Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-12-12, n. 201106497

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-12-12, n. 201106497
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201106497
Data del deposito : 12 dicembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10407/2010 REG.RIC.

N. 06497/2011REG.PROV.COLL.

N. 10407/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10407 del 2010, proposto dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Line Banking s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati A C e C D P, con domicilio eletto presso studio Cancrini-Piselli in Roma, via Giuseppe Mercalli, 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III TER n. 28158/2010, resa tra le parti, concernente AVVIO PROCEDURA REVOCA DELLE AGEVOLAZIONI FINANZIARE PER MOTIVI OSTATIVI AI SENSI DELLA VIGENTE LEGISLAZIONE ANTIMAFIA


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Società Line Banking s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2011 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti e l'avvocato De Portu;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con d.m. 23 giugno 2003 n. 123076 il Ministero dello sviluppo economico concedeva in via provvisoria alla società Line Banking s.r.l. un contributo in conto impianti di euro 1.537.329 e un contributo in conto esercizio di euro 247.500.

1.1. Con nota 8 marzo 2004 la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. trasmetteva al Ministero la certificazione antimafia classificata come “riservata amministrativa” acquisita dalla competente Prefettura di Roma, dalla quale emergevano cause ostative al rilascio del contributo ai sensi della vigente legislazione antimafia.

1.2. In particolare la nota 4 febbraio 2004 n. 1567 della Prefettura di Roma-UTG riteneva sussistente un pericolo di infiltrazione mafiosa in quanto il marito dell’amministratrice unica della società (signora Anna T), sig. Lorenzo L L, quale amministratore delegato della Asfalti Sintex s.p.a., risultava indagato per reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso (nell’ambito della c.d. operazione Tamburo condotta dalla DDA di Catanzaro, relativa ai lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria), per il quale reato era stato inizialmente sottoposto a misura cautelare personale.

1.3. Con nota del 6 maggio 2004 il Ministero dello sviluppo economico comunicava l’avvio del procedimento di revoca del contributo.

1.4. La società con istanza del 25 maggio 2004 chiedeva alla Prefettura di Roma il riesame della certificazione antimafia.

1.5. Con atto del 9 marzo 2005 la Prefettura di Roma confermava la propria nota del 4 febbraio 2004 in ordine al pericolo di condizionamento mafioso.

1.6. Con decreto 15 luglio 2005 n. 142500 il Ministero dello sviluppo economico revocava il contributo in conto impianti e in conto capitale.

2. La società Line Banking proponeva due ricorsi al Tribunale amministrativo del Lazio (Roma), proponendo, nell’ambito del primo, due atti di motivi aggiunti.

2.1. In particolare, nell’ambito del ricorso n. 7681/2004 (r.g. del Tribunale amministrativo del Lazio – Roma), sono stati impugnati:

- la nota 6 maggio 2004, prot. n. 1015686, con la quale è stato comunicato alla ricorrente l’avvio della procedura di revoca del contributo;

- la certificazione – non conosciuta in quanto riservata amministrativa – rilasciata dalla Prefettura di Roma, relativa ai “motivi ostativi ai sensi della vigente legislazione antimafia”;

- ogni altro atto presupposto, antecedente o comunque connesso;

con motivi aggiunti notificati il 10 novembre 2004:

- la nota dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma, a firma del Prefetto di Roma, 4 febbraio 2004, prot. n. 1567/area E/A.M., recante informativa antimafia ostativa;

nonché, per quanto di ragione,

- la nota della Guardia di Finanza, Comando Nucleo Regionale Polizia Tributaria Lazio, G.I.C.O., 2^ Sezione, in data 31 luglio 2003, prot. n. 30758/GICO/2^;

- la nota della Direzione Investigativa Antimafia, Sezione Operativa di Catanzaro, in data 20 agosto 2003, prot. n. 3181;

- la nota della Regione Carabinieri Lazio, Stazione di Roma Salaria, in data 21 ottobre 2003, prot. n. 28472/8-1 “P”;

- il verbale dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma in data 15 gennaio 2004 nella parte relativa alla Line Banking s.r.l;

