Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-07, n. 201702750

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-07, n. 201702750
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702750
Data del deposito : 7 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/06/2017

N. 02750/2017REG.PROV.COLL.

N. 04211/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4211 del 2013, proposto dai Signori P M, M R P, A F, A F, D F, L C, S C, U V, N P, D S, S R, A S, A M, A D C, A C, V G, L Z, V C, G P, D R, M V, M G, M A Q, F R, G V, L P, F V, R M, D M, M S C, A O, M L, L D, G L I, A L, F G, M P M, G M, G P, M P, P Mi, Orazio Guagliano, Daniela Bonfiglio, Francesco Leone, Giuseppe Cammilleri, Carmela Marchese, Daniela Bordo, Renato Alberto Villa, Cristina Lanfrit, Elena Merciari, Antonella Perrazzi, Francesca Marina Mangraviti, Rosanna Sacchi, Stefania Di Martino, Maria Concetta Facella, Giusi Concas, Mirella Maria Grande, Giuseppe Piccolo, Rosalia Di Giacinto, Immacolata Cangero, Antonio Romano, Catia Di Stasio, Luca Montefusco, Francesco Petrosino, Stefano Cucurachi, Vincenzo Giglio, Paola Pirro, Anna Luce De Matteis, Giuseppe De Matteis, Bianca Aurora Bottari, Anna Di Lorenzo, Domenico Maurizio, Simona Benvenuto, Alessandra Lulini, Irina Giacomelli, Liliana Bassignana, Giuseppina Giuliana Di Palma, Flavia Maronese, Silvia Palmano, Alessandra Memo, Beatrice Fogolari, Maria Nesca, Sebastiano Aliffi, Claudio Cavarra, Salvatore Corso, Raffaele Golino, Carmela Mazzullo, Enzo Piccione, Michelangelo Pappalardo, Velia Zappalà, Renato Chinigò, Carmela Perricone, Gaetano Roggio, Rosa Dipasquale, Giuseppina Campisi, Liliana Lobello, Antonina Rubera, Vita Maria Brugnone, Patrizia Degano, Manuela Bettoli, Mirella Palmarese, Maria Capellupo, Daniela Ciancio, Paola Ruocco, Maria Loredana Nipote, Floriana Orofino, Claudio Domenico Chirizzi, Gianluigi Nenna, Claudia Corso, Giuliana D'Auria, Paolo Capobianco, Patrizia De Nunzio, Angelo Biancolilli, Aurelia Biancolilli, Pasquale Ianniello, Vincenzo Bianco, Sandra Sarni, Luigi Alfonso, Angela Pittalis, Giuseppe Angelo Manca, Daniela Cesaraccio, Paolo Bonu, Paolo Serra, Antonio Placenza, Vincenzo Romano, Gaspare Ferro, Giuseppe Lombardo, Tindaro Salmeri, Santo Caldarera, Felice Cicciarella, Maria Letizia Raineri, Fausta Bellagamba, Maria Laura Rodinò, Eleonora Da Re, Silvia Callucci, Rita Ventola, Maria Macchia, Giuliana Andreozzi, Aliffi Maria, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Flavio Maria Polito, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nino Oxilia, 21;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero per la Pubblica Amministrazione e le Riforme, Capo pro-tempore del Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi c/o la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio – Sede di Roma - Sezione I n. 9220/2012, resa tra le parti, concernente l’ ottemperanza alla sentenza n. 4266/2007 resa dal T.A.R. per il Lazio sezione I.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze del Ministero per la Pubblica Amministrazione e le Riforme e del Capo Pro-Tempore del Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi c/o La Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2017 il consigliere F T e uditi per le parti l’ avvocato F.M. Polito, e l’avvocato dello Stato Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 9220 del 9 novembre 2012 il T.a.r per il Lazio –Sede di Roma - ha dichiarato cessato l’incarico commissariale (conferito con la sentenza di ottemperanza n. 4391/2012) improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso proposto dalla odierna parte appellante volto ad ottenere l’ ottemperanza del giudicato contenuto nella decisione dal T.a.r. medesimo recante n. 4266 del 10 maggio 2007.

