Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-15, n. 202101388

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-15, n. 202101388
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101388
Data del deposito : 15 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/02/2021

N. 01388/2021REG.PROV.COLL.

N. 07787/2019 REG.RIC.

N. 09691/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7787 del 2019, proposto da
Comune di Faggiano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gianfranco D'Onofrio in Roma, piazza Antonio Mancini n. 4;

contro

M P, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

A P, I M, rappresentati e difesi dall'avvocato Palmiro Carlo Liuzzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



sul ricorso numero di registro generale 9691 del 2019, proposto da
I M, A P, rappresentati e difesi dall'avvocato Palmiro Carlo Liuzzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Faggiano (Ta) non costituito in giudizio;
M P, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7787 del 2019:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Puglia Sezione Staccata Di Lecce (sezione Terza) n. 00508/2019, resa tra le parti, concernente ORDINANZE COMUNALI

quanto al ricorso n. 9691 del 2019:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Puglia Sezione Staccata Di Lecce (sezione Terza) n. 00508/2019, resa tra le parti, concernente ORDINE DI DEMOLIZIONE OPERE EDILIZIE ABUSIVE


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di M P e di A P e di I M e di M P;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2021 il Cons. D P;

L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1 del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell'art. 25, comma 2 del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il primo degli appelli in esame il Comune parte appellante impugnava la sentenza n. 508 del 2019 del Tar Lecce, di accoglimento dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto da P M, in qualità di proprietaria di un immobile confinante con quello dei coniugi originari controinteressati (che in data 25 maggio aveva presentato un esposto al Comune di Faggiano sollecitando i provvedimenti sanzionatori delle opere edilizie abusive realizzate dai predetti in difformità dal titolo edilizio rilasciato o in assenza di permesso di costruire), per l’annullamento in via principale dei seguenti atti: nei limiti di interesse della ricorrente e in parte qua, dell'ordinanza 25 marzo 2013 n. 1, con la quale il Responsabile del Servizi Tecnico del Comune di Faggiano ha ordinato ai controinteressati la demolizione solo di alcuni manufatti abusivi e non di tutti quelli sprovvisti di permesso di costruire e comunque difformi dalla concessione edilizia n. 37/1990;
dell’ordinanza/ingiunzione di pagamento n. 1 del 12 febbraio 2014 prot. n. 818, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Faggiano ha ingiunto ai controinteressati il pagamento, ex art. 34 d.P.R. 380/2001, della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione delle opere edilizie abusive eseguite in difformità dalla medesima concessione edilizia n. 37/1990.

All’esito del giudizio il Tar accoglieva il ricorso ritenendo fondate ed assorbenti le principale censure incentrate, da un lato, sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del d.P.R. 380/2001 e, dall’altro, sul difetto di istruttoria.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, il Comune appellante formulava i seguenti motivi di appello:

- violazione degli artt. 31, 32 e 24 dPR 380 cit., travisamento, in quanto nel caso di specie ci si trova di fronte ad una difformità parziale;

- violazione dell’art.34 cit. sotto altro profilo, atteso che, diversamente da quanto reputato dal Tar, la piscina rimane pacificamente al di fuori della sanzione ex art.34;

- erroneità della sentenza rispetto al rilevato difetto di istruttoria, in quanto se l’ufficio tecnico si è avveduto da subito che l’organismo edilizio realizzato era di dimensioni maggiori rispetto a quello assentito, ha poi correttamente, trattandosi di un unicum indivisibile e quindi non scorporabile e non demolibile, utilizzato le relazioni giurate dei tecnici di parte, sotto le comminatorie delle sanzioni penali previste dalla legge per chi giura il falso, sia per la individuazione concreta degli abusi edilizi eventualmente demolibili sia per la successiva quantificazione della sanzione pecuniaria.

La parte privata appellata, originaria ricorrente, si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello. Le parti private appellate, originarie controinteressate, si costituivano a propria volta in giudizio, chiedendo l’accoglimento dell’appello comunale.

Alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2021 la causa passava in decisione.

Con il secondo appello di cui in epigrafe P A e Massafra Antonio, originari controinteressati, impugnavano la stessa sentenza n. 508 del 2019, del Tar Lecce, sopra richiamata.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, le parti appellanti formulavano i seguenti motivi di appello:

- violazione degli artt. 31, 32 e 24 dPR 380 cit., travisamento, in quanto nel caso di specie ci si trova di fronte ad una difformità parziale;

- omessa ed apparente motivazione, ex articolo 3, numero uno, cod proc amm. e ultrapetizione, ex articolo 112 cpc., violazione dell’articolo 6, legge n. 241 del 1990, travisamento, per l’impossibilità di individuare il percorso logico – giuridico sviluppato dal Giudice “a quo” sugli esiti documentali.

