Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-01-02, n. 202400039
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Pubblicato il 02/01/2024
N. 00039/2024REG.PROV.COLL.
N. 09516/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9516 del 2018, proposto da Telecom Italia S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F C, F L, C E C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – Agcom, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa
ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori – Codacons;Associazione degli utenti per i diritti telefonici- A.U.S. Tel Onlus, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Carlo Rienzi in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 73;Associazione Movimento Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato P F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Associazioni Altroconsumo, Federconsumatori, non costituite in giudizio;
per la riforma quanto al ricorso introduttivo, del dispositivo di sentenza reso dal TAR Lazio, sez. III, n. 11305/2018, reso tra le parti, concernente l'impugnazione della delibera Agcom n. 499/17/CONS del 21 dicembre 2017, per la violazione dell'art. 3, co. 10 della delibera n. 252/16/CONS come modificata dalla delibera n. 121/17/CONS (contestazione n. 8/17/DTC);
quanto all’atto per motivi aggiunti e al ricorso incidentale presentato dall’Agcom, della sentenza del TAR Lazio n. 5842 del 10 maggio 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – Agcom,
del Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori – Codacons, dell’Associazione degli utenti per i diritti telefonici- A.U.S. Tel Onlus, dell’Associazione Movimento Consumatori;
Visto il ricorso incidentale proposto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – Agcom;
Viste le memorie prodotte da tutte le Parti in giudizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le domande di Telecom Italia S.p.A. e dell’Associazione Movimento Consumatori di pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza e visto il dispositivo conseguentemente pubblicato;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 novembre 2023 il Cons. R S e udito per le parti l’avvocato P F;viste, altresì, le conclusioni delle altre parti come in atti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Con l’appello in epigrafe Telecom Italia S.p.A. ha impugnato dapprima, il dispositivo n. 11305/18 e, successivamente, le motivazioni contenute nella sentenza n. 5842/ 2019, con cui il TAR del Lazio, sez. III, ha parzialmente rigettato il ricorso di primo grado avverso gli atti e provvedimenti adottati da Agcom nel procedimento sanzionatorio originato dalla delibera 499/17/CONS;con quest’ultimo atto Agcom aveva ordinato all’odierna appellante di adottare misure ripristinatorie generalizzate nei confronti di tutta l’utenza (consistenti nello storno degli importi corrispondenti al numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non erano stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio, a causa del disallineamento del ciclo di fatturazione in contrasto con le prescrizioni contenute nella delibera n. 121/17/CONS, che aveva a imposto per la telefonia fissa un periodo di cadenza di rinnovo delle offerte e delle fatturazioni pari al mese o al multiplo del mese.
2 – Si sono costituite in giudizio Agcom e le Associazioni Altroconsumo, Federconsumatori, CODACONS, Associazione degli utenti per i diritti telefonici - A.U.S.Tel. Onlus, Movimento Consumatori. Agcom ha inoltre proposto ricorso incidentale per la parte in cui la medesima sentenza ha accolto i motivi di ricorso avverso la quantificazione della sanzione inflitta. Tutte le parti in giudizio hanno animato un ampio e ripetuto scambio di memorie, rinnovato a seguito della decisione della Corte di Giustizia dell’8 giugno 2023, che sarà esaminata nella seconda parte della presente sentenza.
3 - In particolare, la delibera Agcom n. 499/17/CONS del 21 dicembre 2017 (pubblicata sul sito web dell'Autorità il medesimo giorno), recava l’ingiunzione nei confronti dell’appellante, in relazione alla accertata violazione dell'art. 3, comma 10, della delibera n. 252/16/CONS come modificata dalla delibera n. 121/17/CONS (contestazione n. 8/17/DTC), di provvedere, in favore di tutti i clienti, allo storno di quanto indebitamente percepito in sede di ripristino della cadenza di fatturazione mensile a partire dal 1° gennaio 2019.
