Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-11-19, n. 202007194

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-11-19, n. 202007194
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007194
Data del deposito : 19 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/11/2020

N. 07194/2020REG.PROV.COLL.

N. 05173/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5173 del 2020, proposto da
Sky Italia S.r.l., Sky Italian Holdings S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati M B, A C, Marco D'Ostuni e M Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A C in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Mediaset S.p.A. non costituita in giudizio;
Dazn Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Simone Cadeddu e Federico Marini Balestra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato n. 3534/2020.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e di Dazn Limited;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2020 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati A C, Marco D'Ostuni, M Z, Federico Marini Balestra e l’avvocato dello Stato Marco Stigliano Messutti, in collegamento da remoto, ai sensi dell'art.25 del D.L.137 del 28 ottobre 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - In data 28 novembre 2018, la società ricorrente ha comunicato all’AGCM la prospettata acquisizione del controllo esclusivo su R2 s.r.l. (“R2”), società appartenente al gruppo Mediaset.

R2 gestisce una piattaforma tecnica televisiva con tecnologia digitale terrestre (“DTT”). Mediaset Premium S.p.A. (“MP”) usa i servizi di R2 per offrire al pubblico contenuti audiovisivi a pagamento (“servizi pay”).

2 - Con il provvedimento del 7 marzo 2019 n. 27579, l’AGCM ha avviato un’istruttoria ex art. 16 della l. 287/90.

In data 28.3.2019, l’AGCM ha inviato alle parti la comunicazione delle risultanze istruttorie (“CRI”).

Secondo la CRI, l’operazione notificata, che riguardava l’acquisizione di R2 e delle numerazioni LCN da parte di SKY, all’interno di “ un più ampio insieme di accordi inscindibile con l’operazione di concentrazione ”: a) avrebbe rafforzato la posizione dominante di SKY nel mercato della pay-tv, consentendole di acquisire più facilmente gli abbonati o ex abbonati all’offerta pay di MP, senza concorrenza effettiva da parte degli operatori pay attivi su internet in modalità over-the-top (“OTT”);
b) avrebbe indotto MP a uscire dal mercato pay, producendo così effetti irreversibili e non rimediabili con l’abbandono dell’operazione.

Pertanto, la CRI proponeva di autorizzare l’operazione assoggettandola a specifiche condizioni di durata quinquennale ex art. 6 l. 287/90;
richiedeva inoltre in ogni caso rimedi di ripristino dello status quo ex art. 18 l. 5 287/90, applicabili anche in ipotesi di abbandono dell’operazione notificata, perché il closing era già avvenuto.

3 – Stante il contenuto della CRI, SKY riferisce:

- di aver deciso di restituire R2 a Mediaset e di aver comunicato a Mediaset la rinuncia a ogni diritto su R2 invitandola a riacquistarne materialmente il controllo;

- di aver ritirato la notifica dell’acquisizione di R2 in data 1.4.2019.

Precisa inoltre che:

- l’AGCM ha chiuso l’istruttoria in data 5.4.2019;

- con comunicazione in data 12, 15 e 16.4.2019, SKY ha documentato all’AGCM l’avvenuta restituzione di R2 a Mediaset, allegando anche il regolamento sottoscritto tra le parti (“Regolamento di restituzione”).

4 – In data 20 maggio 2019, l’AGCM ha adottato il provvedimento n. 27784 in base al quale le parti hanno realizzato una concentrazione diversa da quella notificata, ma quasi equivalente (“Operazione Autorizzata”). Inoltre, la restituzione di R2 a Mediaset e il mancato acquisto delle numerazioni LCN avrebbero integrato un abbandono solo “parziale” dell’operazione notificata.

Secondo l’AGCM, l’operazione aveva prodotto effetti “ irreversibili, e che non risultano eliminabili mediante la restituzione di R2 e la mancata acquisizione delle LCN ”, in quanto avrebbe tra l’altro: i) causato l’uscita dal mercato di Mediaset;
ii) trasferito a SKY il controllo delle attività secondarie e consentito a SKY, quando controllava R2, di modificare le CAM (moduli di accesso condizionato) della piattaforma, per “costituire in futuro una leva per costruire una piattaforma di Sky”. La concentrazione residua (come sopra descritta) ha rafforzato la posizione dominante di SKY nel mercato della pay-tv.

Per tale ragione, il provvedimento autorizzava l’operazione con condizioni ex art. 18 l. 287/90 e, al contempo, imponeva tali condizioni anche quali rimedi necessari per garantire il completo ripristino dello status quo .

Tali rimedi impongono: a) un divieto per SKY di acquisire nuovi contenuti audiovisivi o canali lineari di editori terzi per il territorio italiano con esclusiva per la piattaforma internet o clausole equivalenti;
b) obbligo per SKY, ove sviluppi una propria piattaforma DTT interoperabile con le CAM di R2, di offrire l’accesso a terzi a condizioni eque, ragionevoli, non discriminatorie e orientate ai costi, e generale divieto di usare informazioni o asset di R2 per proporre offerte pay.

5 - SKY ha impugnato il provvedimento avanti il T.A.R. per il Lazio che, con la sentenza n. 2932 del 2020, lo ha annullato integralmente, accogliendo le doglianze con cui SKY lamentava: a) una manifesta violazione delle procedure sul controllo delle concentrazioni e dei suoi diritti di difesa (motivo I);
b) l’inesistenza di una concentrazione attuale e, comunque, la mancata verifica da parte dell’AGCM della sua sussistenza e delle sue eventuali dimensioni di fatturato ai fini della configurabilità di un obbligo di notifica (motivi II, III, IV, V).

