Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-10-28, n. 201604555
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Pubblicato il 28/10/2016
N. 04555/2016REG.PROV.COLL.
N. 04624/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4624 del 2016, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore,
rappresentati e difesi dagli avvocati P S C.F. SCPPLA41C27A479D, C P C.F. PCCCNZ63L62A518T, L G C.F. GSTLCU63C28A182K, con domicilio eletto presso l’avvocato L D R in Roma, via della Consulta 50;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t.;U.T.G. - Prefettura di Alessandria, in persona del Prefetto p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 00652/2016, resa tra le parti, concernente un diniego di istanza di iscrizione in un elenco di fornitori (white list);
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno di U.T.G. e della Prefettura di Alessandria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2016 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati P S, L G e l'Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le società oggi appellanti, tutte facenti parti del -OMISSIS-, presentavano, in data 11 agosto 2014, richiesta di iscrizione nella c.d. white list istituita presso la Prefettura di Alessandria.
Nel medesimo periodo diverse stazioni appaltanti, in relazione alle stesse società, avanzavano istanze di comunicazione o di informazione antimafia, rispettivamente ai sensi degli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159/2011.
Nel corso dell'istruttoria avviata dalla competente Prefettura di Alessandria, emergevano, a carico di -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- (tutti titolari di diverse cariche societarie all'interno delle varie società del gruppo), diverse segnalazioni di polizia relative ai reati di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, gestione di discarica abusiva non autorizzata e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (artt. 256 e 260 del d.lgs. n. 152/2006), tutte analiticamente indicate nel provvedimento impugnato. Nel corso della stessa sede istruttoria si appurava che erano al vaglio del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Torino gli esiti delle indagini avviate a carico di -OMISSIS- e -OMISSIS- per il reato di cui all'art. 260 del d.lgs. n. 152/2006.
In data 12 maggio 2015, la Sezione per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino adottava l'ordinanza n. 10861/11 (RG PM 20439/14 - RG GIP), con la quale -OMISSIS- e -OMISSIS- venivano sottoposti alla misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriali per 12 mesi, in relazione all'art. 260 del citato d.lgs. n.152/2006;in pari data veniva adottato un decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto - tra l'altro - la -OMISSIS-, in uso alle società -OMISSIS- e -OMISSIS-.
In forza delle citate risultanze istruttorie, la Prefettura di Alessandria emetteva una informativa antimafia e conseguentemente negava l’iscrizione alla white list (provvedimento prot. n. 15585/2015 del 6 agosto 2015).
Il provvedimento era impugnato da tutte le società del gruppo dinanzi al TAR Piemonte.
Successivamente, con nota n. 15585 del 19 gennaio 2016, il Prefetto di Alessandria respingeva l’istanza di revoca o di annullamento in autotutela del provvedimento originariamente impugnato, avanzata dagli interessati in data 20 ottobre 2015, non ravvisando « elementi documentali pertinenti e determinanti tali da giustificare la riapertura dell’istruttoria a suo tempo espletata. Ciò in quanto gli “elementi nuovi” ivi indicati non sembrano attenere, in realtà, alla vicenda posta a fondamento del provvedimento interdittivo oggetto di impugnativa ».
Anche questo secondo provvedimento era impugnato con motivi aggiunti.
Il TAR, definitivamente decidendo sul gravame, lo respingeva.
Avverso la sentenza hanno or proposto gravame tutte le società del gruppo -OMISSIS-, chiedendone l’integrale riforma per i motivi che di seguito saranno specificatamente esposti.
Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno, che ha chiesto la reiezione del gravame.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 29 settembre 2016.
DIRITTO
1. Il TAR, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto tutte le censure, in parte riferite all’asserita violazione delle garanzie, in parte afferenti il merito del rischio infiltrativo.
In particolare il giudice di prime cure ha ritenuto: a) non dovuta la comunicazione d’avvio dell’interdittiva in quanto atto urgente;b) non invalidante quella sul rifiuto di iscrizione nella white list, in quanto vincolato dal tenore interdittivo della pregressa informativa.
