Sezione, 15.11.2013, n. 2266).

Chiarito ciò, il Tribunale ritiene, invece, infondata nel merito l’impugnazione interposta dalla ricorrente con i motivi aggiunti notificati in data 14 marzo 2013.

In proposito, è necessario, innanzitutto, rammentare – in punto di fatto – che l’impugnato diniego opposto dal Comune di Taviano alla richiesta di permesso di costruire in sanatoria presentata dalla ricorrente (ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e della Legge Regionale Pugliese 30 Luglio 2009 n. 14) in data 11 giugno 2012 si fonda sulla seguente motivazione: “Non può riconoscersi, sulla base della documentazione tecnica ed amministrativa presentata ed obiettivamente riscontrabile, che l’edificio sia stato realizzato, nell’attuale consistenza, in data anteriore all’entrata in vigore della c.d. Legge-Ponte. Anche nell’ipotesi di considerare la c.d. doppia conformità di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, risulta impedito l’accertamento di conformità, sia per la mancata dimostrazione dell’epoca di realizzazione degli abusi e sia per il mancato rispetto dei principali parametri urbanistico-tecnici attualmente in vigore sull’area (superficie copribile e volume edificabile), per cui si conferma l’avvenuta esecuzione di opere e di trasformazioni edilizie in assenza di titolo abilitativo e la non conformità dell’edificio alla vigente normativa tecnica di attuazione urbanistica”.

3. Propone ricorso in appello l’interessata evidenziando preliminarmente che: “Questione cruciale è il periodo di realizzazione dei presunti abusi: questa Difesa ha dimostrato, sulla base di indubitabili elementi tecnici e documentali, che essi risalgono agli anni cinquanta del secolo trascorso;
senza alcuna motivazione, tuttavia, il TAR è caduto nello stesso errore dell’Amministrazione, omettendo di vagliare il materiale probatorio in atti ed omettendo, se del caso, di disporre una verificazione.

Ma vi è di più: con coeva sentenza, il Tar Puglia ha annullato la medesima ordinanza di demolizione oggi in discussione, per la parte riferibile alla sorella dell’appellante, sig.ra A D C. Ebbene: non solo le argomentazioni tecniche e giuridiche a sostegno dei due ricorsi erano identiche, ma addirittura un medesimo abuso - un pozzo luce, che si estende per tutta l’altezza dell’immobile - era stato contestato ad entrambe le sorelle D C. Si è in presenza di un vero errore revocatorio per conflitto di giudicati: con tutta evidenza, la medesima opera non può essere legittima per un proprietario e abusiva per un altro”.

“I tre giudizi incardinati dinnanzi al TAR dalla sig.ra A D C [odierna appellante] e dalla sorella A (r.g. n. 1733/2011;
n. 610/2012;
n. 833/2012) pur non formalmente riuniti, erano oggetto di trattazione congiunta. In nessuno di essi si costituiva il Comune;
mentre spiegava diffusamente le proprie difese la controinteressata Mele.

Dopo alcuni rinvii, l’udienza di discussione nel merito veniva fissata per il giorno 16 luglio 2014 e i giudizi venivano decisi con tre coeve sentenze del 5 agosto 2014, nn. 2124, 2127 e 2132.

Come chiarito, con le prime due, il Tribunale accoglieva in toto le istanze e le prospettazioni di parte D C;
e tuttavia, benché l’impianto probatorio e logico argomentativo si fondasse sulle medesime basi, il Tribunale rigettava la domanda di annullamento dell’ordinanza di demolizione relativa al piano primo dell’immobile”.

4. L’appellante deduce, per quel che qui rileva:

“Erroneità della sentenza impugnata. Omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Omessa valutazione di prove decisive. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione e per difetto d’istruttoria del provvedimento impugnato in prime cure. Violazione dell’art. 6, co. 1, lett. b), l.n. 241 del 1990 e del principio inquisitorio”.

Un primo decisivo profilo discusso nel giudizio di primo grado è stato il periodo di realizzazione dell’immobile D C.

È bene muovere dall’iter logico seguito dall’Ufficio tecnico del Comune di Taviano, risultante dal parere del 14 gennaio 2013 del responsabile del procedimento: “Le argomentate contestazioni presentate dal Legale risultano supportate logicamente e probabilmente le ricostruzioni storiche potranno anche essere fatte valere con testimonianze”. Tuttavia, queste prove non possono trovare ingresso “in sede di istruttoria tecnica in quanto si conferma che l’Ufficio istruttore deve basare la propria attività su circostanze obiettivamente riscontrabili documentativamente”. Prosegue l’Ufficio: “la rigorosa dimostrazione dello status quo ante spetta al titolare di diritti reali sull’immobile che a parere dell’Ufficio istruttore, non l’ha fornita nei termini che occorrono”, ovverosia “attraverso documenti pubblici ed elaborati grafici catastali” (v. la precedente valutazione sulla conformità resa dal responsabile del procedimento il 18.10.2012).

Il descritto presupposto è fallace: in materia vigono principi opposti, sia circa i mezzi di prova ammissibili, sia circa la pregnanza dell’onere della prova.

