TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2012-02-08, n. 201201236

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2012-02-08, n. 201201236
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201201236
Data del deposito : 8 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10918/2010 REG.RIC.

N. 01236/2012 REG.PROV.COLL.

N. 10918/2010 REG.RIC.

N. 11857/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso RG n. 10918 del 2010, proposto dal signor C E, rappresentato e difeso dall'avv. G F, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, piazza Trinita' dei Monti, 16;

contro

- il COMUNE di ARDEA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. P M, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via G.Pierluigi da Palestrina,55;
- il DIRIGENTE dell’Ufficio Condono –Area Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Ardea, in persona dell’arch. A. Rocca, n.c.;
- la REGIONE LAZIO, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t., n.c.;
- la SOPRINTENDENZA per i BENI AMBIENTALI ed ARCHITETTONICI del LAZIO, in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;

e con l'intervento di

nonchè



sul ricorso RG n. 11857 del 2010, proposto dal signor C E, come sopra rappresentato e difeso;

contro

-il COMUNE di ARDEA, in persona del Sindaco p.,t., n.c.;
- la REGIONE LAZIO, persona del Presidente della Giunta regionale p.t., n.c.;
- la SOPRINTENDENZA BENI AMBIENTALI ed ARCHITETTONICI del LAZIO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Gen.Le dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento, previa sospensiva,

quanto al ricorso RG n. 10918 del 2010:

- del Provvedimento Prot. Gen. 40385 del 23/08/2010 del Comune di Ardea, che ha comunicato il rigetto definitivo dell’istanza di sanatoria presentata per l’immobile sito in Lungomare degli Ardeatini n. 211 nonché di tutti gli atti presupposti, conseguenti, connessi e coordinati e in particolare della determina dirigenziale n. 30/C del 18.4.2008 e della comunicazione dei motivi ostativi in data 15.3.2010, prot. n. 13996 nonché del silenzio ingiustificato e immotivato dell’Amministrazione;

quanto al ricorso RG n. 11857 del 2010:

dell’ordinanza n. 383 del 13.9.2010 notificata il 20.10.2010, con la quale il Comune ha ingiunto la demolizione dell’immobile sito in Ardea, sopradescritto, con avviso di acquisizione di diritto al patrimonio dell’Amministrazione in caso di inottemperanza.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ardea e della Soprintendenza Beni Ambientali ed Architettonici del Lazio;

Vista l’ordinanza n. 384 del 2011 (relativamente al ricorso RG 10918/2010) e n. 385 del 2011 (relativamente al ricorso RG 11857/2010) che hanno accolto nei limiti la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2011 il Cons. M C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso RG n. 10918/2010 in epigrafe il signor C E ha impugnato gli atti sopraindicati adottati dal Comune di Ardea e relativi a un immobile sito nel territorio del detto Comune, in Lungomare degli Ardeatini n. 211, identificato in Catasto al Foglio 46, part.lla 410-501, di proprietà dello stesso e recanti: - il rigetto definitivo dell’istanza di sanatoria presentata per il rilascio del relativo titolo edilizio ai sensi della Legge n. 47 del 1985 e succ. mod. (provv. prot. n. 40385 del 23/08/2010);

- la comunicazione di preavviso di diniego, in relazione all’istanza di sanatoria presentata dal precedente proprietario ai sensi degli artt. 32 e 33 della Legge n. 47 del 1985 e la determinazione dirigenziale n. 30/C del 18.4.2008 di diniego del rilascio del N.O. paesistico in sanatoria nonché il silenzio ingiustificato dell’Amministrazione.

