Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-04, n. 201907531

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-04, n. 201907531
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907531
Data del deposito : 4 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/11/2019

N. 07531/2019REG.PROV.COLL.

N. 00412/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 412/2017, proposto dalla ATI - Advanced Telecommunications and informations s.r.l. in fallimento, corrente in Milano, in persona del curatore fallimentare pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti D S e M M, con domicilio eletto in Roma, via A. Gramsci n. 14,

contro

il Ministero dello sviluppo economico - MISE, il Ministero dell’ economia e delle finanze - MEF e l’Ispettorato territoriale per la Lombardia del MISE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e

nei confronti

– della Fondazione Ugo Bordoni , con sede in Roma, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Sanino, Fabrizio Viola e Paola Salvatore, con domicilio eletto in Roma, v.le Parioli n. 180,
– della Multimedia San Paolo s.r.l., corrente in Alba (CN), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avv. Massimo Letizia, con domicilio eletto in Roma, via di Monte Santo n. 68 e di
– Tele Sol Regina s.r.l., Primantenna s.r.l., DI.TV s.r.l. e GRT Tv s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sez. I, n. 6234/2016, resa tra le parti e concernente i titoli per l'esercizio della radiodiffusione televisiva, l’assegnazione di radiofrequenze per tal radiodiffusione e le misure compensative per il volontario rilascio di frequenze;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei Ministeri intimati, della Fondazione Ugo Bordoni e di Multimedia San Paolo s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica dell’8 novembre 2018 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Mossali, Letizia e Sanino e l'Avvocato dello Stato Stigliano Messuti;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – La Advanced Telecommunications Informations - ATI s.r.l., corrente in Milano ed ora soggetta a fallimento, dichiara d’esser concessionaria fin dal 2007 all’esercizio di radiodiffusione privata sonora in ambito locale a carattere commerciale e di esercire due emittenti radiofoniche locali nel territorio regionale della Lombardia.

A sua volta, la GET s.r.l., corrente in Milano, era fin dal 1982 titolare di concessione per l’impresa televisiva denominata Più Blù Lombardia e, nelle more dello switch-off alle trasmissioni con tecnica digitale terrestre, chiese il rilascio dell’autorizzazione generale per l’esercizio di attività televisiva in ambito locale e con detta nuova tecnologia.

La GET s.r.l., tra l’altro, era titolare del canale 69UHF, allora esercito dall’impianto sito in Cassano Magnago (VA), alla via Venegoni e regolarmente censito ai sensi dell’art. 32 della l. 6 agosto 1990 n. 223. Accadde che nel 2008 la GET s.r.l. aveva convenuto innanzi al Tribunale di Como la Studio TV s.p.a. per questioni interferenziali. In quella sede, il CTU dott. G effettuò una sorta di sperimentazione che coinvolse vari impianti, tra cui quello inerente al canale 69UHF di Cassano Magnago. In pratica, il CTU autorizzò la disattivazione di tal impianto e la contestuale attivazione del canale 69UHF sulla postazione sita in Milano, alla via Stamira d’Ancona n. 24/3.

Intervenne tuttavia la nota del 21 maggio 2010, trasmessa al CTU ed al MISE, con cui l’Ispettorato territoriale TLC per la Lombardia, ribadendo la propria competenza alla soluzione di problematiche interferenziali, il parere negativo nei riguardi di tal spostamento sperimentale, affermando anche e l’illegittimità di alcuni impianti coinvolti. Invero, gli impianti operanti in virtù di provvedimenti giudiziali erano riconosciuti dal MISE solo a fronte del parere tecnico positivo del competente Ispettorato territoriale, stante la competenza esclusiva del Ministero sulla risoluzione di tutte le questioni interferenziali e degli interventi sugli impianti.

2. – Nel frattempo, la ATI s.r.l. aveva acquistato dalla GET s.r.l., con scrittura privata registrata il 28 settembre 2009, il canale 69UHF in una con l’impianto di Cassano Magnago, al fine di svolgere l’attività di operatore di rete per la radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri in ambito locale in tecnica digitale ed ottenere, in esito all’ormai sopraggiunto switch-off nel territorio regionale della Lombardia, un’autonoma frequenza digitale.

Di tal cessione la GET s.r.l. diede notizia alla P.A. il successivo 20 ottobre. È solo da soggiungere che la GET s.r.l., nello stesso anno e oltre alla ATI s.r.l., a ridosso dello switch-off aveva ceduto altri impianti a soggetti di nuova costituzione (DVBCOM s.r.l., UNITEDCOM s.r.l., I.M.C.), allo scopo d’ottenere nuove frequenze digitali ed aspirare quindi al rilascio di nuovi diritti d’uso. Ma tutto ciò, a quanto pare, senza esito, tant’è che le imprese citate non ottennero alcun’autonoma frequenza e l’area di servizio da esse coperte fu considerata in capo solo alla loro dante causa.

2.1. – Dopo l’acquisto de quo , la ATI s.r.l. propose all’allora Ministero delle comunicazioni la DIA del 17 settembre 2009 al fine d’ottenere, ai sensi dell’art. 25, co. 4 del D.lgs. 1° agosto 2003 n. 259 (CCE) il titolo generale ai fini dell’esercizio di operatore di rete in chiaro per la radiodiffusione televisiva, su frequenze in ambito locale ed in tecnica digitale terrestre.

Dell’acquisto la ATI s.r.l. diede notizia al MISE (che nel frattempo aveva assorbito il Ministero delle comunicazioni) con la missiva del 30 settembre 2009, subentrando così nella concessione del canale 69UHF. Il successivo 4 novembre, l’acquisto fu comunicato pure all’AGCOM ai fini del controllo delle concentrazioni, ai sensi della delibera n. 646/06/CONS.

Fu diramato l’invito dell’Autorità stessa per la convocazione di tavoli tecnici per l’Area tecnica 3 in vista della migrazione delle trasmissioni televisive locali ( switch off ) al digitale terrestre, previsto in Lombardia a novembre 2010. In quel contesto, il 6 maggio 2010 la ATI s.r.l. comunicò al MISE l’elenco dei suoi impianti operanti sul canale 69UHF, a suo dire senza obiezioni di sorta da parte di detto Ministero. A seguito della richiesta di aggiornare il catasto delle sue frequenze, con missiva del 23 novembre successivo, detta Società rese noto al MISE di trasmettere anche dall’impianto sito in Milano, alla via Stamira d’Ancona e mai assegnato a terzi. Essa ritenne così l’esercizio della sua attività da tal impianto milanese legittimo e compatibile con il quadro radioelettrico derivante dal passaggio al DT nell’Area tecnica 3 e dichiarando di volerne continuare l’uso.