- la nota della Direzione Investigativa Antimafia, Sezione Operativa di Catanzaro, in data 30 giugno 2004, prot. n. 2329;

con motivi aggiunti notificati il 25 ottobre 2005:

- il decreto n. 142500 d.d. 15 luglio 2005, comunicato alla ricorrente con nota del 4 agosto 2005, prot. n. 1016346, con cui il Ministero dello sviluppo economico ha revocato le agevolazioni finanziarie concesse in via provvisoria alla ricorrente società e ha disposto l’incameramento della cauzione;

- nonché ogni altro atto presupposto, antecedente o comunque connesso, ivi compresa, per quanto di ragione, la nota della Prefettura – U.T.G. di Roma prot. 99/05/Area 1- bis /O.S.P./A.M. del 9 marzo 2005.

2.2. Con il ricorso n. 4361/2009 (r.g. del Tribunale amministrativo del Lazio – Roma) è stato chiesto il risarcimento di tutti i danni subiti per effetto della revoca delle agevolazioni finanziarie.

3. Nel corso del giudizio di primo grado, all’udienza cautelare del 7 ottobre 2004, la Difesa erariale depositava l'informativa antimafia rilasciata dal Prefetto di Roma, di cui alla nota del 4 febbraio 2004, prot. n.1567, concernente la posizione della società, e la documentazione concernente la presupposta istruttoria, curata dagli organi di polizia all'uopo interpellati.

Dalla suddetta documentazione emergeva che l'esito negativo della certificazione antimafia era dovuto alla circostanza che la società era stata ritenuta soggetta a tentativi d'infiltrazione mafiosa in ragione delle vicende giudiziarie del coniuge della T, amministratrice unica dell'impresa, segnatamente per la pendenza di un procedimento penale per il reato di cui all'art. 416- bis Cod. pen..

3.1. Con il primo dei due ricorsi davanti al Tribunale amministrativo e i successivi motivi aggiunti si lamentava, in sintesi, la violazione di legge, il difetto di istruttoria e di motivazione, non essendovi alcuna prova del pericolo di inquinamento mafioso, non rivestendo il marito dell’amministrazione alcuna carica all’interno della società.

4. Nel corso del giudizio di primo grado, con una prima ordinanza cautelare (n. 6117/04 del 18 novembre 2004) il giudice respingeva la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati, sul rilievo che " il procedimento di revoca risulta soltanto avviato sicché non è configurabile alcun danno grave e irreparabile”.

4.1. Nelle more del giudizio di primo grado, con sentenza del 16 novembre 2005, il Tribunale penale di Cosenza disponeva il proscioglimento del sig. L L dalla imputazione di concorso esterno in associazione di stampo mafioso per non aver commesso il fatto e dagli altri reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.

4.2. Pertanto, con ordinanza collegiale n. 6117/05 del 18 novembre 2005, il Tribunale amministrativo accoglieva la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati ai fini del riesame della vicenda controversa, " Ritenuto che, nelle more del presente giudizio cautelare, il Tribunale penale di Cosenza ha assolto con formula piena il coniuge del legale rappresentante della Società ricorrente;

Ritenuto che, in relazione a tale circostanza - che corrobora l'argomento attoreo sull'erroneità in sé dell'informativa antimafia rilasciata dall'UTG di Roma -, s'appalesa opportuno, da parte della P.A. resistente, il complessivo riesame della vicenda controversa, con ogni prudente attenzione alla posizione del predetto coniuge, stante la non definitività del giudizio penale che lo riguarda ".

4.3. Tuttavia l’Amministrazione intimata non provvedeva a reiterare l'istruttoria, e da uno scambio di note tra l’Amministrazione e l’Avvocatura dello Stato emerge che la prima riteneva la seconda dovesse chiedere il riesame dell’ordinanza cautelare (documento 28 della produzione documentale delle Amministrazioni appellanti).

4.4. In pendenza del giudizio di primo grado, con sentenza n. 1586 del 18 ottobre 2007 – divenuta irrevocabile in data 17 novembre 2007 - la Corte d’appello di Catanzaro, seconda sezione penale, nel confermare la sentenza di primo grado, proscioglieva definitivamente il L L dalla imputazione di concorso esterno in associazione di stampo mafioso e dagli ulteriori reati allo stesso ascritti.

