TAR Torino, sez. I, sentenza 2009-07-21, n. 200902062

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2009-07-21, n. 200902062
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 200902062
Data del deposito : 21 luglio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02223/1996 REG.RIC.

N. 02062/2009 REG.SEN.

N. 02223/1996 REG.RIC.

N. 01042/1997 REG.RIC.

N. 01043/1997 REG.RIC.

N. 01734/1997 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2223 del 1996, proposto da:
P F e S M, eredi di P A (deceduto), rappresentati e difesi dall'avv. E P, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Galileo Ferraris, 53;

contro

Comune di Cesana Torinese;



sul ricorso numero di registro generale 1042 del 1997, proposto da:
P F e S M, eredi di P A (deceduto), rappresentati e difesi dall'avv. E P, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Galileo Ferraris, 53;

contro

Comune di Cesana Torinese, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Barosio e Bruno Sarzotti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, corso Galileo Ferraris, 120;



sul ricorso numero di registro generale 1043 del 1997, proposto da:
P F e S M, eredi di P A (deceduto), rappresentati e difesi dall'avv. E P, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Galileo Ferraris, 53;

contro

Comune di Cesana Torinese, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Barosio e Bruno Sarzotti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, corso Galileo Ferraris, 120;



sul ricorso numero di registro generale 1734 del 1997, proposto da:
P F e S M, eredi di P A (deceduto), rappresentati e difesi dall'avv. E P, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Galileo Ferraris, 53;

contro

Comune di Cesana Torinese, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Barosio e Bruno Sarzotti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, corso Galileo Ferraris, 120;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 2223 del 1996:

dell'ingiunzione di demolizione del Sindaco di Cesana Torinese, emessa in data 23.8.1996 e pervenuta ai ricorrenti in data 28.8.1996;

quanto al ricorso n. 1042 del 1997:

della comunicazione del Comune di Cesana Torinesese prot. 1851 del 29.3.1997 di diniego della domanda in sanatoria presentata in data 28.4.1986, prot. 1614 mod. 47/85 - A/2 n. progressivo 0261454612, notificata in data 5.4.1997;

quanto al ricorso n. 1043 del 1997:

della diffida n. 375 del 29.3.1997, notificata in data 5.4.1997, con la quale il Comune di Cesana Torinese ordina la demolizione di un box prefabbricato di proprietà dei ricorrenti;

quanto al ricorso n. 1734 del 1997:

della ordinanza di demolizione n. 412 dell'11.7.1997, notificata in data 17.7.1997, con la quale il Comune di Cesana Torinese ordina la demolizione di un box prefabbricato di proprietà dei ricorrenti.


Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cesana Torinese;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti di causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18/6/2009 il dott. R G e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con ricorso giurisdizionale regolarmente notificato al Comune di Cesana Torinese in data 22 ottobre 1996 e iscritto al r.g. n. 2223 del 1996, i signori A P e M S si opponevano all’ingiunzione di demolizione emessa dal Sindaco del predetto Comune in data 23 agosto 1996, avente ad oggetto il box prefabbricato installato dai ricorrenti medesimi alcuni anni addietro, in assenza di titolo autorizzativo edilizio, allo scopo di ricoverarvi la propria autovettura.

Precisano gli interessati di aver provveduto a presentare, in relazione a detto manufatto, tempestiva domanda di condono edilizio, in ordine alla quale il Comune di Cesana Torinese si è definitivamente determinato in senso negativo solo con l’atto qui impugnato, fondato sul diniego di autorizzazione paesaggistica espresso dalla Regione Piemonte nel 1991.

Ciò premesso, gli esponenti deducono a sostegno della domanda di annullamento del provvedimento impugnato i seguenti motivi di gravame:

I) Violazione di legge in riferimento all’art. 35, commi 10 e 13, l. 47/1985.

Decorsi ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda di concessione in sanatoria, la stessa doveva ritenersi assentita ai sensi delle disposizioni suindicate.

II) Violazione di legge in riferimento all’art. 7, comma 3, l. 47/1985.

In difetto di notifica ad opera di ufficiale giudiziario o messo comunale, l’impugnato atto del 23 agosto 1996 non era idoneo a esplicare gli effetti propri di un’ingiunzione di demolizione.