Nel merito, il TAR ha evidenziato analiticamente gli elementi indizianti ed in particolare la sussistenza di uno dei delitti ‘spia’, così concludendo:
“ In ogni caso, i fatti storici sottesi al suddetto capo di imputazione rilevano, ai fini dell’adozione del provvedimento di interdittiva, anche prescindendo dal loro inquadramento nell’art. 84 lettera a) d.lgs. 159/2011 (che certamente non contiene un elenco tassativo dei fattori sintomatici e indiziari ai fini dell’emissione dell’informativa antiamafia).
Valgano in tal senso le seguenti ulteriori considerazioni.
- L’accusa rivolta ai -OMISSIS-, con riguardo al concorso nel capo A 29, è quella di avere prodotto e conferito abusivamente, previo accordo con -OMISSIS-, 2880 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, dal 2011 al 2013.
- I -OMISSIS- figurano in tutto il capo A come soggetti promotori dell’organizzazione finalizzata al traffico illecito dei rifiuti e come tali sono stati sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
- -OMISSIS- è inoltre soggetto gravato da numerosi precedenti penali e destinatario, in qualità di titolare della ditta -OMISSIS-, di informativa antimafia (principalmente motivata dalle sue sospette contiguità con famiglie affiliate alla ‘ndrangheta), la cui legittimità è stata riconosciuta da questo TAR con sentenza n. 1599/2014, confermata dal Consiglio di Stato Sez. III, con pronuncia del 29 settembre 2015, n. 454 (ai cui contenuti si fa richiamo per l’articolata illustrazione del profilo soggettivo del -OMISSIS-. Sul punto si veda anche quanto esposto nell’ordinanza del GIP del 12 maggio 2015 alle pagg. 464 e ss.).
- Ciò posto, la specifica vicenda di cui al capo A 29 fa emergere una condizione di stretta vicinanza dei -OMISSIS- a soggetti contigui ad ambienti malavitosi e la disponibilità dei primi a farsi complici di questi ultimi nella commissione di attività illecite: tutte circostanze che non possono non assumere valenza indiziaria ai fini dell’emissione dell’informativa antimafia. La valutazione di inaffidabilità soggettiva e di permeabilità a possibili condizionamenti mafiosi che l’amministrazione può trarre da tali evenienze attiene, infatti, ancor prima che alla loro qualificazione giuridica, alla stessa consistenza intrinseca dei fatti storici.
- A confermare l’esistenza di anomali e sintomatici rapporti tra i -OMISSIS- e -OMISSIS- concorre, in aggiunta agli atti dell’inchiesta penale, un’ulteriore fatto indiziario, pure richiamato nel corpo dell’informativa, riguardante l’acquisto di due autocarri e due semirimorchi intervenuto nel 2014 tra la --OMISSIS-., quale parte acquirente, e la -OMISSIS- (società già interdetta e facente capo ai -OMISSIS-) quale parte venditrice”.
2. Secondo gli appellanti la sentenza sarebbe affetta una serie di errori.
2.1. Il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere accertato il rischio a prescindere da una verifica, in concreto, del tentativo di infilitrazione. Pur essendo il reato di cui all’art. 260 del d.lg. n. 152 del 2006 a valenza strettamente sintomatica, il Prefetto, ai fini della eventuale informazione interdittiva, avrebbe dovuto verificare la sussistenza di ulteriori e concreti elementi, così come del resto previsto dall’art. 91, comma 6, del d. lgs. 159/2011, di modo che dalla valutazione unitaria risultasse effettivamente provato il pericolo che si intende evitare e cioè il tentativo d'infiltrazione a norma degli artt. 84, secondo il criterio del “più probabile che non”.
2.2. Il motivo non è fondato.
Il quadro normativo che rileva è quello tracciato dal combinato disposto degli artt. 84 comma 3 e 4, e dall’art. 91 comma 6, che di seguito si riporta.
« Art. 84
3. L'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma
4. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356».
« Art. 91, comma 6.
Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».
2.3. Come emerge dalla lettura delle riportate disposizioni, la valenza astrattamente sintomatica delle vicende penali contemplate dall’art. 84, comma 4, lett. a), non necessita, a differenza di quanto può dirsi per la fattispecie di cui all’art. 91, comma 6, di ulteriori e concreti elementi che dimostrino l’effettività del rischio infiltrativo.