4 - Il contenzioso riguarda la questione della c.d. bolletta a 28 giorni, relativa alla cadenza temporale della fatturazione delle offerte di servizi di comunicazione elettronica. Tra la fine dell’anno 2016 e l’inizio dell’anno 2017 una parte degli operatori di telefonia aveva, infatti, modificato il sistema di fatturazione, ridefinendolo con una periodicità inferiore al mese (“bolletta 28 giorni”). A giudizio dell’Agcom l’operazione era stata, però, ritenuta indebitamente pregiudizievole per gli utenti, sia sotto il profilo economico (perché le tariffe erano aumentate di circa l’8,6%, tramite l’introduzione di una sorta di “tredicesima mensilità”), sia sotto il profilo della trasparenza, in quanto la predetta politica tariffaria veniva ritenuta suscettibile di ostacolare la comparabilità delle offerte. L’Agcom era pertanto intervenuta fin dal 15 marzo 2017, con la delibera 121/17/CONS (che aveva modificato la precedente delibera 252/16/CONS), imponendo agli operatori di comunicazioni elettroniche di adottare, sulle linee fisse, una periodicità di fatturazione su base mensile e, sulle linee mobili, una periodicità di almeno quattro settimane.
5 – Con il ricorso di primo grado, Telecom Italia S.p.A. aveva lamentato l’illegittimità delle delibere impugnate deducendo che anche ammettendo che il mancato tempestivo ripristino della fatturazione mensile avesse determinato l’insorgere di una obbligazione restitutoria a carico degli operatori nei confronti di tutti gli utenti di telefonia fissa, non ne sarebbe potuta mai derivare l’attribuzione ad Agcom del potere di ordinarne l’adempimento coattivo generalizzato in difetto di una norma di legge primaria attributiva della specifica prerogativa.
6 – Il TAR ha solo parzialmente accolto il ricorso, limitatamente alla prevista misura sanzionatoria, senza far venire meno il termine previsto per la restitutio in integrum nei confronti di tutti i clienti dell’appellante. Telecom Italia S.p.A. ha pertanto proposto appello, affermando che “ la lettura del dispositivo non consente di apprezzare le ragioni per le quali il TAR, dopo aver annullato il provvedimento principale (la delibera n. 499 recante l’irrogazione della sanzione pecuniaria), abbia potuto ritenere esenti da profili di illegittimità derivata tutti i successivi atti adottati da Agcom nell’ambito della medesima cornice procedimentale ” discendendone “ l’intrinseca contraddittorietà del dispositivo di sentenza ” in quanto “ fra l’accertamento dell’illecito contenuto nella delibera n. 499 e tutte le successive determinazioni, con le quali Agcom ha ordinato agli operatori di porre in essere le misure di restitutio in integrum secondo varie tempistiche e differenti modalità attuative, sussiste (…) un rapporto di inscindibile collegamento funzionale ”.
7 – Con l’appello si deduce pertanto il vizio di “ nullità per carenza assoluta di potere e/o difetto di attribuzione. Violazione e falsa applicazione della legge n. 172/2017, nonché della legge n. 481/1995. Eccesso di potere per sviamento ”. Al riguardo, rappresenta l’appellante che nei vari provvedimenti adottati in successione (dalla delibera n. 499/17 alla 112/18, dalla 189/18 alla 269/18) Agcom non ha mai individuato il fondamento giuridico del potere esercitato, che non può essere ravvisato né nelle previsioni della legge n. 172/17, le quali non avrebbero avuto contenuto novativo, ma meramente confermativo di potestà immanenti nell’ordinamento settoriale;né nella legge n. 481/95, che consente alle autorità di regolazione di ordinare la corresponsione di indennizzi automatici in presenza di violazioni perpetrate dagli operatori purché già puntualmente contemplate nella regolazione ex ante , e non pure di imporre la corresponsione di misure restitutorie da determinare ex post ;né in una sorta di teoria dei poteri impliciti delle autorità amministrative indipendenti, essendosi svolta solo una consultazione incompleta e costituendo le misure reintegrative impugnate vere e proprie sanzioni improprie, rispetto alle quali vige un principio di stretta tipicità e tassatività, non integrabile attraverso la teoria dei poteri impliciti. A propria volta il nuovo art. 1, comma 4bis, del decreto legge n. 148 del 2017 ha attribuito ad Agcom il potere di ordinare rimborsi a favore degli utenti in ragione della violazione delle regole sulla cadenza mensile delle offerte, ma tale previsione vale espressamente per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 172/2017, e dunque non avrebbe mai potuto essere applicata a condotte poste in essere prima della scadenza del periodo entro il quale gli operatori si sarebbero dovuti adeguare alla novella (5 aprile 2018).
Ne discenderebbe, secondo la descritta prospettazione di Telecom Italia S.p.A., la denunciata assoluta carenza di potere in capo ad Agcom relativamente all’adozione di un ordine di adempimento coattivo di una obbligazione nei confronti di tutta la clientela dell’operatore, in mancanza di una norma attributiva dello specifico potere esercitato.