Inoltre, il termine concesso ai destinatari per provvedere alla spontanea demolizione era inferiore a quello previsto dalla legge.

III) Eccesso di potere per difetto di motivazione.

Il Comune avrebbe dovuto esplicitare le ragioni che imponevano di adottare una misura ripristinatoria relativa ad un fabbricato esistente da circa venticinque anni.

Con atto depositato in giudizio il 12 novembre 2008, i signori Franco Prandi e M S comunicavano l’avvenuto decesso del signor A P, originario ricorrente, e provvedevano, nella qualità di successori universali del medesimo, alla riassunzione del giudizio.

Con altri due ricorsi giurisdizionali, entrambi notificati al Comune di Cesana Torinese in data 9 maggio 1997 e rispettivamente iscritti al r.g. nn. 1042 e 1043 del 1997, i signori A P e M S hanno impugnato la nota del 29 marzo 1997, con cui il Sindaco del predetto Comune aveva comunicato loro il diniego di sanatoria edilizia avente ad oggetto il box prefabbricato di proprietà, e la diffida a demolire in pari data, avente ad oggetto il medesimo immobile.

I nuovi provvedimenti impugnati richiamano il parere contrario espresso dal Settore beni ambientali della Regione Piemonte nonché il vincolo di inedificabilità posto dallo strumento urbanistico generale nell’area interessata dalla realizzazione abusiva.

Le doglianze formulate con il primo ricorso riproducono in parte quelle già dedotte con il ricorso n. 2223/96.

Con il ricorso n. 1043/97, gli esponenti denunciano anche il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, in relazione al fatto che il provvedimento impugnato non specifica se la costruzione sia ancorata saldamente al suolo o meno, circostanza dirimente ai fini della necessità del titolo abilitativo edilizio.

Infine, con ricorso regolarmente notificato al Comune di Cesana Torinese in data 31 luglio 1997 e iscritto al r.g. n. 1734 del 1997, i signori A P e M S hanno impugnato il provvedimento emesso in data 11 luglio 1997, con cui il Sindaco del predetto Comune, accertato lo spirare del termine concesso agli interessati con la precedente diffida, aveva ordinato la demolizione del box da essi abusivamente realizzato.

Le censure di legittimità dedotte con l’ultimo gravame giurisdizionale riproducono sostanzialmente quelle già proposte con il ricorso n. 1043/97.

Nell’ambito del giudizio introdotto con ricorso n. 1734/97, è stata accolta, con ordinanza collegiale n. 1074 del 4 settembre 1997, l’istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione proposta in via incidentale dai ricorrenti

Negli ultimi tre ricorsi, si è costituito in giudizio il Comune di Cesana Torinese, opponendosi al loro accoglimento.

Anche in questi casi, i signori Franco Prandi e M S hanno provveduto alla riassunzione del giudizio, a seguito del decesso del signor A P.

In prossimità della pubblica udienza, le parti hanno depositato memorie con cui articolano le proprie tesi difensive.

Chiamati all’udienza del 18 giugno 2009, infine, i quattro ricorsi sono stati ritenuti in decisione.

DIRITTO

1) Con quattro distinti ricorsi giurisdizionali, gli esponenti contestano la legittimità delle sequenza provvedimentale posta in essere dal Comune di Cesana Torinese in riferimento al manufatto abusivamente realizzato dai medesimi, consistente in un box prefabbricato destinato al ricovero di un’autovettura.

Più precisamente, vengono impugnati i seguenti atti:

a) diniego di sanatoria e contestuale ingiunzione di demolizione del 23 agosto 1996 (ricorso n. 2223/96);

b diniego di sanatoria edilizia del 29 marzo 1997 (ricorso n. 1042/97);

c) ingiunzione di demolizione del 29 marzo 1997 (ricorso n. 1043/97);

d) ordine di demolizione del 11 luglio 1997 (ricorso n. 1734/97).

I provvedimenti impugnati richiamano tutti il parere contrario alla sanatoria espresso dalla Regione Piemonte, in relazione al vincolo ambientale che grava sull’area interessata dall’edificazione abusiva.

