Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-04, n. 201900866

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-04, n. 201900866
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900866
Data del deposito : 4 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2019

N. 00866/2019REG.PROV.COLL.

N. 05871/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5871 del 2018, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , e dalla Questura di Roma, in persona del Questore pro tempore , entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

R C, M A, D D G, M C, P T, G B, D L, M L, G F, S M, Valentina D’Elia, A P, G R, A M, P R, T M, R S, Ferica Vergani, M B, L M, G R, M A, A G, P G T, M N, P N R, F N, R C, J X, P C, F M, F L, non costituiti nel presente grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza n. 321 dell’11 gennaio 2018 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I, concernente l’annullamento dei distinti provvedimenti con i quali, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989, è stato vietato agli odierni appellati, non costituiti, di accedere agli impianti sportivi per la durata di un anno.


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Consigliere M N e udito per il Ministero dell’Interno e per la Questura di Roma, odierne appellanti, l’Avvocato dello Stato Carla Colelli;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellati, tutti destinatari di separati provvedimenti di divieto di accesso negli impianti sportivi (di qui in avanti, per brevità, anche DASPO) per la durata di un anno emessi nei loro confronti da parte della Questura di Roma, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989, hanno adìto il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, per chiedere l’annullamento di detti provvedimenti.

1.1. L’adozione di tali provvedimenti ha tratto origine da un gravissimo episodio di violenza di gruppo, posto in essere dagli odierni appellati in occasione dell’incontro calcistico finale per il conseguimento della coppa Tim Cup, disputatasi in Roma, presso lo stadio Olimpico, il 21 maggio 2016 tra Milan e Juventus.

1.2. Più in particolare, al termine della partita e durante le operazioni di deflusso dallo stadio, i tifosi milanisti, a bordo di un convoglio di pullman diretto a Milano e scortato da personale della Polizia di Stato, percorrevano via Andrea Doria dove, all’altezza della intersezione con via Leone IV, i pullman hanno arrestato improvvisamente la marcia.

1.3. Durante tale sosta i tifosi milanesi, odierni appellati, sono scesi dal primo pullman in testa al convoglio, dopo aver azionato le manopole di apertura di emergenza, e – una volta percorso un breve tragitto a piedi – hanno aggredito violentemente, con l’utilizzo di mezzi contundenti, gli avventori del bar Jet-Lag , sito in via Leone IV, n. 6, e hanno, altresì, danneggiato le vetrine del suddetto locale.

1.4. Il personale della Polizia di Stato presente in loco ha circondato immediatamente il primo dei pullman, occupato da tifosi milanisti posto all’intersezione tra via Doria e via Leone IV, procedendo all’identificazione di tutti gli occupanti ed eseguendo la perquisizione del veicolo.

1.5. Le operazioni di identificazione degli occupanti del primo automezzo sono proseguite per tutta la notte sino al tardo pomeriggio del 22 maggio 2016, mentre gli occupanti degli altri pullman, componenti il convoglio, hanno proseguito la loro marcia verso la originaria destinazione a bordo dei propri mezzi.

1.6. In conseguenza di questi eventi, pertanto, la Questura di Roma ha emesso i provvedimenti di DASPO nei confronti degli odierni appellati, tutti occupanti del primo pullman, in quanto ritenuti autori della violenta vendetta di gruppo.

2. I provvedimenti di DASPO sono stati quindi impugnati da questi avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, deducendo tre motivi:

1) il vizio di motivazione;

2) la violazione di legge e l’errata applicazione dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989;

3) l’eccesso di potere in relazione all’insussistenza per l’applicazione della misura.

2.1. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma, per chiedere la reiezione del ricorso.

2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, dopo aver sospeso in via cautelare i provvedimenti istruttori e aver disposto attività istruttoria, non eseguita dal Ministero dell’Interno, con la sentenza n. 321 del 2018, ha accolto il ricorso e ha annullato tali provvedimenti.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma e, nel dedurre quattro motivi di ricorso che saranno di seguito esaminati, ne hanno chiesto la riforma, con la conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado.

3.1. Non si sono costituiti gli appellati, nonostante la rituale notifica del gravame.

3.2. Nella pubblica udienza del 24 gennaio 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma è fondato e va accolto.

5. Deve essere anzitutto dichiarata, in accoglimento del primo motivo di appello proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma (pp.

5-9 del ricorso), l’ammissibilità della documentazione portata alla cognizione di questo giudice d’appello ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a.

5.1. Si tratta, più in particolare, dei seguenti documenti:

a) l’esito della perquisizione veicolare (all. 1) e dei conseguenti sequestri adottati (all. 2, 3 e 4);

b) l’annotazione della comunicazione radio del Reparto Mobile di Napoli (all. 5) e della comunicazione della notizia di reato inoltrata al Commissariato di P.S. Aurelio (all. 6);

c) i verbali delle sommarie informazioni rese da G P, M M e V P, conducenti dei tre pullman del corteo (all. 7, 8 e 9), e da N D B, F S e Ferico D’Angelo (all. 10, 11 e 12), rispettivamente titolare del locale e testimoni oculari dell’accaduto.

