Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-09-30, n. 202208418

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-09-30, n. 202208418
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208418
Data del deposito : 30 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/09/2022

N. 08418/2022REG.PROV.COLL.

N. 00293/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 293 del 2022, proposto dalla società cooperativa Cento, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F M e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Comune di Quartucciu, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via Nomentana, n.316;

nei confronti

del Fallimento Area Urbana società cooperativa edilizia, del Consorzio Sardo Cooperative delle Costruzion,i in liquidazione coatta amministrativa, del signor Cancedda Raimondo, non costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna (sezione prima) n. 766 dell’11 novembre 2021, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Quartucciu;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 luglio 2022 il consigliere Silvia Martino;

Uditi gli avvocati G M (per sé e su delega dell’avvocato Mauro Barberio) e P F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La cooperativa odierna appellante, con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Sardegna, esponeva che in data 13 settembre 1996, unitamente alla cooperativa Area Urbana e al Consorzio sardo cooperative delle costruzioni (CSC), aveva stipulato una convenzione con il Comune di Quartucciu in forza della quale il Comune aveva concesso alle cooperative il diritto di costruire e mantenere, sui terreni ivi indicati, rispettivamente n. 133, n. 132 e n. 164 alloggi di tipo economico – popolare e relativi servizi connessi con la residenza.

1.1. Le quote relative ai servizi connessi erano state così ripartite: cooperativa Cento e cooperativa Area Urbana 30%, CSC 40%.

1.2. Con successiva convenzione integrativa del 14 dicembre 2000, gli assegnatari avevano assunto l’obbligo di ultimare i lavori di sistemazione della via Nazionale in Quartucciu (fino alla concorrenza di £ 1.500.000.000), di realizzare opere aggiuntive, tra cui la copertura del canale “Is Curgianus”, e quelle di urbanizzazione secondaria.

1.3. Gli alloggi previsti in convenzione erano stati completati e trasferiti ai soci con atto di assegnazione.

Era stata altresì realizzata una parte dei servizi connessi con la residenza ma, secondo la ricorrente per responsabilità esclusiva del Comune di Quartucciu, le cooperative non avevano potuto completare né tali servizi né le opere di urbanizzazione secondaria.

1.4. Aggiungeva la ricorrente che la realizzazione dei servizi connessi - prevista in origine su area indicata in convenzione come lotto “AV” - su richiesta del Comune di Quartucciu alla quale le cooperative avevano acconsentito, avrebbe dovuto esser traslata in altra area, poiché l’Amministrazione aveva la necessità di avere la disponibilità di tale lotto che, in quanto adiacente ad altra area pubblica, serviva per realizzare un parco pubblico.

1.5. Il Consiglio Comunale aveva quindi provveduto ad approvare la traslazione dell’area con deliberazione n. 4 del 9 febbraio 2007.

Il Comune aveva peraltro modificato la “retinatura” delle planimetrie allegate alla delibera di approvazione in maniera tale che, secondo la ricorrente, nell’area di destinazione le cooperative non avrebbero potuto realizzare i servizi connessi.

La cooperativa Cento e la cooperativa Area Urbana avevano quindi fatto ricorso al T.a.r. che, con le sentenze n. 142 e n. 143 del 2011, aveva annullato la delibera n. 4 del 9 febbraio 2007.

1.6. Il Comune di Quartucciu aveva impugnato le sentenze di primo grado ma il Consiglio di Stato, con sentenza della Sezione IV n. 3764 del 12 luglio 2013, aveva rigettato l’appello.

1.7. A seguito di tali pronunce il Comune aveva deciso che le cooperative avrebbero dovuto realizzare i servizi connessi nel lotto “AV”, come era previsto in origine.

Il provvedimento era stato impugnato dalla ricorrente ma il relativo giudizio era stato definito dal con decreto di perenzione n. 75 del 10 giugno 2020.