La parte appellata originaria ricorrente si costituiva anche qui in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2021 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, va disposta la riunione degli appelli in epigrafe, a fronte della evidente connessione soggettiva (identità delle parti) ed oggettiva fra gli stessi e del disposto di cui all’art. 96 cod proc amm, trattandosi di gravami proposti avverso la medesima sentenza.

2. Passando all’analisi del merito, anche a fronte delle deduzioni proposte avverso la motivazione della sentenza impugnata, occorre prendere le mosse dalla ricostruzione della fattispecie controversa.

2.1 Dall’analisi della documentazione in atti e dalla ricostruzione fornita dalle parti, in fatto sostanzialmente coincidente (restando del tutto controversa, piuttosto, la qualificazione giuridica), emerge come la parte originaria ricorrente, nella indicata qualità di proprietaria di un immobile sito in Faggiano confinante con quello dei coniugi M I e P A, in data 25 maggio 2012 (prot. n. 2488) presentava un esposto al Comune, denunciando che nell’immobile confinante, di proprietà dei suddetti originari controinteressati, erano stati effettuati lavori edili di sopraelevazione e di costruzione di una piscina.

All’esito dei disposti sopralluoghi risultava come all’interno dell’ortale del fabbricato oggetto di denuncia fosse stata costruita una piscina di circa mt. 5,70 x mt. 8,10 in assenza di permesso di costruire.

2.2 In data 13 settembre 2012, i proprietari del manufatto interessato dai lavori presentavano una d.i.a. in sanatoria (prot. n. 4227) limitatamente alla costruzione della piscina;
tale d.i.a. veniva rigettata come da nota prot. 4403 del 24 settembre 2012.

In pari data 24 settembre 2012 il Comune adottava l’ordinanza n. 1/2012 con cui intimava ai predetti proprietari l’immediata sospensione dei lavori relativi alla piscina ed avviava l’istruttoria della pratica edilizia.

Nel corso di tale istruttoria, l’ufficio tecnico comunale accertava un maggior carico edilizio rispetto a quanto realizzato sulla base della precedente concessione edilizia n.37 del 19 maggio 1990, a suo tempo rilasciata agli stessi proprietari per la ristrutturazione ed ampliamento con sopraelevazione del primo piano.

Di conseguenza, il Comune adottava l’ordinanza n.2 del 22 ottobre 2012 con cui intimava ai predetti proprietari la rimozione, demolizione e riduzione in pristino delle opere eseguite in difformità dalla concessione n. 37 cit.

2.3 Successivamente, i proprietari presentavano in data 14 gennaio 2013 una istanza di sanatoria ordinaria per le difformità riscontrate rispetto alla concessione n. 37.

In merito a tale domanda con nota prot. n.416 del 17 gennaio 2013, il Comune ribatteva che, a causa del peso urbanistico realizzato in difformità dalla concessione del 1990, la sanatoria non poteva essere accolta;
pertanto, invitava i proprietari istanti a predisporre una relazione tecnico- descrittiva evidenziando le opere scorporabili e demolibili senza creare problemi di staticità al restante corpo di fabbrica.

Di conseguenza, in data 6 marzo 2013, il tecnico incaricato dai proprietari presentava una relazione tecnica si rilevavano le seguenti difformità:

- una maggiore altezza del primo piano su via Marconi di circa mt 0,81;

- un ampliamento di circa mt. 0,63 della zona posteriore verso il confine, realizzata sulla sinistra guardando dal prospetto di via Marconi, del piano seminterrato destinato a deposito, della zona a piano terra destinato ad ufficio, della zona a primo piano destinato a cucina e bagno di servizio;

- ampliamento di circa m. 4,55 di media del piano interrato sulla destra destinato a tavernetta e la copertura del piano terra con una veranda in legno.

All’esito dell’analisi tecnica, la relazione concludeva nel senso che “….la veranda realizzata in legno non ha problemi di smontaggio e non crea problemi alla struttura in quanto sovrapposta;
la parte sottostante, realizzata in cemento armato a due campate, si può demolire solo la parte sul confine, in quanto la struttura della parte interna coinvolge tutto l’immobile dal piano interrato, al torrino scala e potrebbe nella fase di demolizione compromettere la struttura rimanente”.