Il ricorso si basa sulle seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990 e succ. mod. con particolare riferimento agli artt. 2 e 2 bis della legge 18 giugno 2009, n. 69. Eccesso di potere per tardività abnorme nella decisione della pratica di condono, dall’anno 1986 all’anno 2010. Illegittimità del silenzio dell’Amministrazione. Responsabilità dirigenziale. Risarcimento dei danni , atteso il mancato rispetto dell’obbligo della P.A. di provvedere sulla domanda proposta, anche se ritenuta non accoglibile, ciò ai fini della tutela del principio di trasparenza. Inoltre, l’invocato vincolo richiamato nella motivazione del provvedimento di diniego sarebbe intervenuto successivamente alla preesistente costruzione e alla domanda di sanatoria.

2) Incompetenza dell’organo emanante il provvedimento di diniego definitivo della sanatoria;
conflitto di interessi con precedenti provvedimenti anch’essi impugnati,
attesa la competenza del Sindaco ex art.35, comma 15, della Legge n. 47 del 1985.

3) Eccesso di potere per motivazione insufficiente e contraddittoria, travisamento dei fatti, falsi presupposti, ingiustizia e irragionevolezza manifesta, l’Amministrazione avrebbe dovuto considerare come favorevole il parere della Soprintendenza non formulato nel termine e considerare che i vincoli sopravvenuti dopo la data del 19.3.1986 non sarebbero applicabili retroattivamente con conseguente accoglimento della domanda di sanatoria. Inoltre, l’illegittimità si rifletterebbe anche sul profilo procedimentale e sull’esito del condono anche ai fini della formazione del silenzio-assenso di cui all’art.35, comma 19, della legge n. 47 del 1985. .

4) Eccesso di potere per contraddittorietà di provvedimenti, disparità di trattamento, omesso esame di documenti ed atti importanti sviamento, perché da un lato la motivazione ammetterebbe la grave compromissione di tutto il territorio a causa di tanti abusi edilizi, dall’altro sarebbe individuata con il diniego di sanatoria la causa di tale danno dovuta dal solo immobile del ricorrente. Inoltre sarebbe illegittimo e inconferente il riferimento alla mancanza di N.O. ai sensi dell’art.55 del cod. nav., perché l’immobile insisterebbe su proprietà privata e non su area demaniale .

Si è costituito in giudizio per resistere al ricorso l’Amministrazione comunale, la quale ha prodotto articolate e documentate memorie.

Con l’ordinanza n. 384 del 2011 è stata accolta l’istanza cautelare nei limiti e sono stati disposti incombenti istruttori eseguiti dal Comune con deposito di ulteriore documentazione.

2. Con ricorso RG n.11857 del 2010 è stata impugnata l’ordinanza n. 383/2010 di demolizione dell’immobile in questione con avviso di acquisizione di diritto al patrimonio dell’Amministrazione in caso di inottemperanza. Il ricorrente ha formulato analoghe censure già formulate nel ricorso RG n.10918/2010 evidenziando l’illegittimità del procedimento e il mancato adempimento all’obbligo di provvedere da parte dell’Amministrazione.

Sottolinea inoltre, che alla incompetenza dell’organo emanante (il dirigente in luogo del sindaco competente) sarebbero mancate la decisione del Consiglio comunale e il parere della Commissione edilizia, con contraddittorietà sia della motivazione che dell’ordinanza di demolizione laddove rileva la compromissione del territorio e il danno provocato con riferimento al solo immobile del ricorrente, tanto da ordinare la demolizione.

Si è costituita in giudizio la Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici per resistere al ricorso chiedendone la reiezione. Con ordinanza n. 385 del 2011 è stata accolta nei limiti la domanda di sospensione del provvedimento impugnato e sono stati disposti incombenti istruttori.

In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato ulteriore documentazione a difesa.

I ricorsi sono stati chiamati per la discussione all’udienza pubblica del 20 ottobre 2011, e quindi trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio preliminarmente dispone per ragioni di economia processuale la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 70 c.p.a. ricorrendone i presupposti per la trattazione congiunta attesa la connessione soggettiva e oggettiva.