Il TAR ha espressamente assorbito gli altri motivi di ricorso di SKY (motivi VI-XII) riguardanti: a) l’incompatibilità delle operazioni considerate dall’AGCM come una singola concentrazione unitaria;
b) la natura non concentrativa della fornitura di servizi di accesso da R2 a SKY;
c) la permanenza di MP nel mercato dei servizi pay;
d) l’erronea ricostruzione cronologica dei fatti e dei loro effetti;
e) l’erronea imposizione di misure di ripristino anche a operazioni non ancora attuate;
f) l’illogica coincidenza tra condizioni autorizzative e obblighi ripristinatori;
g) la sproporzione dei rimedi imposti.

6 - Avverso tale decisione ha proposto appello l’Autorità, che ha trovato accoglimento nella sentenza di questa Sezione n. 3534/2020, resa in forma semplificata all’esito della camere di consiglio del 28 maggio 2020.

7 – Con il ricorso in esame SKY chiede la revocazione di tale pronuncia (“ perché affetta da plurimi manifesti errori di fatto ”) e di respingere l’appello con conferma della sentenza del T.A.R. per il Lazio che aveva annullato il provvedimento.

8 - Prima di scrutinare le censure di parte ricorrente giova ricordare che l’errore di fatto revocatorio consiste nel cd. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa. Esso non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio.

8.1 - La giurisprudenza ha contribuito a chiarire meglio le ipotesi che integrano l’errore di fatto revocatorio.

Come anticipato, costituisce principio pacifico quello per cui l’errore di fatto che legittima il ricorso per revocazione debba consistere nel c.d. “abbaglio dei sensi”. Detto in altri termini, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale e cioè in una svista – obiettivamente ed immediatamente rilevabile – che abbia portato ad affermare o soltanto supporre – purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione, in quanto “ un abbaglio dei sensi è incompatibile con l’omissione di motivazione, perché è la motivazione che rivela l’abbaglio ” ( cfr. Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 1980, n. 36) – l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato. Inoltre, occorre in ogni caso che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un errore di diritto ( cfr . C.G.A., 3 marzo 1999, n. 83) e con la revocazione si verrebbe in sostanza a censurare la valutazione e l’interpretazione delle risultanze processuali ( cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbriao 1980, n. 208).

Più schematicamente, questo Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen. n.1/2013) ha chiarito che l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 106 c. proc. amm., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa ( cfr . anche Cons. St., Ad. Plen., 17 maggio 2010, n. 2;
sez. III, 1° ottobre 2012, n. 5162;
24 maggio 2012, n. 3053;
sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607;
16 settembre 2008, n. 4361;
20 luglio 2007, n. 4097;
e meno recentemente, 25 agosto 2003, n. 4814;
25 luglio 2003, n. 4246;
21 giugno 2001, n. 3327;
15 luglio 1999 n. 1243;
C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530;
sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 708;
17 dicembre 2008, n. 6279;
C.G.A., 29 dicembre 2000, n. 530;
Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962;
5 marzo 2012, n. 3379;
sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1197).

L’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. St., Ad. Plen. n.1/2013, sez. VI, 25 maggio 2012, n. 2781;
5 marzo 2012, n. 1235).

9 - Con il primo motivo di ricorso si deduce la sussistenza di un errore di fatto revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c. perché il Consiglio di Stato non avrebbe esaminato l’eccezione di SKY, formulata nella memoria depositata in vista dell’udienza cautelare, secondo cui l’appello dell’AGCM era inammissibile, non avendo l’Avvocatura contestato con specifico motivo di appello la motivazione di accoglimento del T.A.R. in relazione al suo primo motivo di censura.

A sostegno della censura parte ricorrente rileva che:

a) con il primo motivo di ricorso al T.A.R., SKY ha contestato che – sull’assunto della intervenuta modifica sostanziale dell’operazione notificata dopo l’invio della CRI e la chiusura della fase istruttoria, per effetto della restituzione di R2 e della rinuncia all’acquisto delle numerazioni LCN – l’AGCM avrebbe dovuto valutare: i) l’avvio di un nuovo procedimento di controllo ex art. 16 l. 287/90, ove avesse reputato sussistente un fenomeno concentrativo soggetto a previa notifica;
ii) l’avvio di un procedimento ex art. 18 l. 287/90 per imporre misure ripristinatorie dirette a rimuovere eventuali effetti permanenti, prodotti nelle poche settimane di closing anticipato della precedente operazione non più realizzata;

b) il T.A.R. ha accolto tale censura, riconoscendo: i) la modifica sostanziale del progetto di concentrazione comunicato, essendo “ incontestabile il fatto che vi sia una significativa differenza tra l’operazione di concentrazione oggetto della CRI e quella oggetto del provvedimento definitivo ”;
ii) la sussistenza del vizio istruttorio censurato da SKY, secondo cui l’AGCM avrebbe dovuto avviare un nuovo procedimento;

