Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-12-10, n. 201406065

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-12-10, n. 201406065
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201406065
Data del deposito : 10 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03435/2014 REG.RIC.

N. 06065/2014REG.PROV.COLL.

N. 03435/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3435 del 2014, proposto da:
Casa di Cura Madonna del Rimedio S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. S P, M B, con domicilio presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Azienda Sanitaria Locale n. 5 di Oristano;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA – CAGLIARI, SEZIONE I, n. 00219/2014, resa tra le parti, concernente rideterminazione dei tetti di spesa per assistenza ospedaliera;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2014 il Cons. P U e udito per la parte ricorrente l’avvocato Porcu;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società appellante gestisce una struttura sanitaria accreditata per le prestazioni di ricovero, riabilitazione, lungodegenza, day service e attività ambulatoriale.

Per gli anni 2011 e 2012, in coerenza con la deliberazione della ASL 5 di Oristano n. 1056/2012, in data 29 dicembre 2012, ha sottoscritto con essa un contratto che prevede un tetto di spesa annuale pari a 10.000.058,45 euro, poi modificato in euro 10.000.249,74 con contratto in data 29 dicembre 2012.

Le prestazioni per il biennio predetto sono state remunerate dalla ASL.

Per il 2013, sulla base dell’autorizzazione di cui alla d.G.R. n. 51 del 28 dicembre 2012, ha sottoscritto con la ASL contratti in data 4 marzo 2012 (primo bimestre 2013) e 11 giugno 2013 (marzo-giugno 2013), comportanti la decurtazione dell’1,66% del tetto stabilito per l’anno precedente (decurtazione dovuta alle disposizioni sulla spending review, ex art. 15, comma 14, d.l. 95/2012, conv. in legge 135/2012, e d.G.R. n. 49/4 in data 17 dicembre 2012 e n. 51/21 in data 28 dicembre 2012). Quindi, su invito dell’ASL in data 15 luglio 2013, ha proseguito le prestazioni, fino a che la disciplina del contratto 2012 è stata prorogata a tutto il 2013 mediante deliberazione della ASL n. 728 in data 20 settembre 2013, previa autorizzazione di cui alla d.G.R. n. 33 in data 8 agosto 2013.

2. Con deliberazione n. 941 in data 22 novembre 2013, la ASL ha ridotto retroattivamente i tetti di spesa per il 2011, 2012 e 2013, a euro 9.750.000, ed ha disposto di recuperare mediante compensazioni le somme corrisposte in eccedenza.

La decurtazione è stata giustificata con richiamo della d.G.R. n. 2/21 in data 18 gennaio 2012, che, con riferimento al 2011 e 2012, aveva sostituito la d.G.R. n. 35/23 in data 28 ottobre 2010.

3. La ricorrente ha lamentato dinanzi al TAR Sardegna la lesione del legittimo affidamento e la violazione dei principi affermati, in tema di limiti dell’applicazione retroattiva dei tetti di spesa, dall’Adunanza Plenaria, con decisioni n. 8/2006 e n. 4/2012.

Il TAR Sardegna, con la sentenza appellata (I, n. 219/2014), ha respinto il ricorso, affermando che non si è trattato di rideterminazione retroattiva, ma di correzione per adeguare i limiti ai tetti vincolanti individuati da atti regionali in attuazione dei poteri di programmazione di cui all’art. 32, comma 8, della legge 449/1997, e che quindi la decurtazione appare coerente con i principi in materia di tutela dell’affidamento di fronte all’applicazione retroattiva dei tetti di spesa, affermati dalla giurisprudenza, poiché:

(a) - si è trattato esclusivamente di una correzione dei tetti in base alle vincolanti prescrizioni contenute negli atti di programmazione regionali;

