Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-12-20, n. 201206585
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Testo completo
N. 06585/2012REG.PROV.COLL.
N. 02486/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2486 del 2012, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministero
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
signori A M S, E S, F S, Geppa A S, rappresentati e difesi dall’avvocato P N, con domicilio eletto presso l’avvocato M G in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
Comune di Morciano di Leuca, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza 9 settembre 2011, n. 1587, del Tribunale amministrativo per la Puglia, Sezione staccata, Sezione I.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2012 il Cons. V L e udito per le parti l’avvocato dello Stato Fedeli e l’avvocato Nicolardi.
FATTO e DIRITTO
1.– I signori Schirinzi Angelo Michele, Schirinzi Emira, Schirinzi Francesca, Schirinzi Geppa Antonella sono proprietari di una unità immobiliare situata in Corso Venezia, località Torre Vado nel Comune di Morciano di Leuca, ricadente in area qualificata come zona E3.
Con domanda dell’11 novembre 1985, n. 4948, essi hanno chiesto al Sindaco il rilascio di un provvedimento di sanatoria per avere realizzato «un ex locale commerciale con deposito, bagni e costruzione ad uso abitazione stagionale».
Con atto del 5 marzo 1998 il Sindaco ha rilasciato il nulla osta paesaggistico, puntualizzando che «il rilascio della concessione edilizia è subordinato al rilascio del nulla osta da parte del Ministero per i beni culturali ed ambientali».
Il Soprintendente per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Bari (d’ora innanzi solo Soprintendente), con atto del 19 marzo 1998, ha annullato il nulla osta comunale.
In particolare, l’Autorità statale ha ritenuto che i manufatti dei ricorrenti non fossero condonabili, in quanto, in base al vincolo disposto dall’art. 51 lettera f ), della legge della Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), è vietata qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato del mare.
I ricorrenti hanno impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo per la Puglia, Sezione di Lecce, l’atto adottato dal Soprintendente, deducendo la violazione: degli artt. 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), in relazione al citato art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980, in quanto il vincolo di inedificabilità disposto dalla normativa regionale non potrebbe costituire un ostacolo al condono, avendo esso un carattere temporaneo e operando la relativa preclusione ad edificare solo fino all’entrata in vigore dei piani urbanistico territoriali tematici.
Inoltre, si è lamentata la violazione: degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 4 del decreto ministeriale n. 495 del 1994;dell’art. 1, comma 10, della legge n. 449 del 1997;dell’art. 5, comma 4, della circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 3357/25 del 1985;degli artt. 1, lettera a ) e 2, secondo comma, della legge regionale n. 30 del 1990;dell’art. 82, comma 9, del d.p.r. n. 616 del 1977. E’ stato poi dedotto il vizio di incompetenza e di eccesso di potere con riguardo alle figure sintomatiche della falsa ed erronea presupposizione, carenza di istruttoria, perplessità e contraddittorietà. Per quanto attiene poi al difetto di motivazione si è rilevato, da un lato, che l’amministrazione statale non potrebbe sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell’ente competente al rilascio dell’autorizzazione e, in ogni caso, lo stesso atto di annullamento sarebbe privo di motivazione, essendosi il Soprintendente limitato ad affermare che la permanenza delle opere causa l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta.
1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 9 settembre 2011, n. 1587, ha accolto il ricorso, ritenendo che la condonabilità dell’opera non può essere esclusa, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, in presenza di un vincolo di inedificabilità di natura transitoria.
2.– Il Ministero per i beni e le attività culturali ha proposto appello, con l’atto indicato in epigrafe, chiedendo la sospensione degli effetti della sentenza. In particolare, l’Amministrazione statale ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata, alla luce della giurisprudenza consolidata di questo Consiglio che, in casi analoghi, avrebbe affermato l’incondonabilità di manufatti siti nella fascia costiera di 300 metri dal demanio marittimo.
2.1.– Si sono costituite in giudizio le parti intimate, chiedendo che l’appello venga dichiarato inammissibile per mancanza di censure specifiche contro i capi della sentenza impugnata e, nel merito, sia respinto perché infondato alla luce di tutti i motivi di ricorso, compresi quelli proposti e dichiarati assorbiti dal primo giudice.