8 – Nel quadro del complesso contenzioso davanti al giudice amministrativo avverso le predette ordinanze e quelle successivamente adottate dall’Agcom, occorre rilevare, per quanto di interesse, che gli analoghi ricorsi proposti da altri operatori telefonici venivano infine respinti con le sentenze del Consiglio di Stato, VI Sezione, nn. 879, 987 e 1368 del 2020, rese rispettivamente sugli appelli proposti da Vodafone, Fastweb e WindTre, (pronunce a loro volta confermate, all’esito dei ricorsi ex art. 111 c.p.a., con ordinanze delle Sezioni Unite nn. 33848/21, 26154 e 26165/22). Inoltre con la recente decisione della Corte di Giustizia del 30 marzo 2023, in causa C5/22, è stata definita una pregiudiziale relativa a diversa autorità di regolazione (Arera) ed a differente mercato (quello dell’energia elettrica), ma caratterizzata dalla adozione di un ordine di restituzione basato sulle disposizioni della legge n. 481/95 evocate anche dalle predette sentenze del Consiglio di Stato.
La Corte, infatti, ha ritenuto conforme al diritto eurounitario l’attribuzione ad una Autorità Nazionale di Regolazione del potere di ordinare alle società di restituire ai loro clienti finali la somma corrispondente a quanto versato da questi ultimi in applicazione di una clausola contrattuale considerata illegittima, anche nel caso in cui l’ordine di restituzione sia fondato sulla violazione di obblighi di trasparenza tariffaria, demandando al giudice del rinvio il compito di stabilire se il diritto nazionale conferisca effettivamente tale potere e se nella specie sia stato esercitato in maniera corretta.
9 – Inoltre, con riguardo ad altro contenzioso, il Consiglio di Stato, Sezione VI, si è pronunciato sulla denunciata illegittimità dell’intervento regolatorio dell’Autorità con la sentenza n. 5555/2020, respingendo tutti i motivi di appello riferiti all’ordinamento giuridico interno, mentre per i profili di censura riferiti alla disciplina unionale, nonostante il Collegio avesse considerato l’assenza di ragionevoli dubbi sul possibile impatto con la normativa comunitaria, con ordinanza n. 5588/2020 è stato disposto un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE al fine di “verificare se le misure adottate dall’Autorità nazionale di regolazione, con cui sono stati fissati i limiti alla cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e di fatturazione, abbiano una base normativa, siano proporzionate e non determinano una irragionevole discriminazione tra operatori di telefonia fissa e di telefonia mobile” (punto 49 dell’ordinanza). All’udienza del 23 marzo 2023, fissata per la definizione del giudizio in epigrafe, è stato pertanto chiesto ed ottenuto dall’odierna appellante, senza opposizione delle altre parti, un rinvio della discussione al fine di attendere il pronunciamento della Corte di Giustizia sul rinvio pregiudiziale pendente (C- 468/20).
10 - Con decisione dell’8 giugno 2023 la Corte ha definito la pregiudiziale ritenendo che le conferenti disposizioni eurounitarie devono essere interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale che attribuisce all’autorità nazionale di regolazione il potere di adottare una decisione che, da un lato, impone agli operatori di servizi di telefonia mobile di praticare una cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e una cadenza di fatturazione che non siano inferiori a quattro settimane e, dall’altro, impone agli operatori di servizi di telefonia fissa e di servizi ad essi collegati una cadenza di rinnovo di tali offerte e una cadenza di fatturazione su base mensile o suoi multipli, a condizione che le due categorie di servizi si trovino, alla luce dell’oggetto e dello scopo di detta normativa nazionale, in situazioni diverse.
11 – Con proprie memorie Telecom Italia S.p.A., articolando gli originari motivi di ricorso –come sopra sintetizzati- alla luce delle citate sopravvenienze, sostiene che il Collegio dovrebbe rimeditare le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato nelle tre citate pronunce del 2020 in quanto, anche alla luce del contenuto delle decisioni, che hanno ritenuto legittime le delibere Agcom recanti l’ordine di restituzione dei giorni erosi agli utenti delle somme indebitamente incassate in applicazione di una cadenza di fatturazione a 28 giorni, non sarebbe ancora stato definitivamente chiarito, sul piano sistematico, se l’“obbligazione ripristinatoria” debba essere adempiuta spontaneamente dal gestore, ovvero se in ogni caso l’operatività del meccanismo indennitario come declinato dall’Autorità nelle delibere gravate presupponga che spetti all’utente formulare apposita richiesta.
