TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2016-09-26, n. 201609934
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 26/09/2016
N. 09934/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01463/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1463 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Compagnia Di San Marco, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti V F C.F. FRTVCN58B07C002Z e M C L C.F. LNCMCR64P63F952X, con domicilio eletto presso V F in Roma, piazzale Luigi Sturzo n. 9;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. R M C.F. MRRRLF61D22H501P, con domicilio eletto presso il difensore nella sede dell’Avvocatura dell’Ente in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per l'annullamento
-quanto al ricorso introduttivo:
della determinazione dirigenziale n. 187 del 25 novembre 2010, notificata il successivo 11 novembre 2013, recante il rigetto dell’istanza di condono prot. n. 0-518592-0 del 31 marzo 2004;
-quanto ai motivi aggiunti, depositati il 29 aprile 2014:
previa sospensione dell’esecuzione,
della determinazione dirigenziale n. 294 del 10 febbraio 2014, notificata il 21 febbraio 2014, avente ad oggetto “Ingiunzione a rimuovere o demolire” le opere abusivamente realizzate in Via Baccio Pontelli n. 14;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 il Consigliere A M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1.Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 10 gennaio 2014 e depositato il successivo 6 febbraio 2014, la ricorrente impugna il provvedimento adottato in data 25 novembre 2010, notificato il successivo 11 novembre 2013, con cui Roma Capitale ha respinto l’istanza di condono dalla predetta presentata in data 31 marzo 2004 per regolarizzare opere abusivamente realizzate, consistenti in “un ampliamento residenziale su terrazzo con servizio igienico per mq. 62 al 5° piano e sistemazione esterna del terrazzo”, eseguite su un’immobile sito in via Baccio Pontelli n. 14, chiedendone l’annullamento.
A tali fini la ricorrente - dopo aver precisato che l’istanza di condono è stata respinta in applicazione dell’art. 40 della legge n. 47 del 1985, poiché ritenuta “dolosamente infedele” in ragione della circostanza che, come dimostrato da “aereofoto”, “alla data del 31/03/2003, le opere abusive oggetto di condono non erano state realizzate” - deduce i seguenti motivi di diritto:
VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ECCESSO DI POTERE – INCOMPETENZA – CARENZA DI MOTIVAZIONE, atteso – in sintesi - che il provvedimento di cui si discute non è stato adottato dal Sindaco, la firma in calce ad esso apposta risulta “illeggibile”, non è stata indicata la data di esecuzione dei lavori abusivi “sul piano edilizio”, non è stata specificata e/o accertata la reale destinazione d’uso dell’immobile e, ancora, l’emissione risale al 2010, ossia è precedente “alla riapertura dei termini per l’accesso agli atti e le relative deduzioni ai sensi dell’art. 10 bis della L. 241/90”, con conseguente nullità dell’atto impugnato “in quanto…. revocato, in via di autotutela da parte della stessa pubblica Amministrazione, il preavviso di rigetto”. In ogni caso, l’accesso agli atti ha consentito di riscontrare difetto di istruttoria e, in particolare, ha rivelato l’insussistenza della “prova regina”, ossia delle “aerofoto acquisite”, risultate “indecifrabili e sgranate”, senza data e, ancora, non accompagnate dalla “specifica e necessaria relazione della stessa società incaricata GEMMA”, e, dunque, prive di validità giuridica, come evidenziato anche nella perizia tecnica all’uopo prodotta, la quale rende, peraltro, “verosimile la dichiarata data di ultimazione delle opere entro il 31.03.2003”, tenuto conto dei “tempi tecnici necessari non inferiori a sette/otto mesi per la realizzazione ex novo di tutto il manufatto in contestazione” ma anche dell’avvenuta richiesta già nel 2002 e del successivo rilascio il successivo 30 gennaio 2003 del nulla osta da parte del M.B.A.C..
Con atto depositato in data 20 febbraio 2014 si è costituita Roma Capitale.