1.8. Le cooperative Cento e Area Urbana, in data 9 febbraio 2017 avevano nel frattempo proposto al CSC, posto in liquidazione coatta amministrativa, l’acquisto della quota indivisa del 40% del diritto di superficie sulle aree destinate ai servizi connessi.

Tuttavia, con sentenza n. 148 del 20 ottobre 2017 era stato dichiarato anche il fallimento della cooperativa Area Urbana

1.9. La cooperativa Cento aveva pertanto deciso di acquisire da sola il diritto di superficie di cui era titolare la liquidazione del CSC, aggiudicandosi all’asta la suddetta quota, come da atto a rogito Notaio Galdiero del 5 dicembre 2017.

In data 12 dicembre 2017 i curatori del fallimento di Area Urbana avevano chiesto al giudice l’autorizzazione alla vendita della quota del diritto di superficie (pari al 30%) di cui era titolare la cooperativa medesima;
era stata quindi indetta una procedura competitiva alla quale la cooperativa Cento aveva partecipato aggiudicandosi anche tale diritto di superficie.

1.10. Successivamente la cooperativa aveva presentato la domanda di autorizzazione unica per realizzare i servizi connessi alla residenza nel lotto “AV”.

La domanda era finalizzata alla realizzazione di un centro commerciale in relazione al quale il Settore gestione del territorio del Comune di Quartucciu esprimeva, in seno alla Conferenza di servizi, parere negativo.

1.11. Avverso la determinazione negativa di conclusione della Conferenza di servizi, adottata dal S.U.A.P.E. (Sportello unico per le attività produttive ed economiche), la cooperativa articolava, mediante ricorso principale, quattro motivi di gravame (da pag.11 a pag. 34).

1.12. Mediante motivi aggiunti essa impugnava poi, sulla base di ulteriori sette mezzi di gravame, il provvedimento prot. 33336 del 20 dicembre 2018 con cui il Comune aveva negato la proroga triennale del PEEP “Le Serre”, richiesta ai sensi della legge n. 98/2013, per intervenuta decadenza del Piano medesimo.

2. Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa, il T.a.r. ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, compensando tra le parti le spese di lite.

3. L’appello è affidato ai seguenti motivi:

I. In primo luogo, la cooperativa appellante ha ribadito che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune, essa aveva già, all’epoca di cui si verte, la disponibilità di tutte le aree rientranti nel PEEP;
ciò in funzione sia della propria quota di titolarità del 30% del diritto di superficie del lotto “AV” sia dell’intervenuta aggiudicazione delle quote del CSC in liquidazione coatta amministrativa e del Fallimento della cooperativa Area Urbana (Rogito Notaio Galdiero del 5 dicembre 2017 e atto di aggiudicazione di vendita del diritto di superficie dell’11 gennaio 2018).

II. La modifica della sagoma delle opere in progetto non comporterebbe, in sede di rilascio del permesso di costruire, variazione del Piano attuativo;
nella fattispecie, inoltre, la localizzazione dell’intervento nel lotto “AV” sarebbe stata già definita con deliberazione del Consiglio Comunale n. 23/2014.

III. Il primo giudice non avrebbe poi attribuito il dovuto rilievo al mancato apporto collaborativo dell’Ente al fine di consentire alla cooperativa di poter correttamente e tempestivamente adempiere le proprie obbligazioni con riferimento all’ultimazione delle urbanizzazioni primarie, all’ edificazione delle strutture connesse alla residenza ed alla costruzione delle urbanizzazioni secondarie.

IV. Le urbanizzazioni secondarie non sarebbero state realizzate a causa della sopra richiamata vicenda giudiziaria della traslazione delle aree che ha impegnato le parti in un lungo contenzioso.

V. Viene pure contestato il rilievo del Comune circa la non ascrivibilità ai “servizi connessi alla residenza” del Centro commerciale in progetto.

L’art. 4 del c.d. decreto “Floris” recherebbe infatti, al riguardo, un’indicazione meramente esemplificativa.