2. Nel merito i gravami presentano profili di infondatezza per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Quanto al ricorso RG n. 10918/2010 osserva il Collegio che è infondato il censurato vizio della violazione del procedimento ed eccesso di potere per la tardività della decisione con formazione del silenzio assenso (primo mezzo)in quanto, in materia di condono edilizio, nel sistema delineato dalla legge n. 47 del 1985, il silenzio assenso si può formare in presenza di requisiti e adempimenti previsti dall’art. 35 della richiamata legge. In particolare, va rilevata l’impossibilità giuridica di formazione di un provvedimento tacito di assenso su domande di sanatoria edilizia relative a immobili in aree sottoposte a vincoli, come nell’ermeneutica normativa avallata da consolidato indirizzo giurisprudenziale per l’ipotesi della mancanza di espresso parere favorevole, giacché il rilascio della concessione in sanatoria per abusi in zone vincolate presuppone necessariamente il parere favorevole della competente autorità, laddove l’inerzia o la lentezza dei comuni nel provvedere sulle istanze di condono edilizio non può assicurare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero conseguire in virtù di provvedimento espresso e, in particolare, non può consentire di superare la mancanza dei prescritti pareri favorevoli (tra le tante pronunce: cfr.T.A.R. Toscana, sez. III, 27 febbraio 2009, n. 350). In particolare, dal combinato disposto degli artt. 35, comma 18° e 32, primo comma, della Legge n. 47 del 1985, si evince che, in caso di istanza di sanatoria edilizia per opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo, il silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi dall'emissione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo si forma solo nel caso di parere favorevole, e non anche di parere contrario, poiché il rilascio della concessione in sanatoria per abusi in zone vincolate presuppone necessariamente il parere favorevole, e non il parere sic et simpliciter della predetta autorità (cfr. T.A.R. Lombardia - Brescia, sez. I, 8 luglio 2010, n. 2459;
TAR Puglia Bari, sez. III, 12 gennaio 2010 n. 17;
T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 21 luglio 2009, n. 2062).

Dalla lettura combinata dell’art. 32, primo comma e dell’art. 35 della predetta legge n. 47 del 1985 si esclude infatti che il mancato rilascio del parere favorevole sulle domande di sanatoria per opere realizzate in aree sottoposte a vincoli determini l’accoglimento tacito delle istanze. E’ vero che il testo dell’art. 32, primo comma, precedente a quello riformato dalla L. n. 326/2003 (che al primo comma qualifica come silenzio rifiuto la situazione lesiva generata dall’inerzia dell’autorità competente ad esprimere il parere) - vigente ratione temporis (in atti risulta la richiesta di parere paesaggistico e domanda di condono presentata in data 29.3.1986) - indicava un’ipotesi di silenzio assenso riferita specificamente al parere: ma questo con l’eccezione di cui all’art. 33, tra cui è ricompresa quella delle “opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della L. 1 giugno 1939, n. 1497 e che non siano compatibili con la tutela medesima”. Ne risulta quindi confermata la generale impostazione secondo cui tra gli immobili suscettibili di sanatoria insistenti in aree vincolate, tra i quali a questo tipo di vicenda non si applica alcun silenzio – assenso, dato che l’art. 35, comma 18, inibisce espressamente la formazione di assenso tacito per le domande di sanatoria relative ad immobili per i quali operi l’art. 33 della medesima legge.

Infondato è pure l’ulteriore profilo del primo motivo con il quale si prospetta l’anteriorità della realizzazione dell’opera rispetto all’atto impositivo del vincolo paesistico, con particolare riferimento alle previsioni del P.T.P.

Va premesso, al riguardo, che ai fini del rilascio di una concessione edilizia in sanatoria rispetto ad un immobile soggetto a vincolo paesistico è ininfluente l’epoca - antecedente o successiva alla commissione dell’abuso - in cui è sorto il vincolo, né, tantomeno, rileva la mancata conoscenza di esso da parte dell’autore dell’abuso, all’epoca della commissione dello stesso, purché il vincolo risulti ancora apposto alla data in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria (cfr. ex multis, Cons.Stato, sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377;
idem, 13 settembre 2010 , n. 6572;
idem, 23 febbraio 2011, n. 1127;
T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 22 marzo 2011, n. 448).

