Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-06-28, n. 201602917

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-06-28, n. 201602917
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201602917
Data del deposito : 28 giugno 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09805/2015 REG.RIC.

N. 02917/2016REG.PROV.COLL.

N. 09805/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9805 del 2015, proposto da:
San Marco S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. P B, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Luigi Ceci, 21;

contro

Enel Distribuzione S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. G D V, C C e C T, con domicilio eletto presso l’avv. G D V in Roma, via A. Bertoloni, 44;

nei confronti di

Comune di Cislago;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 02173-2015, resa tra le parti, concernente la determinazione di canone patrimoniale non ricognitorio - pagamento somme dovute per occupazione spazi ed aree pubbliche.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Enel Distribuzione S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati P B, C C e C T;


FATTO

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, Sez. IV, con la sentenza in oggetto ha dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa nella parte relativa all’impugnazione della nota dell’appellante San Marco s.p.a. – affidataria del servizio di riscossione dei tributi - recante l’avviso di pagamento del canone dovuto per la concessione e utilizzo mediante occupazione di spazi ed aree pubblici e ha annullato il regolamento comunale per l'applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio, approvato con deliberazione consiliare del Comune appellato.

Il giudice ha rilevato sinteticamente che:

- La giurisdizione amministrativa sussiste solo in relazione alla contestazione del regolamento, mentre l’impugnazione dell’avviso di pagamento è compresa nella giurisdizione del giudice ordinario;

- La contestazione dell’avviso di pagamento, che integra un atto paritetico di mera quantificazione del debito vantato dall’Amministrazione sulla base di criteri predeterminati in modo vincolante, coinvolge solo questioni meramente patrimoniali concernenti la quantificazione del debito, mentre non attiene all’an della pretesa debitoria, che è contestata attraverso l’impugnazione del regolamento, fonte del debito affermato dall’Amministrazione;

- L’avviso di pagamento non sottende l’esercizio di un potere autoritativo, atteso che il titolo della pretesa non è costituito da un particolare rapporto pubblicistico (es., una concessione);

- L’avviso di pagamento è rilevante nel caso di specie solo ai fini della dimostrazione in fatto dell’interesse attuale all’impugnazione, stante il carattere non immediatamente lesivo delle norme regolamentari impugnate, la cui attitudine pregiudizievole si manifesta in modo concreto solo quando l’amministrazione, ritenendo una particolare fattispecie compresa nella previsione regolamentare, faccia applicazione della nuova disciplina, quantificando la propria pretesa patrimoniale;

- Pertanto, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità per tardività dell’impugnazione del regolamento;

- Il regolamento impugnato introduce il canone concessorio non ricognitorio in espressa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 285-1992, come ribadito dall’art. 67 d.P.R. n. 495-1992;

- E’ evidente che le norme esaminate consentono alle amministrazioni locali, in coerenza con la riserva relativa di legge posta dall’art. 23 Cost., di imporre una prestazione patrimoniale in dipendenza dell’uso particolare che taluno faccia di specifici beni pubblici, prestazione che costituisce proprio il corrispettivo dell’uso particolare del bene;

- Il canone non ricognitorio, oggetto del presente giudizio, e il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), così come la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), si basano sullo stesso presupposto di fatto, costituito dall’uso particolare di beni pubblici stradali, fermo restando che l’ambito di riferimento oggettivo dei secondi è più ampio e comprende quello del primo;

- La disciplina del COSAP, successiva all’entrata in vigore del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), definisce la misura massima del prelievo effettuabile in dipendenza della concessione o dell’autorizzazione all’uso particolare del demanio stradale, giacché impone la sottrazione dal COSAP dell'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal Comune e dalla Provincia per la medesima occupazione;

- Ne deriva che è escluso il cumulo di una pluralità di canoni legati all’occupazione del medesimo bene e che la misura del COSAP definisce il limite massimo di prelievo realizzabile in dipendenza della medesima occupazione di suolo stradale;

- L’art. 27 del Codice della strada impone di parametrare l’an e il quantum del canone alle caratteristiche specifiche del singolo rapporto pubblicistico di utilizzazione del bene pubblico, tanto che rende necessario prevedere nel titolo concessorio la debenza e la misura del canone e tale principio non è rispettato dal regolamento impugnato, che pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto;