3.– La Sezione, con la sentenza parziale 13 giugno 2012, n. 3497, ha affermato che l’art. 33 della legge n. 47 del 1985 contempla due presupposti per la sua applicabilità: l’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluto, nonché la sua imposizione prima della esecuzione delle opere.
Nella specie, con la predetta sentenza, si è affermato, in relazione al primo requisito, che 51, lettera f ), della legge regionale n. 56 del 1980 ha introdotto un divieto assoluto, ancorché temporaneo, di edificazione entro la fascia costiera.
Per l’accertamento della sussistenza del secondo requisito si è ritenuto necessario disporre una istruttoria finalizzata ad acquisire una documentata relazione redatta dal Comune di Morciano di Leuca, dalla quale risultasse la data di realizzazione delle opere. Si è, inoltre, stabilito che anche gli appellati avrebbero potuto depositare atti di data certa ovvero elementi obiettivi e inconfutabili riferibili alle medesime circostanze.
4.– Il Comune non ha adempiuto a tale ordine istruttorio. Le parti intimate hanno depositato una relazione tecnica, unitamente a documentazione, dalla quale risulta che le opere sono state realizzate prima del 1980. In particolare, è stata allegata alla relazione una licenza temporanea rilasciata in data 4 luglio 1979 dal Comune per esercitare nell’immobile in questione l’attività di «trattoria-bar-pizzeria-rosticceria», nonché copia autentica dell’autorizzazione alla vendita di superalcolici, sempre nel predetto immobile, rilasciata dal Comune in data 6 luglio 1979.
Alla luce della richiamata documentazione deve ritenersi che sia stata dimostrata la realizzazione dell’opera in data anteriore all’imposizione del vincolo.
L’art. 33 della legge n. 47 del 1985, mancando uno dei presupposti da esso espressamente previsto e cioè la preesistenza dell’immobile al vincolo, non può, pertanto, trovare applicazione.
Per tali ragioni, con la sentenza parziale, la Sezione ha accolto questo specifico motivo.
4.1.– Si tratta, a questo punto, di stabilire se l’amministrazione statale potesse ugualmente esercitare il potere di annullamento.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 22 luglio 1999, n. 20, ha affermato, con orientamento che questa Sezione condivide, che in presenza di fattispecie come quella in esame la circostanza che il vincolo sia sopravvenuto rispetto all’edificazione non può condurre a «considerare del tutto inesistente un vincolo di inedificabilità totale». Ne consegue che tale fattispecie, «non specificamente disciplinata dall’art. 33, ricade nella previsione di carattere generale contenuta nel primo comma dell’art. 32».
Tale ultima disposizione dispone che, quando non ricorrono, come nel caso di specie, le fattispecie previste dall’articolo 33 «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso».
Essa, ai fini della sua applicazione, prescinde dal requisito della anteriorità dell’opera rispetto al vincolo. Nella citata sentenza n. 20 del 1999 si è, infatti, affermato che, in attuazione del principio tempus regit actum , «l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente».
Deve, inoltre, rilevarsi che la giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che il medesimo parere «ha natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, per essere entrambi gli atti il presupposto legittimante la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta, sicché resta fermo il potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall’ordinamento allo Stato, come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario» (Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2007, n. 1255;tale equiparazione opera anche per le autorizzazioni paesaggistiche disciplinate dagli artt. 151 e 159 del d.lgs. n. 490 del 1999 e per il parere previsto dall’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004).
In definitiva, dunque, la fattispecie in esame ricade nell’ambito applicativo dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 che attribuisce all’autorità statale il potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica all’esito di una valutazione tecnica che investe la natura delle opere e del contesto in cui esse sono state realizzate.
5.– Chiarito ciò occorre adesso valutare come in concreto tale potere è stato esercitato.
Il Soprintendente ha annullato il provvedimento sindacale per due concomitanti ragioni: 1) esistenza di un vincolo assoluto di inedificabilità ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, espressamente richiamato;2) difetto di motivazione dell’autorizzazione rilasciata dal Sindaco.