12– A tale riguardo, Telecom Italia S.p.A. rammenta che le delibere Agcom 112 e 269/18 avevano stabilito un obbligo di restituzione integrale della sovrafatturazione mediante l’applicazione del criterio dei giorni erosi, eventualmente utilizzando una modalità di adempimento frazionato su più fatture, ma al contempo stabilendo, nell’ultimo ritenuto della delibera 269/18, che “ resta ferma la possibilità per gli operatori di proporre ai singoli interessati soluzioni di compensazioni alternative, satisfattive del diritto di ristoro degli utenti… ” e che, sulla scorta di tale inciso, gli operatori avevano individuato modalità alternative all’immediato rimborso in fattura dell’indennizzo dovuto agli utenti, sostanzialmente rimettendo alla manifestazione di volontà dell’utente medesimo la scelta tra diverse opzioni (nel caso di Telecom Italia S.p.A. l’alternativa al rimborso puramente numerario era l’attivazione di uno o più servizi).
In tal senso verrebbe in soccorso la ricostruzione giuridica offerta dalle predette sentenze, volta a far ritenere le garanzie partecipative, massimamente considerate nei procedimenti sanzionatori, recessive laddove si tratti di regolazione o di conformazione destinata a fornire garanzie agli utenti, in presenza di un potere conformativo espressamente ritenuto sostitutivo della potestà di imposizione di obblighi di natura indennitaria, e quindi privo di contenuto sanzionatorio o afflittivo, che non impone agli operatori “ alcuna erogazione patrimoniale né in denaro, né in servizi, né in alcunché d’altro che non sia, da un lato, il mero riallineamento (ovviamente, d’ufficio) della cadenza mensile di fatturazione e, dall’altro, il conseguente conguaglio (sempre d’ufficio) per il disallineamento cagionato da una fatturazione a cadenza diversa ” contraddicendo in tal modo, sostiene l’appellante, la natura automatica della prestazione imposta a seguito delle delibere impugnate, così come confermato, si aggiunge, dalla circostanza che l’espressione “ indennizzo automatico ” non viene mai utilizzata nelle deliberazioni dell’Agcom impugnate ma compare per la prima volta solo nella delibera n. 269/18 in cui si parla di modalità “sostanzialmente” automatiche.
13- Ne conseguirebbe che, esclusa la tesi della natura sanzionatoria dell’indennizzo automatico (sia perché la sentenza nega che si tratti di un indennizzo in senso stretto, sia perché nega che si tratti di sanzione), non residuerebbe che quella della clausola penale, il cui effettivo esercizio non potrebbe mai prescindere da una segnalazione, richiesta o reclamo dell’utente a favore del quale è posta. Pertanto, a tutto voler concedere, l’aggettivo “automatico” riguarderebbe solo la predeterminazione quantitativa del danno, escludendo quindi ogni onere probatorio a carico dell’utente, ma non le modalità di sua concreta erogazione, implicanti una previa domanda di parte. Altrimenti, si conclude, l’intera vicenda dovrebbe configurarsi come l’applicazione di una sorta di pena privata, non contemplata da alcuna norma regolamentare, non prevista da nessuna clausola del contratto di servizio, imposta dall’Autorità in assenza di qualsivoglia adeguato supporto normativo primario legittimante una tale sostanziale potestas punitiva.
14 – Ai fini della decisione, le predette censure devono essere esaminate dal Collegio prendendo avvio dalla citata decisione della Corte di Giustizia dell’8 giugno 2023, in attesa della quale, come sopra ricostruito, il giudizio è stato rinviato proprio su richiesta della stessa appellante e senza opposizione delle altre parti in giudizio.
