Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-05-02, n. 202203409
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Testo completo
Pubblicato il 02/05/2022
N. 03409/2022REG.PROV.COLL.
N. 04269/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4269 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione della cittadinanza italiana.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 il Cons. Giulio Veltri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Sig. -OMISSIS-ha impugnato, dinanzi al TAR Lazio, il provvedimento n. -OMISSIS-con il quale il Ministro dell’Interno ha respinto la domanda di concessione della cittadinanza italiana. Rigetto motivato dalla sussistenza di diverse condanne penali a carico di componenti del nucleo familiare: nello specifico dall’istruttoria espletata è emerso a carico dei sigg.ri -OMISSIS-, rispettivamente padre e zio del richiedente, la sussistenza di condanne penali per i reati di calunnia e falso di cui all’art. 495 c.p., mentre, nei confronti della madre Sig.ra -OMISSIS-, è stata rilevata la revoca, in data -OMISSIS-, della carta di soggiorno illimitata, per assenza dal territorio nazionale.
Il TAR Lazio ha respinto il ricorso. Dopo aver rimarcato il carattere ampiamente discrezionale del provvedimento, ha affermato che “ quanto ai fini della concessione della cittadinanza, correttamente l’Amministrazione ha considerato il livello di inserimento del nucleo familiare nel contesto sociale, nell’ambito della valutazione ampiamente discrezionale che le è demandata in tale materia ”.
Il ricorrente ha proposto appello. Secondo l’appellante, la legge nel disciplinare la concessione della cittadinanza si riferisce ai soli profili soggettivi e penali del richiedente e non a quelli dei componenti del nucleo familiare del medesimo. Nel caso in esame nulla sarebbe stato obiettato, né potrebbe esserlo, in relazione alla condotta dell’istante e al suo personale percorso di integrazione. In ogni caso – aggiunge l’appellante - la sig.ra -OMISSIS- non è più parte del nucleo familiare, essendo deceduta. Le singole condanne o i procedimenti pendenti a carico dei familiari, ritenute ostative, non sarebbero meglio specificate.
L’appellante non manca di evidenziare, infine, la contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione, avendo la medesima concesso la cittadinanza agli altri componenti del nucleo familiare, ossia ai sigg.ri -OMISSIS-.
Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno. L’Amministrazione ribadisce che il provvedimento di diniego trova principale fondamento nella valutazione politico-amministrativa di inaffidabilità del richiedente e di incompiuta integrazione nella comunità nazionale, e ritiene che in tale ottica, “ non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare dello stesso ”. Evidenzia la particolare cautela con cui deve essere valutata un’istanza di concessione della cittadinanza, “ stante l’acquisizione in via definitiva di detto status e il conseguente divieto di espulsione, ex art. 19, comma 2, del D.lgs. 286/1998, dei parenti, conviventi, entro il secondo grado ”.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 12 aprile 2022.
Ritiene il Collegio che l’appello sia fondato.
E’ fuori discussione che il provvedimento di concessione della cittadinanza, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. n. 91 del 1992, costituisca esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini, e si qualifichi pertanto quale atto squisitamente discrezionale di alta amministrazione, condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno status illesae dignitatis , morale e civile, dello straniero richiedente, cui non corrisponde un diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza. Talchè la valutazione ampiamente discrezionale, sindacabile nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale, si traduce in un apprezzamento di opportunità, circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulle ragioni che lo inducono a chiedere la nazionalità italiana e riguardo alle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, rilevando tutti gli aspetti da cui è possibile desumere l’integrazione del richiedente nella comunità nazionale, sotto il profilo della conoscenza e osservanza delle regole giuridiche, civili e culturali che farebbero dello straniero un buon cittadino ( ex multis Consiglio di Stato, Sezione Terza, 17 dicembre 2020 n. 8133).
Tuttavia, nel caso di specie, è del tutto pacifico che l’appellante sia soggetto incensurato e che non sia mai stato nemmeno destinatario di segnalazione di reati o di comportamenti denotanti uno scarso grado di integrazione sociale. Del resto, la motivazione del provvedimento impugnato non fa riferimento alcuno a un tale eventuale profilo, focalizzando piuttosto i suoi contenuti ostativi sui precedenti penali a carico dei familiari. Elementi sui quali l’amministrazione continua a insistere anche in appello, sulla base della considerazione che il comportamento di alcuni componenti del nucleo familiare possa essere ragionevolmente indice di una mancata integrazione di tutto il nucleo, ivi compreso l’istante.
A ben vedere siffatto ragionamento presuntivo, condotto in assenza di qualsivoglia correlazione comportamentale dell’istante, che possa denotare concorso, complicità o quanto meno condivisione di schemi e valori devianti rispetto ai modelli sociali di compiuta integrazione, cozza contro il principio del carattere personale della responsabilità penale di cui all’art. 27 della Carta costituzionale, facendo ricadere sull’istante le “colpe” dei familiari.
Ovviamente il Collegio non esclude che anche i reati commessi da componenti del nucleo familiare possano rilevare nella lata valutazione discrezionale che l’amministrazione è chiamata a fare in materia di concessione della cittadinanza italiana, ma deve trattarsi di reati che abbiano una regia familiare ovvero siano connotati da una fruizione familiare dei proventi del reato o ancora denotino atteggiamenti di collaborazione, protezione reciproca o condivisione piena degli schemi devianti, tali da disvelare la scarsa integrazione dell’intera famiglia. Nel caso di specie, si tratta di reati comuni (calunnia, falso), tra l’altro non meglio documentati e specificati, non solo rispetto alla loro ritenuta “rilevanza familiare”, ma anche in ordine ai fatti commessi e alle relative circostanze, sicchè il difetto di motivazione è palese e oggettivamente invalidante.
L’appello deve pertanto essere accolto e, per l’effetto, il provvedimento annullato.
Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.