5. Il giudice adito, con la sentenza qui appellata (Tribunale amministrativo del Lazio – Roma, sez. III- ter, 23 luglio 2010 n. 28158), riuniti i due ricorsi, li accoglieva, in base alle seguenti considerazioni:

- il Prefetto di Roma avrebbe ritenuto sussistenti, nei confronti della Line Banking, tentativi di infiltrazione mafiosa, non già sulla base di "idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con associazioni di tipo mafioso" , bensì in base alla semplice circostanza fattuale che T A era coniugata con un soggetto interessato da inchieste giudiziarie in materia di reati associativi di stampo mafioso, sicché l’esito negativo sarebbe stato determinato dal mero rapporto di coniugio dell’amministratore unico della società ricorrente con persona interessata da procedimenti penali per reati associativi di stampo mafioso, pur non ricoprendo detto soggetto alcuna carica nella società e benché non fosse dimostrata alcuna influenza in via di diritto o di fatto sull’attività della medesima;

- vi sarebbe difetto di istruttoria in quanto sin ab origine si sarebbe potuti pervenire ad una informativa ostativa in quanto già nell’indagine penale, prima del rinvio a giudizio, sarebbe emersa l’estraneità del L L ai reati mafiosi (v. provvedimento Tribunale del riesame 15 dicembre 2002, che sostituiva la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, motivando la decisione sul rilievo che, in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., difettavano i necessari elementi indiziari a carico del L L, mentre in ordine agli altri capi d’imputazione risultava non sussistere proprio l’aggravante mafiosa, di cui all’art. 7 d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla l. 12 luglio 1991, n. 203;
e v. altresì ordinanza del 20 gennaio 2003, con cui al suddetto soggetto veniva revocata anche la misura degli arresti domiciliari, sostituita con il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali;
e ordinanza del 14 febbraio 2003, con cui, al sig. L L veniva revocata anche la suddetta misura interdittiva e pertanto a quella data, peraltro anteriore rispetto all’informativa della Direzione investigativa antimafia di Catanzaro nonché alla nota della Prefettura, il medesimo non era più interessato da misure cautelari nell’ambito di procedimenti penali pendenti);

- in ogni caso la mera sussistenza di un legame di parentela o affinità con soggetti inquisiti o condannati per reati di mafia non determina automaticamente la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali nell’impresa, occorrendo che vengano provati gli effettivi tentativi di condizionamento degli indirizzi e delle scelte della società.

Quanto alla domanda di risarcimento, secondo la sentenza di primo grado sussisterebbe la colpa sia del Ministero dell’interno che del Ministero dello sviluppo economico, e il danno, in rapporto di diretta causalità con l’illegittima revoca dell’agevolazione finanziaria e con la carente istruttoria della informativa prefettizia antimafia.

Per l’effetto, il Tribunale amministrativo ha demandato al Ministero dello sviluppo economico la verifica della possibilità di una reintegrazione in forma specifica del danno subito, attraverso la erogazione alla Line Banking s.r.l. del contributo oggetto della gravata revoca, ove ancora in possesso dei relativi fondi, onde consentire alla medesima società la realizzazione, sia pure tardiva, dell’iniziativa in questione: in tal caso, il pregiudizio subito dalla ricorrente si tramuterebbe in un danno da mero ritardo.

Sussistendo tale ipotesi, il Ministero dello sviluppo economico e la Prefettura di Roma sarebbero tenuti a risarcire il mancato guadagno calcolato sulla base di quanto desumibile dalle previsioni del progetto operativo, a partire dall’anno 2005 e tenendo conto del parziale mancato utilizzo di capitale proprio da parte della ricorrente.

