Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-05-14, n. 202003058

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-05-14, n. 202003058
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003058
Data del deposito : 14 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/05/2020

N. 03058/2020REG.PROV.COLL.

N. 08389/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso per revocazione numero di registro generale 8389 del 2019, proposto da
I.C.A. - Imposte Comunali Affini s.r.l. - Società Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A F e D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato D G in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 154/3de;

contro

I Reti s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F T e F N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, 44;

nei confronti

Comune di Chiavari non costituito in giudizio;

per la riforma

la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 15 maggio 2019, n. 3146, emessa in accoglimento dell’appello di I Reti avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. II, 28 febbraio 2017 n. 134, che ha dichiarato irricevibile per tardività la domanda di annullamento di regolamento tariffario ed il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo su nota di pagamento;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di I Reti s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2020 il Cons. R P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I Reti s.p.a. nella qualità di concessionaria del servizio di distribuzione di gas naturale nel Comune di Chiavari aveva impugnato al Consiglio di Stato la sentenza con la quale il Tribunale amministrativo della Liguria aveva dichiarato inammissibile per tardività, il ricorso proposto avverso il regolamento comunale per la disciplina del canone concessorio non ricognitorio, approvato dal Comune di Chiavari con delibera consiliare n. 48 del 23 maggio 2014, integrata da successiva deliberazione tariffaria, nella parte in cui aveva inteso assoggettare al pagamento del ridetto canone anche le concessioni in uso delle infrastrutture di proprietà comunale, del sottosuolo e del suolo pubblico o soggetto a servitù pubblica, preordinate alla realizzazione e gestione di condutture sotterranee per la distribuzione di acqua potabile, gas, energia elettrica, linee telefoniche sotterranee, intercapedini, manufatti e simili, contenitori sotterranei di cavi, condutture e linee elettriche e telefoniche: per il Tribunale amministrativo dalla deliberazione attuativa tariffaria non derivava una lesione, generatasi già con l’emissione del regolamento.

L’appellante assumeva che, trattandosi di impugnativa di atti di natura regolamentare ad attitudine non immediatamente lesiva, il termine per la relativa impugnazione avrebbe dovuto farsi decorrere dalla adozione dei relativi atti applicativi e non dalla pubblicazione e quindi reiterava le doglianze rimaste assorbite in primo grado, complessivamente intese ad argomentare la non assoggettabilità al canone in controversia (alla stregua della normativa di cui all’art. 27 del codice della strada e del relativo regolamento applicativo) delle occupazioni di sottosuolo non idonee, in quanto tali, a limitare e condizionare la generale fruizione dei beni pubblici, tanto più in un contesto concessorio per il quale il regime del canone sarebbe stato integralmente ed esaustivamente disciplinato in sede convenzionale.

Il Comune di Chiavari ed I.C.A., concessionario per la riscossione, si costituivano per resistere.

Con la sentenza 15 maggio 2019 n. 3146 questa Sezione riteneva l’appello fondato, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale maturato sulla questione, e rilevava che il regolamento comunale impugnato, aveva indubbiamente contenuto normativo, in quanto disciplinava in via generale ed astratta le tipologie di concessioni sottoposte al canone concessorio non ricognitorio, i relativi presupposti applicativi e i criteri di quantificazione del canone: l’interesse all'annullamento di un regolamento – all’interno della "categoria" o della "classe" dei suoi potenziali destinatari - è un interesse indifferenziato, seriale, adespota, nella sostanza un interesse diffuso;
esso diventa interesse soggettivamente differenziato e, quindi, legittimo solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo;
fino al momento dell’adozione dell’atto applicativo, quindi, il termine per l’azione di annullamento non può decorrere perché non sono ancora sorte, per il singolo concessionario, le necessarie condizioni dell’azione, ovvero l’interesse al ricorso e la legittimazione al ricorso.

Nel merito andava considerato che l’art. 27 del codice della strada presuppone che, ai fini della legittimità dell'imposizione del canone non ricognitorio, lo stesso fosse correlato ad un provvedimento formale di autorizzazione o di concessione dell'uso singolare, da parte del privato, della sede stradale.

L’espresso richiamo alla sola “sede stradale” con la conseguente esclusione del sottosuolo e del soprasuolo stava a significare che l’imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico, ma nulla aveva a che vedere a fronte di tipologie e modalità di utilizzo - quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati - che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione.

Quindi, concludeva il Collegio che in generale andava esclusa l’imposizione, da parte dell’ente locale, di un canone a fronte della posa, in prossimità della sede stradale, di infrastrutture pubbliche cc. dd. “a rete” con la sola eccezione del tempo di lavorazione dell’infrastruttura a rete nei momenti di impedimento della piena fruizione della sede stradale.

Perciò il regolamento comunale impugnato in primo grado risultava contrastante con il richiamato paradigma normativo, nella parte in cui consentiva l’imposizione del canone patrimoniale non ricognitorio anche in ipotesi in cui tale imposizione non risultasse in alcun modo correlata con l’‘utilizzo singolare’ delle sedi stradali, mentre era corretta la sentenza impugnata circa il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine agli avvisi di pagamento anch’essi impugnati.

In ordine agli avvisi di pagamento adottati in forza delle disposizioni regolamentari, restava ferma la giurisdizione del giudice ordinario in quanto tali atti non erano stati investiti dall’impugnazione.

Con ricorso ai sensi dell’art. 395 n. 4) 4) Cod. proc. civ. il concessionario della riscossione I.C.A. impugnava la sentenza n. 3146/2019 e sosteneva che questa Sezione avesse accolto l’appello sulla base di motivi ultronei mai dedotti dall’appellante.

