Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-11-15, n. 201705270
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Testo completo
Pubblicato il 15/11/2017
N. 05270/2017REG.PROV.COLL.
N. 06963/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6963 del 2015, proposto da:
A F B e M F R, rappresentati e difesi dagli avvocati F T e D G, con domicilio eletto presso lo studio F T in Roma, largo Messico, 7;
contro
Comune di Lerici non costituito in giudizio;
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi;
nei confronti di
Società Deca di Elio e A Dno e C. S.a.s., rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio D'Aloia, con domicilio eletto presso lo studio Graziadei in Roma, via Gramsci, 54;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 00651/2015, resa tra le parti, concernente permesso di costruire e relativa autorizzazione paesaggistica;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria e della Società Deca di Elio e A Dno e C. S.a.s.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Granara, Saulino e D'Aloia.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Gli appellanti sono comproprietari di un alloggio compreso nello stabile ubicato in Lerici, località Cala Caletta n. 2, costruito in area assoggettata a vincolo paesaggistico in forza di concessione edilizia rilasciata nel 1975.
L'edificio in questione si articola su due piani ed è composto da tre unità abitative: il piano sotto strada comprende l'alloggio degli appellanti e un altro appartamento di proprietà della società Deca;l'intero primo piano fuori terra è occupato da un alloggio della stessa società, che è proprietaria anche del sottotetto.
Previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, il Comune, con atto del 30 agosto 2013, ha approvato il progetto presentato dalla società Deca per il recupero ai fini abitativi del sottotetto esistente. L'intervento, assentito ai sensi della legge regionale Liguria 6 agosto 2001, n. 24, comporta un incremento di altezza dell'edificio pari a cm 60.
Il progetto comprende altri interventi minori: il recupero ai fini abitativi di un porticato posto al piano sotto strada dello stabile, l'apertura di nuove bucature sul prospetto dello stesso e alcune opere di sistemazione dell'area circostante.
Gli appellanti hanno impugnato il permesso a costruire rilasciato a favore di Deca, e la relativa autorizzazione paesaggistica, deducendo la mancanza del consenso degli altri condomini (cioè degli stessi ricorrenti) all’effettuazione delle opere assentite, da cui la carenza di legittimazione della Società ad ottenere il permesso di costruire per la modifica di una parte comune dell'edificio. Sotto tale profilo hanno inoltre denunciato che l'intervento costituisce innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ. ed esorbita dai limiti di utilizzo della cosa comune consentiti dall'art. 1102 cod. civ., allegando anche che l’intervento metterebbe a rischio la staticità ed il decoro architettonico dell’immobile.
Con un ulteriore ordine di censure deducono che l'autorizzazione paesaggistica è priva di motivazione;che l'intervento provocherebbe l'alterazione dell'equilibrio tra l'insediamento attualmente esistente e il contesto naturale nel quale esso si colloca, con un incremento del carico urbanistico non sostenibile ed in contrasto con il regime di conservazione previsto dal vigente piano territoriale di coordinamento paesistico.
Con un ulteriore motivo di ricorso deducono che la L.R. n. 24/2001 ammette solo interventi di ristrutturazione, mentre il progetto approvato dal Comune di Lerici, comportando la modifica della sagoma e delle caratteristiche architettoniche essenziali dell'edificio, configura una nuova costruzione che non è ammessa dal PUC.
I ricorrenti formulano anche domanda di risarcimento dei danni rappresentati dalla diminuzione di valore dell'immobile di proprietà.
Si costituivano formalmente in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, intimato in ragione del parere favorevole reso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria, e la Società controinteressata.
I ricorrenti proponevano anche motivi aggiunti, denunciando che l'intervento assentito comporterebbe la violazione della distanza minima prevista dall'art. 905 cod. civ. per l'apertura di nuove vedute e balconi;in conseguenza di tale circostanza, la Società controinteressata doveva ritenersi sfornita dei requisiti occorrenti per conseguire il permesso di costruire impugnato.