5.1.– La prima delle ragioni indicate non può da sola reggere l’annullamento in quanto, come già rilevato, trovando applicazione l’art. 32 e non l’art. 33, non è sufficiente il mero richiamo all’esistenza di un vincolo assoluto di inedificabilità per giustificare l’atto adottato. E’ necessario, infatti, valutare il vincolo alla luce degli elementi sopra indicati e del dato temporale costituito dalla preesistenza delle opere.
5.2.– In considerazione del contenuto degli atti emessi nel corso del procedimento, la seconda delle ragioni indicate, oggetto di specifica contestazione dalle parti appellate mediante la tecnica della riproposizione, non può anch’essa legittimare l’atto di annullamento.
La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che il potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza statale non comporta un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’ente competente «tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione, ma si estrinseca in un vaglio di legittimità che si estende a tutte le ipotesi riconducibili all’eccesso di potere».
Si è, però, puntualizzato che nel caso in cui «l’autorità statale ravvisi una carenza motivazionale o istruttoria, costituente vizio di legittimità, nell’atto oggetto del suo scrutinio in quella sede di cogestione del vincolo, la stessa è chiamata ad evidenziare tali vizi con una motivazione che deve, necessariamente, impingere, per risultare a sua volta immune di vizi di legittimità, la valutazione della compatibilità o meno dell’intervento edilizio programmato rispetto ai valori paesaggistici compendiati» (Cons. Stato, Sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4562).
Nel caso in esame l’atto comunale giustificava il rilascio dell’autorizzazione in ragione della preesistenza delle opere realizzate al vincolo.
Il Soprintendente ha rilevato il difetto di motivazione, affermando che le opere «causano l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta che sono la ragione stesse per cui è stata sottoposta a vincolo».
La motivazione del provvedimento statale, pur avendo correttamente evidenziato la sostanziale assenza di motivazione del provvedimento comunale, nel caso di specie va considerata insufficiente a giustificare l’annullamento.
In sede di esercizio del potere di riesame, l’amministrazione statale, infatti, in linea con l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato, deve indicare in maniera puntuale, mediante la descrizione delle opere e del contesto ambientale, le ragioni per le quali il manufatto non possa essere oggetto di condono. In particolare, dovrà, ad esempio, rilevare come esso sia visibile ed alteri i tratti panoramici, come esso non si inserisca nel contesto ambientale per le sue caratteristiche costruttive (per la sagoma, l’altezza, ecc.), per la sua vicinanza a punti di meritevole tutela, per l’avvenuta antropizzazione dei luoghi, ecc.
In definitiva, pur sussistendo il difetto di motivazione nell’atto sottoposto al riesame, la Soprintendenza avrebbe dovuto indicare le ragioni della riscontrata violazione dei valori paesaggistici, evidenziando quali esigenze di tutela risultassero violate.
6.– Per le ragioni sin qui esposte, fermo restando quanto affermato con la sentenza parziale n. 3497 del 2012, è fondato il motivo riproposto dalle parti appellate con il quale è stato contestato il difetto di motivazione dell’atto adottato dal Soprintendente.
Non è, pertanto, necessario esaminare gli altri motivi riproposti.
L’annullamento giudiziale di tale atto impone all’Autorità statale di riesercitare il potere nel rispetto di quanto statuito con tale decisione, applicando le norme vigenti all’epoca di fatti.
Pertanto, in considerazione dei poteri conformativi spettanti al giudice amministrativo (e dei principi enunciati dalla sentenza n. 9 del 2001 della Adunanza Plenaria), la Sezione dispone che la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brindisi, Lecce e Taranto (da considerare nella specie competente ratione temporis ) possa riesercitare il potere di annullamento, ora per allora, entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione al suo ufficio della presente sentenza o dalla previa sua eventuale notifica ad istanza di parte.
Tenuto conto delle circostanze del caso, gli appellati potranno presentare proprie osservazioni almeno trenta giorni prima della scadenza del medesimo termine, che l’Amministrazione dovrà valutare – senza altre formalità o atti intermedi – ove intenda riemanare il provvedimento di annullamento (che, in ipotesi, sarà sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità).
7.– Le ragioni poste a base della decisione giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali diei due gradi di giudizio.