Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-12-06, n. 201605150
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Pubblicato il 06/12/2016
N. 05150/2016REG.PROV.COLL.
N. 07791/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7791 del 2011, proposto da:
M A Z D P e E P, rappresentati e difesi dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
Commissione Nazionale per la Società e la Borsa (CONSOB), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati F B e M L E, con domicilio eletto presso la sede legale Consob in Roma, via G.B. Martini 3;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 4367/2011, resa tra le parti, concernente applicazione sanzioni amministrative pecuniarie
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Commissione Nazionale per la Società e la Borsa (CONSOB);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2016, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Celotto e l’avvocato Valente per delega dell’avvocato Biagianti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.La dott.ssa Maria Alessandra Z d P ed il dott. E P impugnano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 19 maggio 2011 n. 4367 che ha respinto il ricorso dagli stessi proposto avverso la delibera CONSOB 30 settembre 2010 n. 17516 recante l’applicazione in loro confronto, ai sensi degli artt. 190 e 195 del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, della sanzione pecuniaria pari a complessivi euro 23.900,00 ( per la dott. Zunino) ed euro 31.900,00 ( per il dott. P),quali componenti del collegio sindacale della società Indipendent Global Managers SGR s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa .
Gli appellanti insistono anche in questo grado nel rilevare la illegittimità della impugnata delibera evidenziando, in sintesi, la sussistenza di organismi interni deputati al controllo della adeguatezza degli investimenti da proporre alla clientela, la loro estraneità rispetto ai compiti di amministrazione attiva della società ed infine il carattere sproporzionato delle sanzioni applicate.
2.Lamentano che erroneamente il giudice di primo grado avrebbe disatteso i loro motivi di censura e chiedono che, in accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado ed in riforma della impugnata sentenza, sia annullata, per quanto di loro interesse, la delibera CONSOB oggetto della impugnazione di primo grado.
Si è costituita in giudizio l’appellata commissione nazionale per le società e la borsa per resistere all’appello e chiederne la reiezione.
Le parti hanno prodotto memorie illustrative in vista dell’udienza di trattazione.
All’udienza pubblica del 10 novembre 2016 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2. L’appello è infondato e va respinto.
2.1 Giova ricordare, in fatto, che gli odierni appellanti sono stati membri effettivi del Collegio sindacale della IGM, società di gestione del risparmio, sottoposta ad amministrazione straordinaria, e, poi, a liquidazione coatta amministrativa.
Fin dal 2000 IGM ha investito parte del suo patrimonio nella azioni della SICAV Thema di diritto irlandese, e nel fondo Kingate, domiciliato alla British Virgin Islands. Al dicembre 2008, aveva investito in questi due strumenti finanziari una somma complessiva pari a circa 26 milioni di euro. Nel 2008 IGM ha poi investito nel fondo speculativo italiano Helm Growt Premium e nella SICAV lussemburghese Dynamic Decisions SIF, per un controvalore di circa 5,5 milioni di euro.
A seguito di una verifica ispettiva disposta nel dicembre 2008 dalla Consob, sulla base di una segnalazione della stessa IGM all’Autorità di vigilanza, sono emerse irregolarità nella gestione aziendale in relazione alle quali sono state contestate agli amministratori ed ai sindaci della società distinte violazioni. In particolare, dette contestazioni hanno riguardato:
1) l’art. 21, comma 1, lett. a) e 40, comma 1, lett. a) d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e 65, comma 1, lett. c) e 66, comma 1, lett. d) del Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190, per avere tenuto un comportamento non diligente né corretto in merito all’operatività sugli OICR connessi alla vicenda M, sul fondo speculativo italiano Helm Growth Premium e sulla SICAV hedge Dynamics Decisions SIF per conto dei fondi comuni e dei portafogli gestiti su base individuale, a motivo della mancata acquisizione di una conoscenza adeguata degli strumenti finanziari oggetto di investimento – necessaria al fine di assumere scelte gestorie consapevoli – e in ragione dell’incoerenza e contraddittorietà delle scelte di investimento poste in essere;
2) l’art. 15 del Regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007 ed artt. 39 e 40 del Regolamento Consob del 29 ottobre 2007, n. 161990, e allegato n. 3 al predetto Regolamento, per l’assenza di una procedura idonea ad assolvere gli obblighi imposti dalla normativa vigente in tema di profilatura dei clienti e di valutazione di adeguatezza;
3) l’ art. 21, comma 1, lett. a) d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in tema di diligenza correttezza e trasparenza nella prestazione del servizio di gestione di portafogli su base individuale ed artt. 27, 29, comma 2, 31 e 38, comma 1, lett. d) del Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190, per l’inadeguatezza della rappresentazione al cliente della natura e dell’entità dei rischi realmente connessi alla gestione dei mandati con conseguente condotta esecutiva dei contratti di gestione di portafogli, non diligente né corretta, perché difforme dal contenuto della prestazione gestoria che la SGR si era impegnata a rendere al cliente in relazione al profilo di rischio/rendimento espresso dai benchmark prescelti;
4) l’art. 16 del Regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007, a causa dell’inadeguatezza e insufficienza dell’attività di controllo di conformità alle norme.