VI. La delibera di Giunta n. 52/22 del 22 novembre 2017 citata dal Comune e la conseguente “ Direttiva riportante la specificazione dei dati dimensionali in materia di servizi strettamente connessi alla residenza ” introducono limiti dimensionali per le attività commerciali connesse alla residenza, sulla base di due presupposti:

- che (art. 5, comma 3 delle Direttive) tali limiti dimensionali si applichino solo ai piani attuativi approvati successivamente alla pubblicazione sul BURAS delle medesime direttive (e quindi non al ben più risalente piano di cui è causa), avvenuta ad agosto del 2018;

- che tali limiti rilevino (pag. 2 della delibera di Giunta) solo al fine dell’inquadramento dei servizi connessi alla residenza nella categoria urbanistica “residenza” di cui all’art. 11, comma 1, lett. a) della l.r. n. 23/1985.

VII. Anche il PEEP è un piano attuativo;
in quanto tale esso rientrerebbe, al pari del piano di lottizzazione, nell’ambito applicativo previsto dalla disposizione dell’art. 30, comma 3 - bis , del decreto legge n. 69/2013.

VIII. Il T.a.r. non avrebbe considerato che tale disposizione costituisce norma fondamentale di riforma economico-sociale.

IX. La decorrenza del periodo di validità ed efficacia del Piano di zona per cui è causa non avrebbe potuto avere data anteriore alla intervenuta sottoscrizione, in data 14 novembre 2000, della convenzione integrativa. L’appellante ha poi richiamato la giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui l’art. 30 comma 3 bis d.l. 69/2013 comporta anche la proroga dei piani attuativi presupposti alle convenzioni urbanistiche.

2.1. L’appellante ha riproposto, altresì, il contenuto dei motivi aggiunti articolati in primo grado.

3. Si è costituito, per resistere, il Comune di Quartucciu.

4. Le parti hanno depositato memorie rispettivamente in data 2 febbraio 2022 e 7 luglio 2022 (alle ore 17.28) il Comune, in data 7 febbraio e 21 giugno 2022 l’appellante.

5. Alla camera di consiglio del 10 febbraio 2022, su concorde richiesta delle parti, l’esame dell’istanza cautelare è stato differito all'udienza pubblica.

6. L’appello è stato infine assunto in decisione alla pubblica udienza del 28 luglio 2022.

7. In via preliminare, va dato atto del fatto che l’istanza cautelare non è stata più coltivata, dovendo ritenersi, pertanto, che ad essa l’appellante abbia rinunciato.

7.1. Va rilevata, altresì, la tardività e quindi la inutilizzabilità della memoria di replica depositata dal Comune in data 7 luglio 2022 alle ore 17.28.

Il deposito è infatti avvenuto in violazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, c.p.a. e 4, comma 4, disp. att. c.p.a., oltre le ore 12 dell’ultimo giorno utile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5767 del 2021;
in precedenza, n. 1841 del 2021).

Da tali disposizioni si evince che il deposito con il processo amministrativo telematico (PAT) è possibile fino alle ore 24.00 ma, se effettuato l’ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell’art. 73 c.p.a., ove avvenga oltre le ore 12 ( id est , l’orario previsto per i depositi prima dell’entrata in vigore del PAT), si considera - ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche - effettuato il giorno successivo, ed è quindi tardivo.

In sostanza, il termine ultimo di deposito alle ore 12 permane, anche all’indomani dell’entrata in vigore del PAT, come termine di garanzia del contraddittorio tra le parti e della corretta organizzazione del lavoro del collegio giudicante.

8. Poiché in appello è stato devoluto l’intero thema decidendum trattato in primo grado, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio esaminerà direttamente ed esclusivamente i motivi originari posti a sostegno del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado che perimetrano obbligatoriamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. (sul principio e la sua applicazione pratica, fra le tante, cfr. sez. IV, n. 1137 del 2020, n. 1130 del 2016, sez. V, n. 5868 del 2015;
sez. V, n. 5347 del 2015).