Con sentenza n. 651/2015 il Tribunale Amministrativa Regionale della Liguria ha respinto il ricorso.
I ricorrenti hanno proposto appello, censurando la sentenza impugnata nei punti in cui ha rigettato i motivi di ricorso proposti in primo grado e di seguito esaminati.
Giova trattare congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione, i motivi con i quali gli appellanti censurano sotto plurimi profili la sussistenza della legittimazione della società controinteressata all’ottenimento del titolo edilizio, alla luce del principio in base al quale nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l'amministrazione ha il dovere di verificare l'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto della richiesta, ovvero di accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Tanto precisato, con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha superato la dedotta carenza di legittimazione della società all’ottenimento del titolo edilizio, rilevando che la facoltà di sopraelevazione in favore del proprietario dell’ultimo piano è riconosciuta dall’art. 1127 c.c., anche in assenza del consenso degli altri condomini.
L’appellante contesta tale assunto, sottolineando che l’intervento non comporta la sola sopraelevazione dell’immobile, bensì anche l’esecuzione di ulteriori opere, quali la chiusura del portico, la realizzazione di un marciapiede con lampioni e dei posti macchina. Denuncia quindi la mancanza del consenso degli altri condomini (cioè degli stessi ricorrenti), da cui la carenza di legittimazione della Società Deca ad ottenere il permesso di costruire per la modifica delle parti comuni dell'edificio. Evidenzia inoltre che in base all’art. 1127 c.c. la facoltà di sopraelevazione è subordinata a precisi limiti, nella fattispecie non rispettati, tra cui in primis l'onere di non pregiudicare l’aspetto dell’edificio, ovvero quello di evitare la diminuzioni di aria e luce dei piani sottostanti.
Con il secondo motivo di appello, connesso al precedente, si denuncia l’indebita cognizione da parte del G.A. su aspetti di esclusivo rilievo civilistico. In particolare, si deduce che la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la permettono e che i condomini possono opporsi se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio (art. 1227 c.c.), censurando la sentenza di primo grado nel punto in cui ha escluso la sussistenza nella fattispecie di tali condizioni impedienti. Viceversa, secondo la prospettazione dell’appellante, l’assenza del consenso da parte degli altri comproprietari nonché la necessità di vagliare preliminarmente avanti il Giudice ordinario gli aspetti innanzi evidenziati, precluderebbe la possibilità di rilasciare i titoli abilitativi impugnati. Al riguardo, parte appellante cita giurisprudenza a sostegno della propria tesi, secondo la quale per il rilascio del permesso di costruire opere che incidono sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi.
Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha escluso che le eventuali innovazioni sulle parti comuni possano dare luogo ad una innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 c.c. dal momento che: “l’intervento di demolizione e ricostruzione a quota più elevata del tetto dello stabile non è idoneo ad alterarne l’entità sostanziale, né a modificare l’originaria funzione di copertura assolta da tale elemento strutturale”. Secondo l’appellante l’intervento comporterebbe una pericolosità strutturale del fabbricato;nonché un pregiudizio al decoro dello stesso attraverso la costruzione di nuovi volumi su area limitrofa a quella attualmente occupata e la modifica della sagoma dell’edificio. Ne conseguirebbe che il singolo proprietario non potrebbe mai senza autorizzazione degli altri aventi diritto, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti, siano esse comuni o di proprietà individuale, che incidono sul decoro architettonico dell'intero corpo di fabbrica o di parti significative di esso. L’appellante conclude che anche in ragione di tale aspetto l’Amministrazione doveva negare l’assenso all’intervento richiesto, poiché, richiesto da soggetto sfornito della necessaria legittimazione, non sussistendo il consenso degli altri aventi diritto.