c) nell’ambito del giudizio di appello, nella memoria per la camera di consiglio ritualmente depositata in data 26 maggio 2020, SKY ha formalmente eccepito la mancata contestazione, nell’appello proposto dall’Autorità, del citato capo della sentenza di primo grado, dedicandovi un apposito autonomo paragrafo della memoria (II.B) e concludendo che “ non essendovi nell’appello alcun profilo di doglianza volta a contestare specificamente i summenzionati passaggi decisivi della sentenza, l’appello stesso può essere respinto senza bisogno di esaminarne ulteriormente i contenuti, perché sarebbero in ogni caso inidonei a travolgere l’esito del giudizio di prime cure .”;

d) la sentenza revocanda non si sarebbe pronunciata su questa eccezione. Inoltre, essa non affronterebbe, nemmeno indirettamente nell’ambito dell’effetto devolutivo dell’appello, i contenuti e le motivazioni della sentenza del T.A.R., con riguardo all’accoglimento del primo motivo di ricorso di SKY e all’obbligo dell’AGCM di avviare un apposito procedimento di valutazione della eventuale operazione di concentrazione residua.

10 - La censura non può trovare accoglimento.

Risulta dirimente constatare come la sentenza impugnata esamini compiutamente il primo motivo del ricorso di primo grado della società e la relativa statuizione di accoglimento del T.A.R., concludendo per la riforma della stessa.

In particolare, la sentenza dà esplicitamente atto della censura formulata in primo grado da SKY (“ il provvedimento era quindi contestato da SKY, col ricorso di 1° grado, sia per motivi procedurali, sul rilievo che la diversità tra l’operazione oggetto di notifica e quella residua, oggetto delle prescrizioni, avrebbero richiesto la chiusura del procedimento aperto a seguito della C.R.I. e la riapertura di un procedimento d’ufficio - con tutte le violazioni consequenziali, soprattutto in tema di rispetto del contraddittorio ”);
quindi, si richiamano, in riferimento a tale censura, le ragioni di accoglimento del T.A.R. (“ Il TAR ha accolto il primo motivo di violazione del contraddittorio procedimentale, ritenendo che vi fosse una significativa differenza tra l’operazione di concentrazione oggetto della C.R.I. (acquisizione dell’intera R2, e acquisto di diversi “asset”) e quella oggetto del provvedimento definitivo (relativa a singoli accordi – in parte successivi alla stessa risoluzione e dunque al dichiarato abbandono – e ai contestati effetti irreversibili realizzatisi nel periodo nel quale l’accordo aveva avuto integrale esecuzione). Il TAR ha anche ritenuto irrilevante che, già nella C.R.I., l’Autorità avesse analizzato, pur sinteticamente, i possibili effetti residui dell’operazione in caso di un’eventuale risoluzione, essendo meramente ipotetico l’abbandono di quell’operazione, anche considerato che l’analisi della natura concentrativa del fenomeno e la formulazione delle prospettate prescrizioni, sarebbero state indicate, nella C.R.I., con riferimento all’operazione nella sua interezza. E ciò senza che il contenuto delle citate ipotesi fosse richiamato nel provvedimento finale ”).

In riferimento a tale conclusione nella sentenza impugnata si afferma testualmente: “ Il motivo è tuttavia infondato, come sostenuto dall’AGCM appellante ”. Segue l’esposizione delle ragioni che hanno portato a disattendere il primo motivo del ricorso originario ed accolto dal T.A.R. Testualmente: “ l’argomento della non obbligatorietà della comunicazione delle risultanze istruttorie, in materia di verifica del divieto delle operazioni di concentrazione, non è rilevante nella specie, in quanto in concreto tale comunicazione è comunque avvenuta, con l’invio dell’atto denominato Comunicazione delle risultanze istruttorie e del termine di chiusura della fase di acquisizione degli elementi probatori nel procedimento C12207, va osservato che l’art. 18 (conclusione dell’istruttoria sulle concentrazioni) della legge 10 ottobre 1990, n. 287, al terzo comma stabilisce che l’Autorità, se l’operazione di concentrazione è già stata realizzata, può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi. E nella specie l’Autorità ha testualmente dichiarato nel provvedimento, a premessa delle misure adottate, che l’operazione si sia già realizzata e abbia prodotto parte degli effetti anticoncorrenziali (così nei parr. 205, 322, 333 e nel penultimo cpv. prima del dispositivo). Quindi, sin dal momento della ricezione della C.R.I., la destinataria era in condizione di conoscere quale potesse essere l’esito del procedimento (indicato puntualmente nell’art.18, terzo comma cit.), in caso di positivo accertamento delle sue premesse, peraltro tempestivamente portate a sua conoscenza” .

10.2 - È palese che il giudicante, nel valutare positivamente l’appello dell’Autorità proprio in riferimento al capo della sentenza di primo grado cha accoglieva il primo motivo del ricorso di primo grado, lo ha ritenuto ammissibile, evidentemente non ritenendo fondata l’avversa eccezione di inammissibilità dell’appello per non aver contestato specificatamente tale capo della sentenza.

10.3 - La giurisprudenza di questo Consiglio ha precisato che l’omessa pronuncia su un vizio denunciato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso e senza privilegiare aspetti formali e può ritenersi sussistente solo nell’ipotesi in cui non risulti essere stato esaminato il punto controverso e non quando la decisione sul motivo (o sull’eccezione) risulti implicitamente, o quando la pronuncia su di esso c’è stata, anche se non ha preso specificamente in esame alcune argomentazioni a sostegno della doglianza ( cfr . Cons. St., Sez. IV, 17.12.2012, n. 6455;
sez. VI, 21.4.2009, n. 2414).

Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione ( cfr. sentenza del 30 giugno 2020 n. 13113) ha precisato che non ricorre il vizio revocatorio quando la decisione comporti una statuizione implicita di rigetto della istanza della parte, e ciò anche quando manchi in proposito una specifica argomentazione, appunto perché ricorre un chiaro contesto di incompatibilità con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.

In particolare l’eccezione che non sarebbe stata esaminata era relativa al passaggio logico giuridico della sentenza che afferma essere incontestabile che vi fosse una significativa differenza fra l’operazione oggetto della CRI e l’operazione definitiva, ricavando da questa conclusione la conseguenza dell’inammissibilità dell’appello proposto dall’Autorità.

La sentenza invece muove dal presupposto, ricavato dal complessivo tenore dell’impugnazione proposta dall’Avvocatura (come sostenuto dall’AGCM appellante), che l’appello abbia correttamente investito tutto il decisum del giudice di primo grado e successivamente dà conto del fondamento del potere esercitato dall’Autorità ravvisato nell’art. 18 comma 3 della legge n. 287 del 1990 non essendovi errore revocatorio nel mancato specifico esame – con specifiche argomentazioni - dell’eccezione formulata nella memoria del 26 maggio 2020, relativa ad una questione non avente poi effettivo valore decisivo stante il complesso appello della parte pubblica che ripercorre compiutamente la vicenda e la logica della decisione impugnata con argomenti che la sentenza ha ritenuto implicitamente ammissibili per l’evidenza della questione.

A questo proposito, deve ricordarsi che l’errore di fatto revocatorio deve essere stato elemento decisivo della decisione da revocare, dovendo sussistere un “ un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa ” ( cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 5 del 2014;
Sez. IV, n. 252 del 2006).

11 – Non possono trovare accoglimento nemmeno le ulteriori censure, con le quali, deducendo il vizio di omesso esame di una censura, si tende a provocare un (inammissibile) riesame della valutazione effettuata nella sentenza impugnata, attraverso la riproposizione delle questioni che hanno caratterizzato il tema controverso al fine di pervenire surrettiziamente ad una diversa decisione ( cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013 e n. 2/2010).

Deve sin da ora precisarsi che la sentenza impugnata dà compiutamente conto delle ragioni – la cui bontà non può certamente essere (ri)valutata attraverso lo strumento della revocazione – per le quali il provvedimento dell’Autorità deve essere confermato, dovendosi sottolineare che non costituisce motivo di revocazione il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla medesima parte a sostegno delle proprie conclusioni ( cfr . Cons. St., Ad. Plen. n. 21/2016).

11.1 - Le ragioni della decisione impugnata, in aggiunta a quanto già richiamato, sono sinteticamente riassumibili:

a) nell’errore in cui era incorso il T.A.R. – secondo cui il provvedimento non avrebbe considerato che la cessione della sub-licenza DTT (Digital Terrestrial Television) non ha attribuito a Sky una “esclusiva” su un determinato territorio, atteso che Mediaset ha continuato a trasmettere su “Infinity” e comunque avrebbe avuto una durata solo biennale – posto che “ il servizio Infinity rappresenta una quota di mercato inferiore all’ 1% (nota 308 al par. 219, a pag. 76), e si rivelava quindi inidoneo, per le sue minime ed irrilevanti dimensioni, ad effettuare quella specie di compensazione ipotizzata dal TAR a sostegno delle ragioni di SKY, quanto alla durata biennale, è di ovvia constatazione che anche un periodo limitato della persistenza delle cause di sviamento del mercato possa determinare effetti irreversibili sulla concorrenza ”;

b) nella non configurabilità di una violazione della comunicazione consolidata della Commissione sui criteri di competenza giurisdizionale a norma del regolamento CE n. 139/2004 del Consiglio, in quanto le “ attività secondarie sono complementari all’attività di impresa, dovendosi escludere conseguentemente la violazione della disposizione eurounitaria ”;

c) nell’errore in cui è incorso il T.A.R. – secondo cui il provvedimento non avrebbe nuovamente verificato, con riferimento agli “asset” residui, l’esistenza e l’entità di un autonomo fatturato ad essi riferibile – posto che: “ è agevole rilevare che in più punti del provvedimento impugnato sono presi in considerazione i fatturati dei soggetti interessati nella vicenda (parr. 1, 3, 21, 101, 102, 141, 208, 251) e, in particolare, nel par. 260 ne è rappresentata una disamina comparativa ”;
la sentenza impugnata mette, inoltre, in luce la premessa da cui muove il provvedimento (“ nella prassi applicativa queste operazioni possono essere trattate come una concentrazione unica in quanto le operazioni sono interdipendenti o nel caso in cui in un determinato periodo di tempo, solitamente due anni, più operazioni (ciascuna delle quali determina un’acquisizione di controllo) hanno luogo tra le medesime imprese. Tale ultima previsione è volta ad assicurare il principio di effettività del controllo delle concentrazioni, che sarebbe vanificato dalla possibilità che un complesso aziendale venga suddiviso in svariate operazioni e contratti paralleli e scaglionati nel tempo ”), concludendo nel senso che: “ l’analisi compiuta nel provvedimento, come ivi rappresentata, si rivela perfettamente aderente a quanto disposto nella Comunicazione consolidata della Commissione cit. (2008/C 95/01), là dove vi si stabilisce che due o più operazioni costituiscono una concentrazione unica ai fini del calcolo del fatturato delle imprese interessate (parr. 37, 38, 40, 41, 42, 44, 50, 137) ”.