2. Con motivi aggiunti notificati in data 18 aprile 2014 e depositati il successivo 29 aprile 2014, contestualmente a documenti, consistenti anche in numerose fotocopie di “fatture” risalenti al 2002, la ricorrente impugna la determinazione dirigenziale n. 294 con cui, in data 10 febbraio 2014, Roma Capitale le ha ingiunto la “rimozione o demolizione entro 30 (trenta) giorni” di tutte “le rimanenti opere abusivamente realizzate” e delle ulteriori eventuali opere “abusive nel frattempo eseguite”, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare.
A tali fini la ricorrente denuncia l’illegittimità derivata della determinazione de qua, riproponendo pedissequamente i motivi di diritto già dedotti con il ricorso introduttivo.
3. Tenuto conto anche di documenti prodotti in data 17 novembre 2014 da Roma Capitale e della memoria depositata dalla ricorrente in medesima data, con ordinanza n. 5913/2014 la Sezione ha accolto la domanda cautelare proposta con i motivi aggiunti.
4. In data 30 ottobre 2015 Roma Capitale ha depositato una memoria difensiva, corredata da documenti, con cui ha confutato le censure formulate, ponendo, tra l’altro, in evidenza l’avvenuta regolare notifica del preavviso di rigetto dell’istanza di condono con nota del 3 maggio 2010 ma anche il carattere vincolato del provvedimento di diniego poiché fondato su prove documentali, “quali i rilievi aerofotografici che attestano la non ultimazione dell’opera abusiva riportando conformemente al disposto normativo il timbro, la data e strisciata del volo”, e aggiungendo, ancora, che la validità giuridica di esse non è oggetto di contestazione nella perizia giurata prodotta, in cui “anzi…. si afferma che i lavori sono stati realizzati in un arco temporale compreso tra il 15.10.2001 e il 13.12.2003, quindi non confermando la certa realizzazione e ultimazione dell’opera abusiva entro il termine del 31.03.2003”.
A tale memoria la ricorrente ha replicato con scritti difensivi prodotti i successivi 6 e 18 novembre 2015, contestando la tempestività del “deposito documentale” nonché la fondatezza dei rilievi dell’Amministrazione, dando particolare risalto alla totale mancata produzione da parte di quest’ultima di prove a supporto del rispetto delle garanzie procedimentali ed alla presenza “nel fascicolo dell’Ufficio Condoni” di “mere fotocopie di aerofoto tutt’altro che chiare e leggibili, oltre che prive di timbro, data e strisciata di volo” nonché sostenendo di aver pienamente adempiuto all’onere probatorio afferente la data di ultimazione dei lavori.
5. Con ordinanza n. 14047 del 2015 il Tribunale ha disposto incombenti istruttori.
In ottemperanza all’ordine impartito, in data 17 febbraio 2016 Roma Capitale ha prodotto documenti, atti a comprovare – in particolare - l’avvenuta ricezione da parte della ricorrente in data 3 maggio 2010 della comunicazione “ai sensi dell’art. 10 bis della Legge n° 241/90” (come, tra l’altro, confermato dalla richiesta di “accesso agli atti” che ad essa ha fatto seguito) e, ancora, a rappresentare le prove fornite dall’interessata “a sostegno dell’ultimazione dei lavori entro il 31 marzo 2003”, ritenute assolutamente inadeguate e, comunque, smentite da quanto risultante da fotografie aeree certificate dalla società CGR, prodotte dalla società Gemma, risalenti rispettivamente al 9 luglio 2003 e all’anno 2004.
A seguito del deposito in data 12 maggio 2016 di una perizia tecnica volta a porre in discussione l’adeguatezza della fotografia del 9 luglio 2003 a comprovare l’assenza delle opere oggetto dell’istanza di condono in quanto “si tratta”, tra l’altro, “di una immagine monoscopica” e, comunque, a ribadire che “fin dal 13/12/2003” le stesse opere erano state realizzate, il successivo 20 maggio 2016 la ricorrente ha prodotto una memoria con cui ha insistito nel lamentare la mancata produzione in giudizio da parte dell’Amministrazione resistente di “riproduzioni fotografiche in originale e/o perlomeno in copia di fedele certezza” nonché nel sostenere l’avvenuto pieno adempimento all’onere probatorio “pacificamente richiesto dalla giurisprudenza”.