2) I quattro ricorsi sono chiaramente connessi dal punto di vista soggettivo e oggettivo e si prestano, pertanto, ad essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3) La prima censura di legittimità (dedotta con tutti i ricorsi) fa riferimento alla violazione delle disposizioni legislative che prevedevano la formazione del silenzio assenso sulle istanze di sanatoria edilizia presentate dai privati, laddove l’amministrazione competente non si fosse pronunciata entro un dato termine.

Il riferimento corretto è all’articolo 35, comma 18, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in forza del quale, fatta eccezione per i casi di inedificabilità assoluta, la decorrenza del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda (di sanatoria edilizia) ne comporta il tacito accoglimento, qualora l’interessato abbia provveduto al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio e alla presentazione della documentazione necessaria all’accatastamento.

Nel caso in esame, peraltro, l’esistenza di un vincolo ambientale sull’area interessata dall’edificazione abusiva imponeva di fare applicazione anche del successivo diciannovesimo comma, secondo il quale il termine di ventiquattro mesi per la formazione del silenzio assenso decorre dall’emissione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

Secondo la tesi dei ricorrenti, non rileverebbe, ai fini della formazione del silenzio assenso sull’istanza del privato, il contenuto (favorevole o sfavorevole) del parere, ma il semplice fatto storico della sua emissione, di per sé idoneo a provocare la decorrenza del termine.

Ne consegue, sempre secondo la prospettazione difensiva, che l’istanza di sanatoria presentata dai ricorrenti nel 1986 dovesse considerarsi assentita fin dal mese di settembre del 1993 (quindi in epoca ampiamente antecedente a quella di adozione dei provvedimenti impugnati), atteso che la Regione aveva formulato il parere di competenza, seppure sfavorevole alla sanatoria, in data 9 settembre 1991.

La tesi dei ricorrenti non ha pregio.

Dal combinato disposto degli articoli 35, comma 19 e 32, comma 1, della legge n. 47/1985, infatti, si evince chiaramente che, in caso di istanza di sanatoria edilizia per opere abusive, in aree sottoposte a vincolo, il silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi dall’emissione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo si forma solo nel caso di parere favorevole (e non anche di parere contrario), poiché il rilascio della concessione in sanatoria per abusi in zone vincolate presuppone necessariamente il parere favorevole (e non il parere sic et simpliciter) della predetta autorità (T.A.R. Toscana, sez. III, 27 febbraio 2009, n. 350).

L’opposta interpretazione, proposta dalla parte ricorrente, oltre che contrastare frontalmente con il dato normativo, produrrebbe l’inammissibile risultato di assicurare agli autori dell’abuso un risultato che gli stessi non potrebbero conseguire attraverso un provvedimento espresso, essendo quest’ultimo rigorosamente subordinato all’esistenza del prescritto parere favorevole.

4) La seconda censura di legittimità (dedotta con il solo ricorso n. 2223/96 e non riprodotta nei successivi) fa riferimento agli aspetti formali del provvedimento in data 23 agosto 1996 che, ad avviso della parte ricorrente, non si potrebbe configurare quale vera e propria ingiunzione di demolizione siccome non ritualmente notificata, ma solo comunicata mediante lettera raccomandata.

La censura è doppiamente inammissibile: in primo luogo, perché il deducente non individua le disposizioni che avrebbero imposto la necessità della notifica (ma si limita ad un riferimento, improprio, ai principi in materia di sanzioni amministrative) e, comunque, perché la primitiva ingiunzione di demolizione è stata integralmente sostituita dalla successiva diffida in data 29 marzo 1997, impugnata con il ricorso n. 1043/97.

Per quest’ultimo motivo, è inammissibile anche l’ulteriore censura dedotta nel contesto del motivo di gravame e riferita al mancato rispetto del termine di novanta giorni previsto dal comma 3 dell’articolo 7 della legge n. 47/1985;
detta censura, in ogni caso, risulterebbe del tutto priva di fondamento, poiché l’assegnazione di un termine inferiore per provvedere alla demolizione delle opere abusive si risolve in una violazione meramente formale, non lesiva per l’interessato, in tutti i casi in cui questi abbia effettivamente potuto disporre di un termine non inferiore a quello previsto dalla legge per provvedervi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2000, n. 597).