d) nel reputare “ infondate tutte le restanti censure (dal sesto al dodicesimo motivo), non prese in esame dal TAR e assorbite, ma espressamente riproposte nella memoria di costituzione SKY del 20 maggio 2020, e che perlopiù sono la rielaborazione di quelle sin qui esaminate ” – dimostrando dunque di averle esaminate, e motivando poi sulla irrilevanza/infondatezza delle stesse, come segue.

Al riguardo, senza la necessità di ripercorre tutta la motivazione, la sentenza impugnata ha chiaramente valorizzato che: “ ciò che è irrimediabilmente mancato, a seguito dell’abbandono dell’operazione, è il ripristino dello status quo ante, essendo viceversa evidente che la cessione dei canali in esclusiva su digitale terrestre da parte di Mediaset ha determinato effetti irreversibili in tema di concorrenza, e che il controllo su R2, seppure per un periodo limitato, ha consentito a SKY di richiedere alla stessa R2 di modificare tecnologicamente le CAM (cioè i moduli che ospitano le smart card) in dotazione ai clienti, per eliminare il “pairing”, vale a dire un legame che rendeva impossibile l’utilizzo della CAM con una smart card diversa da quella di R2 Ed è appena il caso di ricordare che R2 è depositaria esclusiva delle chiavi di codifica per l’accesso ai contenuti dei canali audiovisivi gestiti, e che avere il controllo di tale società, seppure per un periodo limitato, poteva e può determinare effetti rilevanti e permanenti sull’acquisizione della clientela attuale o potenziale delle pay-tv. Questa e le altre caratteristiche dell’operazione hanno fatto sì che SKY abbia rafforzato la propria posizione dominante … sul mercato dei … servizi televisivi a pagamento (mercato della pay-tv), tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza ”.

11.2 - Tenuto conto che la decisione è stata resa in forma semplificata e dunque la motivazione può consistere “ in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ” (art. 73 c.p.a.), il richiamo dei punti salienti, dai quali emerge la logica della decisione, coerente con i motivi di censura avverso il provvedimento impugnato, costituisce di per sé la dimostrazione dell’inammissibilità degli ulteriori motivi di revocazione che, come anticipato, lungi dal mettere in evidenza un errore di fatto, ovvero una specifica “svista” chiaramente individuabile nel senso innanzi precisato, tendono a criticare la valutazione compiuta dal giudicante, mirando ad una rivalutazione delle medesime questioni sottese al ricorso con il quale era stato impugnato il provvedimento, come testimoniato dal fatto che le stesse per numero e complessità della relativa articolazione non sono idonee ad evidenziare “una svista”, criticando invece, attraverso la formale deduzione dell’omesso esame di un motivo, gli aspetti di merito rilevanti della vicenda sui quali la sentenza impugnata si è comunque pronunciata.

Come già più volte rimarcato, ciò è evidentemente incompatibile con lo strumento azionato nel presente giudizio, avuto riguardo al fatto che l’errore idoneo a giustificare il rimedio della revocazione deve essere evidente ed obiettivo, ossia apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza la necessità di argomentazione induttive o indagini ermeneutiche.

In altre parole, le caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio vanno individuate con rigore, per evitare che il distorto uso di tale rimedio straordinario dia inammissibilmente accesso ad un ulteriore grado di giudizio, non previsto e non ammesso dall’ordinamento. Inoltre, come già ricordato, il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata ( cfr . Cons. St., sez. IV, n. 4092/2007).

12 – Nello specifico, con il secondo motivo parte ricorrente contesta il mancato esame della censura con la quale si lamentava l’omessa verifica e violazione delle soglie di fatturato in relazione all’operazione autorizzata.

A tal fine, parte ricorrente rileva che:

a) con il IV motivo, SKY ha contestato che l’AGCM non aveva verificato l’effettivo superamento delle soglie di notifica con riguardo all’operazione autorizzata, frutto della sostanziale modifica dell’operazione originaria, con conseguente carenza di potere in concreto all’adozione di un provvedimento di autorizzazione condizionata;

b) il T.A.R. ha accolto la censura, evidenziando che il provvedimento non ha nuovamente verificato, con riferimento agli “asset” residui a seguito della restituzione di R2, l’esistenza e l’entità di un autonomo fatturato ad essi riferibile;

c) la sentenza del Consiglio di Stato si è limitata a sostenere che “ in più punti del provvedimento impugnato sono presi in considerazione i fatturati dei soggetti interessati nella vicenda (parr. 1, 3, 21, 101, 102, 141, 208, 251) e, in particolare, nel par.260 ne è rappresentata una disamina comparativa ”.

Parte ricorrente prospetta che la sentenza ha basato l’intera motivazione di accoglimento sulla circostanza di fatto che il provvedimento avrebbe accertato le soglie di fatturato degli asset (o imprese interessate o soggetti interessati) coinvolti nell’operazione autorizzata;
tuttavia, tale circostanza non risponderebbe alla realtà documentale, posto che in nessuno dei suddetti paragrafi menzionati nella sentenza si riferirebbe al fatturato degli asset residui (“soggetti interessati”) coinvolti nell’operazione oggetto di autorizzazione.