5.2. Questi documenti sono senza dubbio indispensabili ai fini della presente giudizio poiché sono atti relativi al procedimento amministrativo sfociato nell’adozione dei provvedimenti di DASPO in questo giudizio contestati.

5.3. Valga sul punto rammentare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo la quale gli atti e i documenti inerenti al procedimento sono per definizione “indispensabili” ai fini della decisione e sussiste il potere-dovere in capo al giudice amministrativo, anche in sede di appello, di acquisirli, se del caso con l’esercizio del proprio potere officioso ai sensi dell’art. 46, comma 2, c.p.a., senza incorrere nella preclusione ai nova in appello di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a. (Cons. St., sez. VI, 22 maggio 2018, n. 3042).

5.4. Peraltro, anche a voler prescindere dalla necessaria applicabilità dell’art. 46, comma 2, c.p.a. nel giudizio di appello, l’indispensabilità di tali documenti, come correttamente osservano le amministrazioni appellanti (pp.

7-9 del ricorso), risulterebbe evidente, sol che si consideri come la documentazione, di cui si è detto (v. supra § 5.1.), riveste una efficacia determinante ai fini del giudizio e consente di risolvere, in senso difforme rispetto alla decisione di primo grado, le questioni concernenti, da un lato, l’ascrivibilità delle condotte di gruppo ai soggetti destinatari dei DASPO, in questa sede impugnati, e, dall’altro, l’illegittima detenzione di materiale offensivo in violazione dell’art. 6- ter della l. n. 401 del 1989.

5.5. A tale riguardo, come pure correttamente ricordano le amministrazioni appellanti, non si può trascurare nemmeno che in un parallelo giudizio, instaurato da soggetti destinatari di DASPO per la durata di cinque anni in relazione ai gravissimi episodi del 21 maggio 2016, il medesimo Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 432 del 18 gennaio 2018, non appellata e, quindi, costituente giudicato, ha valorizzato proprio i documenti in questa sede prodotti dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a. e ha ritenuto legittimi i provvedimenti di DASPO adottati dalla Questura di Roma nei confronti di tali soggetti.

5.6. Di qui, con ogni evidenza, la indispensabilità, anche ai fini della presente decisione, dei documenti, sopra indicati, essenziali per acclarare la legittimità dei provvedimenti, annullati dal primo giudice, sia sotto il profilo della ascrivibilità delle condotte agli occupanti del primo pullman sia sotto il profilo della detenzione di materiale offensivo.

6. Sulla nozione di indispensabilità di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a., d’altro canto, valga anche qui richiamare la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale il giudice può e deve ammettere al contrario tutti quei documenti non sono semplicemente “rilevanti” ai fini del decidere, « bensì appaiono dotati di quella speciale efficacia dimostrativa che si traduce nella capacità di fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, conducendo ad un esito, per così dire, “necessario” della controversia » (Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2018, n. 3435;
Cons. St., sez. III, 8 gennaio 2019, n. 183).

6.1. L’accertamento della verità materiale, « fine ultimo e vera mèta di ogni giusto processo » (Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2019, n. 183), impone pertanto l’acquisizione di tutti quei documenti indispensabili per la decisione, senza i quali tale decisione, seppure per il mancato assolvimento dell’onere probatorio dalla parte interessata in primo grado, si fonderebbe irrimediabilmente su una incompleta conoscenza di fatti assolutamente necessari per la cognizione del giudice.

6.2. La produzione di documenti decisivi in appello, indipendentemente dalla diligenza della parte onerata, è necessaria a tale irrinunciabile fine, che vede nel processo non solo una garanzia delle parti, come esso deve essere anzitutto essere, ma uno strumento di verità e, quindi, come mezzo per il perseguimento di tale irrinunciabile valore.

6.3. La nozione di indispensabilità, qui accolta, e l’ammissibilità di quella che autorevole dottrina definisce “prova cruciale” è del resto in armonia con l’orientamento del giudice civile espresso dalla sentenza n. 10790 del 4 maggio 2017 delle Sezioni Unite della Cassazione civile, secondo cui nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma terzo, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (v., su questo punto, Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2019, n. 183).

6.4. A maggior ragione pertanto, proprio alla luce di queste considerazioni sistematiche, la documentazione prodotta dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma, anche indipendentemente dall’applicabilità dell’art. 46, comma 2, c.p.a., appare indispensabile e, quindi, acquisibile nel giudizio di appello ai sensi e per gli effetti dell’art. 104, comma 2, c.p.a.

7. Ciò premesso sull’ammissibilità dei documenti, prodotti dalle amministrazioni appellanti, si deve ora esaminare il primo motivo di appello (pp.

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