Può essere esaminato in questa sede anche l’ottavo motivo di appello, con il quale si censura il mancato accoglimento dei motivi aggiunti in primo grado. Secondo l’appellante, l’intervento assentito comporterebbero la violazione delle distanze minime tra le costruzioni dell’art. 873 c.c., nonché delle vedute e dei balconi ex art. 905 c.c. Pertanto, anche sotto tale profilo, la società Deca sarebbe priva dell’idonea legittimazione all’ottenimento del titolo.
I motivi di appello innanzi illustrati devono essere respinti per le ragioni di seguito esposte.
In fatto, giova precisare che gli interventi oggetto del permesso a costruire impugnato riguardano pressoché essenzialmente parti dell'immobile di proprietà esclusiva della Società Deca. Invero, i lavori richiesti hanno ad oggetto il recupero, a fini abitativi, del portico e del sottotetto esistente, posto al primo piano del fabbricato, su parti dell'edificio di esclusiva proprietà dell'odierna controinteressata. Più precisamente, quanto ai lavori di sopraelevazione è documentata in causa la proprietà esclusiva da parte della società dell’ultimo piano, da cui deriva la facoltà di sopraelevazione ai sensi dell’art. 1127 c.c. In riferimento alle altre opere esse gravano essenzialmente sul giardino di proprietà di Deca, come emerge dagli atti di acquisto della proprietà da pare della società. Rispetto alla denunciata mancata considerazione del rispetto della disciplina delle distanze legali introdotta con i motivi aggiunti da parte dei ricorrenti, si osserva che nell'atto di acquisto, le parti hanno: “reciprocamente rinunziano all'osservanza delle distanze legali dai rispettivi confini nel caso di varianti prospettiche che dovessero essere apportate agli immobili". In riferimento a tutte le criticità rispetto alla normativa civilistica (quali l’eventuale interessamento dei lavori in modo diretto o indiretto anche di parti comuni, gli eventuali pregiudizi alla staticità ed al decoro architettonico del fabbricato, al mancato rispetto delle distanze) ed alla conseguente necessità del consenso dei ricorrenti, al fine dell’ottenimento del permesso a costruire, è inoltre importante osservare la presenza dei verbali delle assemblee che hanno autorizzato i lavori (deliberazioni del 19 ottobre 2012 e del 24 gennaio 2013) alle quali gli appellanti sono stati regolarmente convocati ed ai quali è stato pacificamente comunicato l’esito, senza che gli stessi, per qual che consta, abbiano mosso nelle sedi opportune alcuna contestazione.
In disparte le questioni circa la validità di tali delibere e l’effettivo rispetto (o meno) delle norme del codice civile richiamate, la cui cognizione spetta al Giudice Ordinario, deve in ogni caso convenirsi che alla luce del contesto fattuale innanzi descritto nel quale è maturato il provvedimento favorevole a Deca, non è ravvisabile alcuna violazione della norma di cui all’art. 11 D.P.R. 380/2002 e all’art.34, comma 1, della L.R. n. 16/2008 in base ai quali: il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.
Invero, conformemente al costante orientamento giurisprudenziale in materia, deve affermarsi che la P.A. non è tenuto a svolgere complessi accertamenti diretti a ricostruire le vicende riguardanti la titolarità dell’immobile, o a ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire (cfr. Cons St., Sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5563). In altre parole, non è concretamente esigibile un approfondimento da parte del Comune di ogni singolo aspetto privatistico relativo ai rapporti tra condomini e di vicinato astrattamente idoneo a riflettersi sulla legittimazione del richiedente il titolo edilizio. Nel caso in esame, la documentazione allegata a corredo dell’istanza appare sufficiente a fondare la legittimazione degli istanti, non essendo ravvisabile alcun difetto di istruttoria da parte del Comune sotto tale profilo. Infatti, come più volte ripetuto dalla giurisprudenza: “il potere di verifica del titolo non significa che l'amministrazione abbia l'obbligo di complessi e laboriosi accertamenti, diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile considerato. Anzi, il principio generale del divieto di aggravamento del procedimento consente all'amministrazione di valorizzare gli elementi documentali forniti dall'interessato;non grava dunque sul comune l'onere probatorio di appurare l'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che incidano sull'edificazione. In assenza di adeguati elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento, la concessione è legittimamente rilasciata ancorché sia accertata successivamente l'esistenza dei vincoli civilistici predetti, tanto che la concessione stessa è rilasciata sempre salvo diritti dei terzi” (Cons. St. sez. IV, 23 maggio 2016 n. 6312;Cfr. anche Cons. Stato, IV, 12 marzo 2007 n. 1206).
