Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-22, n. 201500274

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-22, n. 201500274
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500274
Data del deposito : 22 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09498/2013 REG.RIC.

N. 00274/2015REG.PROV.COLL.

N. 09498/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9498 del 2013, proposto dal signor O P, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S P in Roma, viale Mazzini, 140/C;

contro

Provincia di Lecce, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F T e M G C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M A C in Roma, Via Giuseppe Donati, 115;

nei confronti di

S T;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione V - n. 4782 del 26 settembre 2013.


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lecce;

Viste le memorie difensive depositate dal ricorrente (con annessi allegati documentali in data 14 gennaio 2014, 30 settembre 2014, 28 novembre 2014, 23 dicembre 2014) e dalla Provincia di Lecce (in data 13 dicembre 2014);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2015 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Costantini e Capoccia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’impugnata sentenza - Consiglio di Stato, Sezione V, n. 4782 del 26 settembre 2013 -:

a) ha preso atto del documento prodotto all’udienza di discussione del giorno 25 giugno 2013 dalla difesa della Provincia di Lecce (nel pieno contraddittorio delle parti come si evince dal verbale di udienza in pari data non contestato mediante querela di falso) recante la sospensione, da parte del medesimo ente, della procedura di mobilità esterna per la copertura di un posto di dirigente delle risorse finanziarie ai sensi dell’art. 16, co. 9, d.l. n. 95 del 2012 secondo cui: <<

9. Nelle more dell'attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province è fatto comunque divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato>>
;

b) ha ritenuto che il provvedimento sopravvenuto e la relativa normativa inibissero una pronuncia sul merito della controversia avente ad oggetto la pretesa del signor O P ad essere assunto, quale dirigente delle risorse finanziarie, in virtù dello scorrimento della graduatoria approvata con determinazione dirigenziale 24 agosto 1999;

c) ha rilevato la mancata opposizione della difesa del ricorrente alla produzione documentale nonché l’assenza di qualsivoglia deduzione, da parte della stessa, in ordine alla permanenza dell’interesse alla pronuncia (cfr. verbale di udienza del 25 giugno 2013);

d) ha dichiarato improcedibile l’appello compensando le spese di lite.

2. Con ricorso ritualmente notificato (in data 19 dicembre 2013) e depositato (il successivo 27 dicembre 2013), il signor P ha proposto domanda di revocazione della su menzionata sentenza ai sensi dell’art. 395, co. 1, n. 4, c.p.c.

Ha sostenuto - in modo oltremodo confuso, operando una contraddittoria commistione fra argomenti e domande rescissorie e rescindenti, cautelari e di merito, tanto da valicare i limiti della inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi sanciti dagli artt. 3 e 40 c.p.a. (pagine 6 - 16 del ricorso) - che la decisione sarebbe fondata sui seguenti dirimenti errori di fatto (per quanto enucleabili):

a) carenza assoluta di motivazione e nullità della sentenza per violazione dell’art. 88, co. 1, lett. d), c.p.a.;

b) contrasto della tesi posta a base della declaratoria di improcedibilità con quanto affermato dal Consiglio di Stato in una diversa sentenza di poco successiva (Sez. V, n. 4919 del 7 ottobre 2013);
sul punto giova fin da ora evidenziare che tale ultima decisione non è stata emessa fra le stesse parti del presente giudizio;

c) falsa percezione del contenuto del documento depositato in udienza dalla Provincia di Lecce;

d) nullità della sentenza per violazione dell’art. 73, co. 3, c.p.a. perché sulla statuizione di improcedibilità non è stato sollecitato il contraddittorio in udienza sebbene nel corso del giudizio di appello fosse stato segnalato dal ricorrente il proprio interesse all’accertamento dell’eventuale illegittimità degli atti impugnati ai fini risarcitori.

3. Si è costituita la Provincia di Lecce eccependo, sotto plurimi profili, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso per revocazione (cfr. atto di costituzione depositato in data 17 gennaio 2014 e memoria difensiva in data 13 dicembre 2014).