2.2. – Intervenne però la nota prot. n. 2238 del 21 febbraio 2011, con cui l’Ispettorato territoriale per la Lombardia comunicò alla ATI s.r.l., in base a quanto riferito dalla D.G. Pianificazione e gest. SREL, che essa non era risultata destinataria di diritti d’uso per frequenze nell’Area tecnica 3 e non aveva ottenuto altre autorizzazioni, ordinandole la disattivazione dell’impianto in questione.

Invero, la ATI s.r.l. non poté ottenere il diritto d’uso per l’impianto milanese, avendo avuto a tal riguardo non già una frequenza analogica da convertire in digitale al momento dello switch-off , ma solo l’utilizzo di detta frequenza disposta dal CTU nominato dal Tribunale di Como e, comunque, mai definita dall’AGO e mai autorizzata dal MISE o dai suoi Uffici territoriali.

Avverso tal statuizione la ATI s.r.l. col ricorso NRG 816/2011, insorse avanti al TAR Milano che, con ordinanza n. 599 del 7 aprile 2011, ne accolse la domanda cautelare, quantunque tal ricorso poi fosse stato trasferito per competenza al TAR Lazio, ove assunse il NRG 1477/2014.

3. – Nelle more di quel giudizio, l’art. 1, co. 9 della l. 13 dicembre 2010 n. 220 stabilì l’attribuzione agli operatori locali di misure economiche compensative « finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze di cui » ai canali da 61 a 69 UHF (le frequenze in banda 790/862 MHz). Tanto perché dette frequenze sarebbero poi dovute servire (a partire dal 1° gennaio 2013) ad operatori di telefonia vocale mobile, aggiudicatari dei diritti d’uso delle stesse frequenze a seguito dell’asta per la c.d. “ banda larga ”.

In attuazione del citato art. 1, co. 9, fu emanato il decreto 23 gennaio 2012 (in GU 29 febbraio 2012 n. 50) del Ministro dello sviluppo economico di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze ove fu stabilito in particolare che fosse più utile per l’interesse pubblico incentivare la restituzione di frequenze reimpiegabili in aree di estensione non inferiore alla Regione. L’art. 2 di tal decreto previde l’ammissione alla procedura incentivante, tra gli altri, degli operatori di rete in possesso di diritto d'uso in ambito «… pluriprovinciale, provinciale o limitati all'area di servizio di singoli impianti che, tramite costituzione di una intesa, chiedano il volontario rilascio di una medesima frequenza, assegnata in via provvisoria, in modo che la sommatoria delle loro coperture sia equivalente all'arco di copertura dell'intera regione …».

Ora, risultò che il can. 69UHF fosse stato assegnato anche all’emittente Tele Sol Regina s.r.l. per l’uso in un bacino d’area all’interno del territorio provinciale di Brescia. Sicché, volendo sia la ATI s.r.l. che quest’ultima Società restituire la frequenza de qua , entrambe parteciparono alla procedura incentivante, previa sottoscrizione di un’intesa tra loro. Tuttavia, con nota prot. 62034 del 6 agosto 2012, il MISE comunicò loro il rigetto dell’istanza di partecipazione in quanto la ATI s.r.l. «… non risulta titolare di alcun diritto d'uso e l'utilizzo del ch 69 Uhf è stato attribuito da provvedimento della magistratura, non oggetto di volontario rilascio… (onde) … l'intesa stipulata con la società Telesolregina S.r.l. non può essere considerata valida …». Il successivo giorno 7, il MISE pubblicò l’elenco delle emittenti ammesse alla restituzione volontaria delle frequenze, nel cui novero, con riguardo al territorio della Regione Lombardia, risultò sì inclusa la Tele Sol Regina s.r.l. —seppur abbinata all’emittente La 10 , anche essa questa fosse abilitata all’uso del canale 69UHF nel Veneto —, ma non anche la ATI s.r.l. Quest’ultima impugnò l’elenco citato e la nota MISE n. 62034/2012 avanti al TAR Lazio, col ricorso NRG 6801/2016, deducendo vari profili di censura ed ottenendo poi una misura cautelare.

4. – In base all’art. 4 del DL 31 marzo 2011 n. 34 (conv. modif. dalla l. 26 maggio 2011 n. 75), fu fissato al 30 giugno 2012 il termine per definire, da parte del MISE ed in relazione a detto switch-off al digitale terrestre, l'assegnazione dei diritti d’uso sulle frequenze RTV nel rispetto dei criteri e delle modalità ex art. 1, commi 8/12 della l. 220/2010, predisponendo, per le frequenze in ambito locale e per ciascun’area tecnica o Regione, una graduatoria dei soggetti legittimamente abilitati alla trasmissione radiotelevisiva in ambito locale, che ne facessero richiesta e non furono destinatari di misure compensative.

Con l’art. 17, co. 3 della delibera n. 353/11/CONS del 23 giugno 2011, l’AGCOM dispose che «… agli operatori di rete televisiva in ambito locale si applicano, ai fini dell’assegnazione a regime dei diritti di uso delle frequenze per ciascuna area tecnica o Regione, le disposizioni recate …» da detto art. 4 del DL 34/2011. Il successivo art. 19 previde a sua volta che «… al fine di assicurare la massima efficienza dell’uso delle frequenze ed il maggior grado di pluralismo del sistema televisivo locale, i soggetti legittimamente abilitati… operanti in una stessa regione possono raggiungere tra loro intese al fine di richiedere nell’ambito delle procedure di selezione di cui all’articolo 4 del decreto-legge… n. 34, l’assegnazione per i rispettivi blocchi di diffusione del diritto d’uso della stessa frequenza nelle aree precedentemente servite …». In particolare, i bandi consentirono ai «… soggetti legittimamente operanti in zone sovrapponibili, in una stessa regione, tramite costituzione di una società consortile o intesa, con impegno a costituire entro 10 giorni dalla pubblicazione della graduatoria… (di) … presentare una unica domanda volta all’assegnazione alla suddetta società di una frequenza condivisa …» e, allo scopo di favorire, tali aggregazioni, previde per esse un punteggio più alto che non per le domande singolari. E la ATI s.r.l., essendo rimasta l’unica ad usare il canale 69UHF nel territorio regionale lombardo, assume d’aver concluso accordi con altri operatori locali e d’esser pronta a partecipare con questi ultimi alla procedura di cui a tal art. 4.

Intervenne così (in GU, 5° s. spec. n. 103 del 5 settembre 2012) la determina del Direttore generale per i SCER del MISE, recante il bando relativo al territorio della Lombardia, per il quale destinò sì alla banda larga in mobilità i canali televisivi compresi tra il 61 e il 69UHF, ma non consentì siffatte aggregazioni.

Dal che la nuova adizione del TAR Lazio, da parte di detta Società e col ricorso NRG 9947/2012, con cui impugnò anzitutto il decreto testé citato e con i successivi tre atti per motivi aggiunti le graduatorie via via emanate, ove essa si collocò sempre in posizione non utile per godere della riassegnazione del canale 69UHF.

5. – Con sentenza n. 6234 del 30 maggio 2016, l’adito TAR riunì e respinse i ricorsi n. 1477/2014 (propedeutico agli altri due), n. 6801/ 2012 e n. 9947/2012.

In particolare, il TAR precisò, quanto al ricorso n. 1477 (sulla disattivazione dell’impianto sito in Milano, via Stamira d’Ancona), che:

a) la ATI s.r.l. acquistò dalla GET s.r.l. l’impianto di Cassano Magnago delocalizzandolo in Milano, in base alla sperimentazione disposta dal CTU nel giudizio civile azionato dalla dante causa di detta Società ed in cui essa era intervenuta;

b) detta Società non affermò, né dimostrò che tal proposta del CTU, manifestata comunque in mera adesione a quanto richiesto dalle parti in quel giudizio, si fosse mai tradotta in una qualsivoglia pronuncia definitiva dell’AGO in un titolo per giustificare la delocalizzazione;

c) in ogni caso quest’ultima, quand’anche effettuata in via sperimentale, sarebbe dovuta soggiacere ad un procedimento autorizzativo (come d’altronde ammesso dal CTU che, il 13 aprile 2010, inoltrò l’apposita richiesta, poi respinta dal parere negativo dell’Ispettorato territoriale per la Lombardia, atto, questo, mai tempestivamente censurato in sede giurisdizionale;

d) quantunque per l’impianto in Milano la ATI s.r.l. non ottenne mai il diritto d’uso (non essendo ciò avvenuto né innanzi all’AGO, né in sede amministrativa, in difetto del titolo autorizzativo), l’atto di disattivazione riguardò solo detto impianto, ma non incise sull’ autorizzazione generale alla radiodiffusione ottenuta dall’ appellante con la DIA del 14 settembre 2009, onde l’Ispettorato regionale era competente ad emanarlo;

e) la nota della Direzione generale MISE fu un mero accertamento endoprocedimentale, privo in sé della prospettata valenza estintiva d’un precedente atto concessorio validamente ottenuto;

f) l’atto impugnato si limitò ad ingiungere alla ATI s.r.l. di disattivare tal impianto —poiché essa non era titolare del diritto d’uso della frequenza irradiata nel territorio di riferimento—, sicché tal statuizione, da un lato, fu solo consequenziale e doverosa (donde l’irrilevanza delle contestate violazioni di garanzie ex l. 7 agosto 1990 n. 241) e, dall’altro, neppure è perspicuo a qual effetto giuridico fosse preordinata la nota attorea del 23 novembre 2010 (limitata a render noto l’intento di continuare l’uso dell’impianto di Milano);

g) neppure chiaro fu in che mai si sarebbe sostanziato l’apporto partecipativo, di cui si assume la pretermissione;

h) non sussisterono nemmeno i dedotti violazione di legge ed eccesso di potere, ché, non essendo l’appellante legittima esercente d’una frequenza analogica da convertire in digitale, appunto non le fu assegnato, in sede di switch-off per la Lombardia, neanche un diritto di uso temporaneo della frequenza analogica;

i) mancando ogni tempestiva impugnazione contro la scelta del MISE di non assegnare all’ATI s.r.l. un canale in quella sede di switch-off , ciò ne precluse le doglianze sul punto, in quanto la mancata assegnazione costituì il presupposto e non una parte del contenuto dispositivo dell’atto impugnato, donde l’inammissibilità di tal contestazione in questa sede;

l) poiché sulla dianzi citata missiva attorea alcun nuovo procedimento era stato attivato dalla P.A., l’atto impugnato diede idonea contezza delle ragioni per cui la ATI s.r.l. non potesse più continuare ad usare l’impianto de quo , non essendo destinataria essa di diritti d’uso di tal frequenza nella area tecnica 3.

5.1. – Ad avviso del TAR, da ciò discese l’infondatezza del ricorso n. 6801/2012, relativo alla esclusione di detta Società dalla procedura per l’attribuzione delle misure compensative a fronte del volontario rilascio di porzioni dello spettro radioelettrico.

E tutto ciò in quanto: A) mancò il diritto d’uso di tal frequenza, cioè il presupposto logico-giuridico per partecipare alla dismissione volontaria di essa;
B) non vi fu l’incompetenza del Dirigente della div. 5° presso la Direzione SCER del MISE a sottoscrivere la missiva, essendo egli legittimato a sostituire il Direttore Generale dalle disposizioni ex D.lgs. 165/2001 e la nota essendo articolata come mero atto di comunicazione;
C) neppure poté la ATI s.r.l. dolersi della violazione dei principi eurounitari di pubblicità, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità nell’assegnazione delle radiofrequenze, giacché l’esclusione di essa dalla selezione avvenne in conformità al bando, ossia secondo le finalità della procedura incentivante;
D) del pari infondata fu la censura sulla violazione della dir. n. 2002/77/CE, ché il generale divieto, per gli Stati membri, di accordare o mantenere in vigore diritti esclusivi o speciali per l’installazione e/o la fornitura di servizi di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico presuppone che il soggetto sia in effetti titolare dei diritti stessi, ferma comunque l’inapplicabilità nella specie, ossia in una procedura concorsuale, dell’art. 10-bis della l. 241/1990;
E) non poté spostare i termini della presente controversia neppure il fatto che l’appellante fosse contemplata nella DDG del 1° ottobre 2015 —recante la nuova somma da corrispondere a titolo di misura compensativa, a seguito di revisione di precedenti tabelle—, poiché tal statuizione, per la parte che riguardò la ATI s.r.l., non fu se non un accantonamento di somme a titolo cautelativo per spese di giustizia e non certo un diverso orientamento a favore di essa.

5.2. – Il TAR dichiarò quindi inammissibile il ricorso n. 9947/2012, giacché detta Società, esclusa legittimamente dalla procedura per l’attribuzione di dette misure compensative, non aveva titolo a partecipare alla procedura ex art. 4 del DL 34/2011. Inoltre ed anche se essa vi fu riammessa solo grazie all’ordinanza cautelare del TAR Milano, quest’ultima misura venne poi meno a seguito dell’infondatezza del ricorso nell’ambito del cui giudizio essa era stata pronunciata.

5.3. – Appellò quindi detta Società, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della gravata sentenza per quel che riguardò il ricorso n. 1447/2014, in quanto:

1) – essa acquistò da una concessionaria analogica, nel 2008 e secondo l’art. 27, co. 3 del D.lgs. 31 luglio 2005 n. 177, l’impianto televisivo censito ai sensi dell’art. 32 della l. 233/1990 ed operante sul canale 69UHF nel territorio di Cassano Magnago, sicché essa ne divenne legittima titolare (pure della concessione analogica: art. 15 del D.lgs. 177/2005);

2) – nel corso del giudizio civile, iniziato per questioni interferenziali dopo l’avvio dell’esercizio di detto canale in tecnica digitale, il CTU ha fatto proprio un assetto radioelettrico prospettato, ma non impostogli dalle parti, onde la sua autorizzazione alla messa in opera e la relativa comunicazione al competente Ispettorato furono sue scelte tecniche nella qualità d’ausiliario del Giudice adito e, per l’effetto, il parere negativo dell’Ispettorato fu rivolto a lui e non alle parti e non è vero quanto detto dal TAR sul difetto di titolarità della frequenza d’un impianto poi delocalizzato sì, ma secondo le modalità indicate dal CTU stesso;

3) – in ogni caso, ove il MIUR non avesse autorizzare tal delocalizzazione, era obbligato a valutare la situazione dell’appellante con riguardo all’impianto di Cassano Magnago, legalmente acquisito ed esercito senza contestazioni sino alla delocalizzazione;

4) – fermo restando che l’appellante non era onerata ad impugnare la risposta dell’Ispettorato al CTU, essa non solo aveva notificato alla P.A. l’esercizio del canale e la continuità di esso (ed a tal comunicazione il Ministero mai diede riscontrò ed il TAR non le riconobbe natura d’istanza, sicché nemmeno si poté configurare un silenzio-rigetto o un rigetto esplicito impugnabili), ma proprio per la sussistenza di tal titolarità l’Ispettorato non avrebbe mai potuto disattivare sine die l’impianto di Milano senza produrre gli stessi effetti della revoca, donde l’incidenza di tal statuizione sul regime stesso dell’autorizzazione e, quindi, l’incompetenza dell’Ispettorato;

5) – l’appellante non fu mai attinta da un avviso d’avvio di procedimento, né ne chiese alcuna attivazione (non avendo bisogno di partecipare ad alcun’assegnazione di frequenze, visto che già ne possedeva legittimamente una, già usata in tecnica digitale per legge e che alla P.A.ne era stato già comunicato l’acquisto), né tampoco fu destinataria d’alcun provvedimento finale del MISE o di tal Ispettorato in merito al canale 69UHF e men che mai d’un diniego d’assegnazione, secondo il TAR presupposto alla disattivazione, il provvedimento che poi la dispose essendo il primo e unico atto che la P.A. rivolse a detta Società;

6) – tutto questo accadde in un contesto in cui nulla, neppure in via di fatto, lasciava intendere che la posizione della ATI s.r.l. fosse irregolare o illegale per la P.A. intimata, la quale, pur se avvertita dell’acquisto della frequenza e del suo esercizio in continuità ma in tecnica digitale, non assunse alcuna iniziativa sul punto.

Quanto al rigetto del ricorso n. 6801/2012, l’appellante lamenta che:

7) – quand’anche non fosse accolto l’appello sulle questioni fin qui poste, comunque detta Società aveva titolo a partecipare alla procedura d’incentivazione alla dismissione della frequenza, giacché essa ne divenne titolare in base non già ad un provvedimento giudiziale, ma ad un regolare acquisto tra privati, la cui validità ed efficacia non fu mai contestata dal MIUR e, sebbene essa non fu mai assegnataria d’un formale diritto d’uso del canale 69UHF, ciò fu irrilevante per la legittimità di tale uso, in subordine, non fu imputabile a detta Società e non fu certo fatto idoneo a giustificare la gravata esclusione;

8) – per vero, essa non era tenuta a conseguire alcun diritto d’uso temporaneo, essendo già abilitata per legge alle trasmissioni in tecnica digitale per il fatto che l’acquisto dell’uso della frequenza avvenne nel 2009 in forza dell’art. 27, co. 3 del D.lgs. n. 177/2005, tant’è che, in Lombardia, ai soggetti già operanti in tecnica digitale non fu richiesta alcuna “conversione” dei titoli attraverso il rilascio di un diritto d’uso temporaneo;

9) – ove mai l’appellante avesse dovuto conseguire un diritto d’uso temporaneo, la relativa mancata assegnazione sarebbe dipesa solo da un comportamento omissivo del MIUR e non certo della stessa ATI s.r.l., che invece agì in buona fede grazie ad una lunga corrispondenza con il Ministero e, comunque, il diniego per l’impianto di Milano al più avrebbe determinato il ripristino dello statu quo ante presso la postazione di Cassano Magnago;

10) – il TAR omise di pronunciarsi sulla censura per cui il procedimento in questione non s’adeguò ai principi posti dall’art. 42, co. 2, del D.lgs. 177/2005 (per cui, in coerenza con la direttiva CE n. 21/2002, « l’assegnazione delle radiofrequenze avviene secondo criteri pubblici, obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati »), quando, nel respingere l’istanza della ATI s.r.l. di concerto con la Tele Sol Regina s.r.l. (quest’ultima, peraltro, poi utilmente collocata in elenco), perché non conforme all'art. 4 del decreto n. 21/2012, l'utilizzo del canale 69UHF, da parte della stessa appellante, sarebbe stato attribuito da un provvedimento giudiziale (cosa non vera) e non già oggetto di rilascio volontario (cosa erronea, stante il relativo acquisto nel 2009);

11) – il TAR integrò indebitamente la carente motivazione del rigetto dell’istanza attorea, laddove affermò l’irrilevanza del fatto che la determina direttoriale del 1° ottobre 2015 l’avesse menzionata nel rideterminare la somma da corrisponderle qual misura compensativa a seguito di revisione di precedenti tabelle —ché l’accantonamento, qual spesa di giustizia, sarebbe avvenuta solo a titolo cautelativo e non come nuova statuizione a favore dell’appellante—, mentre tutto ciò non si legge nella relazione MIUR cui la sentenza intese riferirsi.

Infine, in ordine all’appello contro l’inammissibilità del ricorso n. 9947/2012, la ATI s.r.l. ribadì anzitutto la persistenza del proprio interesse anche in caso di rigetto dell’appello sul ricorso n. 6801/2012, giacché, a suo dire e nella posizione in cui si trova, avrebbe avuto diritto all’indennizzo di cui al DM 23 gennaio 2012.

Nel merito, l’appellante dedusse:

12) – l’erroneità dell’affermazione del TAR per cui essa non sarebbe stata legittimata a partecipare alla procedura per la riassegnazione delle frequenze in Lombardia, poiché essa, o perché titolare di un vero e proprio diritto d’uso o perché ammessa in base ad un provvedimento giudiziale, al momento della presentazione dell’istanza di partecipazione e della redazione delle cinque distinte graduatorie per la Lombardia possedeva i requisiti d’ammissione a tal procedura;

13) – l’omessa considerazione che l’inserimento dell’appellante in graduatoria costituì comunque un comportamento concludente del MIUR sulla validità dell’ammissione di questa alla procedura e con effetto (ove occorra) sanante di ipotetiche situazioni pregresse, vicenda, questa, corroborata dalla predisposizione di cinque distinte graduatorie, l’ultima delle quali fu pubblicata il 12 dicembre 2016 (dopo, quindi, la pubblicazione della sentenza appellata) e in tutte la ATI s.r.l. vi fu inserita tra i soggetti collocati, sia pur a punteggio zero e non tra quelli esclusi;

14) – l’irragionevolezza del punteggio così assegnato, nonostante il possesso dei titoli valutabili, di talché parrebbe quasi che il MISE non volle calcolare i punteggi della ATI s.r.l., come parve ben evincersi dalla nota ministeriale del 6 marzo 2013, relativa al calcolo della copertura di rete di detta Società.

L’appellante replicò altresì tutti i motivi di primo grado, ritenuti assorbiti o non esaminati dal TAR. A seguito della dichiarazione di fallimento della ATI s.r.l., la curatela ha riassunto ritualmente la causa. Resistono in giudizio soltanto la P.A. intimata, nonché la Fondazione Ugo Bordoni , con sede in Roma e la Multimedia San Paolo s.r.l., corrente in Alba (CN), le quali in varia guisa concludono per il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2018, su conforme richiesta delle parti presenti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

6. – L’appello non è fondato e va disatteso per le ragioni di cui appresso, con la previa precisazione che corretta è stata la scelta del TAR di riunire i tre ricorsi di primo grado, stante la connessione procedimentale e funzionale esistente tra loro.

Invero, le ragioni che portarono alla disattivazione dell’impianto milanese di via Stamira d’Ancona, da parte dell’Ispettorato territoriale per la Lombardia, furono le stesse e condizionarono in senso negativo gli esiti degli accadimenti successivi. L’esclusione dell’appellante dalla procedura per la c.d. “rottamazione” delle frequenze 61/69UHF e, poi, la collocazione di essa in posizione non utile (26° posto con punteggio pari a 0 sul possesso della frequenza) nelle graduatorie delle procedure concorsuali per la revisione delle frequenze nel territorio regionale della Lombardia prendono le mosse proprio dalla mancanza del diritto d’uso del canale 69UHF. Dal che la necessità di un’unica e complessiva trattazione di tutte le liti proposte dall’appellante, come si fa pure in questa sede.

6.1. – Ciò posto, s’è già accennato nelle premesse in fatto dell’acquisto, da parte dell’appellante, del canale 69UHF per la diffusione dall’impianto di Cassano Magnago e delle vicende assai peculiari che ne portarono alla delocalizzazione in quello di via Stamira d’Ancona in Milano, della quale non consta il titolo rilasciato dal MISE.

Nel precedente sistema di cui alla l. 223/1990, la concessione fu sì il titolo legittimante all’esercizio dell’attività televisiva in tecnica analogica, ma solo fino al passaggio a quella digitale, momento in cui i rapporti concessori cessarono automaticamente.

Nel sistema attuale, per contro, l’assegnazione d’una frequenza digitale spetta tra gli altri a chi, già titolare d’una concessione analogica, presenti la DIA (ora, la SCIA) ex art. 25, commi 3 e 4 CCE (affinché si formi l’autorizzazione generale per la fornitura di reti o di servizi di comunicazione elettronica) ed ottenga pure il relativo diritto d’uso in esito alle apposite procedure aperte, obiettive, trasparenti, non discriminatorie e proporzionate. Queste sono indette dal MISE ai sensi dell’art. 27, co. 5 CCE, in base alle regole di cui all’art. 15 del D.lgs. 177/2005 e secondo i principi recati dalla dir. n. 2002/20/CE. Pertanto, col passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale, il titolo concessorio automaticamente s’estinse con tutti i diritti connessi e il concessionario divenne, una volta acquisita l’autorizzazione generale ed i nuovi diritti d’uso operatore di rete o, a seconda delle funzioni, fornitore di servizi di media audiovisivi. Sicché, i soggetti ex-concessionari, se interessati a svolgere l’attività di radiodiffusione televisiva in tecnica digitale, per ottenere una o più frequenze digitali (anche in ambito locale) al momento del noto switch-off , non avrebbero potuto sfuggire alla predetta procedura competitiva opponendole l’acquisto d’un preesistente impianto analogico, ma furono comunque onerati a partecipare alle procedure concorsuali de quibus e collocarsi utilmente in graduatoria per ottenere la frequenza digitale.

Una tal vicenda, ossia l’acquisto dell’impianto, al più diede all’appellante la sola titolarità fisica di tal stazione SRB, ossia quella di Cassano Magnago, solo per la quale essa presentò la DIA del 17 settembre 2009, ai sensi dell’art. 25 CCE e dell’art. 15, co. 1 del D.lgs. 177/2005. Ma tutto ciò non le permise certo, nonostante la DIA riguardasse pure l’intento di divenire operatore di rete in chiaro per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale, anche l’automatica trasformazione in digitale dell’eventuale frequenza già irradiata in tecnica analogica e men che mai di quella emessa (canale 69UHF) dall’impianto di via Stamira d’Ancona in Milano.

6.2. – Rettamente, quindi e con riguardo a tal ultimo impianto, il TAR precisò come l’appellante non avesse mai «… ottenuto l’attribuzione del diritto d’uso, atteso che ciò non è avvenuto né nella sede giudiziaria civile, perché non vi è prova dell’esistenza di una pronuncia giudiziale, né in sede amministrativa, non avendo la stessa mai richiesto ed ottenuto le autorizzazioni allo spostamento dell’impianto …» da Cassano a Milano.

Non sussisterono infatti i presupposti affinché le si potesse attribuire una frequenza digitale secondo la delibera AGCOM n. 475/10/Cons, che regolò la pianificazione e l’assegnazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione televisiva in tecnica digitale nell’area tecnica della Lombardia.

E rettamente il MISE, anche in questa sede, oppone a detta Società che, in sede di switch-off nel territorio regionale della Lombardia (2° semestre del 2010), per l’impianto di Milano essa era nulla più che un soggetto nuovo, appunto onerato a partecipare (come poi avvenne) ai concorsi per avere l’assegnazione delle frequenze in ambito locale.

Per un verso, infatti, gli impianti operanti in forza di provvedimenti giudiziali in tanto sarebbero stati riconosciuti dal MISE, in quanto avessero ricevuto il parere tecnico positivo dell’Ispettorato territoriale competente, spettando alla P.A. e non al Giudice risolvere le eventuali questioni interferenziali e regolare gli interventi sugli impianti. Per altro verso, neppure si può dire che l’appellante fosse stata destinataria d’un tal provvedimento o, in ogni caso non v’è prova di ciò negli atti di causa, constando solo l’uso della frequenza 69UHF come sperimentata dal CTU in una lite civile, a quanto pare inter alios acta . Per altro verso ancora, non si può ravvisare in capo all’appellante alcuna legittimazione all’uso di detta frequenza per il sol fatto della nota che essa inviò il 23 novembre 2010 al MISE e all’Ispettorato territoriale per la Lombardia —con cui si limitò a render noto il suo intento d’usare il canale 69UHF dall’impianto di Milano pur dopo lo switch-off per l’Area tecnica 3—, afferendo ciò a diritti d’uso non nella libera disponibilità dell’appellante stessa. Sicché l’appellante non ottenne alcun diritto d’uso, neppure temporaneo, non avendo una frequenza analogica da convertire in digitale al momento dello switch-off , relativamente all’impianto di Milano.

6.3. – Dal che la piena correttezza del provvedimento di disattivazione di tal ultimo impianto ed il rigetto della pretesa attorea sul punto da parte del TAR.

Scolorano infatti le questioni sull’effetto dell’acquisto di Cassano Magnago, avvenuto certo da una concessionaria analogica, nel 2009 e secondo l’art. 27, co. 3 del D.lgs. 177/2005. L’appellante non coglie il significato di tal disposizione, secondo cui « ai fini della realizzazione delle reti televisive digitali sono consentiti i trasferimenti di impianti o di rami d'azienda tra i soggetti che esercitano legittimamente l’attività televisiva in ambito nazionale o locale, a condizione che le acquisizioni operate siano destinate alla diffusione in tecnica digitale ». Non s’avvede, per vero, che non solo la norma citata riguardò i soli trasferimenti di impianti o di rami d’azienda solo tra i soggetti legittimi esercenti di attività televisiva in ambito nazionale o locale e al solo fine di realizzare reti televisive digitali, mentre essa era concessionaria, al momento dell’acquisto dell’impianto in Cassano da GET s.r.l., solo di impianto per la radiodiffusione sonora. Ma soprattutto tal impianto, delocalizzato in Milano già sine titulo (ossia fuori dai casi indicati dall’art. 27, co. 4), divenne illegittimo in quanto non munito d’una specifica autorizzazione allo spostamento, tant’è che il relativo acquisto e le varie successive comunicazioni riguardarono l’impianto di Cassano Magnago. In definitiva, quando detta Società acquisì il canale analogico 69UHF, essa non era concessionaria televisiva (ai sensi dell’art. 27, co. 3), né munita d’un titolo giudiziale per Milano (art. 27, co. 4). E, quando vi fu lo switch-off , essa era un soggetto newcomer ed eccedente il numero di frequenze pianificate —ché, in base alla delibera AGCOM n. 475/10/Cons, l’assegnazione della frequenza digitale sarebbe spettata solo ai concessionari già esercenti attività radiotelevisiva in analogico in numero pari alle frequenze pianificate dall’Autorità stessa—, privo così di diritto d’uso di una frequenza digitale. Essa ne fu neppure destinataria d’una diversa e libera e, come pare, neppure richiese la proroga del regime concessorio ai sensi dell’art. 23, co. 1 del medesimo decreto n. 177.

Scolorano altresì le questioni sull’operato del CTU nel corso del predetto giudizio civile, perché: a) quest’ultimo riguardò solo la frequenza analogica 69UHF e non una digitale, i diritti d’uso della quale non furono mai ottenuti dall’appellante;
b) di tal giudizio non consta che l’appellante ne fosse parte principale;
c) l’operato del CTU, ferma l’irrilevanza d’ogni questione dell’appellante circa la proposta fatta dal CTU stesso e la sua autonomia rispetto alle parti —nonché sul parere negativo rivolto dall’Ispettorato territoriale per la Lombardia solo al CTU e non alle parti—, non poté avere altro effetto che nel limitato ambito di quel giudizio e solo tra le parti stesse;
d) l’oggetto della presente controversia fu e resta solo l’ordinanza di disattivazione dell’impianto di Milano e non già l’interlocuzione tra detto CTU e l’Ispettorato;
e) l’appellante fu titolare dell’impianto di Cassano Magnago e non di quello di Milano, non potendoglielo certo attribuire detto CTU.

In ogni caso, neppure ha qui gran senso il richiamo attoreo alle vicende dell’impianto di Cassano Magnago, il quale non fu esercito a favore di quello, abusivo, di Milano (solo sul quale si incentrò la complicata lite con la P.A.) e, quindi, non sarebbe stato possibile, né legittimo attribuire punteggi per un’area di copertura non servita da un impianto non utilizzato.

Anche a seguire la tesi per cui l’appellante non era onerata ad impugnare la risposta dell’Ispettorato al CTU o che alla notifica dell’esercizio del canale e la continuità di esso la P.A. vi non diede alcun riscontro, poiché comunque, in relazione alla missiva attorea del 23 novembre 2010 —sul mancato inserimento del canale 69UHF per l’impianto di via Stamira d’Ancona in Milano nel master plan delle frequenze digitali e sull’intento di continuare ad operare su tal frequenza—, l’Ispettorato, una volta appurata col MISE l’assenza del diritto d’uso in capo alla ATI s.r.l. ordinò la disattivazione di detto impianto oggetto del ricorso. Sicché non solo l’Ispettorato non ignorò alcunché, ma la stessa disattivazione, ben lungi dal configurare una sorta di revoca sanzionatoria d’un diritto d’uso valido, incise sull’esercizio abusivo dell’impianto milanese, donde la competenza dell’Ispettorato e non degli Uffici centrali del MISE. Da ciò discende l’inutilità delle invocate garanzie procedimentali, poiché in fatto l’esercizio dell’impianto milanese, per delocalizzazione da quello, regolare ma non esercito, di Cassano Magnago, non si fondò mai su un legittimo diritto d’uso, donde la doverosità in sé delle disposta disattivazione e l’obbligo di valutare la doglianza, come ben ha fatto il TAR, alla stregua dell’art. 21-octies della l. 241/1990.

Sfugge al Collegio su qual fondamento logico si basi la convinzione attorea che la disattivazione dell’impianto di via Stamira d’Ancona accadde in un contesto in cui nulla lasciava intendere che la posizione dell’appellante stessa fosse irregolare. Infatti, se fu e possibile l’acquisto di singoli o di molteplici impianti funzionanti in tecnologia analogica, non fu vero che quello acquistato dalla GET s.r.l., peraltro solo su Cassano Magnago, già funzionasse in tecnica digitale. Il provvedimento dell’Ispettorato, dal canto suo e sia pur con articolata motivazione, si limitò ad ingiungere alla ATI s.r.l. la disattivazione d’un impianto illegittimo, ossia privo d’un concreto diritto d’uso. Inoltre, la mancata inserzione del canale 69UHF nel predetto master plan e l’assenza di diritti d’uso per tal frequenza già da soli avrebbero dovuto indurre l’appellante, se in buona fede, perlomeno a non insistere nell’uso della frequenza e nel suo esercizio in continuità in tecnica digitale ed a chiarire la propria posizione con la P.A.

7. – Non convince neppure l’appello sul rigetto del ricorso NRG 6801/2012.

S’è accennato in punto di fatto come l’art. 1, co. 9 della l. 220/2010 avesse previsto, a favore degli operatori TLC in ambito locale, misure economiche compensative « finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze di cui » ai canali da 61 a 69 UHF. Il decreto interministeriale d’attuazione del 3 gennaio 2012, ritenendo più utile all’interesse pubblico la c.d. “rottamazione” di frequenze non più o mai utilizzate ma reimpiegabili in aree di grandezza estensione non inferiore alla Regione, previde in cambio misure economiche incentivanti. L’art. 2 di tal decreto previde l’ammissione alla procedura incentivante, tra gli altri, degli operatori di rete in possesso di diritto d'uso in ambito locale che, «… pluriprovinciale, provinciale o limitati all'area di servizio di singoli impianti che, tramite costituzione di una intesa, chiedano il volontario rilascio di una medesima frequenza, assegnata in via provvisoria , in modo che la sommatoria delle loro coperture sia equivalente all'arco di copertura dell'intera regione …».

Ora, l’odierna appellante, anche se in possesso dell’autorizzazione generale, non ebbe diritti d’uso per alcuna frequenza, poiché eserciva, ma in modo abusivo da Milano, un impianto certo acquistato, però ai suoi fini inutile. Fu e resta ancor oggi inopponibile la circostanza dell’acquisto dell’impianto di Cassano Magnago (di quello di via Stamira d’Ancona in Milano non mette più conto parlare) tanto all’impugnata disattivazione, quanto alla dismissione ex l. 220/2010. Infatti, non essendo la ATI s.r.l. ab origine un concessionario televisivo, non poté allora ottenere, in forza di tal acquisto, il diritto d’uso per il canale 69UHF, né fu destinataria di assegnazioni nemmeno provvisori di quella frequenza che avrebbe voluto così “rottamare”. Del pari inopponibile è l’asserita circostanza che il mancato rilascio del diritto d’uso temporaneo sarebbe dipeso da un comportamento omissivo della P.A., bensì dall’assenza di frequenza da assegnare ai soggetti di nuova costituzione o newcomer nel mercato televisivo. Pertanto, detto acquisto non le diede in automatico la concessione televisiva analogica in ambito locale e non le si poté dare un’assegnazione provvisoria per incapienza delle frequenze disponibili, sicché essa non ebbe alcuna frequenza da “rottamare”, neppure previa intesa con un’impresa terza.

V è a tal riguardo l’assunto dell’appellante, secondo cui essa non era tenuta a conseguire alcun diritto d’uso temporaneo in quanto già abilitata alle trasmissioni in tecnica digitale grazie al predetto acquisto dell’uso della frequenza in forza dell’art. 27, co. 3 del D.lgs. n. 177/2005, poiché tal norma non contemplò la peculiare vicenda attorea. Inoltre, non è che il TAR omise di pronunciarsi sulla censura per cui il procedimento in questione non s’adeguò ai principi che l’art. 42, co. 2 del D.lgs. 177/2005 mutuò dalla normativa UE, poiché il difetto, in capo all’appellante stessa, del legittimo presupposto per partecipare alla procedura di cui al decreto n. 21/2012 ne determinò l’assorbimento di ogni questione sui modi di gestione e sui contenuti.

Non si può condividere la doglianza sulla presunta integrazione, da parte del Giudice di prime cure, della motivazione sul rigetto dell’istanza attorea, con riguardo alla determina direttoriale del 1° ottobre 2015. Quest’ultima menzionò l’appellante nel rideterminare la somma da corrisponderle, a titolo di misura compensativa, a seguito di revisione di precedenti tabelle tariffarie. Il TAR, da parte sua, affermò che si trattasse d’un accantonamento disposto solo a titolo cautelativo a favore della ATI s.r.l., a mo’ di spesa di giustizia, sarebbe e non come nuova statuizione a favore di essa. Pare al Collegio, in assenza di seri e concordanti indici che giustificassero altrimenti un siffatto révirement della P.A. —indici che neppure l’appellante è in grado d’evidenziare—, che il TAR si sia limitato a fornire l’unico significato logicamente plausibile di tale atto, intendendolo come misura cautelare in caso di sua eventuale soccombenza nel presente giudizio d’appello e non qual statuizione di favore per l’appellante stessa.

8. – Va disatteso pure l’appello contro la pronuncia d’inammissibilità del ricorso n. 9947/2012, al di là d’ogni questione sull’interesse (o, come dice l’appellante: legittimazione) della predetta ATI s.r.l. a partecipare alla procedura per la riassegnazione delle frequenze in Lombardia.

8.1. – Per vero, essa non era né legittima titolare di un vero e proprio diritto d’uso, poiché in realtà essa aveva sì l’impianto di Milano, ma non anche la concessione congiunta all’uso di quest’ultimo, né tampoco altri diritti d’uso secondo il nuovo ordinamento.

Ebbene, quanto all’ammissione a tal diversa procedura —scaturente dalla necessità di rivedere le già effettuate assegnazioni delle frequenze digitali, al fine di sostituire quelle operanti nella banda 790Mhz/862 Mhz (frequenze 61-69 UHF) ai sensi dell’art. 1 della l. 220/2010—, essa fu consentita a tutti gli operatori di rete titolari di diritto d’uso ed ai soggetti esercenti in virtù di provvedimento giudiziale. Sicché l’appellante vi fu ammessa solo grazie ad un tal provvedimento, ossia l’ordinanza del TAR Milano n. 599/2011, resa nell’originario giudizio relativo alla disattivazione dell’impianto di via Stamira d’Ancona. Tuttavia esso, ai sensi dell’art. 15, co. 4, c.p.a., decadde per la declinatoria di competenza di cui all’ordinanza n. 137/2014 a favore del TAR Lazio, innanzi al quale non fu poi proposta altra o nuova istanza cautelare.

Quanto, poi, al ricorso n. 9947 citato, al TAR del Lazio furono svolte tre udienze camerali (19 dicembre 2012, 18 dicembre 2013 e 15 settembre 2015), senza che l’istanza cautelare attorea, tanto per il gravame introduttivo quanto sull’atto per motivi aggiunti, avesse ottenuto alcuna misura favorevole.

È ben vero che l’appellante partecipò a siffatta procedura, tant’è che vi fu pure scrutinata, sebbene essa ottenne punteggi insufficienti ad ottenere una nuova frequenza. Ma, in disparte l’intervenuta decadenza testé citata, come giustamente dice il TAR in ogni caso l’efficacia dell’ordinanza n. 599 venne meno a seguito dell’ infondatezza della pretesa azionata contro la disattivazione di tal impianto. Da ciò discende l’impossibilità, per l’appellante, di ritrarre dall’ordinanza n. 599/2011, altra utilità giuridica se non una mera ammissione con riserva, ma senza possibilità di mantenere un qualunque altro risultato già a partire dalla declinatoria di competenza e, comunque, dal rigetto del presente appello sulla disattivazione dell’impianto milanese.

Resta così confermata pure in appello la declaratoria di inammissibilità del ricorso NRG 9947/2012 già statuita dalla sentenza del TAR Lazio qui gravata, senz’uopo d’ulteriore disamina delle censure di merito ancorché qui riproposte (pagg. 34 e ss. del ricorso in epigrafe).

8.2. – È appena da soggiungere l’inammissibilità in questa sede anche della riproposizione tout court di tutti i motivi del ricorso NRG 6801/2012.

Inammissibile è anzitutto l’istanza di disapplicazione nei confronti dell’art. 1, commi 8/13-bis della l. 220/2010 per contrasto con la dir. n. 2002/77/CE (c.d. Direttiva “concorrenza”) e con gli artt. 34 e 56 e ss. TFUE. Infatti, è pur vero (art. 2) che agli Stati membri è vietato «… accordare o mantenere in vigore diritti esclusivi o speciali per l'installazione e/o la fornitura di reti di comunicazione elettronica, o per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico …». Nondimeno, è vana la pretesa sia di far constare l’effettività della tutela in via di azione —per contro esercitata dall’appellante innanzi al suo Giudice naturale e contro ogni statuizione del MISE—, sia dell’ illegittimità comunitaria delle disposizioni censurate sì, ma senza che siano state fatte constare le ragioni del contrasto con la fonte UE.

Altresì inammissibile è il complesso degli altri motivi riproposti, non essendo perspicuo né a che titolo il Collegio dovrebbe occuparsene in sede di gravame e dopo l’espressa pronuncia del TAR, né in che cosa si sostanzi l’eventuale omessa pronuncia che, sola, imporrebbe a questo Giudice d’appello di rivedere ab imis tutti i motivi di primo grado riproposti. Inoltre l’appellante neppure chiarisce l’oggetto d’un contrasto tanto evidente tra il diritto UE e quello nazionale, da suggerirne, se non da giustificarne, il rinvio pregiudiziale alla CGUE. Ma, pur a seguire la tesi attorea, non è mostrata la ragione per cui questo Giudice debba censurare le citate norme statali laddove non consentono retrocessioni di frequenze da parte di chi, ammesso che le detenga, lo faccia in base ad un titolo giudiziale solo cautelare, ossia in precario.

Appunto per questo non vale discettare sulle omissioni delle garanzie procedimentali o sui punteggi scadenti ottenuti, in quanto l’assenza d’un diritto d’uso sul canale 69UHF irradiante dall’impianto di Milano impedisce ab origine la partecipazione alla procedura e, con essa, la possibilità di dolersi delle modalità di svolgimento della procedura e dei giudizi di merito colà resi.

9. – In definitiva, l’appello va rigettato. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. Tutti gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso. La complessità e l’articolazione della vicenda suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

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