(b) - la casa di cura avrebbe dovuto “ragionevolmente attendersi” dette riduzioni sulla base delle d.G.R., vincolanti per l’ASL, con le quali erano stati fissati i tetti di spesa per il 2012 e 2013;
pertanto, la lesione della ricorrente non deriva dal mancato rispetto dei principi giurisprudenziali in materia, bensì dalla naturale retroattività dell’annullamento d’ufficio, che comporta l’inefficacia sopravvenuta del contratto accessivo al provvedimento;

(c) - semmai, ha aggiunto il TAR, occorre valutare la legittimità dell’autotutela su provvedimenti presupposti di accordi contrattuali, ed in particolare se possa incidere anche sull’efficacia su detti accordi, soprattutto allorché il rapporto è ormai esaurito;
la base normativa va individuata, più che nell’art. 21-nonies, della legge 241/1990, nella specifica disposizione di cui all’art. 1, comma 136, della legge 311/2004, che concretizza nel triennio il termine ragionevole della previsione generale, così delineando un bilanciamento tra interesse pubblico ad evitare ulteriori esborsi basati su atti illegittimi e affidamento del privato basato sul contratto;
bilanciamento che, nel caso di specie, deve essere ritrovato nel rispetto dei limiti all’affidamento riconoscibile in capo alle strutture private accreditate nei rapporti con le ASL, così come ricostruiti dall’Adunanza Plenaria.

4. Nell’appello, viene lamentato che:

(a) - la d.G.R. presupposta non era stata né pubblicata (quindi non è nemmeno mai entrata in vigore), né notificata o comunicata all’appellante, né richiamata nei contratti a suo tempo stipulati, e pertanto la struttura non poteva “ragionevolmente attendersi” la riduzione del tetto;

(b) - in presenza della non conoscibilità delle disposizioni regionali, e di tetti diversi formalmente definiti, i principi affermati dall’Adunanza Plenaria con la decisione n. 4/2012, non potevano trovare applicazione;

(c) - nemmeno l’art. 1, comma 136, cit., può trovare applicazione, perché non c’è un indebito esborso di denaro pubblico conseguente all’illegittimità dell’atto da annullare, bensì prestazioni erogate e remunerate;
infatti, la ASL ben poteva assumere obbligazioni oltre i limiti, pagandole con risorse ulteriori (come quelle relative a fondi residui degli anni precedenti);
in realtà, non sono stati rimossi atti illegittimi, ma è stato disposto surrettiziamente un risparmio sulla spesa già sostenuta;

(d) - comunque, il comma 136, cit., prevede che il privato sia tenuto indenne dal pregiudizio patrimoniale derivante dall’autotutela ma ciò non è stato in alcun modo previsto dai provvedimenti considerati (anzi, si è contestualmente disposto il recupero di euro 157.373,27 per prestazioni già effettuate in eccedenza).

5. La ASL non si è costituita in appello.

6. Il Collegio ritiene condivisibile la prospettazione della società appellante.

La giurisprudenza di questo Consiglio – come, del resto, riconosciuto dalle parti oggi in causa – ha chiarito i limiti di tutela dell’affidamento delle strutture sanitarie private di fronte alla fissazione di tetti di spesa ad effetto retroattivo.

In sintesi, l’esercizio, con effetto ex tunc , del potere di programmazione per la fissazione di tetti di spesa sanitaria si deve svolgere in modo da bilanciare l’esigenza del contenimento della spesa con la pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie adeguate e, soprattutto, con l’interesse degli operatori privati ad agire con logica imprenditoriale sulla base di un quadro, nei limiti del possibile, certo e chiaro circa le prestazioni remunerabili e le regole applicabili. La tutela di tale affidamento richiede, pertanto, che le decurtazioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio e nel corso dell’anno. Più in generale, la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonché esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli (cfr. Cons. Stato, A.P., 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4).