Trattasi nel primo caso di un catalogo di reati che, nella valutazione ex ante fattane dal legislatore, integra una ‘spia’ di per sè sola sufficiente ad imporre, nella logica anticipata e preventiva che permea la materia delle informative antimafia, l’effetto interdittivo nei rapporti con la pubblica amministrazione. Pertanto, ove il Prefetto abbia contezza della commissione di taluni dei delitti menzionati nell’art. 84, comma 4, lett a), e sino quando non intervenga una sentenza assolutoria, deve limitarsi ad ‘attestare’ la sussistenza del rischio infiltrativo siccome desunto dalla mera ricognizione della vicenda penale nei termini e nei limiti in cui contemplata dalla disposizione più volte richiamata (devono esserci, cioè, almeno provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva)..
2.4. E’ pur vero che, a mente dell’art. 84 comma 3 cit., l’« attestazione » dev’essere compiuta con salvezza di quanto previsto dall'articolo 91, comma 6. Ciò tuttavia non significa l’equiparazione o l’integrazione delle due fattispecie;piuttosto vale a chiarire che quando non ricorrono i presupposti per l’emissione di una informativa “ricognitiva” e nondimeno risultino condanne (non è qui sufficiente il rinvio a giudizio o l’applicazione di una misura cautelare, necessitando invece una condanna sia pur non definitiva) per reati non astrattamente espressivi del rischio infiltrativo, ma comunque concretamente strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, il Prefetto, anziché limitarsi ad attestare in funzione interdittiva quanto desumibile dalla mera analisi delle pendenze penali, deve “accertare” che sussistano, in aggiunta alla condanna, « concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata ».
2.5. In sostanza, il comma 3 dell’art. 84 fa salvo il comma 6 dell’art. 91 non per richiamare in funzione integrativa il criterio della valutazione in concreto degli elementi ulteriori, ma per precisare che la valutazione è meramente ricognitiva solo ed esclusivamente quando vengono in rilievo i delitti espressamente elencati, divenendo invece complessa e composita in ragione della necessità di indagare ulteriormente circa i collegamenti pur indiretti tra l’attività di impresa e le attività criminose, quando i reati (qualunque essi siano, non importa se delitti o contravvenzioni), siano oggettivamente avvinti da un nesso di strumentalità con l’attività di associazioni criminali.
2.6. Che le fattispecie siano diverse, e diverso sia conseguentemente il criterio valutativo, emerge del resto dalla formulazione delle disposizioni: l’art. 84 reca una catalogo di specifici ed individuati delitti, ritenendo sufficiente che essi siano posti a base di una misura cautelare o di un decreto di rinvio a giudizio. Il disvalore e la valenza specifica delle condotte considerate impone cioè cautela a prescindere da una condanna.
L’art. 91, comma 6, contiene invece una descrizione ampia e generica di condotte, delittuose o contravvenzionali, che rilevano solo per il loro nesso di concreta strumentalità rispetto all’attività di organizzazione criminali e sempre che siano oggetto di una condanna (pur non passata in giudicato). In questo caso la valenza specifica delle condotte emerge solo ex post e richiede che i fatti nel cui ambito esse si collocano siano oggetto di un accertamento di merito in sede penale.
La diversità refluisce ragionevolmente sul criterio valutativo, talchè laddove la condotta delittuosa è specificatamente enucleata dal legislatore, la sua contestazione in sede penale sfocia in un’attestazione del rischio infiltrativo in sede amministrativa;laddove la condotta non è sussumibile in un delitto spia, ma è comunque potenzialmente strumentale agli obiettivi del crimine organizzato, essa costituisce indizio che abbisogna di essere corroborato da elementi ulteriori circa i rapporti di effettivo condizionamento tra impresa e associazioni criminali.
A ben vedere il concetto è già stato espresso in una recente pronuncia della Sezione che ha chiarito come l’elencazione dei delitti di cui all’art. 84, comma 4, lett. a), sia il frutto di una presunzione dettata dal legislatore, poggiante su massime d’esperienza (Cons. Stato Sez. III, Sent., 25 luglio 2016, n. 3323).
2.7. Tornando al caso di specie, è incontestato che a carico dei fratelli -OMISSIS- è stata applicata la misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale, nonché è stato disposto il rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. 152/2006 (per attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) pacificamente ricompreso tra i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Dunque trattavasi di un delitto spia di per sé sufficiente ad imporre la cautela della provvisoria interdizione.
