Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-07-20, n. 202206309
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Testo completo
Pubblicato il 20/07/2022
N. 06309/2022REG.PROV.COLL.
N. 02651/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2651 del 2015, proposto dal Comune di Tezze Sul Brenta, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato F M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C in Roma, via Cicerone n. 44;
contro
la società G&G s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato D L L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A A in Roma, via Golametto, n. 4;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 1191 del 29 agosto 2014, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società G&G s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2022 il consigliere M C e uditi per le parti gli avvocati F M e Livio Lago Danni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Giunge all’esame del Consiglio di Stato l’appello proposto dal Comune di Tezze sul Brenta avverso la sentenza del T.a.r. per il Veneto n. 1191 del 29 agosto 2014, che ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 685/2013, proposta dalla società G&G s.p.a..
2. Si riassumono i fatti salienti del giudizio.
2.1. In data 19 ottobre 2006, il Comune di Tezze sul Brenta e la società G&G s.p.a. hanno stipulato una convenzione edilizia, con la quale la società si è impegnata alla realizzazione di alcune opere di urbanizzazione, entro tre anni dal rilascio del permesso di costruire da parte dell’ente.
2.2. In data 20 giugno 2007, è stato rilasciato il suddetto titolo edilizio, ma alla data del 25 giugno 2010, i lavori non venivano portati a compimento.
2.3. In data 22 luglio 2011, a seguito delle sollecitazioni del Comune e all’intimazione che l’ente avrebbe proceduto ad applicare la penale prevista dalla clausola 2, paragrafo 2, della convenzione, l’avvocato difensore pro tempore della società inviava una missiva nella quale contestava l’imputabilità del ritardo nell’ultimazione dei lavori, adducendo alcune giustificazioni al riguardo.
2.3. Successivamente, in data 15 giugno 2013, il Comune ha domandato al competente T.a.r. l’emanazione di un decreto ingiuntivo, per l’importo di euro 211.484,84, a titolo di penale dovuta per l’inadempimento dell’obbligo di consegna dei lavori entro il termine che l’ente riteneva previsto dall’art. 2 della convenzione, e per un’ulteriore somma pari ad euro 12.630,00, spettanti a titolo di oneri di urbanizzazione a seguito della sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo da parte dell’impresa.
2.4. Il T.a.r. ha emanato il decreto ingiuntivo n. 685/2013, avverso il quale la società ha proposto opposizione.
2.5. Nel relativo giudizio, si è costituito il Comune che ha insistito per la dovutezza delle somme ingiunte.
3. Con la sentenza n. 1191/2014 il T.a.r. ha accolto l’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 685/2013 e ha compensato le spese del processo.
3.1. Segnatamente il T.a.r., facendo applicazione dei criteri di cui agli artt. 1362 e ss., e, precipuamente, del canone ermeneutico letterale, ha affermato che l’art. 2 della convenzione non ancorasse il ritardo e, dunque, la penale, all’ultimazione dei lavori, bensì, ad un diverso termine, quello di “ consegna delle opere ultimate ”, testualmente previsto dalla clausola della convenzione, e non coincidente con il termine di ultimazione dei lavori.
3.2. Secondo il T.a.r. “ il criterio letterale impone di ritenere dovuta la penale soltanto nel caso in cui, una volta ultimate e collaudate le opere, queste ultime non siano state effettivamente consegnate, circostanze queste ultime non ancora verificatesi ”, mentre la garanzia per la mancata ultimazione delle opere sarebbe stata fornita dalla polizza fideiussoria “a prima richiesta” prestata dalla società.
3.3. Non è stata ritenuta dirimente, infine, la circostanza che, con la missiva del 22 luglio 2011, a firma del precedente avvocato della società, quest’ultima avrebbe giustificato il ritardo nell’esecuzione e nella consegna delle opere, facendo riferimento al caso fortuito, in quanto la suddetta missiva dimostrerebbe soltanto che “… un inadempimento ai termini di conclusione delle opere era venuto in essere, circostanza quest'ultima che ben differente dal ritenere applicabile una clausola penale ”. Le dichiarazioni, inoltre, non potrebbero neppure essere qualificate come confessione stragiudiziale in quanto non provenienti dalla società opponente o da un soggetto titolato a rappresentare la società, non risultando dimostrato l'esistenza di un mandato a confessare di cui agli art. 2731 e 2735 del codice civile.
4. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello il Comune.
4.1. Con il primo motivo di appello, il Comune impugna la sentenza, deducendosi l’errata applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. e, conseguentemente, l’errata interpretazione dell’art. 2 della convenzione intercorsa con la società.
Si ribadisce che, secondo la richiamata clausola convenzionale, il ritardo e, dunque, la clausola penale vanno computati dalla scadenza del termine triennale per l’ultimazione dei lavori, non essendo stato previsto, nella suddetta convenzione, alcun termine per la consegna.
