Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-06-28, n. 201703171

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-06-28, n. 201703171
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703171
Data del deposito : 28 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/06/2017

N. 03171/2017REG.PROV.COLL.

N. 01790/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 1790 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio eletto presso lo studio Sergio Como in Roma, via G. Antonelli N. 49;

contro

Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Caserta, Questura Caserta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Direzione Investigativa Antimafia di Napoli non costituito in giudizio;
Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Rosaria Palma, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli, N. 29;

nei confronti di

Arlas in Liquidazione non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del TAR Campania - sez. I, n. 5815/2016.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Regione Campania e di Ufficio Territoriale del Governo Caserta e di Questura Caserta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2017 il Cons. F B e uditi per le parti gli avvocati Luigi Maria D'Angiolella e l'Avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso e motivi aggiunti proposti dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, -OMISSIS- domandava l’annullamento del provvedimento della Prefettura di Caserta cat.12b.16/ANT/

AREA

1 prot. 28774 del 2.5.2016, avente ad oggetto informativa interdittiva antimafia nei sui confronti, nonché degli atti presupposti e conseguenti.

A fondamento del ricorso e dei motivi aggiunti deduceva plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso la Prefettura di Caserta il Ministero dell’interno.

Con sentenza n. 5815/2016 il TAR rigettava il ricorso.

2. La sentenza è stata appellata da -OMISSIS-, che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.

Si sono costituiti per resistere all’appello la Prefettura di Caserta, il Ministero dell’interno, la Questura di Caserta il Ministero della Difesa, il Ministero dell'economia e delle Finanze.

La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 22 giugno 2017.

DIRITTO

1. La -OMISSIS- è una società di servizi a responsabilità limitata, operante nel settore della formazione professionale e finanziata da enti pubblici, tra cui la Regione Campania.

Il provvedimento interdittivo che l’ha colpita si fonda sulla seguente motivazione:

- -OMISSIS- è stato attinto da ordinanza di custodia cautelare per i reati di cui agli artt. 110 e 416-bis, comma 3 c.p.;
nonché artt. 81 cpv e 513-bis, comma 1 e 2, 353, commi 1 e 2 c.p., aggravati dall’art. 7 legge 203/1991 (delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo);

- “ fino al 23.7.2014 data di arresto di -OMISSIS- la società faceva capo alla moglie ed al figlio dello stesso ”;

- “ successivamente all’ arresto, la moglie ed il figlio di -OMISSIS- sono usciti dalla società che, allo stato, fa capo per l’80% a -OMISSIS- in qualità di amministratore unico e socio ”;

- “ -OMISSIS- risulta avere cointeressenze economiche con -OMISSIS-, figlio di -OMISSIS-, già amministratore unico della società -OMISSIS-nonché con lo stesso -OMISSIS- in altre società ”.

La società interessata ha impugnato detto provvedimento, lamentando che esso ruotasse intorno alla vicenda giudiziaria del sig. -OMISSIS-, privo di qualsiasi funzione al suo interno, essendo soltanto il padre del sig. -OMISSIS-, socio ed amministratore unico fino al 15.9.2014, nonché il marito della sig.ra -OMISSIS-, amministratrice per un breve periodo.

Pertanto ha dedotto le seguenti censure:

I. Violazione e falsa applicazione dell’art.7 e ss. l. n.241/1990 e s.m.i. – Violazione dell’art.82 e ss. Codice antimafia in quanto non vi sarebbe stata la necessaria previa instaurazione del contraddittorio;

II. Violazione degli artt.82 e ss. d.lgs. n.15972011 – Violazione artt.3,43,97. Cost. – Errore sui presupposti – Difetto di istruttoria – Assoluto difetto di motivazione in quanto non sarebbe stato adeguatamente considerata la totale estraneità dell’attuale amministratore ad ogni aspetto di rilievo ai fini del pericolo di infiltrazione mafiosa;

III. Stessa censura sotto diverso profilo in quanto sarebbe del tutto irrilevante il mero rapporto di parentela tra alcuni dei soggetti coinvolti nell’attività sociale e -OMISSIS-;

IV. Stessa censura sotto diverso profilo – Mancanza di attualità – Assoluto difetto di istruttoria – Errore sui presupposti in quanto mancherebbe il pericolo di un condizionamento attuale dell’attività d’impresa;