15 – Come sopra accennato, rispondendo ai quesiti posti dal Consiglio di Stato, il Giudice dell’Unione Europea ha affermato la conformità al diritto eurounitario della normativa interna, per la parte in cui attribuisce all’autorità nazionale di regolamentazione il potere di adottare una decisione che, da un lato, impone agli operatori di servizi di telefonia mobile di praticare una cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e una cadenza di fatturazione che non siano inferiori a quattro settimane e, dall’altro, impone agli operatori di servizi di telefonia fissa e di servizi ad essi collegati una cadenza di rinnovo di tali offerte e una cadenza di fatturazione su base mensile o suoi multipli, con riferimento agli articoli 49 e 56 TFUE, nonché all’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, paragrafo 2, lettera a), paragrafo 4, lettere b) e d), e paragrafo 5, lettera b), della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), nonché agli articoli da 20 a 22 della direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), in combinato disposto con i principi di proporzionalità e di parità di trattamento, a condizione che le due categorie di servizi di cui trattasi si trovino, alla luce dell’oggetto e dello scopo di detta normativa nazionale, in situazioni diverse.
16 – La Corte ha altresì chiarito che né la direttiva quadro né la direttiva servizio universale prevedono una completa armonizzazione degli aspetti relativi alla protezione dei consumatori (in tal senso, anche sentenza del 14 aprile 2016, Polkomtel, C-397/14). Ne consegue che non è escluso che una normativa nazionale possa attribuire all’Autorità nazionale di regolazione i poteri necessari a garantire una migliore trasparenza e una migliore comparabilità delle offerte commerciali e della fatturazione dei servizi di telefonia al fine di perseguire gli obiettivi previsti dalla direttiva quadro e di tutelare gli interessi dei consumatori.
Così come osservato dall’Agcom e dalle altre Associazioni costituite in giudizio, Il potere di disciplinare la cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e quella di fatturazione dei servizi di telefonia sulla cadenza di fatturazione è dunque ricondotto, in linea di principio, tra quelli di cui devono disporre le Autorità Nazionali di Regolazioni al fine di poter svolgere le funzioni e conseguire gli obiettivi assegnati dalla direttiva quadro.
17 – La decisione precisa che il potere esercitato dovrà essere proporzionato agli obiettivi perseguiti, oltre che esercitato nel rispetto del principio della parità di trattamento, come richiesto dall’articolo 8, paragrafo 5, lettera b), della medesima direttiva. A tale riguardo, pur indicando nella premessa che spetta al giudice del rinvio valutare i fatti del procedimento principale e interpretare la normativa nazionale, la Corte ha chiarito che per quanto concerne in particolare il principio di proporzionalità, di cui l’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, della direttiva quadro costituisce la concretizzazione, il rispetto di tale principio implica, in particolare, che la misura in questione sia idonea ad assicurare, in modo coerente e sistematico il conseguimento degli obiettivi perseguiti e che non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di tali obiettivi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti: in tal senso, sentenze del 20 marzo 2018, Menci, C-524/15, e del 2 marzo 2023, PrivatBank e a., C-78/21, Fastweb e a. (Cadenza di fatturazione).
18 - L’esercizio del potere di imporre una cadenza minima tanto per il rinnovo delle offerte commerciali quanto per la fatturazione dei servizi di comunicazione elettronica, viene ritenuto dalla Corte idoneo a rimediare alle criticità rilevate in occasione della consultazione pubblica che ha preceduto la delibera in questione. Infatti, la fissazione di una cadenza uniforme consente agli utenti finali di comparare le diverse offerte commerciali e di avere piena conoscenza degli oneri finanziari derivanti dai contratti loro proposti, di evitare di creare la parvenza di prezzi meno elevati derivante da un calcolo effettuato sulla base di un dato temporale inferiore a quello consolidato nella prassi, nonché di controllare la spesa generata dal servizio ricevuto. La decisione in esame ha chiarito che “ la normativa nazionale di cui al procedimento principale appare quindi idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito ”. La Corte ha pertanto affermato che misure oggetto della delibera in questione, adottate conformemente alla normativa applicabile, sono da ritenersi le meno restrittive per garantire in modo efficace la protezione dei consumatori rispetto alle criticità individuate dall’Agcom. Infatti, misure alternative quali la predisposizione di guide interattive o di un motore di calcolo volto a comparare le offerte commerciali sulla base del medesimo parametro temporale, potrebbero apparire inefficaci tenuto conto del considerevole numero di utenti in Italia che non possiedono smartphone o che non utilizzano Internet. La Corte ha così accolto le osservazioni svolte dal Governo italiano escludendo la maggiore efficacia delle ipotizzate misure alternative. In particolare, l’imposizione di un obbligo di pubblicare la proiezione del prezzo anche su base mensile potrebbe nuocere alla protezione dei consumatori, in quanto un tale obbligo rischierebbe di generare confusione sul contenuto effettivo delle clausole contrattuali relative alla cadenza di fatturazione.