2.2.Con il secondo motivo, parte ricorrente, nel presupposto che nel caso in questione il provvedimento di diniego di sanatoria debba essere espresso dal Sindaco, ha censurato l’incompetenza dell’organo emanante e il vizio del procedimento. La censura è infondata.

Osserva il Collegio che tenuto conto del mutato quadro normativo in ordine alle competenze del Sindaco e della dirigenza degli enti locali (già per effetto della L. 8 giugno 1990, n. 142 e del D.Lgs. n. 267 del 2000 e succ.mod.), va richiamata la consolidata giurisprudenza secondo cui deve ritenersi implicitamente abrogata ogni previsione della Legge n. 47 del 1985 relativa alla competenza del Sindaco in materia edilizia, dal momento che tutti i provvedimenti di gestione amministrativa in materia edilizia e urbanistica, compreso quindi il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono, rientrano ai sensi delle sopravvenute disposizioni nella sfera di competenza del dirigente (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 4 dicembre 2006, n. 10370;
idem, sez. VII, 15 dicembre 2010, n. 27393;
T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 3 novembre 2010, n. 7183;
T.A.R Lazio, Roma, sez. II, 4 febbraio 2011, n. 1076).

Inoltre, nella specie, la costruzione è stata ultimata nel 1974, come dichiarato nella domanda di condono presentata e confermato da parte ricorrente, e nel preambolo del provvedimento di diniego di sanatoria impugnato (provvedimento richiamato anche dalla successiva ordinanza di demolizione anch’essa impugnata) sono indicati sia il DM 22.10.1954 recante il vincolo (anteriore rispetto all’epoca della costruzione) del Ministro della Pubblica Istruzione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28.1.1955, che il P.T.P. n.10 approvato con L.R. n. 24/1998 nonché il P.T.P.R. adottato con le delibere della Giunta Regionale del Lazio in data 25.7.2007, n. 556 e in data 21.12.2007, n. 1025.

Peraltro va posto in rilievo che, in relazione alla censura dedotta con il secondo motivo, l’immobile è sottoposto a tutela paesistica ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004 ed è soggetto a vincolo apposto con DM 22.10.1954, risultando ininfluente ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria l’epoca antecedente o successiva alla commissione dell’abuso(cfr. ex multis , Cons.Stato, sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377;
idem, 23 febbraio 2011, n. 1127).

Si osserva altresì che, nella parte motiva del provvedimento di diniego impugnato, il primo “considerato” riporta quanto segue: “ L’edificio….. fa parte di una serie di costruzioni, realizzate tra la spiaggia e il lungomare, che compromettono sia l’accessibilità che la percezione del panorama marino. Questi edifici costituiscono …grave danno paesaggistico in quanto alterano le caratteristiche morfologiche e naturali del luogo, facendogli perdere la propria identità fisica. L’impatto della realizzazione edilizia, nel contesto disturbante di diffusa fabbricazione, ha carattere invasivo tanto da determinare la compromissione non solo della percezione paesaggistica da parte della collettività, ma anche lo stravolgimento dell’armonia e naturale bellezza del paesaggio e dell’ambiente circostante”.

In particolare, proprio il D.M. 22.10.1954, richiamato nell’atto impugnato, qualifica di notevole interesse pubblico la fascia costiera dalla foce del Tevere al confine con la provincia di Latina (Torre Astura) e la dichiara sottoposta alle disposizioni della legge n. 1497 del 1939, per la tutela paesistica. Di fatto è l’intero litorale della provincia romana a essere interessato.