2. La complessa vicenda processuale può essere così ricostruita:

a) Marino Pasquale ed altri 371 funzionari, dipendenti dell’Amministrazione della giustizia, nel 2007 presentarono ricorso ex art. 21 bis innanzi al T.A.R. del Lazio, contro la Presidenza del consiglio dei ministri, il Ministero dell’economia e delle finanze ed il dipartimento della funzione pubblica;

b) impugnarono, così, il silenzio serbato dalle Autorità sull’atto di diffida notificato dagli stessi ricorrenti il 20 luglio 2006, con il quale essi sollecitavano l’emanazione della direttiva contrattuale prevista dall’art.10, III comma, della legge 15 luglio 2002 n.145, per l’istruzione dell’area della vicedirigenza;

c) stabiliva invero il ripetuto art. 10, III comma, che “la disciplina relativa alle disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 7, che si applicano a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, resta affidata alla contrattazione collettiva”, e ciò “sulla base di atti d’indirizzo del Ministro per la funzione pubblica all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) anche per la parte relativa all’importo massimo delle risorse finanziarie da destinarvi”;

d) a sua volta, l’art. 7, III comma, aveva introdotto l’art.17 bis del D.lgs. 30 marzo 2001, n.165, il quale (nel testo poi modificato dall’art.14 octies, d.l. 30 giugno 2005, n.115), disponeva, al I comma, che “la contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l’Istituzione di un’apposita separata area della vicedirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispettive qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento”;

e) il ricorso avverso il silenzio venne accolto con la sentenza 10 maggio 2007, n. 4266, la quale ordinò conclusivamente al Presidente del consiglio dei ministri, al Ministro per la funzione pubblica ed al M0inistro dell'economia e delle finanze, ciascuno per la parte di competenza, “di esercitare le proprie attribuzioni per riscontrare in via definitiva l'istanza di parte ed il conseguente atto di messa in mora entro il termine di sei mesi decorrente dalla data di notifica ad esse della presente sentenza, che avverrà a cura della parte ricorrente ”.

2.1. La sentenza fu depositata nel maggio 2007 e passò in giudicato, ma non vi fu mai prestata osservanza, sicché gli interessati presentarono un’istanza, depositata il 26 luglio 2011, per la nomina, ex art. 117, III comma, c.p.a. di un commissario ad acta che provvedesse, in luogo delle Amministrazioni inerti, agli adempimenti discendenti dalla sentenza stessa, e pertanto:

a) a conclusione di una fase interlocutoria, persistendo l’inerzia dell’Amministrazione, fu emessa dalla Sezione I del T.A.R. Lazio la sentenza 16 maggio 2012, n. 4391, in cui, riassunta l’intera vicenda, si è rilevato come, per dare attuazione alla sentenza n. 4266/07 della Sezione, dovesse essere esercitato - con specifico riferimento al personale del Ministero della giustizia, questo essendo il limite soggettivo del giudicato - il potere di indirizzo nei confronti dell'A.R.A.N;
potere appartenente, come settore, al Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione (già Ministro per la funzione pubblica), di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (art. 41, III comma, d. lgs. n. 165/01, nel testo vigente);

b) per dare pieno adempimento alle prescrizioni contenute nella sentenza 10 maggio 2007, n. 4266, è stato nominato commissario ad acta il capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri;

c) il commissario nominato ha in seguito trasmesso al giudice dell’esecuzione la nota 12 settembre 2012, in cui si fa presente “che l’articolo 5, comma 13, del d.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del d.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, che aveva previsto l'istituzione, previa la mediazione della contrattazione collettiva, della vicedirigenza”: pertanto, prosegue la nota, “ritengo sia venuta meno ogni attività da espletare in ottemperanza alla predetta sentenza. In ogni caso, sono gradite le istruzioni che codesto Tribunale, ai sensi dell'art. 117, co. 4, del d.Lgs. 2/7/2010 n. 104, vorrà fornire in ordine alla eventuale prosecuzione dell'incarico di questo commissario ad acta”.

2.2. La prima sezione del T.A.R. per il Lazio, con la sentenza n. 9220/2012, oggetto della odierna impugnazione, condividendo le conclusioni del commissario, ha dichiarato cessato l’incarico commissariale ed improcedibile il giudizio di ottemperanza, per sopravvenuta carenza d’interesse;
il ricorso di primo grado sollevava peraltro questioni di legittimità costituzionale e comunitaria della disciplina legislativa, che il T.A.R. ha dichiarato infondate.

3. Con l’odierno appello è stata lamentata la sospetta incostituzionalità dell’art 5, comma 13, del d.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del d.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, con riferimento agli artt. 24, 102, 103, 111 e 117 Cost. ;
in particolare, ad avviso degli odierni appellanti, la dinamica temporale dell’intervento legislativo dimostra chiaramente la volontà di eludere il dettato di una sentenza oramai divenuta res iudicata , determinando, quindi, un’intollerabile sovrapposizione del potere normativo sul potere giudiziario ed una ingiusta compressione di un diritto irretrattabilmente quesito dalla parte che era risultata vittoriosa nei precedenti giudizi.

4. In data 7.6.2013 si sono costituite in giudizio le amministrazioni, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, che hanno concluso per l’infondatezza dell’appello e delle questioni di costituzionalità con il medesimo dispiegate.