V. Stessa censura sotto diverso profilo – Assoluto difetto di istruttoria ed errore sui presupposti in quanto mancherebbero i presupposti per l’adozione del provvedimento gravato;

VI. Violazione e falsa applicazione Circolare Min. Interni 08/02/2013 n.11001/119/20 in quanto in quanto non si sarebbe tenuto conto dei provvedimenti giudiziari favorevoli intervenuti nei confronti di -OMISSIS-;

VII. Stessa censura sotto diverso profilo – Assoluto difetto di motivazione in quanto l’autorità prefettizia non avrebbe svolto una valutazione autonoma di fatti e circostanze;

VIII. Illegittimità propria – atipicità – Violazione dell’art.97 e art.3 della l. n. 241/1990 – Violazione DGR Regione Campania n. 242/2013 e relativi allegati – Illegittimità derivata per gli stessi motivi di cui alle censure precedenti in quanto l’atto della Regione Campania di sospensione ad horas dell’attività di formazione sarebbe illegittimo in via derivata;

IX. Illegittimità propria – Violazione dell’art.97 Cost. e art.3 della l. n. 241/1990 – Violazione DGR regione Campania n. 242/2013 e relativi allegati – Illegittimità derivata per gli stessi motivi di cui a tutte le censure che precedono in quanto non vi sarebbero i presupposti per negare l’accreditamento alla ricorrente e sarebbe mancata la comunicazione di avvio del procedimento.

Analoghe censure erano proposte con motivi aggiunti avverso gli atti istruttori.

Il T ha esaminato congiuntamente i motivi, respingendoli, sul postulato che gli elementi posti a fondamento del provvedimento impugnato denotassero un contesto familiare e relazionale, oltre che di cointeressanze economiche (rappresentate da un intreccio di partecipazioni societarie), assolutamente tipico e ricorrente nella criminalità di tipo camorristico-mafioso, nella quale, come è noto, la caratterizzazione economico-imprenditoriale costituisce un aspetto prevalente rispetto agli altri elementi costitutivi del sodalizio criminoso.

Il giudice di primo grado ha svolto un ragionamento unitario in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui gli elementi raccolti dall’interdittiva antimafia non vanno considerati separatamente, spettando all’interprete di stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Elemento centrale di questo ragionamento è il collegamento, affermato nell’ordinanza cautelare n. 370/2014 emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli, tra -OMISSIS- e la società ricorrente, riconducibile al medesimo.

La -OMISSIS- propone nove motivi appello per errores in judicando , violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 3 e 88 c.p.a., riproponendo le censure di primo grado e lamentando che la sentenza impugnata non le ha considerate ovvero correttamente valutate

2. I motivi di appello possono essere esaminati per gruppi omogenei.

2.1 Con il primo motivo di appello si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 241/90, poiché è mancata la comunicazione di avvio del procedimento. Il giudice di primo grado non ha esaminato questa censura.

Il motivo è infondato.

Nel procedimento volto all’adozione dell’interdittiva antimafia non è dovuta la comunicazione di cui all’art. 7 della legge 241/90, trattandosi di procedimenti intrinsecamente caratterizzati da “ particolari esigenze di celerità ”.

2.2 Con il secondo motivo di appello si deduce violazione degli artt. 82 e ss. d.lgs. 159/11;
violazione degli artt. 3, 27, 43, 97 Cost.;
errore sui presupposti, difetto di istruttoria, assoluto difetto di motivazione: l’analisi delle diverse figure citate nel provvedimento impugnato (-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-) e del rapporto tra -OMISSIS- e -OMISSIS- dimostra l’insussistenza dei presupposti della misura antimafia e la carenza di motivazione, poiché -OMISSIS-, la cui posizione peraltro è da rivalutare alla luce della revoca dell’ordinanza cautelare, non è utilmente collegabile alla società appellante, invece condotta da soggetti del tutto estranei alla criminalità organizzata.