In particolare la sentenza n. 3146 ha affermato che le “ ragioni di plurime doglianze rimaste assorbite in prime cure [erano] complessivamente intese ad argomentare la non assoggettabilità al canone per cui è causa (alla stregua della normativa di cui all’art. 27 del codice della strada e del relativo regolamento applicativo) delle occupazioni di sottosuolo non idonee, in quanto tali a limitare, modulare e condizionare la generale fruizione dei beni pubblici, tanto più in un contesto concessorio, per il quale il regime del canone sarebbe stato integralmente ed esaustivamente disciplinato in sede convenzionale ”.

In realtà I non aveva per nulla dedotto la non assoggettabilità del canone ad occupazioni non idonee a determinare un vulnus alla generale fruizione del suolo;
di qui l’errore di fatto, relativamente al contenuto degli atti processuali, che ha determinato una pronuncia basata su una domanda mai proposta dalla parte ricorrente.

Per la precisione, in nessuno dei motivi proposti, I aveva sollevato, quale motivo di censura, la circostanza che il regolamento de quo fosse illegittimo siccome in contrasto con il principio giurisprudenziale, secondo cui l’imposizione di un canone non ricognitorio è legittima soltanto a fronte della dimostrazione di un uso singolare del suolo da parte del concessionario, che ne impedisca, in tutto o in parte, la pubblica fruizione: di qui l’abbaglio dei sensi in cui è incorsa la sentenza.

Per quanto concerneva il giudizio rescissorio, la ricorrente insisteva per l’infondatezza delle censure sollevate con l’appello da I.

I si è costituita in giudizio, sostenendo l’inammissibilità sotto più profili ed inoltre l’infondatezza del ricorso di I.C.A., mentre non si è costituito il Comune di Chiavari.

Alla camera di consiglio del 7 maggio 2020 la causa è passata in decisione.

Il ricorso per revocazione è inammissibile, vista l’infondatezza in fatto delle tesi della ricorrente per cui il Consiglio di Stato avrebbe accolto l’appello sulla base di censure non effettivamente sollevate, incorrendo così in un abbaglio dei sensi.

Nell’appello al Consiglio di Stato l’I aveva sostenuto con il motivo sub B.3 – si vedano pagg. 15/16 – che “ l’imposizione del canone non ricognitorio è illegittima poiché assunta in manifesta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, immanente nel nostro ordinamento anche 16 ove si consideri la disciplina in materia di “canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche” (“COSAP”), nonché in sviamento dai fini di legge.(…)

Numerose pronunce della Corte di Cassazione hanno costantemente dichiarato che il COSAP è configurato come un “corrispettivo di una concessione, reale o presunta, dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale e collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare che ne trae il singolo” (Cass. Civ. sez. trib. 27.10.2006, n. 23244;
v. anche Cass. Civ. 19.8.2003, n. 12167;
parere del Consiglio di Stato del 30.7.1998, n. 815). Si tratta, quindi, di un canone che costituisce un “corrispettivo di una concessione…dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici” (Corte Costituzionale, sentenza n. 64/2008).

Ancora, a pag. 25, nell’incipit del motivo sub B.6, l’appellante sostiene che “ Le prescrizioni regolamentari approvate dal Comune di Chiavari sono illegittime poiché l’Ente non ha poteri e la norma di rango primario asseritamente applicata non attribuisce alcuna potestà in ordine all’attraversamento o uso di aree diverse dalla sede stradale e sue pertinenze. A tale riguardo, il Codice della Strada all’art. 3, titolato “Definizioni stradali e di traffico”, definisce la sede stradale come “la superficie compresa entro i confini stradali” che “comprende la carreggiata e le fasce di pertinenza” (punto 46). Queste ultime sono costituite dalla "striscia di terreno compresa tra la carreggiata ed il confine stradale. È parte della proprietà stradale e può essere utilizzata solo per la realizzazione di altre parti della strada ”.

Dunque, nella copiosa messe di censure sollevate ed attinenti i profili più disparati che la sentenza di questa Sezione ha dato per assorbite sulla scorta della propria pacifica giurisprudenza, si deve rilevare come I avesse puntualizzato da un lato con il terzo motivo, riproposto in via devolutiva, che il canone richiesto doveva essere preordinato alle sole occupazioni della sede stradale e relative pertinenze connesse ad un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica: ciò a titolo di corrispettivo dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici normalmente destinati all’uso da parte della collettività in relazione all’utilizzazione eccezionale da parte di un singolo;
nel caso in questione invece, con la concessione, l’operatore si era impegnato a realizzare la rete e gestire il servizio, retribuendosi direttamente attraverso una tariffa applicata agli utenti finali, senza nessi con l’occupazione di spazi rimessi all’uso generale;
dall’altro, con il sesto motivo, viene messa in evidenza la questione ripresa nella motivazione della sentenza 3146/2019 impugnata, che reti e tubazioni o comunque impianti collocato nel sottosuolo nulla hanno a che fare con la sede stradale prettamente intesa e con il suo uso collettivo, dunque non possono concretizzare anch’essi un uso singolare ed anche un’occupazione propriamente detta, ragione fondamentale dell’accoglimento dell’appello di I: quindi l’imposizione di un canone non ricognitorio appare del tutto difforme alle modalità di utilizzo del demanio o del patrimonio indisponibile dei Comuni.

Perciò non può essere contestata l’inesistenza della censura e la sua proposizione in forma “frazionata” non può essere evocata come un mancato motivo di impugnazione a fronte del quale la sentenza di questa Sezione sarebbe andata ultra petita partium .

Per le suesposte considerazioni il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

Spese come da dispositivo.

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