Questa interpretazione non sarebbe preclusa, così come statuito erroneamente dal T.a.r., secondo l’appellante, dalla sussistenza di una polizza fideiussoria a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto.
In subordine, si osserva che, anche a voler ancorare il termine dal quale la penale è dovuta ad un momento successivo (ad es., al collaudo), la consegna non sarebbe ancora avvenuta a causa della condotta inadempiente della società appaltatrice. Conseguentemente, il T.a.r. avrebbe dovuto diminuire l’ammontare della penale, ma comunque riconoscerla.
4.2. Con il secondo motivo di appello, il Comune contesta la parte della sentenza che non ha riconosciuto valore confessorio alla nota del 22 luglio 2011, inviata dal precedente avvocato difensore della società al Comune, “ in nome e per conto ” della società rappresentata e della sua legale rappresentante.
4.3. Il 25 maggio 2015, si è costituita in giudizio la società appellata, resistendo all’appello.
4.4. Con la memoria del 20 aprile 2022, il Comune si è riportato alle doglianze già esposte nell’appello, mentre la società appellata, con la memoria del 23 aprile 2022, ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’appello, per avere domandato il Comune, nella memoria di costituzione del nuovo difensore, del 8 luglio 2017, il “rigetto del ricorso”, nonché l’inammissibilità delle doglianze formulate ai paragrafi “2” e “3” del primo motivo di appello, per violazione dell’art. 104 c.p.a. Nel merito, la società ha domandato la reiezione dei due motivi di appello e, in subordine, la riduzione della penale manifestamente eccessiva, in quanto “ la pretesa penale supera allo stato di oltre 5 (cinque) volte l’importo massimo garantito per la realizzazione delle opere di urbanizzazione del PIRUEA ”.
4.5. Il 5 maggio 2022, il Comune ha depositato una memoria di replica.
5. All’udienza del 26 maggio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità, formulate dalla società appellata.
6.1. Le eccezioni sono infondate.
6.2. Quanto a quella argomentata con riferimento all’erronea indicazione del petitum , il Collegio rileva che il nuovo difensore, nel costituirsi nel giudizio di appello, sia incorso in un evidente errore materiale, corretto nei successivi scritti difensivi.
6.2.1. In nessun modo, le conclusioni rassegnate nella memoria di costituzione del nuovo difensore rendono l’azione proposta in giudizio incerta o perplessa e, in ragione di ciò, inammissibile.
6.2.2. La prima eccezione va pertanto respinta.
6.3. Quanto all’opposta violazione dell’art. 104 c.p.a., il Collegio rileva che il senso complessivo della doglianza formulata con il primo motivo di appello rispecchia quelle che sono state le allegazioni compiute dalle parti nel primo grado del giudizio, cosicché l’eccezione formulata non merita accoglimento.
6.3.1. La seconda eccezione va pertanto respinta.
7. Esaurita la disamina delle eccezioni pregiudiziali, il Collegio ritiene di procedere all’esame del merito della controversia, che verte, principalmente, sull’interpretazione di una clausola dell’accordo ex art. 11 legge n. 241/1990, intercorso tra il Comune e la società indicata in epigrafe.
7.1. La clausola contrattuale da analizzare è l’art. 2, rubricato “ Opere di urbanizzazione – Tempi di esecuzione – Sanzioni ”, il cui tenore testuale è il seguente: “ La Ditta si impegna entro 120 giorni a presentare richiesta del permesso di costruire per le opere di cui al precedente articolo 1, ad iniziare entro 180 giorni dalla data di notifica del permesso di costruire e ad ultimare entro 3 anni dalla data di inizio, salvo ritardi dovuti a causa di forza maggiore o indipendenti dalla Ditta .
Per ogni giorno di ritardo nella consegna delle opere ultimate nei termini stabiliti verrà applicata nei confronti della ditta una penalità di euro 300,00 (trecento/00) giornaliera.
L’inizio e l’ultimazione dei lavori sono determinati mediante verbale redatto in contraddittorio fra il Comune e la Ditta”.
7.2. Per procedere all’interpretazione della clausola andranno applicati i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., i quali, oltre che per l’interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all’art. 11 della L. n. 241 del 1990, in ragione del richiamo, da parte del comma secondo della suddetta disposizione, ai “ principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto compatibili ” (Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1150; Sez. IV, 3 dicembre 2015 n. 5510; Sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2997; Sez., IV, 17 dicembre 2014, n. 6164; Sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812).
7.2.1. In particolare, per decidere l’appello proposto dal Comune, andrà fatta applicazione dell’art. 1362 c.c., il quale prevede che “ Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto ”.