L’amministrazione ha indicato ulteriori elementi, tratti dagli atti penali, dai quali è desumibile l’esistenza di rapporti con -OMISSIS-, soggetto gravato da numerosi precedenti penali e destinatario, in qualità di titolare della ditta -OMISSIS-, di informativa antimafia (principalmente motivata dalle sue sospette contiguità con famiglie affiliate alla ‘ndrangheta), la cui legittimità è stata rilevata dal Consiglio di Stato Sez. III, con pronuncia del 29 settembre 2015, n. 454.
Come già chiarito dal giudice di prime cure, l’accusa rivolta ai -OMISSIS-, con riguardo al concorso nel capo A 29, è quella di avere prodotto e conferito abusivamente, previo accordo con -OMISSIS-, 2880 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, dal 2011 al 2013, e quindi al delitto spia si aggiunge la cooperazione nell’illecito con un soggetto interdetto nei rapporti con la PA in ragione della infiltrazione mafiosa.
3. Con il secondo motivo, gli appellanti contestano la valenza indiziaria della descritta vicenda penale. In particolare, a dire degli appellanti, l’unica contestazione che vedeva il concorso nel reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) dei -OMISSIS- con il -OMISSIS-, titolare della -OMISSIS- già attinta da informativa antimafia, era rubricata al capo C3, ma per tale contestazione il GIP avrebbe escluso la sussistenza degli indizi necessari per l’applicazione della misura cautelare, talchè la stessa contestazione è stata stralciata nell’avviso ex art. 415 bis di conclusione delle indagini del 28 ottobre 2015; pertanto, il fatto sintomatico (cioè la contestazione del reato ex art. 260) non presenterebbe alcun rilievo sintomatico in concreto, a causa del difetto dell’elemento essenziale ai fini del provvedimento qui impugnato, ovvero il concorso nello stesso reato del soggetto che avrebbe posto in essere il tentativo di infiltrazione e del soggetto vittima del tentativo medesimo; l’unico altro episodio che vede compresenti i -OMISSIS- e i -OMISSIS- sarebbe rubricato al capo A 29, ma in questo caso si tratterebbe di mera contravvenzione (oblazionabile) ex art. 256 del d.lgs. n. 152/2006, asintomatica ai sensi dell’art. 84 d.lgs. 159/2011. 3. Ciò chiarito, secondo l’appellante, non sarebbe in alcun modo sostenibile, proprio nel rispetto della consistenza degli elementi concreti richiesta dall'art. 91 (e della regola di giudizio del più probabile che non), che la vicenda oggetto del capo d'imputazione A29 consenta di affermare una "condizione di stretta vicinanza dei -OMISSIS- a soggetti contigui ad ambienti malavitosi". Tale criterio di giudizio non varrebbe per i -OMISSIS- più di quanto valga per tutti gli altri imprenditori che hanno conferito rifiuti non pericolosi nell'impianto della -OMISSIS- in violazione di una o più prescrizioni dell'autorizzazione provinciale.
3.1. Il motivo non è fondato.
Esso è tutto proteso alla dimostrazione, alla luce dell’evoluzione del procedimento penale, della non significatività specifica della vicenda quanto alla compartecipazione ad un’unica organizzazione criminale o ad un unico disegno criminoso o comunque alla contiguità o vicinanza dei soggetti già attinti da informativa antimafia, i fratelli -OMISSIS- (ossia quelli dai quali il tentativo di infiltrazione dovrebbe prevenire) e dei fratelli -OMISSIS-.
3.2. Come già evidenziato, tuttavia, non è onere dell’amministrazione provare che il delitto spia, per il quale i fratelli -OMISSIS- sono stati rinviati a giudizio, contenga in se, alla luce di come i fatti si sono svolti e sono stati documentati nel decreto che dispone il giudizio e nell’ordinanza cautelare che l’ha preceduto, anche la dimostrazione dell’infiltrazione in concreto.
V’è stato il rinvio a giudizio per il delitto di «attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti» e ciò è risultato sufficiente per attivare le cautele inibitorie nei rapporti con la pubblica amministrazione, a prescindere se le attività siano o meno organizzate in concorso con soggetti per i quali è stata già accertata la permeabilità mafiosa.
