Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-08-04, n. 202206831

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-08-04, n. 202206831
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206831
Data del deposito : 4 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/08/2022

N. 06831/2022REG.PROV.COLL.

N. 05497/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5497 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati F D P, A C e M M, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato G R in Roma, via Antonio Gramsci, n. 29;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il -OMISSIS-, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 luglio 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per la parte appellante l’avvocato M M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’appellante ha gravato la sentenza del T.A.R. -OMISSIS-, che ha respinto il suo ricorso (rubricato al n. r.g. -OMISSIS-) proposto per l’annullamento del Decreto del Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare n. 500788 dell’11 settembre 2017, con cui gli era stata irrogata la sospensione disciplinare per mesi due.

In punto di fatto occorre ricordare che l’appellante, in servizio presso il 32° Reggimento Genio Guastatori di -OMISSIS- dell’Esercito, in data 4 settembre 2015, dovendo avviarsi un’esercitazione di marcia, segnalava al Capitano l’assenza di un’ambulanza con conduttore e di un Ufficiale Medico o di un Sottoufficiale infermiere, la cui presenza era prevista come obbligatoria dal punto 5, lettera b), della direttiva per “il controllo dell’efficienza operativa del personale dell’Esercito Italiano”, in caso di svolgimento delle prove di efficienza fisica operativa (d’ora in avanti P.E.F.O.).

Il capitano, tuttavia, negava che si trattasse di una P.E.F.O., evidenziando che era una marcia programmata e, di fronte all’insistenza, pacata ma ferma, dell’appellante, lo invitava a salire sull’autobus e ad aspettare lì la truppa fino alla fine dell’addestramento.

Per tale episodio di disobbedienza pluriaggravata l’interessato veniva condannato con sentenza n. -OMISSIS- del Tribunale Militare di -OMISSIS- alla pena di mesi due di reclusione militare, ma successivamente veniva assolto dalla Corte Militare di Appello con sentenza n. -OMISSIS- perché “non punibile per la particolare tenuità del fatto”.

La sentenza della Corte Militare di Appello acquistava efficacia di giudicato e, in data 3 aprile 2017, il Ministero della Difesa disponeva l’apertura del procedimento disciplinare, nel corso del quale l’appellante, con memoria dell’11 maggio 2017, sosteneva di essersi rifiutato di obbedire all’ordine contrario alla citata direttiva delle P.E.F.O., che prevede la presenza obbligatoria dell’ambulanza con medico nella “marcia zavorrata di 10 chilometri”, di cui all’allegato C..

All’esito del procedimento, in data 11 settembre 2017, gli veniva irrogata la sanzione disciplinare di stato della sospensione dall’impiego per la durata di mesi due.

Il T.A.R. -OMISSIS-, ritualmente e tempestivamente adito per l’annullamento di detto provvedimento disciplinare, con la sentenza segnata in epigrafe ha respinto il ricorso.

Tale sentenza è stata impugnata dall’interessato che ne ha chiesto la riforma alla stregua di un unico articolato motivo di gravame, così rubricato: “Violazione di legge in relazione al D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (in particolare artt. 858, 920 comma 1, 1352, 1355, 1357, comma 1, lett. a), 1370, 1375).

Violazione della Direttiva dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano c.d. P.E.F.O. “Il controllo dell’efficienza operativa del personale dell’Esercito Italiano”;
Violazione dell’art. 97 della Costituzione, violazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa;
Violazione dell’art. 32 della Costituzione. Violazione e/o erronea applicazione e/o erronea interpretazione dei principi giurisprudenziali in materia di sanzioni disciplinari;
violazione del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare;
violazione del principio di ragionevolezza. Difetto e/o insufficienza di istruttoria da valersi, altresì, quale violazione di legge ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera a) e b) della Legge n. 241/1990. Difetto e/o insufficienza di motivazione (da valersi, altresì, quale violazione di legge ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 241/1990). Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti;
manifesta illogicità;
manifesta irragionevolezza;
ingiustizia grave e manifesta;
perplessità;
contraddittorietà;
disparità di trattamento”.

Si è costituto in giudizio il Ministero della Difesa, a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, resistendo al ricorso.

Con memoria depositata il 18/11/2020, si è costituita in giudizio per parte appellante l’Avv. M M, in aggiunta al precedente difensore, Avv. F D P, e con atto depositato il 28/04/2022 si è costituita in giudizio, sempre per parte appellante, l’Avv. A C, in aggiunta ai due precedenti difensori.

Parte appellante ha depositato una memoria conclusiva.

All’udienza pubblica del 26.7.2022, l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1) L’appello è infondato

2) La tesi dell’interessato, ribadita anche in sede di gravame, è che l’ordine ricevuto fosse illegittimo, così giustificando la sua mancata ottemperanza in quanto l’esercitazione in questione consisteva in una prova P.E.F.O. (“Il controllo dell’efficienza operativa del personale dell’Esercito Italiano”) o comunque, era ad essa equiparabile;
a suo avviso la sua effettuazione richiedeva, pertanto, la presenza obbligatoria di un’ambulanza con medico, assente nel caso di specie.

Ciò posto, non meritano censure le conclusioni cui è giunto il Tribunale secondo cui la marcia programmata di cui si discute non era una prova P.E.F.O., bensì una “normale” esercitazione, seppure con qualche caratteristica che potevano farla somigliare alla prima, ma sostanzialmente, oltre che formalmente, con questa non coincidente, né equiparabile, stante, tra l’altro, l’assenza di un tempo predeterminato per la sua conclusione e l’attribuzione di formali valutazione ai partecipanti.