La normativa di protezione delle bellezze naturali di cui alla predetta legge n. 1497 del 1939 è oggi recepita in parte dal codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato con D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il cui art. 136 (recependo l’art. 1 della L. n. 1497 del 1939) riconosce (lett. c, d) notevole interesse pubblico ai complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, nonché alle bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze. Il successivo art. 142, inoltre, considera (lett. a) protetti ex lege i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare e l’art. 146, richiamando in parte il contenuto dell’art. 7 della predetta L. n. 1497 del 1939, stabilisce che i proprietari, i possessori e i detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree d’interesse paesaggistico non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che arrechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. Sulla base di tale norma vanno richiesti la valutazione e il nulla osta dell’autorità competente alla tutela dei valori ambientali per i progetti e gli interventi edilizi sui predetti immobili, con verifica della compatibilità tra l’intervento e l’interesse paesaggistico protetto.

Orbene nel Lazio la L.R. 19 dicembre 1995, n. 59 ha disposto la sub-delega ai comuni delle funzioni amministrative in materia ambientale e , pertanto, alla stregua di quanto rilevato, anche ai sensi della successiva L.R. n. 24 del 1998, deve concludersi per la competenza dell’Amministrazione comunale chiamata in giudizio in relazione alla fattispecie in esame ai fini del rilascio del parere paesaggistico.

Parimenti infondato appare il censurato difetto di istruttoria e di motivazione riguardo gli atti impugnati posto che i medesimi, alla luce di quanto precedentemente osservato, non appaiono viziati sia in relazione alla sequenza temporale dell’adozione dei provvedimenti stessi sia sulla base del contenuto e delle argomentazioni ivi esposte dall’Amministrazione comunale. Al riguardo, le ragioni a sostegno degli atti impugnati non risultano generiche e contraddittorie, come sostenuto da parte ricorrente, ma esaustive e congrue con riferimento anche all’interesse di tutela paesaggistica presente in area e alla descrizione degli elementi di contrasto con esso e che impediscono l’accoglimento dell’istanza di condono edilizio.

Va altresì aggiunto per completezza di argomento che il richiamato D.M. 22.10.1954, che attribuisce al territorio da esso descritto notevole interesse pubblico, riconoscendone il valore estetico e di bellezza panoramica fruibile ex universalitate costituisce il presupposto al provvedimento di diniego contestato, il quale è esauriente nell’indicare come questi valori siano stati compromessi nel tempo da complessi edificati sine titulo , anche in momenti diversi, tra i quali s’inserisce l’immobile cui è stata denegata sanatoria, che impediscono l’accessibilità e la percezione del panorama marino.

Ed invero va rilevato che l’estetica che la normativa in tema di protezione paesaggistica ha inteso tutelare è l’esteriore, tradizionale aspetto del territorio, ciò che tutti possono godere con la vista. Si tratta di quell’aspetto del territorio che è ritenuto “tradizionale”, ossia l’ordine e la forma fisica esteriore ereditati dalla tradizione presente in determinati luoghi, il cui valore sia riconosciuto attraverso le procedure della legge stessa. Come i monumenti, così il valore del paesaggio è visto saldamente ancorato alla “memoria” collettiva. Nel codice del paesaggio, poi, si riflette un’evoluzione della disciplina che accentua la considerazione del paesaggio medesimo quale “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” e lo tutela quale “rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali” (art.131, commi 1 e 2, del D.Lgs.42 del 2004).

La legge non tutela dunque l’estetica in quanto tale, ma i valori tradizionali che si mostrano alla vista e che arrivano a configurare un autentico carattere identitario. Ciò appare di tutta evidenza con riferimento al valore del paesaggio costiero, che costituisce da tempo immemorabile un elemento irrinunciabile dell’identità culturale italiana Ciò significa che quando si esamina un progetto di trasformazione degli immobili nei luoghi tutelati non si tratta di stabilire se la nuova architettura sia esteticamente valida, ma se quell’intervento modifica l’aspetto tradizionale con cui si mostra l’ordine spaziale delle cose immobili presenti storicamente in quel determinato luogo. Nell’ottica della normativa paesistica si può quindi costruire in quei luoghi, svolgere attività e anche trasformare i beni immobili, purché si rispettino i valori tradizionali e identitari in questione.

