Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-24, n. 202000588

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-24, n. 202000588
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000588
Data del deposito : 24 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/01/2020

N. 00588/2020REG.PROV.COLL.

N. 00172/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 172 del 2017, proposto da
COMPAGNIA DI SAN MARCO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A B, P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e domicilio fisico eletto presso lo studio P G in Roma, via Giovanni Nicotera, n. 29;

contro

R C, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato C M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, n. 9934 del 2016;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati Giovannelli Paolo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata, emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;

Rilevato in fatto che:

- con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierna appellante impugnava il diniego di condono opposto da Roma Capitale con determinazione dirigenziale n. 187 del 25 novembre 2010 – relativa all’istanza di sanatoria presentata in data 31 marzo 2004 per regolarizzare opere abusivamente realizzate, consistenti in « un ampliamento residenziale su terrazzo con servizio igienico per mq. 62 al 5° piano e sistemazione esterna del terrazzo », eseguite su un’immobile sito in via Baccio Pontelli n. 14 –, diniego motivato in ragione della circostanza che « alla data del 31/03/2003, le opere abusive oggetto di condono non erano state realizzate »;

- a fondamento del ricorso, la società istante deduceva;

i) il vizio di incompetenza, poiché il provvedimento di diniego non era stato adottato dal Sindaco;

ii) l’illeggibilità della firma apposta in calce;

iii) l’eccesso di potere, essendo stato il diniego adottato in data precedente «alla riapertura dei termini per l’accesso agli atti e le relative deduzioni ai sensi dell’art. 10- bis della L. 241/90»;

iv) il difetto di istruttoria, in quanto le foto acquisite dall’Amministrazione erano risultate «indecifrabili e sgranate», senza data e non accompagnate dalla «specifica e necessaria relazione della stessa società incaricata GEMMA»;

- con motivi aggiunti, la società impugnava, per motivi di illegittimità derivata dal diniego di condono, anche la determinazione dirigenziale n. 294 del 10 febbraio 2014, recante l’ordine di rimozione delle opere abusivamente realizzate, così descritte: « sul terrazzo sito al piano quinto, accessibile attraverso una scala esterna di collegamento con il sottostante terrazzo dell’unità abitativa int. 8-9, realizzazione di una volumetria con struttura orizzontale e verticale in legno, con tetto di copertura ad una falda in legno coibentato e tamponatura esterna in infissi in ferro e vetri. Tale volumetria, di circa mq 60,00, ha un'altezza alla gronda di circa mt 2,10 e un'altezza al colmo di circa mt 2,90. All’interno della suddetta volumetria sono state realizzate, in pannelli di legno, tramezzature onde ricavare un wc e un ripostiglio. All’atto del sopralluogo le opere risultavano ultimate e l'ambiente interno arredato con suppellettili varie »;

- il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 9934 del 2016, respingeva il ricorso;

- avverso la predetta sentenza ha proposto appello la società Compagnia San Marco s.r.l., riproponendo le principali censure mosse in primo grado, e segnatamente deducendo che:

i) gli aerofotogrammi presi in considerazione dall’Amministrazione non sarebbero idonee a provare la falsità della “autodichiarazione” resa dal legale rappresentante della società appellante, in ordine al tempo di completamento dei lavori, in quanto (come attestato nella perizia dell’11 maggio 2016), la quota di volo era molto elevata (quota relativa di volo 6000 metri c/a e scala originale dei fotogrammi 1:40000 c/a), e si trattava di una immagine monoscopica;

ii) il giudice di prime cure sarebbe incorso in errore anche nel ritenere che la struttura edilizia esistente era stata costruita con materiali diversi dal vetro e dal legno, atteso che anche l’ordine di demolizione attesta che trattavasi di «una volumetria con struttura orizzontale e verticale in legno, con tetto di copertura ad una falda in legno coibentato e tamponatura esterna in infissi in ferro e vetri»;

iii) illegittima sarebbe la decisione dell’Amministrazione di non valutare gli elementi istruttori acquisiti nel periodo temporale corrente tra la data del 25 novembre 2010 (data di adozione del provvedimento impugnato) e la data dell’11 novembre 2013 (data di comunicazione dell’atto), ove si consideri che la partecipazione procedimentale era stata chiesta espressamente da Roma Capitale con atto n. 65337 del 16 dicembre 2011;

iv) in punto di garanzie procedimentali, non sarebbe applicabile l’art. 21- octies , della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale potrebbe trovare applicazione soltanto quando l’Amministrazione abbia accertato con estrema certezza la situazione di fatto esistente;

v) dalla documentazione in atti si evincerebbe che l’Amministrazione resistente aveva acquisito le aerofotogrammetrie dalla Gamma S.p.A., senza indire alcuna gara pubblica, per la selezione del contraente;

vi) lo stesso Ufficio U.C.E., di Roma Capitale, competente ad adottare il provvedimento di diniego impugnato, in data successiva alla sua emanazione, aveva adottato l’atto n. 65337 del 16 dicembre 2011, il quale – essendo volto a acquisire le osservazioni procedimentali della società – avrebbe un contenuto assolutamente incompatibile con l’impugnato diniego di condono edilizio;