Né tale equiparazione può essere affermata sulla base della presunta pressione psicologica che tale prova avrebbe ingenerato sui partecipanti desiderosi di ben figurare con i superiori o dalla circostanza che il programma della giornata prevedeva un orario di rientro, dimostrando che ci fossero dei tempi massimi di effettuazione della prova. Al riguardo, è sufficiente osservare che tutte le prove di resistenza hanno per i partecipanti e finiscono per determinare nei partecipanti, anche in considerazione della stessa disciplina militare, una indiscutibile pressione psicologica, mentre il predeterminato orario di ritorno in caserma, lungi dal costituire un elemento implicito della prova, tale da poterla qualificare come P.E.F.O., rientra nella normale programmazione delle attività, sulla base dell’esperienza riferita alla normale tempistica impiegata per effettuare quel percorso, senza che ciò comporti la fissazione di un vero e proprio termine massimo temporale entro il quale completare il percorso di marcia.

La non equiparabilità dell’esercitazione de qua rispetto a quella P.E.F.O. è stata, peraltro. anche acclarata nella sentenza della Corte di Appello di assoluzione per la tenuità del fatto, che ha anch’essa espressamente escluso che si potesse trattasse di un’esercitazione P.E.F.O.

3) Infondate sono anche le riproposte censure di difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Quanto alle prime sono incentrate sulla presunta mancata considerazione delle circostanze salienti della vicenda, facendo anche riferimento alla sentenza di assoluzione della Corte Militare d’Appello, nonchè della circostanza che il militare avrebbe agito nella convinzione di porre in essere un comportamento lecito nell’interesse di tutti i partecipanti alla marcia.

In proposito, oltre alla genericità del motivo di appello, non può sottacersi che anche dalla sentenza di assoluzione della Corte Militare d’Appello si evince il profilo della disubbidienza da parte del militare a un ordine legittimo e, di conseguenza, il disvalore del fatto, ben meritevole di sanzione disciplinare. La sentenza in esame ha raggiunto conclusioni simili a quelle del provvedimento disciplinare rispetto al comportamento dell’appellante, in quanto ha assolto quest’ultimo solo per la tenuità del fatto.

La convinzione errata di agire in modo lecito e nell’interesse di tutti i partecipanti alla marcia non fa venir meno il disvalore del comportamento e la sanzionabilità dello stesso.

4) Risulta, infine, infondata anche il motivo di appello relativo alla sproporzionalità della sanzione e alla mancata considerazione della circostanza che l’appellante non aveva alcun precedente disciplinare o penale e poteva vantare una brillante carriera militare, anche con partecipazione a missioni all’estero e conseguendo un elogio.

Come è noto, la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al militare in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di ampia discrezionalità amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2012, n. 5582, Sez. IV, 27 luglio 2020, n. 4761), non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento dei fatti (Consiglio di Stato, Sez. II, 23 novembre 2020, n. 7336;
Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335;
sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302;
sez. III, 31 maggio 2019, n. 3652;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 28).

In sostanza, la valutazione circa il rilievo e la gravità dell'infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale, attraverso la commissione di disciplina, esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell'istruttoria (Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112)

Difatti, nell'esercizio del potere disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, l'Amministrazione, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati, ha un'ampia discrezionalità, in ordine alla valutazione dei fatti dei quali il dipendente è ritenuto responsabile, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente misura della sanzione da infliggere.

Il giudice amministrativo non può, infatti, in nessun caso sostituire le proprie valutazioni a quelle operata dall’Amministrazione, trattandosi di una valutazione che sfugge all’apprezzamento e ad un pieno sindacato del giudice amministrativo;
pertanto, potrà soltanto verificare l’esistenza di vizi del procedimento qualora questo sia inficiato da travisamento dei fatti, evidente irragionevolezza o le valutazioni compiute non risultino formate sulla base di un processo logico manifestamente coerente (Consiglio di Stato, Sezione III, 24 marzo 2015, n.1577).

Nel caso di specie, la sanzione comminata di disciplinare per due mesi non risulta avere profili di palese illogicità o sproporzionalità.

Né possono assumere rilievo le generiche affermazioni del ricorrente riferite al fatto che lo stesso sarebbe stato oggetto di mobbing , trattandosi di mere asserzioni del tutto sfornite di prova, oltre che nemmeno precisamente supportate dalla descrizione dei comportamenti “mobbizzanti”.

Né elementi favorevolmente apprezzabili alle tesi dell’appellante emergono dal documento da questi prodotto, concernente uno studio dello Stato Maggiore dell’Esercito avente ad oggetto “Comportamenti devianti del personale militare – Casi studio sulle principali conseguenze”, che riporta dei casi pratici di sanzioni comminate per violazioni disciplinari, dal quale, secondo l’appellante, si evincerebbe che comportamenti molto gravi (più gravi a suo dire della disubbidienza) sarebbero stati punti con sanzioni più lievi o equivalenti.

Evidenziato che il documento prodotto è parziale e non contiene proprio la fattispecie relativa alla disubbidienza (la n. 8), è da osservare che neanche con riferimento alle restanti fattispecie evincibili dal documento si può apprezzate la dedotta sproporzione, essendo peraltro la maggior parte delle stesse inerenti a comportamenti estranei ai doveri strettamente d’ufficio, mentre quanto contestato all’appellante riguarda una mancanza inerente al rapporto di servizio.

4) Da rigettare è, infine, la censura di contrarietà a quanto richiesto dall’art. 1370 del Codice dell’Ordinamento Militare, in quanto l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente valutato e confutato tutti gli elementi dedotti a propria discolpa dal ricorrente nel corso del procedimento disciplinare.

La censura è, infatti del tutto generica e perciò inammissibile, non indicando quali specifiche circostanze rese in sede procedimentale difensiva non sarebbero state considerate ai fini del provvedimento disciplinare.

5) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

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