19 - Come poi chiarito dalla Corte, le misure oggetto della delibera in questione non sembrano arrecare un pregiudizio eccessivo ai diritti e agli interessi degli operatori di servizi di telefonia, in quanto non pregiudicano la loro libertà di fissare il prezzo dei servizi e di proporre offerte commerciali con una cadenza superiore a quattro settimane. Di conseguenza, tali misure “ non sembrano causare inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti ”. Parimenti, nessun contrasto è ravvisato con gli articoli 20 e 21 della direttiva servizio universale né con l’articolo 22 di tale direttiva, che verte sulle informazioni sulla qualità dei servizi che le imprese che offrono reti e/o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico possono essere tenute a pubblicare.
20 – In conclusione, le statuizioni della Corte di Giustizia, chiarendo il fondamento normativo eurounitario dell’intervento regolatorio esercitato da Agcom attraverso la delibera 121/17/CONS – che costituisce il presupposto delle successive delibere impositive di misure di ripristino- ed escludendo la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità in danno degli operatori del settore –fra i quali spicca la società appellante- consentono di acclarare l’infondatezza dei profili di incompatibilità comunitaria sollevati dalla medesima società con l’appello in esame.
21 – Vero è che la medesima decisione ha attribuito al giudice del rinvio il compito di valutare i fatti del procedimento principale e di interpretare la normativa nazionale, e quindi di verificare la legittimità del potere esercitato sotto il profilo del diritto interno, e che su tale base Telecom Italia S.p.A., con le proprie memorie conclusionali e di replica, deduce che l’imposizione di una “obbligazione ripristinatoria” che debba essere adempiuta spontaneamente dal gestore, senza che sia necessaria un’apposita richiesta dell’utente per l’operatività del meccanismo indennitario, come declinato dall’Autorità nelle delibere gravate, comporterebbe l’applicazione di una sorta di “pena privata”, non contemplata da alcuna norma regolamentare, non prevista da nessuna clausola del contratto di servizio ed imposta dall’Autorità in assenza di qualsivoglia adeguato supporto normativo primario legittimante una tale sostanziale potestà punitiva.
22 – Peraltro, le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti confermano la fondatezza della giurisprudenza amministrativa, ampiamente citata da Agcom e dalle Associazioni costituite in giudizio e dalla quale il Collegio non ritiene di potersi discostare, che, in relazione all’analogo contenzioso attivato da altri operatori, ha ritenuto infondate le censure relative alla pretesa nullità o carenza di attribuzione del potere esercitato (sentenze del Consiglio di Stato, VI Sezione, nn. 879, 987 e 1368 del 2020, rese rispettivamente sugli appelli proposti da Vodafone, Fastweb e WindTre, come confermate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, all’esito dei ricorsi ex art. 111 c.p.a., con ordinanze nn. 33848/21, 26154 e 26165/22 e, in sede di ricorso per revocazione instaurato da Wind Spa, sentenza n. 3327/21).
23 - Infatti il Consiglio di Stato si è già pronunciato in via definitiva sulle delibere identiche a quella oggetto del giudizio in corso, adottate nei confronti degli altri operatori coinvolti nella medesima vicenda, confermando la legittimità dei provvedimenti adottati da Agcom per porre rimedio alla accertata violazione delle regole di trasparenza in danno dei consumatori, indipendentemente dal generale potere di “predeterminare” i casi di indennizzo automatico in favore degli utenti (commi 12, lettera g), e 20, lettera d), dell’art. 2 della legge n. 481/1995) alle conseguenze di una lesione specifica, ma estesa a tutti gli utenti, delle regole di trasparenza tariffaria del mercato, individuando gli strumenti operativi più adeguati, nella sua veste di Autorità pubblica garante del settore e alla luce della particolare rilevanza degli interessi affidati, con particolare riferimento alle regole di concorrenza del mercato e agli obblighi di protezione dei consumatori di derivazione comunitaria, nonché alla necessità di assicurare l’effettività di detta tutela.
Neppure alcun rilievo può essere attribuito, ratione temporis , al decreto legge n. 148 del 2017, richiamato dalla parte appellante, che ha successivamente esteso e disciplinato l’obbligo di cadenza mensile, già previsto per la telefonia fissa, anche ai contratti di telefonia mobile ed alle reti televisive al fine di garantire una maggiore uniformità di disciplina e di estendere la tutela della trasparenza ad una gamma più ampia di offerte commerciali.