Da tale esame vanno peraltro esclusi, ai sensi dell’art. 104, comma 1, c.p.a., i profili di censura dedotti dalla parte appellante che, come eccepito dal Comune, non erano stati proposti in prime cure.

9. Giova anzitutto richiamare, in sintesi, le quattro ragioni poste alla base del provvedimento con cui il Comune ha negato il permesso per la costruzione del Centro Commerciale “Le Serre”:

a) mancanza di legittimazione alla realizzazione dell’intervento;

b) incompetenza dello Sportello unico per le attività produttive e per l’edilizia, sia in ragione della tipologia edilizia proposta, sia per mancanza di previo accordo con l’Amministrazione;

c) mancato rispetto degli obblighi convenzionali;

d) non conformità dell’intervento alla destinazione urbanistica poiché il centro commerciale in progetto non rientra nella categoria dei “servizi connessi alla residenza”.

10. Nessuna delle argomentazioni proposte dalla cooperativa appellante è in grado di scalfire la correttezza dei rilievi comunali.

10.1. In primo luogo, all’epoca di cui si verte l’appellante non aveva la piena disponibilità delle aree oggetto di intervento, essendo titolare del diritto di superficie sul lotto AV nella misura del 30%.

Per quanto riguarda le quote di pertinenza delle cooperative non più attive, erano sussistenti i soli atti di aggiudicazione del diritto di vendita del diritto di superficie, non assimilabili ad atti preliminari di compravendita.

10.2. Nemmeno è contestato il fatto che la tipologia edilizia stabilita dal PEEP fosse diversa da quella proposta per la realizzazione del centro commerciale e che sia la natura che la localizzazione del “servizio” da insediare non fossero stati previamente deliberati dal Consiglio comunale, unico organo competente in materia di approvazione dei piani urbanistici e relative varianti (cfr. l’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000).

10.3. Per quanto riguarda il mancato completamento delle opere di urbanizzazione primaria e la mancata realizzazione di quelle di urbanizzazione secondaria, anche in questo caso si tratta di una circostanza obiettiva, ammessa dalla cooperativa appellante e, comunque, risultante dal certificato di collaudo parziale del 30 dicembre 2003, prot.n. 17044.

Nel provvedimento impugnato viene in particolare sottolineato il fatto che in luogo del pagamento degli oneri convenzionali le cooperative si erano obbligate a realizzare le opere di urbanizzazione, con la conseguenza che la mancata realizzazione di tali opere “ non consente il rilascio di permessi per la costruzione di ulteriore volumetrie, sia per il mancato pagamento di quanto pattuito che per evitare ulteriori carichi urbanistici su un’area su cui è necessario completare le opere di urbanizzazione ”.

Quanto all’imputabilità, sul piano soggettivo, di tale inadempimento, trattasi di questione che esula dall’oggetto del contendere e che non elide il fatto obiettivo dello squilibrio del Piano e dell’insufficienza dei servizi e delle infrastrutture destinati a rendere vivibile il nuovo quartiere.

10.4. Circa la natura dei “ servizi strettamente connessi con la residenza ” che avrebbero dovuto essere realizzati nel lotto “AV”, si osserva quanto segue.

10.4.1. Secondo la l.r. n. 23 del 1985, come modificata dalla l.r. n. 11 del 2017, sono servizi “ strettamente connessi alla residenza gli usi ad essa complementari, destinati a garantire la qualità dell'abitare e lo sviluppo individuale e collettivo dei cittadini. Hanno tale destinazione gli edifici e le aree presenti nelle zone urbanistiche omogenee A, B e C e all'interno dei centri rurali, destinati a studi professionali, attività commerciali, artigianali, turistico-ricettive, di ristorazione, socio-sanitarie e uffici in genere. Non sono servizi connessi alla residenza i servizi pubblici o gli spazi pubblici o riservati ad attività collettive, a verde pubblico, a parcheggio, la cui dotazione deve essere garantita, nel rispetto delle vigenti disposizioni, in sede di pianificazione. La dotazione minima di servizi strettamente connessi alla residenza da assicurare nella formazione dei piani attuativi è pari al 5 per cento del volume complessivamente previsto dal piano attuativo ” (comma 2).