Per il caso in cui una reintegrazione in forma specifica non fosse possibile, il giudice ha fissato i criteri del risarcimento per equivalente ai sensi dell’art. 35 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

6. Hanno proposto appello le Amministrazioni statali (Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell’interno), lamentando che:

a) secondo un orientamento giurisprudenziale disatteso dal giudice, il mero rapporto di coniugio tra l’amministratore di una società e un soggetto inquisito per reati di mafia, giustifica l’informativa prefettizia negativa;

b) il provvedimento del Prefetto di Roma 9 marzo 2005 che reca conferma della nota del 4 febbraio 2004 in ordine al pericolo di condizionamento mafioso, si basa su ulteriori elementi, aggiuntivi rispetto al mero rapporto di coniugio, e in particolare la circostanza che oltre il 50% del capitale della società Line Banking s.r.l., destinataria dell’informativa antimafia, era posseduto dalla società Ancora 2001, il cui 50% era detenuto da L L Lorenzo e l’altro 50% dalla moglie T A, mentre il figlio dei due ne era il rappresentante legale (documenti 3 e 4 prodotti in appello);

c) le vicende penali che hanno portato al proscioglimento di L L Lorenzo sono successive all’epoca dell’informativa antimafia;

d) dalla visura camerale storica della società Line Banking s.r.l. emerge che il L L aveva ricoperto la carica di amministratore unico nella Line Banking fino alla data in cui venne sostituito dalla moglie;

e) nessun risarcimento del danno la società può pretendere, essendovi tutti i presupposti dell’informativa antimafia negativa;
in ogni caso il danno andrebbe al più limitato alla perdita di chances o al mero ritardo. Essendo la posizione della società di aspettativa di una agevolazione industriale mai iniziata, non si può riconoscere il danno da investimenti realizzati o da perdita di altre occasioni.

7. L’appellata si è costituita a difesa della sentenza, e ribadisce gli argomenti dedotti in prime cure e deduce che gli elementi relativi alla composizione azionaria della Line Banking s.r.l. non risultano dedotti in primo grado.

8. Il Collegio rileva che il provvedimento prefettizio del 4 febbraio 2004, in ordine al pericolo di condizionamento mafioso nei confronti della Line Banking s.r.l., risulta confermato dal provvedimento prefettizio 9 marzo 2005, emesso a seguito di riesame avviato su richiesta della stessa società.

Il Collegio rileva altresì che nella produzione documentale in appello dell’appellante sotto i numeri 24 e 25 risultano due documenti adottati nell’ambito dell’istruttoria sfociata nel provvedimento prefettizio del 9 marzo 2005.

Si tratta in particolare di:

- una nota del 16 febbraio 2005 della DIA di Catanzaro in cui si forniscono elementi sulla composizione azionaria della Line Banking s.r.l.;
vi si legge che oltre il 50% del capitale della Line Banking s.r.l., destinataria dell’informativa antimafia, era posseduto dalla società Ancora 2001, il cui 50% era detenuto da L L Lorenzo, e l’altro 50% dalla moglie T A, mentre il figlio dei due ne era il rappresentante legale;

- il verbale dell’8 marzo 2005 del gruppo ispettivo antimafia presso la Prefettura di Roma, in cui si esprime parere per la conferma dell’informativa antimafia negativa del 2004, a seguito della nuova istruttoria “dalla quale è emerso che entrambi (nota T e L L) hanno una partecipazione (50%) nel capitale della società Ancora 2001 s.r.l. la quale a sua volta partecipa per oltre il 50% al capitale sociale della Line Banking”.

8.1. Osserva il Collegio che il primo di tali documenti risulta prodotto già nel giudizio di primo grado (v. deposito in primo grado dell’Amministrazione in data 16 novembre 2009) mentre il secondo di tali documenti non risulta prodotto in primo grado, pur facendo parte del procedimento di riesame sfociato nel provvedimento prefettizio 9 marzo 2005.

8.2. In relazione alle nuove prove in appello, al caso di specie è applicabile ratione temporis l’art. 104, comma 2, Cod. proc. amm., atteso che l’atto di appello è stato notificato dopo l’entrata in vigore del c.p.a. (peraltro tale disposizione è riproduttiva dell’art. 345 comma 3 Cod. proc. civ., già applicabile al processo amministrativo).

Ai sensi di tale disposizione, in appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova, ivi compresi i nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

L’inclusione dei nuovi documenti nel divieto dei nova in appello era già in precedenza stata normativamente disposta ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69 (innovando al Codice di procedura civile), in adesione all’orientamento in tal senso già espresso in precedenza dalla Corte di cassazione a sezioni unite (Cass., SS.UU., 20 aprile 2005 n. 8203).