In data 31 maggio 2016 Roma Capitale ha prodotto “una breve memoria di replica”, con cui – dopo aver espresso apprezzamento per la rinuncia “di fatto” della parte avversa “a coltivare la prima censura” – ha ribadito l’idoneità della foto del 9 luglio 2003 a dimostrare l’insussistenza della “superfetazione”, ossia dell’ampliamento “residenziale” realizzato, nonché posto in evidenza l’assoluta inadeguatezza della foto della Sara Nistri prodotta dalla ricorrente a costituire “la prova decisiva a sostegno” del rispetto del termine ultimo prescritto dalla legge per la realizzazione delle opere, utile per poter fruire del condono, tenuto conto che la stessa cristallizza un momento temporale (il 13 dicembre 2003) pacificamente ed abbondantemente successivo alla “scadenza del termine” in esame.
6. All’udienza pubblica del 22 giugno 2016 – nel corso della quale il difensore di Roma Capitale si è, tra l’altro, offerto di depositare gli originali della documentazione fotografica già prodotta in “copia” ma senza poter ricevere utile riscontro, stante la ferma opposizione del difensore della ricorrente – il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
1.1. Come esposto nella narrativa che precede, con l’atto introduttivo del presente giudizio ed i motivi aggiunti in seguito proposti la ricorrente lamenta l’illegittimità del diniego di condono alla predetta opposto da Roma Capitale con determinazione dirigenziale n. 187 del 25 novembre 2010 nonché dell’ingiunzione di rimozione o demolizione delle opere abusivamente realizzate di cui alla determinazione dirigenziale n. 294, adottata il successivo 10 febbraio 2014.
A tali fini la ricorrente denuncia una pluralità di vizi, essenzialmente incentrati sul mancato rispetto delle prescrizioni in materia di competenza e di garanzie procedimentali nonché sul difetto di istruttoria.
Le censure formulate non sono meritevoli di positivo riscontro per le ragioni di seguito indicate.
2. Per quanto attiene al vizio afferente la competenza, il Collegio ritiene sufficiente ribadire – in linea con l’orientamento ormai consolidato e assolutamente pacifico della giurisprudenza – che, a seguito del quadro normativo delineato dal legislatore per effetto della legge 8 giugno 1990, n. 142, e del d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modifiche, ogni previsione della legge n. 47 del 1985 relativa alla spettanza al Sindaco dei poteri inerenti all’edilizia e, in generale, alla trasformazione del territorio mediante la realizzazione di opere è da considerarsi implicitamente abrogata, atteso che tutti i provvedimenti di gestione amministrativa rientranti ovvero riconducibili nell’alveo, tra le altre, della materia in discussione - tra cui chiaramente ben meritano di essere inclusi anche il rigetto di un’istanza di concessione edilizia in sanatoria o di condono - risultano essere stati attribuiti alla competenza del dirigente (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3475;TAR Campania, Napoli, Sez. II, 16 gennaio 2013, n. 328;TAR Lazio, Roma, Sez. II, 8 febbraio 2012, n. 1236).
Tenuto conto dei rilievi della ricorrente, preme, ancora, aggiungere che, secondo principi ordinariamente condivisi, la leggibilità della firma di un atto non costituisce - a differenza dell’omissione di ogni sottoscrizione - un “requisito essenziale” dell’atto stesso e, più specificamente, non vale a rendere quest’ultimo automaticamente invalido in tutte le ipotesi in cui – come quella in trattazione – siano comunque riscontrabili elementi utili a offrire certezze in ordine alla corretta identificazione del funzionario che ha apposto la firma e, dunque, a consentire l’effettiva riferibilità del provvedimento all’Amministrazione, quali la dicitura dattiloscritta e l’intestazione su di esso riportate (cfr., tra le altre, Cass. Civ., Sez. Trib., 5 agosto 2004, n. 15048;C.d.S., Sez. VI, 21 agosto 2002, n. 4246;TAR Lombardia, Milano, 22 marzo 1996, n. 351).