In definitiva, il Collegio non può che ribadire che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei limiti privatistici sull’intervento proposto, ciò tuttavia vale solo nel caso in cui tali limiti siano realmente conosciuti o immediatamente conoscibili, di modo che il controllo da parte del Comune si traduca in una mera presa d’atto, senza necessità di procedere a un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra privati (Cfr. Cons. St., Sez IV, 30 dicembre 2006 n. 8262;Cons. st. Sez VI, 20 dicembre 2011 n. 6731;Cons. st. 26 gennaio 2015 n. 316). Ne consegue che l’accertamento e la eventuale lesione della posizione giuridica degli appellanti per la violazione delle norme privatistiche citate potrà essere portata alla cognizione del Giudice Ordinario (cfr. art. 11 co. 3 D.P.R. 380/2002), non potendo né la p.a. procedente, né questo Collegio, dirimere compiutamente tali questioni, che oltretutto, come già precisato, esulano dall’ambito della propria giurisdizione.
Con il quarto motivo di appello, si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha disatteso il contestato difetto di motivazione dell’autorizzazione paesaggistica. In particolare, secondo il giudice di primo grado: “l’autorizzazione paesaggistica risulta adeguatamente motivata mediante richiamo ai pareri favorevoli formulati dalla Commissione locale del paesaggio, dalla Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici della Liguria nonché agli elementi posti a fondamento della relazione paesaggistica”.
L’appellante contesta tale assunto, evidenziando che l’Amministrazione si sarebbe limitata ad affermare, in modo del tutto apodittico, che le opere in oggetto sarebbero compatibili con i vincoli insistenti sull’area assoggettata al rigoroso vincolo conservativo del PTCP, senza indicare le ragioni di tale compatibilità.
Il motivo è infondato, essendo sul punto condivisibile la statuizione della sentenza impugnata.
In generale, va ricordato che l'obbligo per l'Autorità di motivare il provvedimento amministrativo non può ritenersi violato attraverso il richiamo per relationem ad altri atti, se questi offrano comunque elementi sufficienti e univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l'iter motivazionale posti a sostegno della determinazione assunta (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2015, n. 2011). Nel caso concreto il progetto presentato dalla Società Deca è stato oggetto di analitica istruttoria da parte della Soprintendenza, che nella propria nota precisa di aver esaminati i fascicoli relativi ai sotto elencati interventi ... ", e "verificato che tali interventi allo stato attuale delle conoscenze e delle informazioni contenute nelle relazioni tecniche illustrative di accompagnamento ... risultano conformi alle prescrizioni del vincolo”. L’intervento è stato altresì valutato dalla Commissione Locale Paesaggio ed, infine, dall'Ufficio Edilizia Privata dell'amministrazione comunale di Lerici, che, richiamate le indicazioni del PTCP, ha ritenuto l’intervento ammissibile alla luce di dette indicazioni. Tali passaggi dimostrano chiaramente che le Amministrazioni chiamate a pronunciarsi sulla domanda presentata dalla Società hanno compiuto un'adeguata analisi del progetto in relazione alle norme nazionali e locali vigenti, verificandone la congruità ed il rispetto dei vincoli e delle prescrizioni imposte. Invero, stante la modesta entità dell’intervento ed il conseguente trascurabile impatto nel contesto nel quale si colloca non appaiono ragionevolmente esigibili ulteriori approfondimenti, così che il provvedimento risulta adeguatamente motivato.