8.3. Si tratta allora di stabilire se, nel caso di specie, il nuovo documento prodotto per la prima volta in appello sia ammissibile.

Sotto tale profilo, si pone la questione se i due presupposti di ammissibilità delle prove nuove in appello, - vale a dire la dimostrazione che la parte non ha potuto produrli in primo grado per causa ad essa non imputabile, e la valutazione di indispensabilità da parte del collegio -, siano cumulativi o alternativi.

In base al dato letterale, i due presupposti appaiono alternativi.

Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, a Sezioni unite, ha ritenuto i due presupposti alternativi (Cass., SS.UU., 20 aprile 2005 n. 8203, che afferma che “(…) il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga - nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite - "indispensabili", perché suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come "rilevanti" (cfr. art. 184, comma 1;
art. 420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia;
prove che, proprio perché "indispensabili", sono capaci , in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado”
).

La giurisprudenza amministrativa mostra di ritenere i due presupposti alternativi (Cons. Stato, IV, 12 ottobre 2010, n. 7440;
18 giugno 2009, n. 4004;
VI, 29 ottobre 2008, n. 5409;
6 giugno 2008, n. 2718;
V, 7 maggio 2008, n. 2080;
VI, 4 giugno 2007, n. 2951;
14 aprile 2006, n. 2107;
IV, 6 marzo 2006, n. 1122;
V, 22 dicembre 2005, n. 7343).

8.4. Ad avviso del Collegio, e secondo quanto già rilevato da questa Sezione dopo l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo (Cons. Stato, VI, 9 maggio 2011, n. 2738) la tesi dell’alternatività dei due presupposti è da condividere perché si fonda su un dato letterale chiaro e perché meglio risponde al principio dispositivo con metodo acquisitivo che connota il processo amministrativo, nel quale, a differenza che nel processo civile, nel processo di primo grado non vi sono limiti temporali alla produzione delle prove. Si deve pertanto ritenere che la valutazione di indispensabilità possa essere compiuta dal giudice di ufficio, senza la prova di impossibilità di produzione in primo grado, sia nel caso, individuato dalle sezioni unite, in cui le nuove prove possano determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado, salva la valutazione ad altri fini delle eventuali colpe istruttorie della parte in primo grado.

8.5. Alla luce di tali coordinate, il Collegio rileva, anzitutto, che nel processo amministrativo di primo grado l’Amministrazione resistente ha l’onere di depositare il provvedimento impugnato e gli atti e documenti del relativo procedimento amministrativo e gli altri ritenuti utili (art. 21 l. 6 dicembre 1971, n. 1034;
ora art. 46, comma 2, Cod. proc. amm.).

Se l’Amministrazione non provvede a tale adempimento, il giudice ordina anche d’ufficio l’esibizione dei documenti (art. 21 l. n. 1034 del 1971;
art. 65, comma 3, Cod. proc. amm.). Se ne desume che il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento amministrativo relativo, sono per definizione “indispensabili” al giudizio e la mancata produzione da parte dell’Amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere-dovere del giudice di acquisirli d’ufficio.

Con l’ulteriore conseguenza che la mancata acquisizione d’ufficio da parte del giudice può essere supplita con i poteri ufficiosi del giudice di appello - atteso che l’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm. è senz’altro applicabile in grado di appello -, senza che si incontri la preclusione ai nova in appello recata dall’art. 104, comma 2, c.p.a. (Cons. Stato, V, 29 marzo 2011, n. 1925;
VI, 9 maggio 2011, n. 2738), essendovi per definizione un’indispensabilità, sotto il profilo probatorio, del provvedimento impugnato e degli atti del relativo procedimento.

8.6. Da quanto esposto consegue che l’atto istruttorio sopra citato, facendo parte del procedimento di riesame sfociato nel provvedimento 9 marzo 2005 impugnato, è indispensabile al giudizio e la sua mancata produzione in primo grado non ha comportato decadenza.

Il documento si intende pertanto ammesso e acquisito al giudizio di appello e sarà valutato dal Collegio.