3. Come in precedenza riportato, la ricorrente lamenta, poi, la lesione delle garanzie procedimentali, adducendo – in particolare – che, sulla base della disamina delle iniziative assunte dall’Amministrazione e precipuamente della nota dell’Ufficio Condono prot. n. 65377 del 16 dicembre 2011, il diniego di condono impugnato sarebbe da ritenere “nullo” per intervenuta revoca, “in via di autotutela da parte della stessa Pubblica Amministrazione”, del “preavviso di rigetto”, ossia della “conditio sine qua non della Determinazione di reiezione dell’istanza di condono”.
Al riguardo, il Collegio ritiene di poter soprassedere in ordine a disquisizioni inerenti all’intervenuta rinuncia “di fatto” o meno della ricorrente “a coltivare” la censura in esame, ancorché in tal senso abbia avuto modo di esprimersi Roma Capitale (cfr. memoria depositata in data 31 maggio 2016), atteso che la censura de qua è infondata o, comunque, non vale a determinare l’annullamento in questa sede richiesto per le ragioni di seguito indicate:
- la documentazione prodotta agli atti in ottemperanza a quanto richiesto con l’ordinanza istruttoria n. 14047 del 2015 rivela in termini inequivoci che Roma Capitale ha provveduto a comunicare correttamente all’interessata il “preavviso di rigetto” con raccomandata A/R recapitata il 3 maggio 2010, tanto che quest’ultima si è anche attivata già in data 20 maggio 2010 al fine di richiedere l’accesso agli atti. A fronte di tale nota, la successiva comunicazione dell’Amministrazione del 16 dicembre 2011 risulta – in verità - connotata da contenuti che si rivelano non del tutto chiari ma, in ogni caso, tali contenuti non appaiono sufficienti di per sé a concretizzare l’invocata “revoca” del preavviso in esame e, dunque, a determinare la “nullità” per tale motivo del diniego impugnato;
- premessa la natura vincolata del provvedimento di diniego di condono di cui si discute, risulta, peraltro, doveroso tenere conto del disposto dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e, dunque, disconoscere la possibilità di procedere all’annullamento per vizi di forma e/o di procedura, qual è quello in trattazione, in tutti i casi in cui risulti palese che – come si avrà modo di meglio esplicitare nel prosieguo – il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In sintesi, risulta dimostrato che l’Amministrazione resistente ha operato nel rispetto della prescrizione di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 ma – anche volendo ammettere una sostanziale riapertura da parte della stessa Amministrazione dei termini per la formulazione di “controdeduzioni”, al fine di garantire la piena ed effettiva osservanza al già citato art. 10 bis – deve comunque convenirsi con Roma Capitale in ordine alla sussistenza di tutte le condizioni utili per ritenere applicabile il disposto di cui all’art. 21 octies della medesima legge.
4. Stante quanto anticipato, chiara si rivela l’essenzialità rivestita, ai fini del decidere, dalla attendibilità o, meglio, dalla validità giuridica delle asserzioni rese dalla ricorrente nell’istanza di condono in ordine alla data di ultimazione delle opere abusive, ovvero il carattere “saliente” dell’epoca di completamento dei lavori, come, tra l’altro, riconosciuto anche dalla predetta (cfr. memoria del 6 novembre 2015).
Al riguardo, appare opportuno ricordare che la ricorrente denuncia “difetto di istruttoria”, ponendo primariamente in evidenza l’inadeguatezza degli elementi acquisiti dall’Amministrazione a supportare il provvedimento di diniego adottato nonché sostenendo l’avvenuta produzione in giudizio di “documentazione che dimostra inequivocabilmente l’effettiva ultimazione dei lavori entro i termini dichiarati in sede di istanza di condono” (cfr., tra l’altro, memoria del 6 novembre 2015, già cit.).