2.4 Acquisita detta relazione, con ordinanza n.1 del 25 marzo 2013 il Comune, riassumendo le risultanze tecniche, intimava ai proprietari ed al tecnico quanto segue:

- la rimozione e la demolizione di tutti i manufatti scorporabili e demolibili a condizione che non si creassero problemi di staticità e pregiudizio al restante corpo di fabbrica ed ordinava la demolizione della veranda in legno sita nella parte posteriore del fabbricato;

- nonché, una volta ultimate la demolizione delle opere demolibili, di depositare una pratica edilizia finalizzata alla determinazione della sanzione amministrativa prevista dall’art.34, comma 2, del D.P.R. n.380/01, il tutto nel termine di 30 gg. e con avviso che la sanzione amministrativa non pregiudicava gli interessi dei terzi e le eventuali sanzioni penali.

Veniva quindi acquisita una ulteriore relazione tecnica (perizia stragiudiziale giurata, redatta in data 21 maggio 2013 dal dott. Ing. Angelo Alfio) che attestava l’impossibilità di procedere ad alcuna demolizione delle opere realizzate in difformità dalla concessione del 1990, nonché una perizia tecnica stragiudiziale (datata 28 giugno dal geom. Carlo Narracci) con cui veniva determinato l’importo della sanzione pecuniaria ex lege 392/78 in euro 27.083,10.

2.5 All’esito di tale attività istruttoria il Comune adottava ai sensi dell’art. 34, comma 2 dPR cit. l’ordinanza-ingiunzione n.1 del 12 febbraio 2014 di pagamento della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione delle opere edilizie abusive predette.

Tali atti venivano impugnati dinanzi al Tar che, con la sentenza qui appellata, li annullava sulla scorta dei due ordini di censure oggetto dei motivi di appello: violazione e falsa applicazione dell’art. 34 cit., trattandosi di totale (e non parziale) difformità, e difetto di istruttoria.

3. Così ricostruita la fattispecie risultante dagli atti, occorre procedere all’esame del merito.

La controversia si incentra sulla qualificazione degli accertati abusi in termini di totale o parziale difformità.

3.1 In linea generale, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio spetta all’Amministrazione accertare la totale o parziale difformità delle opere realizzate rispetto a quelle legittimamene assentite, sicché non può affermarsi che la demolizione debba essere sempre ordinata per le opere eccedenti rispetto a quanto legittimamente assentito: ciò, infatti, risulterebbe in contrasto con quanto disposto dagli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001 (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 1029). Ai fini sanzionatori, per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, va senz'altro disposta la demolizione delle opere abusive;
per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria.

In relazione alla figura invocata dalle parti appellanti, va ribadito che la difformità parziale dal permesso di costruire è una categoria residuale e presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale. Si è, pertanto, in presenza di difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1484).

3.2 Applicando tali coordinate alle risultanze della fattispecie in esame, se per un verso gli interventi che hanno coinvolto il manufatto principale integrano all’evidenza ampliamenti rispetto a quanto assentito, concretizzandosi in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera, per un altro verso la parte restante di intervento, riguardante la realizzazione della piscina, risulta estranea allo specifico oggetto controverso.

3.3 Invero, sia la sentenza impugnata sia le difese di parte originaria ricorrente incentrano la diversa qualifica di totale difformità sulla base dell’unitaria valutazione degli ampliamenti, sbancamenti e della realizzazione della piscina.

Peraltro, dalla documentazione allegata e dalla ricostruzione della fattispecie, sopra svolta, emerge come la piscina non rientri fra le opere abusive sanzionate con i provvedimenti in contestazione;
infatti, la piscina, realizzata senza titolo edilizio, è stata oggetto di una d.i.a. inibita con provvedimento divenuto definitivo (nota prot. 4403 datata 24 settembre 2012). In seguito, a conferma dell’estraneità della piscina ai provvedimenti in contestazione, con l’ordinanza n. 1 del 20 marzo 2014 (prot 1543, sub doc n. 7 allegato alla memoria di parte appellata nel primo appello di cui in epigrafe) il Comune ha evidenziato quanto segue: “ Per quanto concerne l'uso del manufatto piscina – quest’ultima essendo oggetto di violazione urbanistica non può, nel modo più assoluto, essere consentito il suo utilizzo anche se si è in attesa della definizione del procedimento giudiziale, di natura civilistica, inerente 1’esatta definizione dei confini, pendente, tra gli interessati vicini, innanzi al Tribunale di Taranto. All'uopo con dichiarazione asseverata da tecnico professionista dovrà dichiarare \ certificare i provvedimenti tecnici adottati al tine di evitare in maniera idonea l’uso della stessa piscina ”.