Con il terzo motivo di appello si deduce violazione degli artt. 82 e ss. d.lgs. 159/11;
violazione degli artt. 3, 43, 97 Cost.;
errore sui presupposti, difetto di istruttoria, assoluto difetto di motivazione: l’ordinanza cautelare congettura ma non dimostra la riconducibilità della società a -OMISSIS- e tal riguardo gli intrecci societari valorizzati dall’Autorità amministrativa sono largamente insufficienti, riguardando le partecipazioni di altri familiari (rispetto a -OMISSIS- e -OMISSIS-) ed altre società (-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-), esercenti attività completamente diversa da quella -OMISSIS- Tali intrecci peraltro sono ricostruiti nella nota prefettizia prot. 53434 del 5.8.2016, versata nel giudizio di primo grado, e non già nel provvedimento impugnato, e comunque sottoposti a specifiche critiche, non esaminate dal T.

Con il quarto motivo di appello si deduce violazione degli artt. 82 e ss. d.lgs. 159/11;
violazione degli artt. 3, 43, 97 Cost.;
errore sui presupposti, difetto di istruttoria, assoluto difetto di motivazione, contraddittorietà manifesta con gli atti, sviamento: le modalità dell’istruttoria evidenziano l’intento persecutorio dell’Amministrazione, la quale, anziché ritenere esaustive (nel senso di escludere il sospetto di infiltrazioni mafiose) ben otto informative ricevute dagli organi investigativi, in data 4.12.2015 – e dopo la sospensione di un anno delle indagini – ha chiesto un ulteriore approfondimento delle informazioni a cura del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta “ in relazione all’ arresto di -OMISSIS-, socio di -OMISSIS- e -OMISSIS- nella società -OMISSIS- ”, così incentrando la misura interdittiva su aspetti diversi da quelli oggetto di istruttoria e non riferibili alla società interessata.

Con il quinto motivo di appello si deduce violazione degli artt. 82 e ss. d.lgs. 159/11;
violazione degli artt. 3, 43, 97 Cost.;
mancanza di attualità, difetto di istruttoria, errore sui presupposti: i fatti per cui -OMISSIS- risalgono al 2004/2005 e non ci sono elementi che acclarino l’attuale esistenza di un pericolo di condizionamento mafioso, posto che il medesimo versa in cattive condizioni di salute e i rapporti economici non rilevano per le ragioni già dette.

Con il sesto motivo di appello si deduce violazione degli artt. 82 e ss. d.lgs. 159/11;
violazione degli artt. 3, 43, 97 Cost.;
difetto di istruttoria, errore sui presupposti: la natura preventiva dell’informativa antimafia non può obliterare la necessità di svolgere un giudizio prognostico obiettivo, non fondato su mere congetture. Il T non ha risposto a questa critica.

Con il settimo motivo di appello si deduce violazione della circolare min. interni 8.2.2013 n. 11001/119/2: né l’Amministrazione, né il T, hanno tenuto conto delle decisioni giurisdizionali di assoluzione.

Con l’ottavo motivo di appello si deduce violazione degli artt. 82 e ss. d.lgs. 159/11;
violazione degli artt. 3, 43, 97 Cost.;
difetto di istruttoria, errore sui presupposti, assoluto difetto di motivazione: la Prefettura, cui compete il potere di interdittiva, ha recepito passivamente le risultanze degli organi investigativi, senza svolgere valutazioni autonome.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

La parcellizzazione delle censure, con scomposizione dei vari aspetti del provvedimento impugnato, ne snatura il significato, poiché il tema affrontato è sostanzialmente unitario. Anzi, l’esame isolato condurrebbe a una declaratoria di inammissibilità per difetto di interesse ad agire di quasi tutte le censure, perché l’accoglimento di ciascuna, singolarmente considerata, non sarebbe utile a far cadere il provvedimento impugnato.

In tal senso non è rimproverabile il ragionamento del T, che invece di polverizzare il giudizio, ha fissato la cornice complessiva in cui ha inserito tutti gli elementi significativi.

Il Collegio, però, ritiene che proprio questa cornice meriti una migliore ricostruzione.

Il ragionamento che conduce alla conclusione sull’esistenza o meno del pericolo di condizionamento mafioso è retto, come noto, dalla regola “più probabile che non”, il quale si definisce per distinzione con il principio b.a.r.d. (“al di là del ragionevole dubbio”), che dunque occorre sinteticamente definire.