4. Con decreto n. 5139 del 27 dicembre 2013 è stata respinta l’istanza di misure cautelari monocratiche.

Alla camera di consiglio del 21 gennaio 2014, a richiesta congiunta delle parti, l’esame della domanda cautelare è stato abbinato al merito.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 15 gennaio 2015 nel corso della quale il difensore del ricorrente ha depositato documentazione.

5. Il ricorso per revocazione è inammissibile.

Preliminarmente il Collegio rileva che:

a) è inammissibile (come sopra anticipato) la proposizione di un ricorso sostenuto da motivi sviluppati in violazione dei doveri di chiarezza, specificità e sinteticità;

b) sono inammissibili le ulteriori censure introdotte nel corso del giudizio di revocazione con le plurime memorie difensive (in quanto aventi natura meramente illustrativa, non notificate e comunque intempestive);

c) è del pari inammissibile la produzione documentale nella fase rescindente del giudizio di revocazione per errore di fatto che deve svolgersi esclusivamente sulla base delle prove acquisite nel corso del procedimento a quo (cfr. da ultimo Cons. St., Sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5254 secondo cui tale preclusione vale in via generale anche nella fase rescissoria in osservanza del divieto dei nova in appello, adde Cons. St., Sez. V, 10 febbraio 2009, 759);

d) è tardivo, a mente dell’art. 73, co. 1, c.p.a., il deposito di documenti all’udienza pubblica di discussione.

5.1. La giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Corte di Cassazione (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. St., ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5;
ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1, ad. plen., 17 maggio 2010, n. 2;
ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3;
Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962 cui si rinvia ai sensi del combinato disposto degli art. 74, co. 1, 88, co. 1, lett. d), e 99, co. 3, c.p.a.), ha individuato, in modo univoco e rigoroso, le caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio, che, ai sensi rispettivamente dell’art. 106 c.p.a. (in precedenza art. 81 n. 4, r.d. 17 agosto 1907, n. 642), e dell’art. 395, comma 4, c.p.c., può consentire di rimettere in discussione il contenuto di una sentenza;
ciò per evitare che il distorto utilizzo di tale rimedio straordinario dia luogo ad un inammissibile ulteriore grado di giudizio di merito, non previsto e non ammesso dall’ordinamento.

Integra dunque un errore di fatto revocatorio l’abbaglio dei sensi che si realizza allorquando esso:

I) cade su una serie di circostanze che non hanno costituito punti controversi fra le parti, in relazione alle quali il giudice si sia espressamente pronunciato;

II) consiste in una errata percezione del fatto oggettivamente ed immediatamente rilevabile che non si esaurisce in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo ovvero in una erronea valutazione delle risultanze probatorie;

III) deriva da una pura e semplice errata (o mancata) percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

IV) verte su un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa;

V) appare con immediatezza ed è di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

L’errore di fatto revocatorio si sostanzia, dunque, in una svista o ‘abbaglio dei sensi’ che ha provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o dell’’abbaglio dei sensi’.

Pertanto, l'errore di fatto revocatorio non ricorre nell’ipotesi di inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento).

5.2. Tanto premesso in diritto, scendendo (nei limiti del possibile) all’esame del motivo revocatorio, il Collegio rileva che nella fattispecie (meglio specificata retro, sub nn. 1 e 2), non si rinvengono gli estremi dell’errore di fatto, secondo le caratteristiche delineate dal ricordato indirizzo giurisprudenziale.

I paventati travisamenti di fatto, costitutivi dell’abbaglio dei sensi, sono frutto di una congettura esegetica elaborata dalla difesa ricorrente, cadono su una serie di circostanze che hanno costituito punti controversi su cui la Sezione si è espressamente pronunciata, e si traducono, in realtà, in una diversa valutazione del thema decidendum vel probandum (rispetto a quella effettuata dal giudice asseritamente in modo erroneo).

6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

7. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza anche in applicazione dei criteri sanciti dall’art. 26, co. 1, c.p.a. (violazione del principio di sinteticità del ricorso), sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

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