3.4 Esclusa pertanto la parte di opere concernenti la realizzazione della piscina, la qualificazione dell’intervento in termini di totale difformità risulta priva di adeguato sostegno probatorio. Piuttosto, dall’esame della documentazione in atti, progettuale e tecnica, risultano accertati interventi in termini di ampliamento in larghezza ed in maggiore altezza dell’edificio, che hanno dato vita ad un organismo edilizio di maggiori dimensioni, ma non totalmente difforme per la entità del realizzato.

Va a questo proposito ribadito che, per la costante giurisprudenza della Sezione (ma anche per Consiglio di Stato, sez. IV, 10 luglio 2013, n. 3676) ai sensi degli art. 31 e 32 d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, si verificano difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dal’'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale – come prima ricordato - quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.

Nello stesso senso depone la giurisprudenza civile (cfr. Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2011, n. 2187): in tema di contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformità rispetto alla concessione edilizia, occorre distinguere a seconda che tale difformità sia totale o parziale: nel primo caso (art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47) - che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie - l'opera è da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell'oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica;
detta nullità, invece, non sussiste nel secondo caso (art. 12 della l. n. 47 del 1985), che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto.

A giudizio del Collegio le opere realizzate in difformità sono di entità tale da non potersi considerare una totale difformità riguardando modifiche lievi che non intaccano le caratteristiche tipologiche fondamentali del progetto.

Anche l’ulteriore argomento utilizzato dal Tar, relativo all’epoca di realizzazione – invero di per sé irrilevante rispetto ai principi sopra richiamati in termini di inquadramento - risulta smentito dalle relazioni tecniche acquisite in via istruttoria, da cui emerge che, per loro stessa natura, gli abusi sono stati realizzati al momento della costruzione dell’edificio.

3.5 In definitiva, le risultanze tecniche di parte, acquisite in via istruttoria, sono state fatte proprie dalla p.a, entro i limiti, pienamente ammissibili, della motivazione per relationem.

Sul punto, anche la relazione tecnica di parte originaria ricorrente (cfr. sub doc n. 5 allegato ai motivi aggiunti di prime cure) evidenzia la realizzazione di un manufatto più ampio e più alto di quello assentito, con incremento di superfici e volumi, ma senza dimostrare l’esistenza di elementi qualificabili come mutamenti essenziali.

La nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire, ex art. 32 del t.u. edilizia, costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, sanzionata dall'art. 44, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. (cfr. per tale inquadramento sistematico Cass. pen. Sez.III, n. 41167 del 17 aprile 2012, Ingrosso, in fattispecie relativa a modifica della sagoma, dell'altezza, del volume e della superficie del manufatto).

Va infatti ricordato che vi sono tre tipologie di varianti: 1) le cd. "varianti leggere o minori", quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell'edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell'attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;
2) le varianti in senso proprio, consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del cd. "permesso in variante", complementare ed accessorio rispetto all'originario permesso a costruire (cfr. Cass. Sez. III n. 9922 del 20 gennaio 2009, Gelosi);
3) le cd. "varianti essenziali", caratterizzate da "incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32", le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante (così, Cass. Sez.III, n. 24236 del 24 marzo 2010, Muoio ed altro, Cass. Sez. III, n. 35728 del 18 maggio 2011, Filippini,).

Nel caso in esame, per le caratteristiche del realizzato in difformità dal progetto approvato, manca un aumento consistente di cubatura o di superficie e non sono presenti modifiche sostanziali del progetto approvato indi non vi sono variazioni essenziali.

3.6 Nella specie, conclusivamente, in coerenza agli orientamenti espressi in relazione all’art. 34 cit., vengono in rilievo gli stessi lavori edilizi posti in essere a seguito del rilascio del titolo abilitato e in parziale difformità da esso;
viene in rilievo pertanto un mero incremento di superfici e volumi, che entro ragionevoli limiti, appare come una sorta di aggiunta alle dimensioni di progetto (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI, 4 giugno 2018, n.3371).

4. Alla luce delle considerazioni che precedono gli appelli riuniti sono fondati e vanno accolti;
per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, vanno accolti i ricorsi di primo grado.

Sussistono giusti motivi, stante la complessità della vicenda in fatto, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

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