24 - In tal senso, dunque, le sopra evidenziate censure circa le previste modalità di adempimento della disposta “obbligazione ripristinatoria” si risolvono solo nel soggettivo disappunto di una delle parti in giudizio per la scelta discrezionale legittimamente attivata dall’Autorità di regolazione, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e parità di trattamento, circa la modalità più idonea ai fini del ripristino di una condizione di mercato violata proprio dal comportamento della medesima parte, che ha peraltro operato in maniera sincrona con gli altri principali operatori di settore, i quali hanno già visto i loro ricorsi respinti dal Consiglio di Stato. Le stesse censure non possono pertanto trovare alcun tipo di accoglimento da parte di questo giudice, che deve respingere l’appello principale.
25 – Il rigetto dell’appello principale non fa, peraltro, venire meno l’interesse di Agcom alla definizione del proprio appello incidentale. Infatti la predetta Autorità, oltre a resistere all’appello principale, ha proposto appello incidentale non solo per contrastare l’ipotesi di un suo accoglimento, bensì al fine di riformare, per quanto di interesse, il capo della medesima sentenza del Tar che ha parzialmente accolto il ricorso avverso la delibera 499/17/CONS del 21 dicembre 2017, dichiarata illegittima con riferimento alla determinazione dell’importo della sanzione.
26 – In particolare, l’Agcom deduce le seguenti censure:
1) “ Errata individuazione della condotta illecita oggetto della sanzione ”. Il Tribunale amministrativo ha ritenuto la quantificazione viziata per avere l’Autorità applicato il massimo edittale di cui all’art. 98, comma 16, CCE, nella quantificazione (raddoppiata) risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 124/2017, entrata in vigore solo nel mese di agosto 2017.
Di qui la declaratoria di illegittimità della sanzione irrogata di € 1.160.000, corrispondente agli importi rideterminati dalla legge n. 124/2017, ed il relativo annullamento “con conseguente obbligo dell’Autorità di procedere alla rideterminazione dell’importo sulla base di quanto sopra considerato”.
Secondo l’Agcom il TAR avrebbe però, erroneamente, fatto riferimento a una violazione che si sarebbe “perfezionata” allo scadere dei novanta giorni concessi agli operatori dalla delibera n. 121/2017 ovvero il 22 giugno 2017 quando in realtà, come risulta dagli atti del procedimento sanzionatorio, l’Autorità avrebbe sanzionato l’operatore per la violazione della regola fissata dall’art. 3, comma 10, del Regolamento di cui alla delibera 252/16/CONS, come modificata dalla delibera 121/17/CONS, ovverosia per la violazione di una fattispecie generale ed astratta prevista dall’art. 3, comma 10, del citato Regolamento, la cui violazione comportava l’applicazione della sanzione amministrativa effettivamente comminata;
2) “ Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della l. n. 689/1981, dell’art. 98, comma 16, del D.Lgs. 259/2003 ”. Secondo Agcom, ricostruito l’illecito nei termini esposti con la prima censura, il TAR avrebbe dovuto considerare che, nel diffondere sul mercato offerte non conformi ai parametri fissati dal nuovo Regolamento, l’operatore aveva protratto nel tempo una condotta suscettibile di incorrere in una legge più sfavorevole, che prevedeva una sanzione più severa.
Non vi sarebbe pertanto stata alcuna violazione dell’art. 1 della Legge n. 689 del 1981 né del divieto di irretroattività ivi sancito, in quanto la commissione della violazione - ovvero la condotta posta in essere in violazione della delibera 121/17/CONS -non si sarebbe esaurita al 23 giugno ma sarebbe perdurata anche nell’ambito temporale di efficacia dello ius superveniens , avendo l’operatore telefonico piena consapevolezza del vigore del nuovo massimo edittale.
27 – Considera viceversa il Collegio che la sanzione applicata, originariamente prevista dall’art. 98, comma 16, del d.lgs. n. 259/2003, richiamato dall’art. 8 della delibera 252/16/CONS), è stata elevata nel massimo edittale, che è stato raddoppiato passando da euro 580.000 a euro 1.160.000 (importo applicato da Agcom) solo dall’art. 1, comma 43, della legge n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), con disposizione entrata in vigore il 29 agosto 2017.