12.1 - Come anticipato, il dedotto vizio revocatorio non è ravvisabile.

E’ pacifico che la questione è stata oggetto di una specifica censura sulla quale la sentenza ha preso una chiara posizione. (Testualmente: “ altrettanto erronee sono le considerazioni del TAR riferite al quarto motivo, secondo cui il provvedimento non avrebbe nuovamente verificato, con riferimento agli “asset” residui, l’esistenza e l’entità di un autonomo fatturato ad essi riferibile. Al contrario, è agevole rilevare che in più punti del provvedimento impugnato sono presi in considerazione i fatturati dei soggetti interessati nella vicenda (parr. 1, 3, 21, 101, 102, 141, 208, 251) e, in particolare, nel par.260 ne è rappresentata una disamina comparativa ”).

Il fatto – dedotto da parte ricorrente – secondo cui nessuno dei suddetti paragrafi menzionati nella sentenza si riferisce al fatturato degli asset residui (“soggetti interessati”) coinvolti nell’operazione oggetto di autorizzazione costituisce proprio il tema sul quale si è espressa la sentenza impugnata, che non può essere surrettiziamente rimesso in discussione attraverso il rimedio revocatorio, il quale, come già ricordato, deve attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato.

Al riguardo, parte ricorrente trascura, inoltre, di considerare l’antecedente che precede il passaggio della sentenza censurato, che incide anche sulla questione delle soglie di fatturato, innanzi già citato e che per scrupolo si ritrascrive: “ nella prassi applicativa queste operazioni possono essere trattate come una concentrazione unica in quanto le operazioni sono interdipendenti o nel caso in cui in un determinato periodo di tempo, solitamente due anni, più operazioni (ciascuna delle quali determina un’acquisizione di controllo) hanno luogo tra le medesime imprese. Tale ultima previsione è volta ad assicurare il principio di effettività del controllo delle concentrazioni, che sarebbe vanificato dalla possibilità che un complesso aziendale venga suddiviso in svariate operazioni e contratti paralleli e scaglionati nel tempo ”).

Le conclusioni a cui giunge SKY a proposito della censura in esame – “ Il provvedimento è pertanto illegittimo, perché ha autorizzato con condizioni ex art. 18(3) l. 287/90 un’operazione di concentrazione inesistente e, persino nella prospettazione dell’AGCM, comunque non soggetta a obbligo di notifica ex art. 16 l. 287/90 ” – sono eloquenti del fatto che la questione rientra proprio tra quelle principali intorno alle quali ruota il giudizio, che non può certamente essere rimessa in discussione tramite il prospettato errore di fatto, sotto forma di “svista”, trattandosi invece di rivalutare un aspetto fondamentale della vicenda sul quale la sentenza impugnata si è già pronunciata.

Oltretutto, la giurisprudenza ha chiarito che non ricorre l’ipotesi dell’errore revocatorio nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione ( cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013).

13 – Vale un’analoga considerazione circa il dedotto errore di fatto revocatorio in relazione alla questione sul mancato ripristino dello status quo ante (motivi VIII – XI).

Anche tale aspetto è stato, infatti, esaminato nella sentenza nei seguenti termini: “ ciò che è irrimediabilmente mancato, a seguito dell’abbandono dell’operazione, è il ripristino dello status quo ante, essendo viceversa evidente che la cessione dei canali in esclusiva su digitale terrestre da parte di Mediaset ha determinato effetti irreversibili in tema di concorrenza, e che il controllo su R2, seppure per un periodo limitato, ha consentito a SKY di richiedere alla stessa R2 di modificare tecnologicamente le CAM (cioè i moduli che ospitano le smart card) in dotazione ai clienti, per eliminare il “pairing”, vale a dire un legame che rendeva impossibile l’utilizzo della CAM con una smart card diversa da quella di R2. Ciò significa che, se in futuro Sky adottasse una nuova piattaforma tecnologica compatibile con tali CAM (ad esempio, acquisendo la licenza Nagravision di R2 alla scadenza del contratto tra queste due), potrà utilizzare le CAM di R2 semplicemente mediante la fornitura di nuove smart card, che non sarebbero state utilizzabili senza la rimozione del “pairing” effettuata da Sky una volta acquisito il controllo di R2 [par.267 del provvedimento] … permettendo a Sky una facile acquisizione di ulteriori clienti e riducendo, allo stesso tempo, la loro contendibilità da parte di altri operatori di pay-tv. Questa e le altre caratteristiche dell’operazione hanno fatto sì che SKY abbia rafforzato la propria posizione dominante … sul mercato dei … servizi televisivi a pagamento (mercato della pay-tv), tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza (par.331 del provvedimento), anche per essere rimasto l’unico soggetto con pay-tv sia sul satellite che sul digitale terrestre”.

13.1 – Gli argomenti di parte ricorrente circa l’errata percezione da parte del giudicante delle tempistiche degli accordi, in particolare quanto all’esercizio dell’opzione di cessione della Sub-Licenza DTT, costituiscono elementi direttamente afferenti alla questione degli effetti che, anche a seguito della rinuncia alla programmata operazione, si sarebbero comunque consumanti, sui quali la sentenza impugnata motiva in modo sintetico ma esaustivo .