Sono pertanto legittime le determinazioni regionali che fissano in corso d'anno, con effetto retroattivo dall'inizio dell'anno, tetti massimi di spesa con riguardo alle prestazioni sanitarie già rese dalle strutture private accreditate, posto che le strutture private, fino a quando non venga adottato un provvedimento definitivo di determinazione del tetto di spesa, ben possono fare affidamento sull’entità della spesa dell’anno precedente, diminuita dell'ammontare corrispondente alla quota di riduzione della spesa sanitaria stabilita dalle norme finanziarie per l'anno in corso (cfr., oltre ad A.P., n. 3/2012, da ultimo, III, 18 giugno 2013, n. 3327 e 8 luglio 2013, n. 3590).

Nel caso in esame non si controverte sulla legittimità dei tetti di spesa regionali, che non sono stati impugnati, ma soltanto delle deliberazioni con cui la ASL, in tardiva applicazione di essi, ha ridefinito in autotutela, retroattivamente, i tetti di spesa reiteratamente attribuiti alla struttura sanitaria e recepiti nei contratti stipulati per i diversi periodi. Ma le possibilità ed i limiti di tutela dell’affidamento della struttura accreditata sembrano essere gli stessi: in entrambi i casi, infatti, vi è un operatore che ha confidato sul mantenimento di tetti di spesa formalmente definiti e mai messi in discussione nei rapporti con la ASL, che ha erogato le prestazioni ricomprese nei tetti ed ha ottenuto i corrispettivi previsti, e che si è visto ridurre a posteriori l’entità dei tetti e dei relativi corrispettivi, in applicazione di una disposizione di programmazione regionale che assume di non aver conosciuto.

La ASL è vincolata dalle disposizioni di programmazione regionale, ma anche nei suoi confronti si impone, entro i limiti suddetti, la tutela dell’affidamento dell’operatore, il quale deve poter orientare le proprie scelte imprenditoriali sulla base di un dato certo e tendenzialmente stabile riguardo al volume delle prestazioni erogabili in regime di accreditamento e delle remunerazioni ottenibili con risorse pubbliche.

Detti principi sono ricordati anche nella sentenza appellata, ed il TAR ne ha tratto la conseguenza che la decurtazione retroattiva operata dalla ASL di Oristano sia legittima.

Tuttavia, il TAR ha omesso di considerare due ordini di circostanze, ad avviso di questo Collegio decisive:

(a) - la d.G.R. n. 2/21 del 2012, dalla quale la ASL di Oristano ha fatto discendere la necessità di ridurre i tetti dell’appellante, non ha operato una riduzione percentuale degli importi dei tetti prefissati, in applicazione di una disposizione di legge o in coerenza con una decisione programmatoria regionale, ma – a quanto è dato desumere dalla lettura del provvedimento, alla luce delle argomentazioni delle parti – dopo aver indicato nelle premesse che “ la domanda complessiva di prestazioni di ricovero è stata stimata tenendo conto anche della realtà dei diversi gruppi aziendali, optando per una assegnazione più equilibrata all’interno dei medesimi, in un’ottica di salvaguardia dei livelli organizzativi e di personale nonché degli effettivi servizi offerti al paziente, potenziando le Strutture laddove vi era stata una maggiore richiesta ”, ed aver puntualizzato le vicende concernenti altre strutture private operanti nella medesima branca – consistenti, a seconda dei casi, nell’adeguamento ai requisiti per l’accreditamento istituzionale definitivo, nella sospensione dell’attività, e/o nella ridefinizione del numero dei posti letto - ha operato una complessiva “ rimodulazione dei tetti di spesa dell’assistenza ospedaliera ” per il 2011 e 2012 con riferimento a tutte le strutture private operanti nella branca in questione.

Che si sia trattato, non di una decurtazione percentuale dei tetti preesistenti (risultanti dalla d.G.R. n. 35/23 del 2010), bensì di una vera e propria rimodulazione, trova conferma nella circostanza che il provvedimento non richiama alcun “taglio” legislativamente imposto, e che l’importo totale (102.000.000 di euro) che si evince dalla Tabella Allegata, è rimasto invariato rispetto a quello del 2010, mentre i tetti di alcune strutture sono aumentati, quelli di altre (tra le quali, la struttura della società appellante) diminuiti.