È bene sottolineare che, anche nella versione previgente della l. n. 23 del 1985, la categoria funzionale dei “ servizi strettamente connessi alla residenza ” (art. 11, comma 1, lett. a) era distinta da quella “ direzionale, commerciale e sociosanitaria ” (art. 11, comma 1, lett. d).

In precedenza, l’art. 4 del decreto assessorile n. 2266-U del 1983 – vigente all’epoca dell’approvazione del PEEP e della stipula della convenzione di cui trattasi – nel dettare i limiti di densità edilizia per le diverse zone omogenee degli strumenti urbanistici, aveva poi esplicitamente incluso tra i “ servizi strettamente connessi con la residenza ”, sia pure in via esemplificativa, i “ i negozi di prima necessità, gli studi professionali, i bar e le tavole calde ”.

Secondo la delibera di G.R. n. 52/22 del 22 novembre 2017, hanno tale destinazione “ unicamente i locali presenti nelle zone urbanistiche omogenee A, B e C, e all'interno dei centri rurali, destinati a:

a) studi professionali (locali dove si esercita una professione subordinata all'iscrizione in albi/ordini/collegi professionali, ecc), di superficie utile netta non superiore a 400 mq;

b) attività commerciali aventi superficie non superiore al doppio della superficie degli esercizi di vicinato definita dall'articolo 4 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività commerciali), e pertanto aventi superficie di vendita non superiore a 300 mq nei comuni con popolazione residente sino a 10.000 abitanti e a 500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti o ricompresi nella città metropolitana ;

c) attività artigianali e socio-sanitarie, compresi ambulatori per persone e/o animali, di superficie utile netta non superiore a 500 mq ;

d) attività di ristorazione e uffici in genere di superficie utile netta non superiore a 400 mq;

e) attività turistico-ricettiva classificabile "alberghiera" ai sensi delle vigenti norme sul turismo, avente superficie utile netta (comprensiva di tutti gli ambienti costituenti l'attività, quali posti letto, servizi igienici, spazi per la preparazione e il consumo dei cibi, spazi di relazione e spazi comuni) non superiore a 500 mq .” (comma 1).

10.4.2. Le norme regionali primarie e quella secondarie che si sono succedute in materia di categorie funzionali urbanisticamente rilevanti e destinazioni d’uso evidenziano una sostanziale continuità poiché fanno tutte riferimento alla complementarità dell’attività da insediare rispetto all’uso residenziale.

In tale ottica, è quindi irrilevante che le disposizioni modificative del comma 2 dell’art. 11 della l. r. n. 23 del 1985 all’epoca di cui trattasi non fossero ancora entrate in vigore (in quanto collegate dall’art. 43, comma 2, della medesima legge, alla “ specificazione dei dati dimensionali individuati con direttiva approvata dal Consiglio regionale, previa deliberazione della Giunta regionale, e resa esecutiva con decreto del Presidente della Regione ”, quest’ultimo intervenuto solo in data 9 agosto 2018), ovvero che l’art. 5, comma 3, della direttiva regionale del 2017 precisi che i limiti dimensionali di nuova introduzione non possano applicarsi ai piani attuativi già approvati prima della sua entrata in vigore.

Anche in precedenza, infatti, un centro commerciale non poteva essere fatto rientrare tra i servizi “strettamente” complementari alla residenza, essendo ben diverso l’impatto urbanistico delle due categorie funzionali.