3.3. Nel caso di specie, poi, il capo di imputazione A29 ha fatto riferimento a condotte reiterate delle società del gruppo -OMISSIS-, tese al conferimento presso due siti gestiti dalla -OMISSIS- di ingenti quantitativi di materiali privi della certificazione analitica e che, fatto salvo ovviamente il finale vaglio del giudice penale, le condotte siano astrattamente sussumibili nell’ambito dell’art. 260 del dlgs n 152/2006 che punisce « chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni ».
3.4. Il capo C3, poi stralciato per insussistenza dei gravi indizi, prevedeva invero una ulteriore condotta contemplante un accordo tra i -OMISSIS-, quali gestori di propria cava, ed il -OMISSIS- amministratore della -OMISSIS-, in forza del quale i primi ricevevano concretamente rifiuti speciali non pericolosi, cartolarmente presi in carico dalla seconda.
E’ chiaro che il concorso in una siffatta condotta illecita sarebbe stato sintomatico di una compenetrazione fra le due realtà imprenditoriali;è nondimeno innegabile che anche la semplice continuità dei rapporti finalizzati al conferimento abusivo di ingenti quantità di rifiuti, la sistematicità delle condotte criminose, poste in essere in maniera costante per un lungo lasso temporale ed in due diversi siti di conferimento, siano comunque indice di una vicinanza o quanto meno di una condivisione di indebiti vantaggi.
4. Con ulteriore motivo di gravame gli appellanti contestano la valenza indiziante che il giudice di prime cure ha riconosciuto all'acquisto operato nel 2014 dalla --OMISSIS-. di due motrici e due semirimorchi dalla -OMISSIS- ("società già interdetta e facente capo ai -OMISSIS-", pag. 21 della sentenza impugnata) ed in particolare alla circostanza del mancato pagamento degli stessi.
Gli appellanti ritengono che si tratti di un mero episodio commerciale incapace di fornire elementi circa un collegamento dei -OMISSIS- con i soggetti riferibili ai -OMISSIS-.
Del resto – soggiungono gli appellanti - il mancato pagamento rispetto a una vendita o a una prestazione sarebbe stato significativo se fosse stato riferibile all'ipotetico infiltrante, ma non certamente al contrario, come nel caso di specie.
4.1. Il collegio è di diverso avviso. In disparte quanto rilevato in ordine al carattere ultroneo dell’indagine rispetto ad un reato rientrante tra i cd delitti spia, non v’è dubbio che la mancata corresponsione del prezzo di una compravendita di due motrici e due semirimorchi, senza che siano compiutamente esplicitati e dimostrati i motivi dell’inadempimento, né documentata l’esistenza di atti di sollecito del pagamento da parte della ditta creditrice, costituisce un elemento concreto dotato di una qualche significatività circa il rapporto esistente tra i due soggetti, sicuro indice di fiducia commerciale, ma anche segno di vicinanza negli affari, sintomatico di una possibile contaminazione.
Si tratta di elementi indiziari che ovviamente assumono specifica valenza solo in quanto ricompresi nel quadro di una vicenda penalmente rilevante, e che in tale quadro colorano la valutazione ricognitiva fatta dall’amministrazione.
5. La sentenza sarebbe inoltre censurabile – secondo gli appellanti - in quanto nulla direbbe circa le ulteriori censure dedotte con motivi aggiunti sul provvedimento adottato in sede di riesame (difetto di istruttoria e di motivazione).
5.1. Anche tale motivo è infondato
Nella nota n. 15585 del 19 gennaio 2016, il Prefetto di Alessandria ha affermato che gli “elementi nuovi” indicati nella richiesta di riesame, ossia l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. con stralcio della contestazione originariamente contenuta al capo C3 (contestazione mossa ai signori -OMISSIS- in concorso con i signori -OMISSIS-), « non sembrano attenere, in realtà, alla vicenda posta a fondamento del provvedimento interdittivo oggetto di impugnativa ».