5. In data 25.10.2013 parte appellante ha depositato una articolata memoria ribadendo e puntualizzando le proprie tesi.

6. Alla camera di consiglio del 12 novembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione e la Sezione, con la ordinanza collegiale n. 1918 del 16 aprile 2014 (che si richiama integralmente con la presente sentenza) ha sospeso il giudizio e, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione prospettata, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l’abrogazione dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, che aveva previsto l’istituzione, previa la mediazione della contrattazione collettiva, della vice dirigenza, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 111, 113, 117, Cost.,

7. A seguito della trasmissione della ordinanza e del fascicolo processuale alla Corte Costituzionale, il giudizio è rimasto sospeso.

8. In data 3 ottobre 2016 è stata pubblicata la decisione n. 214 mercé la quale la Corte Costituzionale alla udienza del 6 luglio 2016 ha deciso la questione rimessagli, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 13, del decreto-legge

6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo comma, 103, primo comma, 111, primo e secondo comma, 113 e 117,primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – atti entrambi ratificati e resi esecutivi con la legge 4 agosto 1955, n. 848 –.

9.In data 6.10.2016 copia della suindicata decisione della Corte Costituzionale n. 214 del 3 ottobre 2016 è stata depositata presso la segreteria della Sezione.

10. Alla odierna camera di consiglio del 18 maggio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto.

2. Come si evince dalla esposizione in fatto, l’unico profilo di censura sollevato nell’appello era volto a criticare la decisione del T.A.R per il Lazio n. 9220 del 9 novembre 2012 per avere dichiarato cessato l’incarico commissariale ed improcedibile il giudizio di ottemperanza, per sopravvenuta carenza d’interesse sulla scorta di disposizioni di legge che, in tesi, erano affette da illegittimità costituzionale.

3. Detta tesi è rimasta definitivamente smentita dalla decisione della Corte Costituzionale n. 214 del 3 ottobre 2016, laddove è stato peraltro stabilito che:

a) (capo 4.1.6.) “ deve, perciò, conclusivamente ritenersi che l'impugnato art. 5, comma 13, nel porre un ostacolo giuridico all'esecuzione del giudicato della sentenza del TAR Lazio n. 4266 del 2007, è intervenuto in un àmbito non coperto da questo - e lasciato quindi aperto a un successivo intervento del legislatore - e che tale circostanza giustifica la mancata esecuzione degli obblighi imposti dallo stesso giudicato e la (conseguente) improcedibilità del giudizio di ottemperanza promosso per conseguirla, senza che l'anzidetta mancata esecuzione integri una violazione dell'art. 6 della CEDU.” ;

b) “l'assunto del giudice a quo circa la natura provvedimentale dell'impugnato art. 5, comma 13, deve ritenersi infondato. Da un lato, infatti, sul piano soggettivo, i destinatari di tale disposizione non sono affatto «determinati o di numero limitato». Invero, abrogando l'art. 17-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, che aveva previsto l'istituzione dell'area della vicedirigenza, essa mostra di avere una platea di destinatari coincidente con quella indicata dal medesimo articolo. Tali destinatari comprendono, perciò, il personale di tutto il comparto Ministeri, nonché delle altre amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 - ai cui dipendenti il comma 1 del citato art. 17-bis si applicava «ove compatibile» (comma 2 dello stesso art. 17-bis) - in possesso dei requisiti previsti per l'accesso all'area della vicedirigenza e non soltanto il personale del Ministero della giustizia né, tanto, meno, i soli ricorrenti nel giudizio a quo. L'esistenza di una lite in corso che coinvolgeva specificamente questi ultimi e il rilievo della disposizione impugnata nella definizione di tale lite costituiscono, perciò, evenienze di mero fatto, non influenti per circoscrivere la produzione di effetti esclusivamente nei confronti dei ricorrenti nel giudizio a quo.

D'altro canto, sul piano oggettivo, risulta palese, sulla base di quanto ora detto, che l'impugnato art. 5, comma 13, non ha affatto un «contenuto particolare e concreto» ma, al contrario, detta la regola, di carattere astratto, secondo cui la vicedirigenza non è (più) prevista nell'organizzazione del lavoro pubblico.”

4. Alla stregua delle superiori considerazioni correttamente il primo Giudice ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso in ottemperanza e, pertanto, l’odierno appello deve essere respinto.

5. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

5.1.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. Le spese del presente grado di giudizio devono all’evidenza essere compensate a cagione della circostanza che a seguito della sopravvenienza normativa citata –giudicata legittima dalla Corte Costituzionale – la pretesa di parte appellante è risultata impossibile da soddisfare.

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