Peraltro, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 689/1981, “ nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati ”. La sentenza appellata ha quindi esattamente annullato l’irrogazione di una sanzione immotivatamente parametrata al nuovo massimo edittale, atteso che la violazione, pur se protrattasi ulteriormente, si era perfezionata già nel mese di giugno 2017, allo spirare del termine concesso dall’Autorità agli operatori per l’adeguamento delle proprie offerte alle prescrizioni della delibera 252/16/CONS, come modificata dall’art. 2, comma 3, della delibera 121/17, in data, quindi, antecedente l’entrata in vigore della predetta modifica normativa.
28 – Anche il ricorso incidentale deve essere pertanto respinto, ferma restando la possibilità per l’Agcom, riconosciuta dalla medesima sentenza appellata, di sanzionare ulteriormente ogni eventuale ulteriore violazione compiuta successivamente al predetto termine.
29 –In presenza della duplice reiezione dell’appello principale e di quello incidentale, ai fini della decisione sulle spese del presente grado d’appello occorre fare riferimento al nodo centrale dell’odierno contenzioso, come esattamente evidenziato dalla appellata sentenza del TAR, secondo cui, al contrario di quanto dedotto dall’appellante, “ l’Agcom risulta istituita con indubbi poteri di regolazione, ex art.1 della Legge n.249 del 1997”.
Considera, infatti, il Collegio che l’adesione del nostro ordinamento giuridico al mercato comune dell’Unione Europea non può essere letta in contrasto con i principi fondanti di democrazia e legalità, tutela della persona, uguaglianza e giustizia sanciti dai tre primi articoli della nostra Costituzione, bensì in linea con il riconoscimento del ruolo della libertà d’iniziativa economica privata anche ai fini dello sviluppo della libertà e degli altri diritti inviolabili della persona e del diritto al lavoro (articolo 4 della Costituzione) nel rispetto dell’utilità sociale, della salute, dell’ambiente, della sicurezza, della libertà e della dignità umana secondo le previsioni dell’art. 43 della Costituzione, risultando pertanto essenziale l’esistenza di un libero mercato regolato, che dovrà rispondere ai predetti principi nell’ambito delle norme di armonizzazione dell’Unione Europea.
In tale contesto, le Direttive eurounitarie recepite dall’ordinamento nazionale attribuiscono alle Autorità nazionali Antitrust e alle Autorità nazionali di regolazione compiti di tutela, necessariamente “asimmetrica”, sia della concorrenza, nei confronti dei soggetti dominanti, sia dei consumatori, nei confronti dei fornitori professionali di beni e servizi (figurando l’appellante in entrambe le categorie) secondo previsioni (integrabili a livello nazionale per i profili non armonizzati) dedicate, in particolare, ai mercati (come quello in esame) caratterizzati da una particolare asimmetria informativa, ovvero da specifiche criticità, quali gli assetti proprietari della rete infrastrutturale nello specifico mercato della telefonia e della trasmissione dati fissa e gli assetti concessori di limitate bande di frequenze e la necessità di stazioni radio base e ripetitori nello specifico mercato della telefonia e della trasmissione dati mobile (vedendo entrambi i mercati una significativa presenza del gruppo societario appellante).
30 - Le leggi che istituiscono e disciplinano tali Autorità devono pertanto essere necessariamente interpretate nell’ambito del predetto quadro costituzionale ed eurounitario. Per quanto d’interesse ai fini della presente decisione, la legge n.249 del 1997 deve essere necessariamente inquadrata nell’ambito dell’attribuzione, nei termini predetti, di un effettivo potere generale di regolazione dell’Agcom. Come esattamente rilevato dalla sentenza appellata, “ anche al fine di garantire in concreto una tutela effettiva alla parte debole del rapporto contrattuale dei servizi di telefonia, ovvero all’utente del servizio” l’intervento di regolazione può pertanto comprendere adempimenti– aventi contenuto non sanzionatorio ma ripristinatorio delle posizioni giuridiche lese dalla violazione delle regole del libero mercato regolato di riferimento- automatici e generalizzati nei confronti di tutti gli utenti.
Le spese del presente grado di giudizio seguono, pertanto, la soccombenza riferita all’appello principale, nella misura che viene fissata in dispositivo e che Telecom Italia S.p.A dovrà liquidare pro quota in favore delle altre parti costituite.