5.2. Tale provvedimento non presenta difetti di istruttoria, poiché di una ulteriore istruttoria, che non si risolvesse nella mera lettura dei contenuti dell’istanza e dei suoi allegati, non v’era necessità. Il procedimento aveva infatti largamente attinto dai contenuti dell’ordinanza del GIP con la quale era stata disposta la misura interdittiva in relazione all’art 260 del d.lg. n. 152 del 2006, traendone coerenti conclusioni. Lo stralcio del capo C3 (unico a prevedere il concorso nel delitto dei -OMISSIS- e dei -OMISSIS-) non era circostanza dirimente, poiché comunque lasciava inalterata la contestazione in ordine all’art.260.
5.3. Non presenta del resto vizi di motivazione, chiaro com’è nello spiegare che l’evoluzione processuale segnalata dagli istanti non attiene alla vicenda penale la cui ricognizione ha a suo tempo imposto l’adozione dell’informativa interdittiva, la (contestata) commissione di un delitto spia.
6. La sentenza impugnata sarebbe infine secondo gli appellanti erronea nella parti in cui tratta, respingendole, le censure sollevate riguardo alla violazione delle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 e 10 bis 1. n. 241/1990 rispetto sia al provvedimento interdittivo sia al diniego di autotutela. In particolare: a) quanto al provvedimento interdittivo, sarebbe erronea laddove nega la sussistenza dell'obbligo di comunicazione di cui all'art. 7 I. n. 241/1990 a ragione della caratterizzazione riservata del relativo procedimento, atteso che l'anteriorità del provvedimento del GIP rispetto all'interdittiva prefettizia escluderebbe qualsiasi esigenza di riservatezza rispetto al procedimento di formazione di quest'ultima;b) quanto al procedimento di autotutela, l'onere di dimostrare la concreta utilità della partecipazione, dalla sentenza individuato in capo al privato, sarebbe in realtà stato assolto sol che si consideri che quelle stesse argomentazioni spese in giudizio avrebbero potuto essere rappresentate nel procedimento.
6.2. Anche questo motivo è infondato. In proposito va richiamato il consolidato indirizzo di questo Consiglio, per il quale l'Amministrazione è esonerata dall'obbligo di comunicazione di cui all' art. 7 della L. 7 agosto 1990, n. 241, relativamente all'informativa antimafia, nonché da altre procedure partecipative, atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili del tutto specifici connessi ad attività di indagine, oltre che da finalità, da destinatari e da presupposti incompatibili con le procedure partecipative, nonchè da oggettive e intrinseche ragioni di urgenza (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 2.3.2009, n. 1148;sez. VI, 7.11.2006, n. 6555, Sez. V, 08-08-2014, n. 4255 ;sez. III 24/07/2015, n. 3653, sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653, Sez. III, Sent., 29/09/2015, n. 4541).
La circostanza che a dare impulso all’informativa sia stata un’ordinanza cautelare del GIP, già conosciuta dal privato, non toglie, ma anzi avvalora le esigenze di urgenza nel provvedere, e comunque sorregge la scelta del Prefetto di non attivare momenti partecipativi, concretamente non utili in pendenza di un procedimento penale sui medesimi fatti.
6.3. Quanto al mancato preavviso di diniego di provvedere in autotutela, è del tutto condivisibile quanto già osservato dal giudice di prime cure, ossia che « solo l'allegazione in giudizio degli elementi che il privato non ha potuto introdurre nel procedimento per un fatto colposo della P.A., rendono l'istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del diritto dell'interessato a rappresentare in sede procedimentale le proprie ragioni; sia della P.A. a valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed indiretti coinvolti nel procedimento (cfr. Cons. St. sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 618) ».
6.4. Nel caso di specie, la domanda di riesame dell’originario provvedimento e le successive produzioni contenevano già tutti gli elementi fattuali e giuridici che gli appellanti ritenevano utili produrre a supporto delle proprie tesi. Quanto alle argomentazioni giuridiche potenzialmente spendibili in sede di osservazioni al preavviso pretermesso, ad ulteriore supporto o a confutazione di quanto affermato dalla Prefettura in relazione alla non rilevanza delle sopravvenienze, esse sono state esaminate in sede giurisdizionale con esito reiettivo e sarebbe pertanto irragionevole ipotizzare una diversa efficacia in sede procedimentale.
7. In conclusione l’appello è respinto.
8. Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.