In tal senso la legislazione urbanistica delle Regione Sardegna risulta in linea con le norme statali (cfr. l’art. 23 – ter del d.P.R. n. 380 del 2001).

11. Con il provvedimento oggetto dei motivi aggiunti articolati in primo grado, il Comune ha poi negato l’applicazione della proroga prevista dall’art. 30, comma 3 – bis del d.l. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni, dalla l. n. 98 del 2013, secondo cui “ Il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all’art. 28 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sono al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni ”.

11.1. Il T.a.r. ha respinto le censure dell’odierna appellante, facendo rilevare che la disciplina invocata dalla cooperativa “ non ha prorogato espressamente anche la validità e quindi l’efficacia dei Piani di Edilizia Economica e Popolare, disciplinati dalla legge n. 865 del 1971, che peraltro hanno una durata più lunga (18 anni) connessa all’efficacia dei relativi vincoli espropriativi

Poiché la disciplina in questione ha natura derogatoria “ la sua interpretazione deve essere rigorosa e si deve, quindi, ritenere che la sua applicazione non possa estendersi anche a fattispecie diverse in essa non espressamente richiamate ”.

Inoltre, “ non potendosi ritenere prorogata per legge (per quanto si è sopra rilevato) l’efficacia della convenzione riguardante il Piano di Edilizia Economica e Popolare in oggetto, è del tutto irrilevante la questione riguardante la data dalla quale far decorrere i 18 anni di vigenza del Piano di zona: se cioè dalla prima convenzione sottoscritta il 13 settembre 1996 o dalla convenzione integrativa sottoscritta il 14 novembre 2000, essendo comunque oramai decorso il termine massimo (di 18 anni) di efficacia del Piano ”.

11.2. Il rilievo concernente l’inapplicabilità della proroga ai Piani di edilizia economica e popolare e, correlativamente, alle convenzioni accessive alla concessione del diritto di superficie, disciplinate dall’art. 35 della l. n. 865 del 1971), merita conferma.

La Sezione ha infatti più volte osservato che il carattere eccezionale della disposizione non consente interpretazioni estensive o analogiche (cfr., ex multis , le sentenze nn. 4357 del 2022, 2544 del 2022, 8366 del 2021).

La proroga non lascia alcun margine di valutazione discrezionale, sicché l’interpretazione più aderente al dato letterale è anche quella più conforme all’esigenza di rilievo costituzionale di contenere entro quanto strettamente necessario, alla stregua della valutazione compiuta dal legislatore nazionale, la compressione dell’autonomia costituzionalmente garantita ai Comuni nella disciplina dell’assetto del proprio territorio.

11.3. Va soggiunto che, ai fini dell’applicazione dell’art. 30, comma 3 – bis del d.l. n. 69 del 2013, la durata della convenzione e/o il termine di esecuzione dei lavori non devono essere già decorsi al momento dell’entrata in vigore del regime di proroga automatica;
diversamente opinando si avrebbe un’applicazione (retroattiva) della norma ai rapporti esauriti, in contrasto con la relativa previsione.

Pertanto – quand’anche trovasse applicazione la proroga in esame – nella fattispecie andrebbe considerato che, al momento dell’entrata in vigore della l. n. 98 del 2013, l’efficacia del Piano “Le Serre” era già venuta meno.

Secondo l’art. 9 della l. n. 167 del 1962 (come modificato dall’art. 51 della l. n. 865 del 1971), la durata dei Piani di zona è pari a 18 anni dalla data di approvazione la quale, nella fattispecie, risale al 29 aprile 1993.

Inoltre, alla medesima data era ormai scaduto anche il termine per il completamento delle opere di urbanizzazione, fissato dalla convenzione (art. 7) in sei anni dal rilascio della concessione edilizia, avvenuto il 19 dicembre 1996.

12. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, secondo i criteri di cui all’art. 26, comma 1, c.p.a., ed i parametri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi