Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-11-16, n. 201106051

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-11-16, n. 201106051
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201106051
Data del deposito : 16 novembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03182/2011 REG.RIC.

N. 06051/2011REG.PROV.COLL.

N. 03182/2011 REG.RIC.

N. 03958/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 3182 del 2011, proposto dal dottor V B, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. V D, prof. F G S e L M, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via F. Confalonieri, 5,

contro

il dottor C F, rappresentato e difeso dall’avv. prof. F T, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, largo Messico, 7,

nei confronti di

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, e CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;



2) nr. 3958 del 2011, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, e dal CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

il dottor C F, rappresentato e difeso dall’avv. prof. F T, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, largo Messico, 7,

nei confronti di

dottor V B, non costituito,

entrambi per la riforma,

previa sospensione dell’esecuzione,

della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima, nr. 2416/2011, depositata in data 21 marzo 2011 e notificata in data 28 marzo 2011, che ha accolto il ricorso proposto dal dottor C F avverso il provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura con il quale è stato consentito al dottor V B il trattenimento in servizio sino al settantacinquesimo anno di età, ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, nr. 503, nonché le circolari del Consiglio Superiore della Magistratura del 4 novembre 2008 e del 20 gennaio 2010.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’appellato dottor C F (in entrambi i giudizi) e delle Amministrazioni indicate in epigrafe (nel giudizio nr. 3182 del 2011);

Visto l’appello incidentale proposto dal dottor C F nel giudizio nr. 3182 del 2011;

Viste le memorie prodotte dall’appellante dottor B (in date 9 giugno e 14 ottobre 2011), dall’appellato dottor F (in date 8 giugno e 14 ottobre 2011) e dall’Amministrazione (in data 4 ottobre 2011) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 4 novembre 2011, il Consigliere R G;

Uditi gli avv.ti Scoca e Manzi per l’appellante dottor B, l’avv. M D, su delega dell’avv. T, per l’appellato e l’avv. dello Stato E A per l’Amministrazione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I – Il dottor V B, magistrato ordinario in atto componente elettivo del Consiglio Superiore della Magistratura, ha impugnato – chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione – la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in accoglimento del ricorso proposto dal dottor C F, ha annullato la delibera consiliare con la quale era stato autorizzato il suo trattenimento in servizio oltre il settantacinquesimo anno di età, nonché le circolari in materia adottate dal C.S.M. in date 4 novembre 2008 e 20 gennaio 2010.

A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:

1) erroneità della sentenza con riguardo all’eccezione del difetto di interesse del dottor F;
incongruità della motivazione (non potendo condividersi le argomentazioni con le quali il primo giudice ha ritenuto che il ricorrente in primo grado, in quanto primo dei non eletti alle elezioni per la nomina dei componenti togati del C.S.M., facesse valere l’interesse connesso all’utilità derivantegli dall’auspicato subentro nell’organo di autogoverno al posto del dottor B);

2) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, nr. 503;
erroneità nei presupposti di fatto e di diritto;
apoditticità della motivazione e incongruità manifesta;
omessa motivazione con riguardo all’applicazione dell’art. 152, comma 2, cod. proc. civ. (in relazione alla ritenuta perentorietà dei termini – 24 mesi e 12 mesi antecedenti il raggiungimento del limite di età per il collocamento a riposo – previsti dalla norma suindicata per la presentazione della domanda di trattenimento in servizio).

Si è costituito il dottor C F, ricorrente in primo grado, il quale ha in limine eccepito l’inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, e nel merito ha poi analiticamente replicato ai motivi di impugnazione, chiedendone il rigetto;
inoltre, egli ha proposto appello incidentale avverso la medesima sentenza deducendo in particolare: violazione di legge;
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.;
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 della legge 25 marzo 1958, nr. 195, e s.m.i.;
eccesso di potere (in relazione all’omessa pronuncia sulla domanda, articolata in primo grado con motivi aggiunti, di declaratoria di decadenza del dottor B dalla carica di componente elettivo del C.S.M.).

Anche il Ministero della Giustizia e il C.S.M. si sono costituiti, aderendo all’appello del dottor B e chiedendone l’accoglimento.

Le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi, e in particolare l’appellante ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda già proposta con i motivi aggiunti in primo grado e reiterata con l’appello incidentale.

II – La medesima sentenza del T.A.R. capitolino è stata appellata, con domanda di sospensione dell’esecuzione, anche dal Ministero della Giustizia e dal C.S.M. sulla base di un unico articolato motivo, sostanzialmente sovrapponibile a quello sopra richiamato sub 2) in relazione all’appello del dottor B, con il quale si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui i termini previsti dall’art. 16, d.lgs. nr. 503 del 1992 per la presentazione delle domande di trattenimento in servizio sono stati ritenuti perentori anziché ordinatori.

Anche in questo giudizio, si è costituito il dottor C F il quale ha articolatamente controdedotto ai motivi di doglianza dell’Amministrazione, concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

III – Alla camera di consiglio del 14 giugno 2011, sull’accordo delle parti, l’esame delle domande incidentali di sospensiva è stato differito per essere abbinato alla trattazione del merito.

All’udienza del 4 novembre 2011, le cause sono state entrambe trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Viene all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla posizione del dottor V B, magistrato ordinario risultato eletto alle elezioni del luglio 2010 per il rinnovo dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura nel collegio unico nazionale di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 23 della legge 24 marzo 1958, nr. 195.

Il dottor C F, primo dei non eletti nel predetto collegio, ha impugnato la delibera con la quale è stato autorizzato il trattenimento in servizio del dottor B fino al settantacinquesimo anno di età, ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, nr. 503, sul rilievo che la relativa domanda era stata depositata al di fuori dei termini (dai 24 ai 12 mesi antecedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo) previsti dalla norma testé citata.

Il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso, annullando altresì anche le circolari del C.S.M. del 4 novembre 2008 e del 20 gennaio 2010, disciplinanti le modalità per il trattenimento in servizio de quo, nella parte (e nei limiti) in cui consentivano la presentazione della domanda anche al di fuori dei termini suindicati.

Avverso la richiamata sentenza di annullamento, hanno proposto appello sia il dottor B che il Ministero della Giustizia e il C.S.M.

2. Ciò premesso, va disposta la riunione degli appelli ai sensi dell’art. 96 cod. proc. amm., avendo gli stessi a oggetto la medesima sentenza.

3. In via preliminare, va poi esaminata l’eccezione con la quale il dottor F assume l’inammissibilità dell’appello del dottor B per difetto di interesse, sul rilievo che nello stesso non sarebbe stata svolta alcuna censura con riguardo all’annullamento della circolare consiliare del 25 gennaio 2010, e pertanto sarebbe ormai coperta da giudicato la caducazione dell’atto di normazione subprimaria che ha consentito all’organo di autogoverno della magistratura di esaminare l’istanza di trattenimento in servizio dell’odierno appellante, ancorché presentata fuori termine.

L’eccezione è infondata.

E, difatti, da una piana lettura dell’appello proposto dal dottor B emerge con chiarezza che egli ha specificamente criticato anche le statuizioni del primo giudice relative alla ricordata circolare (cfr. le pagg. 16-18 dell’appello), con motivi idonei – se accolti – a travolgerle in toto, ivi compresa ogni affermazione al riguardo svolta in sentenza.

Né può obiettarsi, in contrario, che l’appellante non avrebbe specificamente censurato alcune affermazioni del T.A.R. (come quella in cui si assume che la circolare de qua avrebbe “sanato” retroattivamente la sua posizione, o quella in cui si stigmatizza la “ singolarità ” di un’interpretazione che assegni carattere perentorio al termine iniziale e non anche a quello finale compreso in una medesima disposizione), essendo evidente che il giudicato è suscettibile di formarsi su singoli capi della sentenza che non siano stati impugnati, ma non anche su singole proposizioni o affermazioni contenute in ciascun capo della decisione (le quali, pertanto, l’appellante non ha l’onere di censurare specificamente una per una).

4. Venendo dunque all’esame degli appelli principali, in ordine logico va prioritariamente esaminato il primo mezzo articolato dal dottor B, col quale è reiterata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse.

A fronte degli argomenti svolti dal primo giudice, il quale ha respinto l’eccezione rilevando che in base all’art. 39 della legge 25 marzo 1958, nr. 195, il ricorrente agiva per conseguire la specifica utilità riveniente dal possibile subentro nella qualità di componente del C.S.M. quale primo dei non eletti per effetto del collocamento in quiescenza del dottor B, quest’ultimo deduce:

- che tale utilità sarebbe in ogni caso indiretta, oltre che meramente ipotetica ed eventuale, e pertanto inidonea a fondare un interesse processuale del dottor F a impugnare gli atti relativi al trattenimento in servizio della sua controparte;

- che, peraltro, il ricordato art. 39 fa riferimento, nel prevedere il subentro del primo dei non eletti, alle ipotesi di cessazione “ dalla carica ” dei componenti eletti, e non a quelle di cessazione dal servizio di essi;

- che, conseguentemente, occorrerebbe far riferimento ai casi espressamente previsti di decadenza o cessazione dalla carica (artt. 37 e 39 della stessa legge nr. 195 del 1958), fra i quali non è ricompreso il collocamento in quiescenza del magistrato eletto;

- che, per converso, dall’art. 24 della medesima legge si ricaverebbe che la qualità di magistrato in servizio costituisce presupposto per l’eleggibilità del magistrato al C.S.M., ma non anche che tale qualità debba sussistere per tutta la durata del mandato, che è stabilita in quattro anni da espresse disposizioni anche di rango costituzionale;

- che non sarebbe consentita alcuna lettura estensiva o analogica delle disposizioni sopra citate, stante il carattere eccezionale e derogatorio delle previsioni che pongono limiti ai diritti di elettorato passivo.

Le argomentazioni di parte appellante, pur efficaci e suggestive, non convincono.

Ed invero, è opinione della Sezione che la questione qui esaminata non coinvolga il diritto di elettorato passivo e sue eventuali limitazioni, ma attenga piuttosto al presupposto stesso che la legge contempla per il conseguimento della qualità di componente elettivo togato del C.S.M.;
infatti, una lettura formalistica del già citato art. 24 della legge nr. 195 del 1958 o di altre disposizioni in materia appare decisamente insufficiente a illuminare sui principi e sulla ratio sottesi alla disciplina tutta in materia di autogoverno della magistratura.

Se, infatti, per “autogoverno” deve intendersi un sistema in virtù del quale la gestione e l’amministrazione di una determinata istituzione è affidata ai suoi stessi esponenti, nella specie attraverso un organo costituito in base al principio di rappresentatività democratica, ne discende che la qualità di appartenente all’istituzione medesima (nella specie, l’ordine giudiziario) costituisce condizione sempre essenziale e imprescindibile per l’esercizio della funzione di autogoverno, e non solo per il mero accesso agli organi che la esercitano.

In altri termini, il fatto che il legislatore non abbia espressamente previsto la cessazione dall’ordine giudiziario per quiescenza fra le cause di cessazione della carica di componente del C.S.M. dipende non già da una ritenuta irrilevanza del collocamento a riposo, ma dall’essere addirittura scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare.

Di conseguenza, del tutto legittima è una lettura lata del citato art. 39, l. nr. 195/1958 laddove prevede il subentro del primo dei non eletti in caso di cessazione dalla carica “ per qualsiasi ragione ”, ben potendo ricomprendersi in tale ampia formula anche l’ipotesi suindicata senza alcuna indebita estensione analogica di norme eccezionali e senza alcuna violazione di principi di rango superiore.

Ciò premesso, già in passato questa Sezione ha avuto modo di rilevare, in relazione a vicenda simile concernente l’organo di autogoverno della giustizia tributaria, che non può disconoscersi l’interesse a ricorrere di colui il quale, facendo valere condizioni soggettive ostative all’eleggibilità o alla prosecuzione del mandato elettivo, miri a ottenere in via mediata l’utilità conseguente al subentro nell’organo elettivo quale primo dei non eletti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2011, nr. 2234).

5. Sotto diverso profilo l’appellante assume l’inammissibilità del ricorso di primo grado, sul rilievo che, difettando nella specie ogni automatismo fra le determinazioni consiliari in ordine al trattenimento in servizio del dottor B e l’ipotizzata perdita della qualità di componente del C.S.M., l’istante avrebbe dovuto impugnare anche il decreto di nomina successivo all’esito elettorale, ciò che non ha fatto.

Ad avviso della Sezione, anche questo assunto non può essere condiviso.

In primo luogo, non è manifestamente irragionevole quanto in contrario obiettato dalla difesa dell’appellato, secondo cui alcun interesse il dottor F avrebbe avuto a impugnare nell’immediatezza la nomina del dott. B, essendosi la lesione della sua posizione giuridica concretizzata solo in un momento successivo, per effetto della deliberazione di trattenimento in servizio dello stesso suo controinteressato.

Ma, al di là di ciò, la questione appare superata dalla circostanza che con i motivi aggiunti di primo grado il dottor F ha espressamente integrato la propria domanda, chiedendo dichiararsi la decadenza del proprio contraddittore dalla qualità di componente del C.S.M.: al riguardo il primo giudice ha rilevato che, al di là della modalità con cui tale domanda è stata introdotta nel giudizio (e, cioè, sotto forma di azione di accertamento costitutivo), ciò che rileva è il petitum sostanziale perseguito dal ricorrente, chiaramente individuabile nel subentro in seno all’organo di autogoverno al posto del dottor B.

In ordine a tale affermazione del T.A.R. non possono trovare spazio i pur perspicui rilievi svolti dalla difesa dell’appellante nella propria memoria depositata in data 9 giugno 2011, con i quali si assume il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a tale azione di accertamento;
infatti, come correttamente replicato ex adverso, gli argomenti svolti dal giudice di prime cure presuppongono l’implicita affermazione della propria giurisdizione, di modo che, a norma dell’art. 9 cod. proc. amm., la questione avrebbe dovuto essere sottoposta a questo Consesso con specifico motivo d’impugnazione e non con semplice memoria.

Quanto sopra consente di non approfondire l’ulteriore questione, connessa a quella evocata dall’appellante, se il petitum sostanziale così individuato dal T.A.R. investa in via diretta diritti di elettorato passivo, con conseguente sottrazione alla sfera di cognizione del giudice amministrativo secondo l’opinione prevalente.

6. Passando all’esame degli ulteriori motivi svolti negli appelli qui riuniti, gli stessi appaiono invece fondati e meritevoli di accoglimento.

Al riguardo, come condivisibilmente rilevato dal primo giudice, la questione centrale ai fini del decidere è quella della qualificazione come perentori o meno dei termini previsti dal più volte citato art. 16 del d.lgs. nr. 503/1992 per la presentazione della domanda di trattenimento in servizio: infatti, non è contestato in fatto che il dottor B, nato il 5 ottobre 1940, ha presentato la predetta domanda in data 18 gennaio 2010, e dunque dopo la scadenza del termine finale fissato dalla ricordata disposizione in 12 mesi prima del raggiungimento del limite di età per il collocamento a riposo (nella specie, come noto, corrispondente al settantesimo anno di età).

Tuttavia, sul punto la Sezione ritiene di dover pervenire a conclusioni opposte a quelle contenute nella sentenza impugnata, laddove proprio dall’affermazione della perentorietà del ridetto termine è stato fatto discendere l’annullamento degli atti impugnati.

6.1. In primo luogo, con riferimento alla qualificazione dei termini de quibus, non appare pertinente né decisivo il richiamo al disposto di cui all’art. 152, comma 2, cod. proc. civ. (su cui insistono le parti appellanti), secondo cui tutti i termini processuali sono ordinatori, salvo quelli espressamente qualificati come perentori.

Infatti, la Sezione ritiene di aderire al prevalente indirizzo giurisprudenziale secondo cui la disposizione innanzi citata vale esclusivamente per i termini processuali, mentre con riguardo ai termini esistenti all’interno del procedimento amministrativo il carattere perentorio o meno va ricavato dalla loro ratio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 settembre 2007, nr. 4890;
id., 25 gennaio 2007, nr. 268;
id., 27 dicembre 2006, nr. 7948;
Cons. Stato, sez. II, 9 aprile 2007, parere nr. 1634).

Di conseguenza, risultano recessivi anche gli argomenti letterali su cui si dilungano le parti nei propri scritti difensivi (e, in particolare, se l’inciso secondo cui la domanda di trattenimento in servizio “ va presentata ” nell’ambito dei termini suindicati vada inteso o meno come indicativo di una volontà del legislatore di attribuire ai termini carattere perentorio).

6.2. Nella prospettiva testé richiamata, non è contestabile che sono suscettibili di piena condivisione gli argomenti svolti dalla difesa erariale nel senso della riconducibilità dei termini ex art. 16, comma 1, d.lgs. nr. 503/1992 alla preminente finalità di consentire al C.S.M. di disporre dello spatium temporis necessario per verificare la sussistenza delle condizioni cui la norma àncora l’accoglibilità della domanda di trattenimento in servizio del dipendente.

In questa chiave interpretativa, la previsione va ricollegata alla sostanziale modifica apportata al citato art. 16, d.lgs. nr. 503/1992, dall’art. 72, comma 10, del decreto legge 25 giugno 2008, nr. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, nr. 133, allorché alla già riconosciuta previsione della “ facoltà di permanere in servizio oltre i limiti di età ” del pubblico dipendente che ne facesse richiesta è stata aggiunta la seguente ulteriore disposizione: “ ...In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento ”.

Secondo l’opinione preferibile, già più volte condivisa da questo Consiglio di Stato, la richiamata innovazione normativa ha comportato il mutamento ontologico della situazione giuridica fatta valere dal dipendente pubblico che aspiri al trattenimento in servizio: mentre nell’assetto originario si trattava di un vero e proprio diritto soggettivo a carattere potestativo (nel senso che, in presenza di richiesta dell’interessato, all’amministrazione incombeva l’obbligo di accoglierla), l’attuale disciplina la configura chiaramente come interesse legittimo, dipendendo la deroga all’ordinario collocamento a riposo del dipendente da una valutazione discrezionale dell’amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2011, nr. 5438;
id., 24 gennaio 2011, nr. 479).

Tale evoluzione è vieppiù confermata, come pure evidenziato dall’Amministrazione appellante, dalla ulteriore e più recente “novella” di cui all’art. 1, comma 17, del decreto legge 13 agosto 2011, nr. 138, convertito con modificazioni nella legge 14 settembre 2011, nr. 148 (pur non applicabile ratione temporis alla vicenda che qui occupa), che ha nuovamente innovato la previsione dell’art. 16, d.lgs. nr. 503/1992 nel senso che il dipendente interessato deve presentare una “ disponibilità al trattenimento ”, e non più una “ richiesta ”: con ciò rendendo ancor più evidente che ci si trova in presenza di un’eccezionale deroga all’ordinaria estinzione del rapporto d’impiego per raggiunti limiti di età, autorizzabile dall’amministrazione all’esito di una propria valutazione ampiamente discrezionale.

Così stando le cose, è evidente che la previsione della necessità di presentare la domanda di trattenimento in servizio nell’arco di una “finestra” temporale compresa tra i 24 e i 12 mesi antecedenti il collocamento a riposo – come emerge anche dalla sua introduzione contestuale alla ricordata trasformazione “ontologica” della posizione soggettiva del dipendente – viene a configurarsi non già come un onere imposto all’interessato in vista della realizzazione di un suo proprio interesse, ma piuttosto come preordinata a garantire all’amministrazione la possibilità di ponderare adeguatamente le condizioni che possono legittimare l’accoglimento dell’istanza (e, in particolare, le “ proprie esigenze organizzative e funzionali ”).

Trattandosi dunque di termini sostanzialmente ispirati da esigenze di buon andamento riconducibili all’art. 97 Cost., non è ragionevole ritenere che il potere discrezionale così riconosciuto in capo all’amministrazione venga meno, o comunque non sia più esercitabile, per il solo fatto che la richiesta di trattenimento in servizio sia stata depositata al di fuori dei termini medesimi: l’unico limite a tale conclusione essendo quello discendente dall’esigenza di evitare che di tale discrezionalità sia fatto un uso irragionevole, discriminatorio o arbitrario (ciò che, a tacer d’altro, contrasterebbe con l’altro fondamentale canone costituzionale dell’imparzialità).

6.3. Le conclusioni testé raggiunte non sono contraddette, malgrado gli argomenti in tal senso sviluppati dall’appellato, dalle disposizioni contenute nel già citato art. 72, d.l. nr. 112/2008, ai commi 8 (“ Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e quelli disposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto ”), 9 (“ Le amministrazioni di cui al comma 7 riconsiderano, con provvedimento motivato, tenuto conto di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009 ”) e 10 (“ I trattenimenti in servizio già autorizzati con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010 decadono ed i dipendenti interessati al trattenimento sono tenuti a presentare una nuova istanza nei termini di cui al comma 7 ”).

Nelle ipotesi disciplinate da dette disposizioni, invero, la perentorietà dei termini previsti per la presentazione delle domande di trattenimento in servizio effettivamente discende dalle stesse previsioni normative (come nel caso del comma 10 appena citato) ovvero, per quanto concerne la magistratura ordinaria, dalle modalità con cui la loro attuazione è stata regolata con circolari del C.S.M.

Tuttavia, ciò non contraddice il ravvisato carattere non perentorio “a regime” dei termini previsti dal più volte citato art. 16: infatti, le disposizioni da ultimo richiamate hanno un’evidente natura transitoria, e pertanto sono ispirate dalla ratio di fornire una soluzione una volta per tutte a talune situazioni specifiche, esaurite le quali si sarebbe esaurita anche l’efficacia delle medesime disposizioni.

In particolare, esse hanno riguardo ai trattenimenti in servizio già disposti prima della novella (dei quali è stata espressamente ribadita la validità e l’efficacia, estendendo tale previsione anche a quelli deliberati nei sei mesi dall’entrata in vigore del d.l. nr. 112/2008, e quindi di fatto differendo di un semestre l’entrata in vigore del nuovo meccanismo), a quelli deliberati nella residua parte dell’anno 2009 (per i quali è stato previsto un riesame d’ufficio da parte delle amministrazioni interessate) e per quelli già autorizzati dal 1 gennaio 2010 (dei quali è stata disposta la decadenza ex lege con l’obbligo degli interessati di presentare una nuova domanda).

Pertanto, trattandosi di regime transitorio, nella specie si giustifica la previsione di termini perentori al fine di agevolare una rapida e certa trattazione di tutte le situazioni cui esso è destinato ad applicarsi.

6.4. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, che persuadono la Sezione delle conclusioni più sopra anticipate nel senso della non perentorietà dei termini previsti dall’art. 16, d.lgs. nr. 503/1992, perdono altresì consistenza gli argomenti ermeneutici sulla base dei quali il primo giudice è pervenuto a conclusioni opposte.

In particolare, non può omettersi di sottolineare come la precedente decisione nr. 442 del 2003 di questo Consiglio di Stato, richiamata dal T.A.R. a conforto della soluzione prescelta, in realtà non autorizza le conclusioni raggiunte e anzi, al contrario, appare coerente con la ricostruzione sistematica e interpretativa di cui ai punti che precedono.

Infatti, nella fattispecie esaminata in tale occasione veniva in rilievo una disposizione (l’art. 1 della legge 19 febbraio 1991, nr. 51) intesa a consentire ai primari ospedalieri di ruolo, i quali non avessero raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione, di permanere in servizio fino al raggiungimento di tale anzianità: di modo che la previsione di un termine perentorio per la presentazione della relativa domanda in quel caso era coerente con la ratio della norma, manifestamente diretta al solo scopo di consentire agli interessati di conseguire un beneficio economico e senza alcuna implicazione di interessi pubblicistici.

7. La fondatezza della questione fondamentale evocata dagli appelli principali, per le ragioni innanzi esposte, comporta anche il consequenziale accoglimento degli ulteriori motivi d’impugnazione articolati avverso le statuizioni di annullamento delle circolari consiliari in subiecta materia.

Peraltro, l’acclarata natura ordinatoria (o, al più, meramente “acceleratoria”) dei termini de quibus rende irrilevante nella specie la circostanza che lo stesso C.S.M., nelle ridette circolari del 4 novembre 2008 e del 20 gennaio 2010, abbia poi ritenuto di qualificare come perentori, o parzialmente perentori, i termini medesimi (salva restando, ovviamente, la facoltà di modificare pro futuro la normativa subprimaria in conformità ai principi enunciati nella presente sentenza, che sono del resto conseguenza dell’operato – in questa sede ritenuto legittimo – dello stesso organo di autogoverno della magistratura).

Ne discende, in particolare:

- la superfluità di ogni approfondimento sul se, come sostenuto dal ricorrente in primo grado e documentatamente contestato dalle Amministrazioni odierne appellanti, la precitata circolare del 20 gennaio 2010, nella parte in cui – ferma restando, in via generale, la perentorietà dei termini in precedenza affermata dallo stesso Consiglio – consentiva in via transitoria l’esame delle istanze di trattenimento in servizio depositate fino al 31 marzo 2010 (termine poi “prorogato” al 22 agosto 2010), costituisse un provvedimento deliberatamente finalizzato a “sanare” la posizione del dottor B;

- l’irrilevanza del rilievo della “ singolarità ” di una disciplina subprimaria – quella riveniente dal “combinato disposto” sul punto delle due menzionate circolari – la quale, nell’interpretare un’unica disposizione, attribuisca carattere perentorio al termine iniziale e non anche a quello finale nella stessa previsto (trattandosi di questione che potrà essere esaminata, eventualmente, se e quando verranno all’attenzione giurisdizionale le doglianze di un magistrato al quale il trattenimento in servizio sia stato negato per essere stata la richiesta depositata prima dei 24 mesi antecedenti la data del previsto collocamento a riposo).

8. La riconosciuta fondatezza degli appelli principali, comportando la riforma della sentenza impugnata e la reiezione del ricorso introduttivo, rende altresì improcedibile l’appello incidentale col quale il dottor F ha riproposto la domanda articolata in primo grado coi motivi aggiunti.

9. L’evidente complessità e la novità delle questioni esaminate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

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