- si è costituito in giudizio Roma Capitale, insistendo per il rigetto del gravame;

- con ordinanza n. 734 del 17 febbraio 2017, la Sezione – « [r]itenuto, ad un primo sommario esame tipico della presente fase cautelare: che l’istanza incidentale di sospensione della esecutività della sentenza appellata non è assistita dal fumus boni iuris;
che, in particolare, non sono stati forniti al Collegio elementi idonei a smentire la principale ratio decidendi della sentenza censurata, incentrata sulla mancata dimostrazione (da parte dell’odierno appellante) dell’effettiva ultimazione delle opere entro il 31 marzo 2003
» – ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della sentenza appellata;

Ritenuto in diritto che:

- la sentenza di primo grado deve essere confermata;

- costituisce principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi ‒ i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni ‒ trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione;

- solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria;

- l’art. 31, comma 2, legge n. 47 del 1985 prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio «strutturale», che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio «funzionale», che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale;

- quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici «ultimati», si intendono quelli completi almeno al «rustico», espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130);

- la nozione di completamento funzionale implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione;
in altri termini l’organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso;

- nel caso di specie, l’appellante nel corso del giudizio di primo grado non ha fornito elementi idonei a comprovare la preesistenza del manufatto alla data del 31 marzo 2003 (come invece richiesto dall’art. 32, comma 25, della legge n. 326 del 2003);

- difatti, la società appellante si è limitata a fornire:

i) un preventivo di spesa (afferente la “fornitura e montaggio gazebo in legno”), due fatture che non riportano alcuna descrizione dei “lavori eseguiti”, ed un’altra, datata 11 dicembre 2003, relativa alla costruzione di un «gazebo in ferro/legno», la quale non corrisponde alla descrizione dell’abuso edilizio riportata nell’istanza di condono, contemplante la «realizzazione di un ampiamento residenziale su terrazzo con servizio igienico»;

ii) le perizie tecniche prodotte dalla ricorrente, si limitano ad ammettere la compatibilità del manufatto oggetto di condono con un «arco di tempo» che va dal 15 ottobre 2001 al 13 dicembre 2003;

iii) la stessa aerofotografia della SARA-NISTRI, in cui il manufatto condonato sarebbe presente, risale al 13 dicembre 2003;

iv) le lettere recapitate dal vicino di casa si dolgono dell’avvenuta collocazione di piante e gazebo, e dunque non dell’opera oggetto di sanatoria;

iv) in senso contrario alla tesi dell’appellante, stanno pure gli esposti che l’Associazione dei cittadini di San Saba aveva presentato al Comune, con i quali si denunciava, nel mese di novembre del 2003, la presenza in loco di un TIR con una gru che provvedeva a scaricare ingenti quantità di materiali edilizi che serviranno per la costruzione di un manufatto;

- a sostegno della realizzazione postuma delle opere, tra il luglio del 2003 ed il gennaio del 2004, l’amministrazione ha invece prodotto le seguenti due foto (recanti sul retro il timbro della società che l’ha scattata):

a) l’immagine fotografica del 9 luglio 2003, da cui si evince che, a quella data, sul lastrico solare dell’immobile di proprietà dell’appellante non esisteva alcun manufatto (come correttamente affermato dal giudice di prime cure, a tal fine rileva soprattutto l’omogeneità nelle “tinte” tipica delle superfici connotate da un pari livello);

b) la foto aerea scattata nel 2004 dalla società Gemma (che all’epoca gestiva in regime di appalto le istruttorie tecniche dell’Ufficio condono edilizio), in cui compare nitidamente la presenza di una sopraelevazione;

- la censura relativa all’asserita illegittimità dell’incarico affidato dall’Amministratore per l’effettuazione dei voli per mezzo dei quali sono state realizzate le suddette foto, è inammissibile, atteso che vengono in questo modo invocate norme (di evidenza pubblica) poste a protezione di un interesse (quello alla concorrenza) disancorato dal bene della vita azionato dalla società appellante nel presente giudizio, e trattandosi peraltro di vizi che non avrebbero di per sé alcuna influenza sull’attendibilità della prova raccolta;

- quanto alla lamentata violazione delle garanzie procedimentali, è dirimente considerare che, in considerazione della natura vincolata del provvedimento di diniego di condono e del successivo ordine di demolizione, tale tipologia di vizio non potrebbe comunque comportarne l’annullamento, ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241 del 1990, in quanto ininfluente sul loro contenuto dispositivo che non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;

- da ultimo, il più volte citato atto n. 65337 del 16 dicembre 2011, volto a acquisire le osservazioni procedimentali della società appellante, per quanto sia indice di un agire poco lineare dell’Amministrazione, esso non può certo determinare in via retrospettiva l’illegittimità del diniego di condono che era già stato precedentemente adottato, e neppure ad esso può riconoscersi il contenuto ed il valore giuridico di un atto di annullamento in autotutela;

- l’appello va dunque respinto;

- le spese del secondo grado di lite, seguono la soccombenza secondo la regola generale;

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