Come già ricordato, l’eventuale circostanza che la sentenza non abbia preso posizione su tutte le eccezioni difensive di una parte non è suscettibile di configurarsi come errore revocatorio, potendo al più costituire mero vizio del procedimento logico-giuridico estraneo alla iniziativa ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. ( Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5180).

Sul punto, la giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., n. 21/2016) ha ben chiarito che è “ in relazione al motivo di ricorso che si pone l’obbligo di corrispondere, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato ”, mentre “ non tutta l’illustrazione svolta dal ricorrente in un giudizio di impugnazione costituisce motivo di ricorso ”, concludendo che “ non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte medesima a sostegno delle proprie conclusioni ”.

14 – Parte ricorrente deduce la sussistenza di un errore di fatto revocatorio anche per l’omessa pronuncia in relazione ai motivi VIII, IX, XI e XII.

Secondo parte ricorrente, la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi:

a) sul motivo VIII: con cui SKY rileva che Mediaset non è uscita dal mercato dei servizi pay, tantomeno per effetto dell’operazione di concentrazione autorizzata;

b) sul motivo IX: con cui SKY sostiene che l’analisi dei presunti effetti della concentrazione è erronea anche quanto alla successione cronologica degli avvenimenti, contestando che: i) il provvedimento attribuisce alla concentrazione effetti prodottisi prima che questa avesse luogo;
ii) SKY ha detenuto il controllo di R2 per soli 4 mesi (dal dicembre 2018 alla restituzione di R2 in aprile 2019), dunque un così limitato periodo di tempo preclude di per sé la produzione di effetti irreversibili;
iii) anche con riguardo alla fase successiva del closing l’analisi degli effetti svolta dal provvedimento è afflitta da grossolani errori, sminuendo anche l’importanza dell’apertura della piattaforma di R2 a terzi in ottica prospettica.

c) sul motivo XI: con cui SKY lamenta che le condizioni autorizzative e gli obblighi ripristinatori dello status quo ante non possono coincidere;

d) sul motivo XII: con cui SKY lamenta che i rimedi adottati sono sproporzionati, in quanto inidonei e non necessari rispetto alle preoccupazioni espresse dall’AGCM.

14.1 – Parte ricorrente deduce, inoltre, la sussistenza di un ulteriore errore di fatto revocatorio per motivazione apparente che ridonda in omessa pronuncia in relazione ai vizi sostanziali (motivi II, III, V, VI e VII) e agli effetti e alle misure ripristinatorie (motivo XII).

A tal fine rammenta che SKY, con il gruppo di motivi da II a VII, aveva censurato che il provvedimento ha autorizzato, con condizioni, un’operazione inesistente evidenziando tra l’altro che si tratta di una questione ben distinta dalla valutazione di eventuali effetti irreversibili dell’operazione abbandonata, suscettibili di giustificare misure ripristinatorie.

La sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi su tali motivi, non spiegando perché l’operazione autorizzata dall’AGCM avrebbe natura concentrativa e quale sia il vincolo condizionale che in ipotesi unirebbe le operazioni analizzate, non replicando in alcun modo alle censure mosse da SKY (Ricorso, gruppi di motivi II – VII).

15 – Le illustrate censure non possono trovare accoglimento.

Anche in riferimento alle stesse vale ricordare che i supposti errori prospettati dalla società quali vizi revocatori attengono proprio ai motivi di appello che hanno formato, nella sentenza del Consiglio di Stato, oggetto di valutazione, e che non sono affatto qualificabili, pertanto, come meri errori di fatto.

Anche a prescindere dalla precisazione contenuta nella sentenza – “ le questioni fin qui vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati per vero tutti gli aspetti rilevanti ai sensi dell’art 112 c.p.c. ed in coerenza con il principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di segno diverso ” – la prospettata conclusione emerge dalla stessa lettura delle censure, così come articolate nel ricorso per revocazione (innanzi solo sommariamente citate), che non si concentrano affatto sull’omessa considerazione di un fatto preciso, ma contestano il merito delle valutazioni che il giudice di secondo grado ha svolto e di cui innanzi si sono ripercorsi i passaggi fondamentali (vedasi in particolare punti 11.1 e 13).

15.1 - Quanto al dedotto mancato esame di specifici motivi, deve precisarsi che la revocazione per omesso esame del motivo non costituisce un’autonoma ipotesi di revocazione, ma si fonda sempre sull’errore di fatto, ossia sulla svista materiale, che postula evidentemente la mancata conoscenza del motivo.

L’omessa pronuncia su una censura è riconducibile all’errore di fatto revocatorio, purché risulti evidente della lettura della sentenza e sia chiaro che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima ( cfr . Cons. St., Sez. VI, n. 587/2012;
Sez. IV, n. 5292/2004). Si deve, inoltre, trattare di una totale mancanza di valutazione del motivo, e non di un difetto di motivazione della decisione ( cfr . Cons. St., Sez. V, n. 1508/2007).

Nel caso di specie, la sentenza dà esplicitamente conto di tutti i motivi di ricorso – e dunque non li trascura – ritenendo di respingere alcuni di essi, stante l’esaustività delle considerazioni già svolte.