Nella fattispecie la costruzione la cui realizzazione sulla litoranea risulta ultimata dopo il 1954 interrompe la continuità panoramica della spiaggia e del mare e, perciò, assume un evidente carattere invasivo e di disturbo nella fruizione del paesaggio costiero, in contrasto con il valore tutelato.

Alla luce di queste considerazioni e dell’attualità dell’interesse coeso alla tutela ambientale del litorale ardeatino non possono aver rilievo, onde sminuire l’efficacia della motivazione del provvedimento di diniego della sanatoria, o la sua validità, il tempo trascorso tra la costruzione dell’immobile e il parere impugnato, o dalla presentazione della domanda di condono e la conclusione dell’iter procedimentale: il decorso del tempo non può costituire causa sanante dell’intervento edilizio realizzato senza autorizzazione e soprattutto in zona vincolata, alla luce delle precedenti considerazioni (cfr. Cons.Stato, sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79;
T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 6 dicembre 2010 , n. 35404). In tal senso appaiono convincenti le argomentazioni fornite dall’Amministrazione resistente, comprovate anche da documentati rilievi fotografici, in relazione altresì alla censurata contraddittorietà e disparità di trattamento dell’intervento amministrativo nei confronti della sola parte ricorrente (quarto mezzo), attesa invece la comprovata procedura di riqualificazione ambientale e paesaggistica dell’area litoranea da parte del Comune mediante l’adozione di numerosi provvedimenti di repressione degli abusi edilizi ivi realizzati.

3. Con riferimento al ricorso RG n. 11857 del 2010 osserva il Collegio che il ricorrente ha formulato analoghe censure già formulate con il ricorso RG n. 10918 del 2010, evidenziando la illegittimità del procedimento e il mancato adempimento all’obbligo di provvedere da parte dell’Amministrazione nonché la incompetenza dell’organo emanante e, tra l’altro, la contraddittorietà della motivazione. Gli invocati vizi del provvedimento di demolizione sono, pertanto, analoghi a quelli già censurati con il predetto ricorso RG n. 10918 del 2010 e valgono le precedenti osservazioni, attesa la infondatezza dei rilievi.

Peraltro, il Collegio tenuto conto della specificità del provvedimento demolitorio degli abusi edilizi impugnato precisa che detta ingiunzione costituisce un atto dovuto, adottato nell'esercizio del potere di vigilanza in materia edilizia con finalità di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio, necessariamente consequenziale a quello di diniego della sanatoria. Riguardo detto provvedimento, per il quale può essere ravvisabile una certa discrezionalità in ordine alla decisione relativa alle modalità ( c.d. quomodo ) di demolizione, è comunque evidente che non si tratta di discrezionalità politica, ma tecnica, rientrando pacificamente nella competenza del dirigente ai sensi dell'art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 107 comma 3, d.lg. n. 267 del 2000 (cfr.T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 1 luglio 2010 , n. 22078;
idem, sez. I, 07 marzo 2011, n. 2029;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 6 aprile 2011, n. 1941), senza che all'uopo sia necessario un atto di delega sindacale (cfr.T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 22 febbraio 2010, n. 1053).

In definitiva, si rinvia a quanto precedentemente rilevato per i profili di gravame non espressamente esaminati, attesa la sostanziale analogia con quelli dedotti per il ricorso RG n. 10918/2010 e la infondatezza dei medesimi per le ragioni sopraindicate.

4. Conclusivamente, i ricorsi in quanto infondati vanno respinti.

In relazione alla peculiarità della fattispecie, il Collegio stima equo disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

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