È oramai invalso nel pensiero giuridico occidentale l’impiego nell’indagine giudiziaria – sia penale (Cass. pen. sez. un. 11 settembre 2002, n. 30328), che civile (Cass. civ. sez. un. 11 gennaio 2008, n. 58111) – del metodo popperiano, che postula la verifica dell’ipotesi attraverso procedimenti logici di conferma fattuale e falsificazione delle ipotesi alternative.

L’ipotesi raggiunge la soglia “al di là del ragionevole dubbio” quando sia l’unica in grado di giustificare tutti i risultati ottenuti nell’indagine, o comunque sia nettamente preferibile rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente esistente.

Il criterio di netta preferibilità si misura sull’esistenza di ipotesi alternative meramente astratte (come tali – per gli insanabili limiti della conoscenza umana – non escludibili in assoluto), laddove l’esistenza di spiegazioni divergenti, fornite di un qualche elemento concreto, implica un ragionevole dubbio.

È nell’area del ragionevole dubbio che si colloca il criterio del “più probabile che non”: ciò che lo connota non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’ evidence and inference .

In definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, ma al fine di ritenere provato un determinato fatto (nella specie il rischio di condizionamento mafioso, precisamente “ la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate ” ai sensi dell’art. 84, comma 3 d.lgs. 159/2013), gli è sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale.

Di questo ragionamento – ancorché in termini sostanziali, non potendosi pretendere da una pubblica amministrazione l’adozione delle categorie formali proprie dell’indagine giudiziaria – l’impugnata informativa ha fatto buon governo e il Collegio ritiene che la critica formulata nell’appello non coglie nel segno, proprio per la peculiarità del fenomeno mafioso.

La natura della criminalità di tipo mafioso è stata efficacemente descritta nelle pronunce della Corte costituzionale che hanno progressivamente cancellato le presunzioni di adeguatezza della custodia cautelare in cercare aggiunte dal legislatore a quella originaria, prevista in relazione al reato di cui all’art. 416-bis c.p., sottolineandone l’assoluta peculiarità. Per tutte valga la sentenza n. 164/11:

« Ciò premesso, questa Corte ha ribadito, nella citata sentenza n. 265 del 2010, che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit. In particolare, l'irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (sentenza n. 139 del 2010)».

Sotto tale profitto, ai delitti a sfondo sessuale allora in discussione non poteva estendersi la ratio giustificativa del regime derogatorio già ravvisata in rapporto ai delitti di mafia: ossia che dalla struttura stessa della fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche - legate alla circostanza che l'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un'adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice - deriva, nella generalità dei casi e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere (non essendo le misure «minori» sufficienti a troncare i rapporti tra l'indiziato e l'ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità) ».

Prosegue la Corte rilevando che la presunzione assoluta nel caso della violenza sessuale di gruppo, così come in quello dell'omicidio, non è rispondente a un dato di esperienza generalizzato, ricollegabile alla «struttura stessa» e alle «connotazioni criminologiche» della figura criminosa, non trattandosi di un « reato che implichi o presupponga necessariamente un vincolo di appartenenza permanente a un sodalizio criminoso con accentuate caratteristiche di pericolosità - per radicamento nel territorio, intensità dei collegamenti personali e forza intimidatrice - vincolo che solo la misura più severa risulterebbe, nella generalità dei casi, in grado di interrompere ».

Nel caso in esame l’informativa è incentrata su un soggetto (-OMISSIS-) a carico del quale sono stati ritenuti esistere gravi indizi di colpevolezza per il reato di concorso in associazione mafiosa, oltre che di reati satellite delitti commessi avvalendosi del metodo mafioso ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo. Tale valutazione non è stata smentita dalla revoca della misura cautelare, intervenuta con riguardo alle esigenze cautelari, né l’appellante cita quali sarebbero i provvedimenti giudiziari di assoluzione non considerati dal T (certo non riguardanti -OMISSIS-).

Da quanto osservato in precedenza in ordine alla peculiarità del fenomeno mafioso, la lontananza dei fatti contestati al medesimo di per sé non rileva, tenuto conto poi del contesto ambientale (territorio ad alta densità camorristica) in cui la vicenda si colloca.