Tale circostanza impedisce di collegare la conoscenza dell’attesa decurtazione ad un fattore estrinseco, ma legalmente conosciuto, quale una disposizione legislativa.

(b) - la d.G.R. n. 2/21 del 20132, presupposta, non risulta essere stata né pubblicata sul BURAS (e può dunque perfino dubitarsi sia mai entrata in vigore), né notificata o comunicata all’appellante, né richiamata nei contratti a suo tempo stipulati, in modo tale da consentire di conoscere l’esistenza della rimodulazione – tali circostanze non sono state contestate in giudizio dalla ASL.

Anche le d.G.R. n. 49/4 del 2012 e n. 51/21 del 2012 (che disponevano le riduzioni percentuali - queste sì, disposte dalla legge - ma non quantificavano i tetti derivanti da tale riduzione), le quali richiamano in premessa la precedente d.G.R. n. 2/21, non risultano pubblicate, né la ASL in primo grado ha argomentato che fossero state portate individualmente a conoscenza dell’appellante.

Mentre i tetti di spesa che sono stati di volta in volta individuati, in occasione dei rinnovi o delle proroghe dei contratti, si sono sempre basati sul vecchio tetto derivante dalla d.G.R. n. 35/23 del 2010 (circa 10.000.000 di euro).

Pertanto, deve concludersi che la struttura appellante non poteva ritenersi a conoscenza della decurtazione operata, né direttamente né indirettamente.

Per effetto di queste circostanze, non può dunque affermarsi che la struttura dovesse “ragionevolmente attendersi” la riduzione disposta retroattivamente dalla ASL.

Viceversa, in base ai principi giurisprudenziali sopra ricordati, poteva legittimamente fare affidamento sull’ultimo tetto base, seppur diminuito per effetto delle riduzioni percentuali disposte successivamente.

Quanto all’applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge 311/2004, affermata dal TAR per legittimare l’autotutela operata dalla ASL di Oristano, è vero che il comma 136, cit., nel codificare l’unica ipotesi di annullamento d’ufficio per ragioni di pubblico interesse in re ipsa di provvedimenti che comportano un indebito esborso di danaro pubblico (cfr. TAR Puglia, I, 19 novembre 2012, n. 1953;
TAR Lombardia, III, 8 aprile 2013, n. 861), individua il punto di equilibrio tra il potere di annullamento d'ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e privati.

Ma ciò avviene attraverso: a) la fissazione di un parametro concreto, sotto forma di termine triennale - « L’annullamento … comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento …» - che prende il posto di quello indeterminato ed elastico individuato in via generale dall’art. 21-nonies, della legge 241/1990 (vale a dire, del “termine ragionevole”, espressione che lascia all’interprete il compito di individuarne la durata in concreto, in considerazione del grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il parametro costituzionale di ragionevolezza - cfr. TAR Toscana, I, 21 febbraio 2013, n. 263;
TAR Puglia, III, 13 gennaio 2012, n. 184);
b) la previsione che l’annullamento « … di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dell’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante …».

Ed il TAR ha omesso di considerare che, nel caso in esame, il termine triennale è stato rispettato, ma nessun indennizzo è stato previsto, e tanto meno erogato, a fronte del pregiudizio evidentemente derivante all’appellante dall’autotutela (consistente nel mancato introito delle somme esuberanti dal tetto di spesa ridotto per effetto dell’annullamento in autotutela, ed oggetto di restituzione/compensazione).

7. Per quanto esposto, l’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dei provvedimenti con esso impugnati.

In considerazione delle peculiarità della controversia e della novità di alcuni aspetti delle questioni trattate, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese.

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