- La società ricorrente in primo grado occupa porzioni del territorio comunale sulla base di una specifica convenzione di affidamento che non prevede l’applicazione di un canone per l’occupazione del suolo pubblico per il passaggio l’appoggio e la collocazione delle linee elettriche, degli attrezzi e dei mezzi d’opera;

- Il regolamento non è coerente con la disciplina legislativa del rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, o la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, atteso che illegittimamente il regolamento prevede espressamente che il canone sia riscosso in aggiunta alla TOSAP;

- Il canone è quantificato applicando tariffe unitarie moltiplicate per l’estensione delle aree occupate ed è evidente che si tratta di parametri del tutto diversi da quelli individuati dall’art. 27 del Codice della strada, perché sono legati ad un profilo solo quantitativo e muovono da valori tabellari predeterminati apoditticamente dall’amministrazione, senza alcuna correlazione con le caratteristiche e il valore di ciascun rapporto concessorio.

L’appellante contestava la sentenza, deducendo che:

- La sentenza è erronea per aver ritenuto non tardivo il ricorso di primo grado;

- La sentenza ha erroneamente ritenuto il regolamento contrario all’art. 27 del Codice della strada benché il Comune abbia sempre la facoltà di modificare la concessione in qualsiasi momento;

- Il Tribunale amministrativo non poteva comunque annullare per tale motivo l’intero Regolamento;

- La sentenza ha erroneamente ritenuto che il regolamento non fosse coerente con la disciplina legislativa del rapporto tra il canone non ricognitorio ed il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, o la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche;

- Anche a voler ritenere che la COSAP/TOSAP rappresenti la misura massima del prelievo consentito e quindi la non sovrapponiblità del canone non ricognitorio, in questo caso parimenti la sentenza non poteva annullare l’intero Regolamento;

- Se in parte è vero che il canone è quantificato nel Regolamento applicando tariffe unitarie moltiplicate per l’estensione delle aree occupate, è altresì vero come delta modalità non presenta profili di illegittimità;

- La sentenza abbia anche errato sul punto posto che non ha rilevato l’inammissibilità del motivo di ricorso per carenza di interesse con riguardo alla menzionata quantificazione regolamentare del canone non ricognitorio.

Con l’appello in esame si chiedeva la reiezione del ricorso di primo grado.

Si costituiva la parte appellata chiedendo la reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 7 aprile 2016 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. 1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo della Lombardia con cui: a) è stato accolto il ricorso proposto dalla società appellata e, per l’effetto, è stato annullato il regolamento comunale con cui era stato disciplinato il “canone patrimoniale non ricognitorio” di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada);
b) è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine agli avvisi di pagamento con cui il Comune ha preteso il pagamento del canone non ricognitorio.

2. Il Collegio rileva preliminarmente che il ricorso di primo grado è tempestivo.

Occorre premettere che tra i regolamenti amministrativi, si devono distinguere i regolamenti insuscettibili di produrre autonome lesioni sulla sfera giuridica altrui, che non devono formare oggetto di impugnativa autonoma nel termine decadenziale, dai regolamenti invece contenenti disposizioni immediatamente lesive, che vanno subito impugnati ad evitare la stabilizzazione dei relativi effetti.

Le disposizioni dei primi non producono, pertanto, una lesione attuale degli interessi coinvolti, che dal punto di vista processuale si verifica soltanto con la loro effettiva applicazione: anche se, secondo un orientamento, la loro attuazione ha comunque una capacità lesiva che abilita gli interessati ad impugnarle, ma solo in via facoltativa, senza attendere la loro compiuta attuazione provvedimentale.

In generale, i primi contengono previsioni che, coerenti con i caratteri di generalità ed astrattezza, non sono idonei a incidere direttamente sugli interessi giuridici dei destinatari;
un tale effetto presuppone, infatti, l’adozione anche del provvedimento di attuazione, tale da rendere attuale la possibile lesione, così determinando l’insorgere dell’interesse a ricorrere.

Sul versante applicativo consegue che la loro impugnazione è soggetta all’ordinario termine decadenziale, decorrente dal momento dell’adozione dell’atto applicativo.