7.2.2. Sull’applicazione di questa disposizione non v’è unanimità di orientamenti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.
7.2.2.1. In base ad un primo orientamento, infatti, “ Nell'interpretazione del contratto, […], il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 cod. civ. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti ” (Cass. civ., Sez. I, ord., 07 ottobre 2021, n. 27232; si cfr., inoltre, ex aliis , Sez. III, ord., 17 novembre 2021, n. 34795; Sez. I, ord., 02 luglio 2020, n. 13595).
7.2.2.2. In base ad un secondo orientamento, invece, “ i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale il criterio del senso letterale delle parole, di cui all'art. 1362, comma 1, c.c. è prevalente, potendo risultare assorbente di eventuali ulteriori e successivi criteri interpretativi ” (Cass. civ., Sez. lavoro, 26 ottobre 2021, n. 30135; si cfr., inoltre, ex aliis ; Sez. lavoro, ord., 25 gennaio 2022, n. 2173; Sez. lavoro, ord., 03 novembre 2021, n. 31422; Sez. V, ord., 21 settembre 2021, n. 25459).
7.2.2.3. Invero, anche l’orientamento che prefigura la priorità gerarchica del criterio letterale afferma che la regola compendiata dal brocardo “ in claris non fit interpretatio ” non trova applicazione quando le espressioni letterali utilizzate, benché chiare, non siano “ univocamente intellegibili ” oppure il loro significato risulti “ ambiguo ” (Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 06 aprile 2022, n. 11182; Cass. civ., Sez. II, Ord., 11 novembre 2021, n. 33451).
7.3. La clausola in esame è sussumibile nel novero delle eccezioni dianzi indicate, in ragione dell’oscurità che viene ad ingenerarsi per l’uso nella medesima proposizione del riferimento, da un lato, alla “ consegna delle opere ultimate ” e, dall’altro, all’ultimazione delle opere “ nei termini stabiliti ”.
7.3.1. Infatti, il primo dei due riferimenti linguistici appena individuati induce l’interprete verso il significato auspicato dalla società e ritenuto corretto dal T.a.r., ossia di disancorare l’applicazione della penale dall’ultimazione dei lavori, per collegarla alla fase, ulteriore e diversa, della “consegna”, successiva alla fase della “verifica” e del “collaudo”, a loro volta successive all’ultimazione materiale dei lavori.
7.3.2. Diversamente, l’altra espressione contenuta nella proposizione di cui si compone la clausola conduce l’interprete a giudicare condivisibile l’interpretazione prospettata dalla società appellante, perché l’espressione “ nei termini stabiliti ” implica necessariamente di doversi riferire al periodo precedente, nel quale detti termini sono stati prefissati e disciplinati dalle parti dell’accordo, con riferimento, quanto al termine che interessa, all’ultimazione dei lavori (“… ultimare entro 3 anni dalla data di inizio ”).
7.4. Risulta, pertanto, necessario indagare quale sia stata la “ comune intenzione delle parti ” anche in considerazione del “ loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto ” (art. 1362 c.c.).
7.4.1. Procedendo a questo scrutinio, il Collegio ritiene che l’appello del Comune sia fondato e vada accolto.
7.4.2. Invero, l’art. 2 della convenzione disciplina, come esplicitato dalla rubrica “ Opere di urbanizzazione – Tempi di esecuzione – Sanzioni ”, i tempi di esecuzione dei lavori pattuiti e le relative penalità.
7.4.3. In particolare, nell’interpretazione della seconda clausola contrattuale enunciata dall’art. 2 assume rilievo la prima clausola, nella quale si disciplinano i tempi di ultimazione delle opere, e che viene posta antecedentemente alla seconda clausola su un piano logico prima ancora che “tipografico”: se la prima clausola prevede i “ tempi di esecuzione ” delle “ opere di urbanizzazione ”, la seconda ne determina le “ sanzioni ”, le quali non possono che essere logicamente e giuridicamente collegate al mancato rispetto di quei termini individuati nella clausola precedente.
7.4.4. Mediante un’interpretazione sistematica delle clausole, procedendo da quella delle due che non risulta ambigua, si chiarisce, dunque, anche il significato di quella che, per le motivazioni prima esposte, non risulta “ univocamente intellegibile ”.
7.5. Ad ulteriore riprova che questa sia l’interpretazione preferibile induce anche il canone ermeneutico prospettato dal secondo comma dell’art. 1362 c.c.
7.5.1. Il Consiglio condivide l’assunto del T.a.r., secondo cui la missiva del precedente legale della società non costituisce un’efficace confessione stragiudiziale, rispetto all’inadempimento contestato dal Comune e rispetto ai criteri di applicazione della penale convenuta nell’accordo.
7.5.2. Nondimeno, il Collegio ritiene che questa