5) Con una successiva censura di legittimità (dedotta con tutti i ricorsi), gli esponenti denunciano il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione in quanto l’amministrazione, trascorsi ormai dieci anni dalla domanda di condono, ha omesso di indicare le ragioni che avrebbero giustificato la demolizione di un manufatto esistente da circa venticinque anni.

La tesi difensiva fa riferimento all’orientamento giurisprudenziale (fatto proprio anche in tempi recenti dalla Sezione: cfr. sentenza 2 marzo 2009, n. 618) secondo il quale, pur essendo di norma l'ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva sufficientemente motivato con la descrizione dell’accertata abusività dell'opera, si deve fare eccezione a tale principio nel caso in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi dell’inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa sola in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Tali principi, consolidati in giurisprudenza e certamente condivisibili in via di principio, non possono, però, trovare applicazione nel caso in esame, dovendosi escludere, alla luce dei comportamenti dei soggetti coinvolti nella vicenda e degli atti adottati dall’amministrazione, che il pur lungo lasso di tempo intercorso tra la commissione dell’abuso e la definizione del procedimento ad esso relativo possa aver ingenerato un reale affidamento nei privati relativamente al mantenimento dell’edificazione abusiva.

Nell’arco di tempo delimitato da tali estremi, infatti, non si è registrato un comportamento meramente inerte dell’amministrazione, perché i proprietari avevano presentato istanza di condono edilizio e l’ente preposto alla tutela del vincolo ambientale, a distanza di cinque anni, si era espresso in senso recisamente negativo alla conservazione del manufatto abusivo in quanto esso “determina un inserimento assolutamente improprio nel contesto ambientale, consistendo in un elemento architettonico totalmente estraneo, anche per tipologia e modalità costruttive, ai lineamenti paesistici propri dei luoghi, che si ritiene debbano essere riqualificati eliminando integralmente l’inserimento abusivo”.

A seguito della comunicazione del parere regionale, gli istanti non potevano certo conservare alcun legittimo affidamento in ordine al mantenimento dell’opera abusiva;
detto parere, inoltre, contiene l’adeguata esplicitazione delle ragioni che giustificano la misura ripristinatoria conseguentemente adottata dal Comune di Cesana Torinese.

Il lasso di tempo intercorso successivamente alla comunicazione del parere, pari a circa cinque anni, non è sicuramente idoneo a configurare un comportamento acquiescente dell’amministrazione.

Per tali motivi, la censura deve essere respinta.

6) Con un’ulteriore censura di legittimità (dedotta con i ricorsi nn. 1043 e 1734 del 1997), gli esponenti denunciano il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto i provvedimenti ivi impugnati non specificano se l’edificazione abusiva sia saldamente ancorata al suolo o meno, dovendosi nel secondo caso escludere che la stessa necessitasse, al momento della sua realizzazione, di licenza edilizia.

Anche quest’ultima censura è priva di pregio, poiché, in disparte la destinazione del manufatto de quo ad un uso tutt’altro che precario (esso è stato permanentemente utilizzato per ricoverarvi l’autovettura dei ricorrenti), è la stessa descrizione delle opere abusive presentata ai fini del condono a precisare che “il prefabbricato è posato su muri in cls.”.

Non sussiste, pertanto, il dedotto difetto di istruttoria in quanto l’amministrazione procedente non era tenuta ad accertare circostanze, relative alla caratteristiche costruttive dell’immobile, che emergevano pacificamente dalla documentazione presentata dai richiedenti.

7) Va ancora precisato che, con la memoria difensiva del 29 maggio 2009, depositata in atti il 4 giugno 2009, i ricorrenti introducono, sub 3), censure riferite alla pretesa compatibilità paesaggistica del manufatto abusivo, in ragione delle sue limitate dimensioni e della tipologia di materiali utilizzati per la costruzione.

Si tratta, peraltro, di censure irricevibili, perché dedotte tardivamente nel corso del giudizio amministrativo con riferimento ad atti e situazioni già note ai ricorrenti al momento della proposizione dei ricorsi introduttivi.

8) I ricorsi in trattazione, in conclusione, sono infondati e devono essere respinti.

Si ravvisano, comunque, giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite fra le parti costituite.

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