Nel caso in esame è evidente che la prescrizione regolamentare contestata non presenta di per sé alcuna idoneità ad incidere direttamente sulla sfera soggettiva dei destinatari, individuabili soltanto per categorie astratte, poiché l’effetto concreto, idoneo a rendere attuale l’interesse all’impugnazione, è all’evidenza l’adozione, a valle, del provvedimento di attuazione che stabilisce la somma dovuta a titolo di canone non ricognitorio e ne pretende il pagamento in capo ai concreti destinatari (nella specie, la società titolare del servizio di gestione e manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica).

3. E’ parimenti infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per difetto d’interesse o di legittimazione dell’appellante. Infatti l’appellante San Marco s.p.a., affidataria del servizio di riscossione dei tributi, ha un interesse autonomo a impugnare la sentenza, in quanto la sua posizione della concessionaria di riscossione, legittimata ad emettere un avviso di pagamento, dipende qui dalla previa vigenza e legittimità del regolamento, la cui validità ha interesse a sostenere quale presupposto della propria pretesa.

4. Si deve inoltre confermare incidentalmente l’insussistenza della giurisdizione amministrativa sulle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di pagamento emessi ai sensi dell’articolo 27 (Formalità per il rilascio delle autorizzazioni e concessioni) del detto decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

Nel caso di specie, il regolamento comunale impugnato faceva discendere in modo vincolante la determinazione dell’onere finanziario al sussistere di alcuni presupposti di fatto (ad es.: metri lineari di occupazione del sedime stradale), senza che residuasse in capo agli uffici accertatori un margine di apprezzamento in ordine a tali presupposti e condizioni. In tal modo, gli uffici dovevano limitarsi ad effettuare mere operazioni di computo sulla base di criteri predeterminati.

Pertanto, bene il primo giudice ha ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria sulle controversie aventi ad oggetto (non già la disciplina generale del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio, bensì) l’accertamento in concreto dei relativi presupposti e i conseguenti atti impositivi.

5. Nel merito l’appello è infondato, dovendo qui trovare conferma la statuizione di annullamento adottata dal primo giudice, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle ritenute dalla sentenza in epigrafe in relazione alla pretesa avanzata dalla ‘appellante di riscuotere il canone concessorio non ricognitorio di cui all’articolo 27 del decreto legislativo n. 285 del 1992.

5.1. Va premesso al riguardo che il primo giudice ha affermato che l’articolo 27 del Codice della strada va inteso nel senso di garantire che “tanto l’applicazione del canone, quanto il suo ammontare, siano aderenti alle caratteristiche di ciascuna particolare situazione, sulla base degli oneri complessivi che esso comporta, tenendo conto delle soggezioni che derivano alla strada o all’autostrada, del valore economico dell’utilizzazione e del vantaggio che l'utente ne ricava”.

La sentenza ha dunque ritenuto che l’ente locale non possa indiscriminatamente assoggettare al canone ricognitorio qualunque utilizzo della sede stradale, ma che possa legittimamente provvedervi solo previa adeguata valutazione delle modalità attraverso le quali tale utilizzo può incidere (inter alia) sull’uso pubblico della strada.

5.2. La questione è strettamente collegata con uno dei motivi di ricorso di primo grado accolti dal Tribunale amministrativo, basato sulla contestata applicazione nel caso di specie della disciplina di cui all’art. 27 del Codice della strada. In tale contestazione è inclusa la contestazione circa il difetto di uno dei presupposti necessari ai sensi dell’art. 27, rappresentato dalla sottrazione del sedime stradale all’uso pubblico.

Tale aspetto pone la questione di quali siano in effetti i presupposti e le condizioni che legittimano l’imposizione da parte dell’ente locale del canone concessorio non ricognitorio;
e se una tale pretesa possa essere vantata a fronte di un qualunque utilizzo della strada, ovvero soltanto a fronte di un utilizzo singolare che ne impedisca in tutto o in parte la pubblica fruizione.

Il Collegio ritiene che prevalenti indici di carattere testuale e sistematico depongono nel secondo dei sensi indicati.

5.3. Partendo dagli elementi normativi di carattere sistematico e testuale, si osserva che l’articolo 27 del Codice della strada va essenzialmente letto alla luce del principio generale posto dall’art. 1, vale a dire come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, e rispetto al quale interesse generale le sue norme sono evidentemente serventi;
e che l’articolo stesso fonda la legittimità dell’imposizione del canone non ricognitorio su un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica (la sede stradale).