2.2 Per quanto qui rileva, a seguito delle suindicate contestazioni e degli accertamenti in ordine alle violazioni commesse, al dott. P è stata irrogata una sanzione complessiva pari a euro 31.900,00 quale somma delle sanzioni di euro 12.700,00 per la violazione sub 1), euro 9.600,00 per la sanzione sub 2) ed euro 9.600,00 per la violazione sub 3).
Alla dott.ssa Z d P è stata inflitta una sanzione complessiva pari ad euro 23.900,00 quale somma delle sanzioni di euro 9.500,00 per la violazione sub 1), euro 7.200,00 per la violazione sub 2) ed euro 7.200,00 per la violazione sub 3).
In sostanza, le prime tre fattispecie sanzionatorie sono state contestate non solo agli amministratori esecutivi e agli amministratori privi di deleghe, ma anche ai membri del Collegio sindacale.
2.3 La struttura dei controlli della società, nel periodo di interesse, era articolata su quattro livelli, di cui i primi tre interni alla stessa SGR, secondo quanto richiesto dall’art. 12 del Regolamento congiunto Banca d’Italia - Consob del 29 ottobre 2007 (di attuazione dell’art. 6, comma 2 – bis, d.lgs. n. 58 del 1998, c.d. TUF – Testo unico della Finanza), rappresentati dalla funzione di Gestione del rischio ( risk manager ), dalla funzione di revisione interna ( internal audit ), dalla funzione di conformità ( compliance ), ed, infine, dalla funzione svolta dal Collegio sindacale, ai sensi dell’art. 2403 c.c..
3.Con il primo motivo, le parti appellanti tornano a riproporre in questo grado la questione della violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, sotto il profilo che CONSOB non avrebbe specificamente replicato alle deduzioni degli interessati nel corso del procedimento, dal che risultando ancor più evidente la apoditticità delle contestazioni dell’Autorità di vigilanza nonché la carenza motivazionale della pretesa sanzionatoria azionata.
Gli appellanti assumono che la sentenza di primo grado sarebbe sul punto non congruamente motivata e che a nulla varrebbe il generico richiamo alla giurisprudenza amministrativa sulla sufficienza dell’iter motivazionale che renda nella sostanza percepibile le ragioni del non adeguamento alle tesi difensive del soggetto deducente ove, come nella specie, l’Autorità non avrebbe preso posizione sui distinti profili difensivi prospettati dagli odierni appellanti, con specifico riguardo:
- alla presenza di un articolato sistema di controlli all’interno della IGM;
- al ruolo sempre propulsivo mantenuto dall’intero Collegio sindacale, che avrebbe intensificato le proprie attività di controllo dopo l’emersione della vicenda M ;
- alla mancanza di ogni elemento a sostegno della colposità del comportamento del Collegio sindacale;
- all’imprevedibilità della vicenda M sul mercato internazionale;
- alla circostanziata e specifica ricostruzione delle scelte di investimento degli amministratori, peraltro secondo procedure approvate della Autorità di vigilanza in sede di trasformazione in SGR;
- l’atteggiamento estremamente collaborativo mantenuto nel corso dell’ispezione, e del successivo periodo di commissariamento da parte del Collegio sindacale, a differenza di altri esponenti aziendali.
Gli appellanti deducono che ai sindaci viene sostanzialmente imputato di avere tenuto una condotta passiva, senza tuttavia che l’Autorità abbia evidenziato alcunché in merito al rispetto delle procedure da parte degli amministratori nelle scelte di investimento, sulla non imputabilità al Collegio sindacale delle scelte di acquisizione dei Fondi connessi ai prodotti finanziari M, nonché sulla imprevedibilità della manifestazione della crisi.
Relativamente al secondo profilo di violazione (relativo all’assenza di una procedura idonea ad assolvere agli obblighi imposti dalla normativa vigente in tema di profilatura dei clienti e di valutazione di adeguatezza), i sindaci hanno posto in rilievo:
- che il C.d.A. della IGM aveva approvato, nella seduta del 26 febbraio 2008, i questionari per la clientela richiesti dalla normativa vigente;
- che le eventuali violazioni delle procedura contrattuali erano addebitabili agli amministratori e che il Collegio sindacale non poteva venirne a conoscenza in quanto mai nessun rilievo era stato mosso, al riguardo, dalle funzioni interne di controllo.