Con il quinto motivo di appello si censura la sentenza impugnata che ha respinto il quarto motivo di ricorso, rilevando che parte ricorrente non aveva prodotto le norme di attuazione del PTCP, ma si era limitata a trascrivere alcuni stralci non consentendo di verificarne la riferibilità allo specifico regime previsto per il fabbricato oggetto di causa. Nell’atto di appello si insite nel sostenere che l'intervento provocherebbe l'alterazione dell'equilibrio tra l'insediamento attualmente esistente e il contesto naturale nel quale esso si colloca, con un incremento del carico urbanistico non sostenibile. Si precisa inoltre che l’intervento sarebbe in contrasto con il regime di conservazione (IS-CE) previsto dall’art. 48 dal vigente piano territoriale di coordinamento paesistico.
Il motivo è inammissibile, infatti, solo successivamente al ricorso, i ricorrenti hanno specificato che l’intervento sarebbe in contrasto con il regime di conservazione di cui all’art. 48 cit.. Viceversa, nel ricorso di primo grado non è rinvenibile tale precisazione, facendosi un generico richiamo agli articoli 43, 48 e 51 delle norme di attuazione del PTCP, che regolamentano ambiti differenti tra loro. Deve pertanto trovare conferma la valutazione del Giudice di prime cure di genericità di tale motivo di ricorso (“è generico e inammissibile il motivo da cui non si evincono le disposizioni normative violate”, Cons. St. Sez. V, 22.03.2012, n. 352). Genericità che non può essere sanata in sede di appello pena la violazione dell’art. 104 c.p.a., non potendosi proporre nuove censure, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 marzo 2013 n. 1715).
Con il sesto motivo ed il settimo motivo di impugnazione, che possono essere esaminati congiuntamente, si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha respinto il quinto motivo di ricorso, evidenziando che: “pur configurando una nuova costruzione il contestato intervento di sopraelevazione è stato legittimamente approvato in forza della disposizione derogatoria dettata dal legislatore regionale" sul recupero dei sottotetti. Secondo l’appellante la disciplina derogatoria regionale di cui alla L.R.24/2001 non può ricomprendere interventi di recupero a fini abitativi di volumi diversi dal sottotetto che comportino una modifica della sagoma dell’edificio o comunque delle caratteristiche architettoniche essenziali dello stesso. Ne deriva che si sarebbe al di fuori dell’ambito della ristrutturazione edilizia, integrandosi invece una nuova costruzione. A sostegno dell’assunto, l’appellante ricorda che il progetto presentato prevede anche la realizzazione di un marciapiede, la posa in opera di lampioni stradali, la realizzazione di posti auto nonché la modifica dei prospetti e delle bucature con la realizzazione di una terrazza e di nuovi poggioli. La qualificazione quale nuova costruzione dell’intervento, ne comporterebbe la non assentibilità, in quanto in violazione del vigente piano urbanistico comunale di Lerici che non ammette interventi di nuova costruzione nella zona in cui sorge l'edificio in questione.
Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto all’intervento di sopraelevazione, è condivisibile l’assunto contenuto nella sentenza impugnata, secondo la quale: “il recupero del sottotetto dell'edificio in questione è stato assentito ai sensi della più volte citata L.R. n. 24/2001 che opera in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale e, comunque, è espressamente richiamata dall'art. 10.2 del PUC". L’affermazione è corretta, posto che la sopraelevazione, si sostanzia in un innalzamento delle altezze di colmo e di gronda pari a 60 cm, che si mantengono nel limite consentito dall'art. 2 della L.R. n. 24/2001. La quale sotto tale profilo consente di derogare al PUC
Rispetto alle ulteriori opere, come anticipato, l’appellante sottolinea che la citata L.R. n. 24/2001 ammette solo interventi di ristrutturazione, mentre il progetto approvato dal Comune di Lerici, comportando la modifica della sagoma e delle caratteristiche architettoniche essenziali dell'edificio, configurerebbe una nuova costruzione che non è ammessa dal PUC. Anche sotto tale profilo è condivisibile quanto argomentato dal giudice di prime cure, il quale ha sostanzialmente rilevato che gli interventi contestati non sono idonei né a modificare la sagoma, né le caratteristiche essenziali del fabbricato, precisando che le doglianze dei ricorrenti, stante la loro genericità non sono idonee a confutare, le valutazioni di cui alla relazione del professionista prodotta.
A tale condivisibile appunto deve aggiungersi quanto segue.
In generale, l’elemento che contraddistingue la ristrutturazione edilizia dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio (ex multis Cons. St., Sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6214 e Cons. St., Sez. VI, 16 giugno 2008, n. 2981). La ristrutturazione edilizia è una attività di edificazione che conserva la struttura fisica dell’immobile preesistente, sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in parte diverso dal precedente. E’ necessario, quindi, affinché rilevi una ristrutturazione, che tra la vecchia e la nuova edificazione sussista un evidente rapporto di continuità, anche laddove vi sia una trasformazione dell’immobile preesistente. Ne deriva che la ristrutturazione edilizia si caratterizza anche per la previsione di possibili incrementi volumetrici. Più precisamente, il Testo Unico (art. 3 let. D) come modificata dall’art. 1 d. Lgs. 27/12/2002 n. 301), a cui si sostanzialmente si conforma l’art. 10 L.R. Liguria n. 16/2008, ha introdotto uno sdoppiamento della categoria delle ristrutturazioni edilizie, riconducendo ad essa anche interventi che ammettono integrazioni funzionali e strutturali dell'edificio esistente con incrementi di volume (Cfr. Cons. St. Sez. IV 26 giugno 2013, n. 3456). A differenza di quanto sostenuto dall’appellante, l'identità di volumetria e di sagoma è prevista nei soli casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione del fabbricato, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione (come nel caso di specie). Sul punto, anche la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che: "l'identità della volumetria e della sagoma costituisce un limite solo per gli interventi di ristrutturazione che comportano la previa demolizione dell'edificio, e non anche per quelli di c.d. ristrutturazione ordinaria (cioè senza previa demolizione), i quali devono mantenere inalterati solo gli elementi strutturali che individuano e qualificano l'edificio preesistente, potendo però comportare integrazioni strutturali, e cioè modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume" (Cons. Stato Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3358, Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 5214). Alla luce delle precisazioni che precedono, la natura ed entità degli interventi assentiti, che non hanno in alcun modo inciso sulla struttura e sulle caratteristiche dell’immobile, porta in ogni caso a considerare l’intervento nella categoria della ristrutturazione edilizia, come tale autorizzabile a norma del PUC. La modesta incidenza di tali opere rispetto al fabbricato già esistente è confermata, tra l’altro, dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che testimonia la compatibilità dell’impatto di dette opere sul contesto nel quale si inseriscono.
Da ultimo, deve rilevarsi l’irrilevanza ai fini del presente giudizio della pronuncia di illegittimità costituzionale del 3 novembre 2016 n. 231. Invero, nel caso in esame la normativa interessata da tale pronuncia non viene in considerazione, tanto è vero che l’intervento è stato autorizzato con permesso a costruire, esulando quindi le questioni circa la facoltà per le regioni di derogare alla normativa nazionale circa il titolo (permesso a costruire piuttosto che SCIA) al fine di legittimare i diversi interventi edilizi.
In definitiva l’appello deve essere respinto.
Vista la soccombenza, parte appellante deve essere condannata alla refusione delle spese di lite della presente fase, liquidate come in dispositivo