Tuttavia, l’insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) di quel Codice (per come espressamente richiamate dal ridetto articolo 27) dimostra che le concessioni e le autorizzazioni che giustificano l’imposizione del canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 sono caratterizzate dal tratto comune – riferibile in ultimo alla libera e sicura circolazione delle persone sulle strade – di sottrarre in tutto o in parte l’uso pubblico della res a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.

E’ qui il caso di richiamare:

- le ipotesi di autorizzazione all’occupazione della sede stradale anche con “veicoli, baracche, tende e simili” ai sensi dell’articolo 20;

- le ipotesi di autorizzazione o concessione all’esecuzione di “opere o depositi e aprire cantieri stradali, anche temporanei, sulle strade e loro pertinenze, nonché sulle relative fasce di rispetto e sulle aree di visibilità” ai sensi dell’articolo 21;

- le ipotesi di autorizzazione alla realizzazione di “nuovi accessi e nuove diramazioni dalla strada ai fondi o fabbricati laterali, [ovvero di] nuovi innesti di strade soggette a uso pubblico o privato”, ovvero ancora di passi carrabili ai sensi dell’articolo 22.

In tutti detti casi è evidente che la condizione a un tempo necessaria e sufficiente per giustificare l’imposizione del canone ricognitorio sia rappresentata dal rilascio di un titolo che abilita a un uso singolare della risorsa pubblica, limitandone o comunque condizionandone in modo apprezzabile il pieno utilizzo.

Ai fini della presente disamina merita particolare attenzione – e sempre considerando il ricordato principio generale - la previsione di cui all’articolo 25 del Codice (rubricato “Attraversamenti ed uso della sede stradale”), secondo cui “non possono essere effettuati, senza preventiva concessione dell'ente proprietario, attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, che possono comunque interessare la proprietà stradale. Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l'accessibilità delle fasce di pertinenza della strada”.

La disposizione è pertinente al fine di vagliare la legittimità dell’imposizione da parte dell’ente locale di un canone ricognitorio a fronte della posa, in prossimità della sede stradale, di infrastrutture pubbliche cc. dd. “a rete”, come quelle che rilevano ai fini del presente giudizio.

La disposizione (in relazione sistematica con il successivo articolo 27, che fonda la pretesa del Comune appellante) rende palese:

- che ciò che rileva, al fine di fondare la pretesa dell’ente locale, non è un qualunque utilizzo della sede stradale (nonché dello spazio soprastante e sottostante ad essa), bensì un utilizzo singolare che incida in modo significativo sull’uso pubblico della risorsa viaria;

- che ciò che rileva ai medesimi fini è il singolare “uso della sede stradale” (laddove l’articolo 3, comma 1, n. 46 del Codice definisce la sede stradale come “superficie compresa entro i confini stradali. Comprende la carreggiata e le fasce di pertinenza”).

Ebbene, il fatto che il Codice abbia operato un espresso richiamo alla sola “sede stradale” (i.e.: alla superficie e non anche al sottosuolo e al soprasuolo) depone nel senso che l’imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico;
ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione.

Naturalmente, in questi ultimi casi, l’imposizione di un canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale;
ma non si rinviene una giustificazione di legge per ammettere che una siffatta imposizione possa proseguire anche indipendentemente da questa occupazione esclusiva, cioè durante il periodo successivo (che può essere anche pluridecennale) durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della sede stradale.

6. L’appellante richiama a supporto delle proprie tesi la sentenza di questo Consiglio di Stato 31 dicembre 2014, n. 6459 che – ai fini che qui rilevano – ha in particolare affermato:

a) che il canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 del Codice della strada si configura come entrata patrimoniale per l’amministrazione proprietaria della strada, gravante sui soggetti titolari di concessione che utilizzano il suolo e il sottosuolo delle pubbliche strade, ragione per cui il canone in questione “assume la funzione di corrispettivo per l’uso particolare del suolo e del sottosuolo che è accordato al concessionario”;

b) che l’Amministrazione interessata può legittimamente esigere il canone in parola anche nel caso in cui per la medesima occupazione sia già corrisposta la TOSAP o la COSAP (vengono richiamate, al riguardo: Cass., V, 27 ottobre 2006, n. 23244 e 31 luglio 2007, n. 16914).