Anzitutto, l’epoca di costruzione di un immobile può essere fornita sia per tabulas (testamenti e atti pubblici di trasferimento della proprietà;
estratti catastali;
licenze di agibilità, ecc.), sia tramite prove tecniche (saggi e ispezioni in situ, che consentano una datazione sulla base delle tecniche costruttive utilizzate) e persino tramite testimonianze giurate o elementi indiziari o presuntivi. È questo un principio generale dell’attività amministrativa: “il principio inquisitorio consente all’autorità amministrativa di avvalersi di propria iniziativa, di ogni mezzo probatorio che ritenga utile” (G P, Attività amministrativa, in L M et al., Diritto amministrativo, Bologna, 2001, tomo II, 1296);
ora codificato dall’art. 6, co. 1, lett. b), l.n. 241 del 1990, a mente del quale il responsabile del procedimento “accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari [...] In particolare [...] può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni”.

Tale regola generale vale con speciale riguardo alle pratiche edilizie, laddove si rinviene di frequente la necessità di dare prova di risalenti fatti storici, quali, in particolare, l’epoca di costruzione dei manufatti. La regola che qui si afferma non è solo quello della libertà della prova, ma addirittura, della sufficienza del “principio di prova” (cosi, con giurisprudenza unanime: Tar Sicilia, Palermo, II, 18.V.2012, n. 1002;
Tar Campania Salerno, Il, 7.V.2012, n. 828;
Tar Pugile, Lecce, III, 7.IV.2011, n. 621;
Cons. Stato, V, 13.11.1998, n. 157).

Ebbene, contrariamente a quanto dedotto dall’Ufficio e ritenuto dal TAR, la sig.ra D C aveva ampiamente assolto al proprio onere, tramite quelle “argomentate contestazioni” addotte nelle memorie difensive presentate nel procedimento amministrativo (e poi in giudizio) che, tuttavia, si è inteso ignorare. Come meglio si dettaglierà, l’odierna appellante aveva offerto una panoplia di elementi valutativi, utilizzati in modo coordinato: estratti catastali: analisi delle tecniche costruttive e dei materiali utilizzati;
ragioni strutturali;
prove logiche circa la necessaria contestualità di alcuni interventi, ecc.

Non solo: per tutti i profili non documentali, la sig.ra D C non ha preteso che l’Ufficio si basasse esclusivamente sulle allegazioni di parte. Ha richiesto insistentemente ed espressamente (v. memoria procedimentale del 31 ottobre 2012) di procedere a verifiche in contraddittorio, anche tramite saggi sui materiali. L’Amministrazione ha sempre rigettato, senza nemmeno darne conto, tali richieste istruttorie. Ciò è tanto più grave se si considera che, per stessa ammissione dell’Ufficio, non si trattava certo di istanze defatigatorie;
tutt’al contrario, le ricostruzioni storiche presentate erano “sopportate logicamente”.

È del tutto evidente, dunque, che l’istruttoria fu gravemente lacunosa e l’azione amministrativa del tutto contraddittoria: il diniego di sanatoria avrebbe dovuto essere annullato, quantomeno per vizio della motivazione e sia pure lasciando impregiudicata la reiterazione del potere amministrativo all’esito di più attente e complete verifiche (all’esito delle quali non potrà che accertarsi l’evidente e cioè che l’immobile di causa risale agli anni cinquanta del secolo scorso).

5. Questo Collegio, sebbene la questione non sia strettamente rilevante per la decisione del ricorso in appello, non può non rilevare che l’affermazione contenuta nella sentenza appellata (secondo la quale l’istanza di permesso di costruire in sanatoria, presentata successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuto difetto di interesse) non può essere condivisa.

Questo Consiglio ha, al contrario, affermato: “La presentazione di una nuova istanza ex art. 36, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, recante il « Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia », non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria” (Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2016, n. 1393).

“I principi affermati in tema di condono edilizio non possono trovare applicazione al caso di specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.

Sostenere, come affermato dalla sentenza impugnata, che, nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza di accertamento di conformità, l’amministrazione debba riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento.

La ricostruzione dell’intero procedimento nei termini suddetti non può essere effettuata in via meramente interpretativa, ponendosi essa al di fuori di ogni concezione sull’esercizio del potere, e richiede un’esplicita scansione legislativa, allo stato assente, in ordine ai tempi e ai modi della partecipazione dei soggetti del rapporto” (Consiglio di Stato, VI, 6 maggio 2014, n. 2307).

6. La censura dedotta è fondata e, consequenzialmente, va accolto il ricorso in appello e annullati i provvedimenti impugnati in primo grado in quanto viziati da eccesso di potere per difetto di istruttoria.

È condivisibile quanto sostenuto dall’appellante circa l’ampiezza dei mezzi di prova presentabili e valutabili: essi non possono essere limitati a mere evenienze documentali ma possono utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dalle conoscenze scientifiche accettate. Va da sé che tutto ciò che non sia documentalmente provato dovrà essere valutato con rigore e coerenza.

7. Attesa la natura della controversia le spese del giudizio possono essere compensate.

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