Non è certo sulla posizione di -OMISSIS-, dunque, che l’appellante può giocare le sue carte.

Il punto su cui soffermarsi, dunque, è il ruolo che il medesimo ha svolto nella -OMISSIS-, ritenuto l’effettivo dominus tanto dall’Autorità amministrativa, quanto dal giudice amministrativo di primo grado.

Occorre però rammentare che tale giudizio è stato chiaramente espresso proprio dal G.i.p. di Napoli il quale ha ravvisato, se non proprio un’intestazione fittizia della società (il T cita un passaggio dell’ordinanza in cui si qualifica -OMISSIS- come un imprenditore, che gestisce l’attività tramite le società del gruppo familiare), la direzione della relativa impresa.

Lo standard di una misura cautelare personale è certamente più alto di quello che presiede all’informativa antimafia, il che, unitamente al consolidato enunciato del Consiglio di Stato secondo cui il giudice penale è il “signore del fatto”, lascia pochi spazi alla difesa.

Occorre altresì considerare che, in ordine alla rilevanza dei legami familiari, nella giurisprudenza della Sezione è costante l’affermazione che sul punto vanno evitate soluzioni aprioristiche, essendo detto rapporto il dato storico che forma la premessa minore di un’inferenza calibrata sulla regola (massima d’esperienza) secondo cui i vincoli familiari, espongono il soggetto all’influenza del terzo. Ma l’attendibilità dell’inferenza dipende anche da una serie di circostanze che qualificano il rapporto di parentela, quali, soprattutto, l’intensità del vincolo e il contesto in cui si inserisce.

Qui l’intensità del vincolo è assai forte, poiché amministratori dell’appellante sono stati il figlio e la moglie di -OMISSIS-, mentre il soggetto subentrato alla guida della società (-OMISSIS-) ha rapporti qualificati con il primo, all’interno della -OMISSIS-, essendo privo di rilievo sotto tale profilo che detta società non operi nel settore degli appalti pubblici.

I dati di corroborazione del pericolo di condizionamento mafioso ricavati dagli intrecci societari tra i diversi protagonisti (il -OMISSIS- e i componenti del gruppo familiare -OMISSIS-), oltre a non essere nuovi (ancorché non menzionati esplicitamente nell’informativa, emergono dagli atti dell’istruttoria), sono chiaramente indicativi del sistema di relazioni gravitante intorno a -OMISSIS-.

Conclusivamente, il Collegio ritiene che la prova del condizionamento raggiunga nel caso in esame la soglia della probabilità cruciale.

Alla luce di ciò appaiono incomprensibili le doglianze circa presunti intenti persecutori o sviamento di potere da parte dell’Amministrazione e sulla natura congetturale ed affidata al sospetto del giudizio prognostico posto alla base del provvedimento impugnato, nonché l’assunto che la decisione sarebbe solo formalmente riferibile alla Prefettura, avendo la stessa recepito supinamente le risultanze investigative.

2.3 Con il nono motivo di appello si deduce violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 della legge n. 241/90, violazione della DGR Campania n. 242/13;
illegittimità derivata del provvedimento 6.5.2016 della regione Campania di sospensione “ad horas“ delle attività formative: l’atto è illegittimo in via derivata dall’invalidità del provvedimento interdittivo e in via propria per omessa comunicazione di avvio del procedimento e difetto di motivazione.

Con il decimo motivo di appello si deduce violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 della legge n. 241/90, violazione della DGR Campania n. 242/13;
illegittimità derivata del decreto n. 156 del 17.5.2016 della Regione Campania recante l’elenco degli organismi non più accreditati in quanto “non hanno confermato il possesso dei requisiti richiesti per l’ erogazione dei servizi di Istruzione e Formazione Professionale”: l’atto è illegittimo in via derivata dall’invalidità del provvedimento interdittivo e in via propria per omessa comunicazione di avvio del procedimento e difetto di motivazione.

Le censure di illegittimità derivate cadono per quanto precede e quelle di illegittimità propria sono infondate, poiché i provvedimenti impugnati hanno natura urgente e sono meramente conseguenziali all’interdittiva antimafia.

3. L’appello è respinto.

Spese secondo soccombenza.

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