6.1. Ebbene, quanto alla questione sub a), il Collegio ritiene che le conclusioni cui la Sezione è pervenuta con la sentenza richiamata debbano essere precisate e in parte riviste escludendo dalla legittima esigibilità del canone non ricognitorio le ipotesi di utilizzo del sottosuolo della sede stradale le quali – come nel caso che qui rileva – non impediscano o limitino in alcun modo la fruizione pubblica della sede viaria.

D’altronde (e dal punto di vista sistematico) non emergerebbe un’effettiva ragione per cui un complesso normativo (quale il Titolo II del Codice della strada, rubricato ‘Della costruzione e tutela delle strade’), contenuta in un corpo normativo a tutt’altro interesse generale finalizzato, possa far legittimamente conseguire una prestazione di carattere coattivo (quale l’obbligo di prestazione del ‘canone’) a fronte di un presupposto – l’utilizzo del sottosuolo stradale – di suo inconferente o quanto meno inidoneo a incidere restrittivamente sulla piena e generale fruizione generale della risorsa pubblica stradale in quanto tale.

6.2. Per quanto riguarda, invece, le conclusioni dinanzi richiamate sub b) (possibile coesistenza fra il canone concessorio non ricognitorio e la TOSAP/COSAP), non si ravvisa contraddizione nella eventuale coesistenza fra le due fattispecie, già affermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.

Ed infatti le due pretese patrimoniali (una di ordine tributario e l’altra caratterizzata dalla descritta lata corrispettività) potranno in ipotesi coesistere, ma a condizione che sussistano, per ciascuna, i relativi presupposti giustificativi.

Non emerge alcun presupposto che giustifichi la pretesa alla corresponsabile del canone ex articolo 27, cit. nelle ipotesi in cui – come nel caso che qui rileva – l’utilizzo del sottosuolo stradale non incida in alcun modo sulla pubblica fruizione della risorsa.

Al contrario, l’articolo 63 (Canoni per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) espressamente richiama, fra i presupposti per l’imposizione tributaria, le ipotesi di “occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile (…)”.

In definitiva il richiamato orientamento giurisprudenziale (in particolare: Cass., V, 27 ottobre 2006, n. 23244 e 31 luglio 2007, n. 16914) ammette la possibile coesistenza fra i due richiamati obblighi, ma non impone affatto che la sussistenza dei presupposti applicativi di uno di essi renda ipso facto, quasi per irragionevole duplicazione automatica di effetti, necessitata la prestazione anche dell’altro.

7. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena considerato, il Collegio rileva altresì che in specifici settori, differenti da quello che è oggetto del presente giudizio (come quello delle infrastrutture idriche a rete) incide altresì un principio di tendenziale gratuità della messa a disposizione dell’infrastruttura a rete (ci si riferisce, in particolare, all’articolo 153, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato (…)”).

7.1. Sempre ai limitati fini che qui rilevano va considerato che anche in altri settori dell’ordinamento (come quello delle reti di comunicazione elettronica) opera un similare principio di tendenziale gratuità degli interventi finalizzati alla posa e al mantenimento delle retri infrastrutturali.

Ci si riferisce, in particolare, al comma 3 dell’articolo 231 del Codice della strada, secondo cui “in deroga a quanto previsto dal capo I del titolo II (il quale include altresì l’articolo 27 in tema di ‘canone non ricognitorio’) , si applicano le disposizioni di cui al capo V del titolo II del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni” (e fra le disposizioni del Codice del 2003 che vengono espressamente richiamate figura l’articolo 93, comma 1, secondo cui “le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. (…)”).

7.2. Ad avviso del Collegio le richiamate disposizioni settoriali, lungi dal presentare un carattere derogatorio rispetto alla generale e indistinta pretesa alla corresponsione del canone concessorio non ricognitorio, costituiscono indice di un più generale principio volto a negare la generalizzata applicazione dell’articolo 27 e, in ogni caso, ad escluderne la cogenza nelle ipotesi in cui non sussistano puntuali ragioni giustificative connesse alla complessiva ratio normativa sottesa al Codice della strada.

8. Infine, risulta non rilevante la questione di legittimità costituzionale dedotta dalla parte appellata con riferimento all’art. 27 del Codice della strada, poiché il giudizio può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale

9. Per le ragioni esposte il ricorso in appello va respinto, sia pure per ragioni diverse da quelle individuate dal primo giudice.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio anche in considerazione della peculiarità e parziale novità delle quaestiones iuris sottese alla presente decisione.

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