Testualmente si legge: “ Sono infine infondate tutte le restanti censure (dal sesto al dodicesimo motivo) … riproposte nella memoria di costituzione SKY del 20 maggio 2020, e che perlopiù sono la rielaborazione di quelle sin qui esaminate , ivi sostenendosi che la restituzione di R2 a Mediaset escluderebbe l’ipotesi di concentrazione, con conseguente non luogo a provvedere, e contestandosi la valutazione degli effetti dell’operazione e la proporzionalità delle misure adottate, trattandosi di operazioni scindibili, ritenute dalla deducente prive di natura concentrativa e non eccedenti le soglie di notifica .… Come detto nei numeri che precedono, l’Autorità ha sufficientemente motivato con argomenti condivisibili circa l’unicità, sotto l’aspetto teleologico, dell’operazione presa ad esame, avvalorata dalla constatazione dell’interdipendenza dei suoi vari segmenti, quali il contratto di servizio e l’opzione di vendita, ma anche gli accordi di distribuzione e diffusione, le licenze delle emittenti pay-tv e la numerazione dei canali. Ed è anche stato puntualmente rispettato il principio espresso al par.120 della Comunicazione consolidata della Commissione cit., secondo cui in caso di attuazione della concentrazione prima di una decisione della Commissione, deve essere dimostrato il ristabilimento dello status quo ante. Il semplice ritiro della notifica non è considerato una prova sufficiente del fatto che la concentrazione è stata abbandonata ”;
seguono i passaggi della motivazione già innanzi citati al punto 13. Ne consegue come non vi è stata la mancata percezione del motivo che può fondare la revocazione, ma semmai, al più, un errore logico ( in iudicando ), per una errata valutazione circa la fondatezza del motivo alla luce delle considerazioni già svolte.

Inoltre, come già rimarcato, la sentenza motiva esplicitamente richiamando le ragioni già espresse a fondamento della decisione, disvelando dunque la conoscenza delle censure, sicché la loro valutazione in termini di infondatezza non può essere in alcun modo ricondotta ad un errore di fatto idoneo a giustificare il rimedio revocatorio.

Non deve, inoltre, trascurarsi che il Collegio ha ritenuto di decidere in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. (vedasi anche art. 74 c.p.a. che, a proposito della sentenza resa in forma semplificata, prevede che: “ la motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”).

16 – In riferimento a tale scelta processuale, aspramente critica dell’appellante, è sufficiente rilevare come, oltre a non essere suscettibile di integrare un vizio revocatorio, l’operato del Collegio risulta conforme alla citata previsione di cui all’art. 60 del codice del processo amministrativo, tenuto altresì conto che il comma 5 dell’art. 84 del D.L. 18/2020 ha previsto, relativamente ad un definito periodo temporale per l’emergenza sanitaria in atto, che le controversie fissate per la trattazione anche in udienza camerale passino in decisione senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, con la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso.

Non può, inoltre, essere trascurata l’esigenza di provvedere celermente al fine di addivenire ad un esito certo di una controversia quale quella oggetto di causa avente immediati effetti sul mercato di riferimento.

17 – I prospettati effetti distorsivi che le misure imposte arrecherebbero al mercato - anche in ragione dell’assoluta eccezionalità della situazione determinata dall’emergenza sanitaria in atto che secondo la società ricorrente renderebbero non più attuali le prescrizioni alla stessa imposte (“ in quanto le condizioni di mercato in base alle quali, oltre un anno fa, l’AGCM aveva ritenuto di imporre misure a SKY sono drasticamente mutate a ulteriore vantaggio degli operatori internet e svantaggio di SKY, a causa del repentino stravolgimento apportato dalla pandemia di Covid-19 al settore della pay-tv ”) - non possono evidentemente essere apprezzati nel presente giudizio.

La situazione eccezionale prospettata e descritta dalla società (pg. 37 e ss. del ricorso per revocazione) potrà e dovrà, invece, essere indagata dall’Autorità nell’ambito della sua ordinaria attività di monitoraggio del mercato ( cfr . art. 12 l. 287/90) e delle peculiarità del settore in discorso, che si caratterizza per una rapida evoluzione tecnologica;
in tale attività andrà, inoltre, valutato il prospettato impatto sul mercato della straordinaria situazione emergenziale sopravvenuta al provvedimento impugnato che, secondo la ricorrente, ha comportato un formidabile incremento del fatturato degli operatori attivi su internet, suscettibile di incidere sull’assetto del mercato così come cristallizzato nel provvedimento impugnato e tale da giustificare, in ipotesi, il concreto riesame delle prescrizioni imposte alla società laddove risultino, per avventura, non più adeguate alla situazione venutasi a creare (attraverso l’esercizio del potere generale di revoca di cui all’art. 21 quinquies della 241 del 1990, quale esito eventuale ed ovviamente impregiudicato nel contenuto, trattandosi di poteri non ancora esercitati, di una vigilanza sull’adeguatezza e proporzionalità delle misure ripristinatorie dettate nel contesto pre-pandemico, vedasi anche punti 71 e seguenti della Comunicazione della Commissione concernente le misure correttive considerate adeguate a norma del regolamento (CE) n. 139/2004 che non esclude tale potere pur postulandone l’eccezionalità ).

18 – In definitiva, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese di lite, stante la complessità del giudizio, possono essere compensate

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