Tale censura non è meritevole di condivisione.
Posto che – come, del resto, mostra di essere ben a conoscenza la stessa ricorrente – grava sul richiedente l’onere di provare l’ultimazione dei lavori entro la data utile prescritta dalla legge e, in particolare, di fornire, a fronte di dati acquisiti dal Comune idonei ad evidenziare una diversa epoca dell’abuso, elementi che si prestino a dimostrare in modo certo ed inequivoco l’avvenuto rispetto del termine previsto dalla legge, “non potendo limitarsi a contestare i dati in possesso dell’Amministrazione”, “a pena di rigetto della domanda”, e ciò in ragione della semplice considerazione che, “mentre l’amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista” (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075;TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 20 gennaio 2014, n. 181;TAR Campania, Napoli, Sez. II, 24 ottobre 2013, n. 4750), il Collegio ritiene che – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – gli elementi da quest’ultima forniti non valgano a dimostrare l’effettiva ultimazione delle opere entro il 31 marzo 2003, tenuto conto che:
- risultano essere stati prodotti un mero “preventivo di spesa” in data 8 luglio 2002 afferente la “fornitura e montaggio gazebo in legno”, due fatture che, oltre ad essere prive di firma, non riportano alcuna descrizione dei “lavori eseguiti” e, ancora, una fattura, datata 11 dicembre 2003, del pari priva di firma, afferente “lavori eseguiti nei mesi dicembre 2002 – gennaio 2003” per la costruzione di un “gazebo in ferro/legno”, ossia fatture che, al di là della propria validità giuridica, si rivelano estranee alla realizzazione delle opere abusive oggetto della controversia in trattazione, consistenti – come espressamente ricordato da Roma Capitale ma anche desumibile da articoli di stampa e per nulla confutato dalla ricorrente - in un “nuovo vano in muratura, vetri e acciaio”, in linea, tra l’altro, con la descrizione sintetica dell’abuso edilizio riportata nell’istanza di condono, contemplante la “realizzazione di un ampiamento residenziale su terrazzo con servizio igienico”;
- risulta, altresì, che l’aerofotografia della SARA – NISTRI “dove il manufatto condonato è chiaramente presente” (cfr, tra l’altro, perizia giurata del 12.04.2012), invocata dalla ricorrente, risale soltanto al 13 dicembre 2003, ossia è di molto successiva al termine utile di ultimazione delle opere prescritto dal legislatore per la condonabilità dell’abuso (31 marzo 2003);
- nell’ambito delle perizie tecniche prodotte dalla ricorrente, gli esperti all’uopo incaricati si limitano ad ammettere la compatibilità della data di “realizzazione del manufatto oggetto di condono” con il periodo previsto “per la condonabilità, ovvero il 31/3/2003” e, ancora, ad attestare la presenza del “volume posto sul lastrico solare dell’immobile” “fin dal 13/12/2003”;
- nelle lettere del vicino, il sig. Paolo Marozzotto, si fa riferimento alla semplice installazione di una siepe e alla successiva sostituzione di quest’ultima “con piante in vasi di plastica… ad un’altezza ben superiore a quella d’uomo” e, dunque, non figurano in alcun modo lamentele volte a contestare la realizzazione di “opere”.
In definitiva, non può che convenirsi con Roma Capitale circa l’inidoneità delle prove fornite dalla ricorrente a comprovare l’ultimazione dell’abuso in contestazione entro il 31 marzo 2003.
Per mera completezza, preme, poi, precisare che le foto aeree acquisite dall’Amministrazione dalla società CGR, ancorché non risultino essere state depositate in originale, ben si prestano – in ogni caso – a confermare che, alla data del 9 luglio 2003, lo stato dei luoghi non era identico a quello esistente nel 2004, rivelando la prima di esse un’omogeneità nelle “tinte” tipica delle superfici connotate da un pari livello e dall’identità dei materiali presenti in loco, la quale risulta invece assolutamente carente nella seconda, effettuata nel 2004.
5. Per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.
Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.