Riguardo alla terza violazione contestata ai sindaci qui appellanti (relativa alla inadeguata rappresentazione alla clientela della natura e dell’entità dei rischi realmente connessi alla gestione dei mandati), i componenti del collegio sindacale hanno dedotto in fase endoprocedimentale:
- la sussistenza nel contratto di gestione patrimoniale di articoli specifici circa la tipologia di gestione della società e la rischiosità degli investimenti;
- l’avvenuta verifica da parte dei controlli interni della adeguatezza di tali informazioni
3.1 Il Collegio ritiene che il motivo di appello, nella sua complessiva articolazione, non meriti favorevole apprezzamento.
Dal contenuto del provvedimento impugnato si evince bene quale sia stato l’iter motivazionale che ha indotto l’Autorità a ritenere sussistente la responsabilità dei sindaci, né appar necessaria l’analitica disamina delle deduzioni svolte dagli interessati in sede procedimentale (come più volte statuito da questo Consiglio di Stato, cfr. tra le altre Cons. St., VI, 11 aprile 2006, n. 1999).
In particolare, è ben evidente come dal corpo motivazionale del provvedimento sanzionatorio si ricavi che l’Autorità abbia rimproverato ai sindaci di essere rimasti sostanzialmente inattivi, essendosi affidati interamente alle verifiche che avrebbero dovuto porre in essere gli altri organi aziendali di controllo e che le loro richieste di verifica agli organi di controllo, pur sussistenti, si sono rivelate generiche ed inefficaci. Risultano puntualmente confutati i capisaldi della linea difensiva svolta dai componenti sindaci fin nella fase endoprocedimentale, liddove si è evidenziata -come si dirà meglio oltre- la non piena osservanza dell’onere di diligenza dei sindaci nei controlli sulla qualità degli strumenti finanziari intermediati, sulla non adeguata modalità della loro offerta alla clientela, tenuto conto dei profili di rischio inerenti i prodotti prescelti.
La CONSOB ha dunque puntualmente risposto alle evidenze addotte dai sindaci a propria discolpa senza addossare loro pretese e, in ogni caso, inesigibili capacità vaticinatorie sugli investimenti ( fallimentari) collegati alla vicenda M, ma solo omissioni nella vigilanza sugli organi amministrativi e nei controlli affidati dalla legge all’organo sindacale.
Né sul punto rappresenta elemento dirimente, come assunto dalla difesa degli appellanti, la circostanza che la società IGM ed i sindaci siano stati essi stessi danneggiati sul piano patrimoniale dalla acquisizione di strumenti finanziari legati alla vicenda del finanziere M , se si tien conto che i comportamenti sanzionati sono stati ascritti ai sindaci a titolo di colpa, di guisa che la loro responsabilità per aver omesso ogni proficuo controllo sulle scelte gestionali della società non richiede la prova riguardo alla consapevolezza da parte loro della scarsa qualità dei prodotti finanziari intermediati ovvero di non aver svolto gli opportuni controlli circa l’adeguatezza delle informazioni fornite dalla società alla clientela retail . .
In definitiva, non sussiste, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, la prospettata violazione dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, avendo l’Autorità di controllo confutato, sia pur con motivazione unitaria e onnicomprensiva, i distinti profili di criticità delle ipotesi accusatorie oggetto delle contestazioni difensive. D’altra parte, ove mai nel provvedimento impugnato in primo grado non si possa ravvisare la puntuale confutazione di ogni deduzione difensiva dimessa dagli incolpati in sede procedimentale, deve essere qui richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui la garanzia di adeguata tutela delle ragioni del privato non viene meno per il fatto che nel provvedimento amministrativo finale non risultino chiaramente e compiutamente rese comprensibili le ragioni sottese alla scelta fatta dalla Pubblica amministrazione, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento, e ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell'obbligo di motivazione, ma coerente con i principi di trasparenza e di lealtà desumibili dall'art. 97 cost.” (Cons. Stato , sez. IV, 14 aprile 2010 , n. 2084),
4. Con il secondo motivo, gli appellanti tornano in questo grado ad evidenziare la piena regolarità delle funzioni di controllo svolte dal Collegio sindacale e, per conseguenza, la assoluta irragionevolezza delle contestazioni mosse al loro operato con particolare riguardo alla pretesa culpa in vigilando con riferimento all’opera degli amministratori. Richiamano gli appellanti le tante iniziative assunte dall’organo sindacale anche in relazione alle sollecitazioni svolte, soprattutto con riferimento alla vicenda M , nei confronti degli altri organi di controllo interno della società. E che, a fronte della prova di quanto fatto in positivo dal collegio sindacale, sarebbe mancata la dimostrazione da parte dell’Autorità di vigilanza di quanto avrebbero potuto o dovuto fare altrimenti i componenti del collegio sindacale. Tali elementi di contraddittorietà nell’azione amministrativa di repressione degli illeciti sarebbero d’altra parte rifluiti, secondo l’assunto degli appellanti, nel vivace dibattito interno alla CONSOB ( in sede di delibera irrogativa delle sanzioni) circa l’esatta configurazione dei poteri dei componenti del collegio sindacale;da tale dibattito, sempre secondo gli odierni appellanti, la prevalenza della tesi colpevolista sarebbe emersa, più che per convinzione maturata in seno alla maggioranza dei componenti, per la necessità di affermare il principio generale del coinvolgimento dell’organo sindacale in vicende connesse a fatti di grande clamore mediatico, al fine di realizzare finalità di prevenzione generale.
Inoltre, gli appellanti hanno ribadito la carenza, in capo a costoro, dell’elemento soggettivo della colpa, tenuto conto tra l’altro che l’attività ispettiva della CONSOB è stata attivata proprio su segnalazione del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale e che, nella specie, sarebbe stata dunque fornita la piena prova della loro non colpevolezza.
4.1 Osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 190, comma 3, del TUF le sanzioni previste dai commi 1 e 2 si applicano anche ai soggetti che svolgono funzioni di controllo nelle società o negli enti ivi indicati, i quali abbiano violato le disposizioni indicate nei medesimi commi o non abbiano vigilato, in conformità dei doveri inerenti al loro ufficio, affinché le disposizioni stesse non fossero da altri violate.
In particolare, il dovere del Collegio sindacale di una società operante nel settore dell’intermediazione finanziaria deve essere definito nel suo ambito e correlato alla natura e particolare disciplina cui è sottoposto l’operare di tale società, dettata a garanzia non solo della conservazione dell’integrità del patrimonio e del buon andamento della società, ma anche a tutela degli investitori.
Il Collegio sindacale è dunque tenuto a vigilare precipuamente sulla correttezza dell’organo amministrativo, secondo i parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare CONSOB .
4.2Più nel dettaglio, ai sindaci di una società operante in un settore delicato quale quello della intermediazione del risparmio, è richiesto– attingendo agli ampi poteri di sindacato ispettivo riconosciuti dalla legge al collegio sindacale - di attivare un flusso informativo costante con gli amministratori, al fine di svolgere un’autonoma attività di vigilanza sulla gestione sociale (cfr. artt. 2403, 2403 – bis, 2407 c.c. e, soprattutto, il comma 2 di quest’ultimo articolo, che sancisce la responsabilità dei sindaci per i fatti e le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi connessi alla loro carica).
Quanto poi alle ipotizzate negligenze ( anche ad ammetterne senz’altro l’esistenza) ascrivibili ad organi con compiti di controllo interno, le stesse non esimono in ogni caso i sindaci da responsabilità posto che, ai sensi dell’art.10 del regolamento congiunto della Banca d'Italia e della CONSOB del 29 ottobre 2007, ai sindaci sono attribuiti compiti e poteri necessari al pieno ed efficace assolvimento dell'obbligo di rilevare le irregolarità nella gestione e le violazioni delle norme disciplinanti la prestazione dei servizi d'investimento e, nello svolgimento di tali compiti, essi possono poi avvalersi "di tutte le unità operative aventi finzioni di controllo all'interno dell'azienda"
E’ chiaro dunque che il potere di controllo sul buon andamento gestorio di una SGR competa innanzitutto ai sindaci, anche in funzione dell'obbligo su di essi gravante di informare senza indugio le Autorità di vigilanza di tutti i fatti che possano costituire un'irregolarità nella gestione o una violazione della disciplina applicabile all'intermediario (art. 8, d.lgs. 58 del 1998).
Pertanto, correttamente la impugnata sentenza ha rilevato che le eventuali carenze di tali organismi e strutture interne di controllo non escludono o riducono la responsabilità dei sindaci, ma anzi costituiscono caso mai una circostanza aggravante della responsabilità dell’organo sindacale.
4.3Ciò premesso, va osservato come le iniziative assunte dai sindaci – di cui hanno dato ampio risalto le odierne parti appellanti- si siano rivelate nello specifico poco o nulla efficaci nella prospettiva di evitare o soltanto di attenuare lo stato di decozione della società, posta prima in amministrazione straordinaria e poi in liquidazione.
In relazione alla prima violazione contestata, con specifico riferimento all’operatività sugli OICR riconducibili a M, sul fondo speculativo Helm e sulla