9. Passando al merito, il Collegio osserva che nell’ambito dell’informativa prefettizia antimafia, al fine della sussistenza di un pericolo di inquinamento mafioso nell’ambito di una società, gli indizi devono avere un ragionevole grado di attendibilità, serietà e concordanza.

Il solo rapporto di coniugio tra l’amministratore della società e un soggetto indagato, imputato o condannato per mafia, è un indizio rilevante [Cons. Stato, V, 19 giugno 2009, n. 4132] ma che deve essere corroborato da altri riscontri, atteso che il solo rapporto di coniugio non comprova senz’altro il pericolo di infiltrazione criminale [Cons. Stato, VI, 23 luglio 2008, n. 3646;
2 maggio 2007, n. 1916].

Nel caso di specie l’informativa antimafia non si è basata sul mero rapporto di coniugio tra l’amministratrice unica della Line Banking s.r.l. e soggetto indagato per mafia.

Infatti sin dalla prima informativa antimafia (4 febbraio 2004) emergeva che il marito dell’amministratrice della società Line Banking, oltre a essere indagato per reati di mafia criminalità organizzata, era a sua volta imprenditore del settore edile (quale amministratore delegato della Asfalti Sintex s.p.a.), e che vi era pertanto un serio indizio di cointeressi economici tra la T e il L L, e tra le società ad essi rispettivamente facenti capo.

Ma quel che più rileva sono gli elementi a base della seconda informativa antimafia (9 marzo 2005) avente valore di conferma in senso proprio, ossia di atto che dispone in senso identico a precedente, ma a seguito di una rinnovata valutazione e di nuovi elementi.

Dai documenti istruttori sopra citati, emerge che il L L, indagato per fatti di criminalità organizzata, non era solo coniuge dell’amministratrice della società, ma era socio al 50% della società Ancora 2001, insieme alla moglie che era socia per il restante 50%, e che tramite tale società detenevano la quota di maggioranza della Line Banking s.r.l. (5.500 euro del capitale, a fronte di un capitale totale di 10.000 euro).

E’ allora evidente che essendo il L L proprietario in quota significativa della Line Banking s.r.l., e condividendo interessi economici con la moglie, il pericolo di inquinamento mafioso della società acquista concrete coerenza e consistenza.

10. Le successive vicende processuali penali, che hanno visto il L L definitivamente prosciolto dalle imputazioni per reati mafiosi, appaiono irrilevanti nel giudizio sulla legittimità dei provvedimenti impugnati, atteso che la legittimità di un atto si valuta in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione.

L’assoluzione del L L è fatto storico cronologicamente successivo alle informative antimafia del 2004 e del 2005 e ai consequenziali provvedimenti di avvio del procedimento di revoca e di revoca del contributo, che non ne determina l’illegittimità.

11. Solo per completezza argomentativa il Collegio rileva che non si può, nel presente giudizio, tener conto del documento istruttorio prodotto solo in appello dalle Amministrazioni, e segnatamente la visura storica della Line Banking s.r.l. da cui risulta che il L L Lorenzo è stato amministratore unico della Line Banking s.r.l. fino al 10 gennaio 2003, data in cui cessa dalla carica che viene assunta dalla moglie T A.

Infatti tale visura storica è stata acquisita in data 10 luglio 2009, non risulta prodotta nel giudizio di primo grado e non risulta posta a base dei provvedimenti impugnati, risalenti al 2004 e 2005, sicché l’elemento, per quanto rilevante, costituisce un’inammissibile motivazione postuma dei provvedimenti impugnati.

Tale risultanza documentale sarà tuttavia valutata dal Collegio quanto alla condotta processuale delle parti, influente sulla determinazione delle spese di lite.

12. Alla luce delle considerazioni esposte, e in riforma della gravata sentenza, vanno ritenuti legittimi i provvedimenti impugnati in primo grado, e vanno respinti i ricorsi di primo grado, sia quanto alle domande di annullamento, sia quanto alla domanda di risarcimento del danno.

Si intende pertanto interamente riformata la sentenza e travolto il capo relativo alla condanna al risarcimento del danno.

13. Quanto alle spese di lite, il Collegio nella liquidazione considera che si debba tenere conto della condotta processuale delle parti in primo grado e in appello e, in particolare della circostanza che gli scritti difensivi della ricorrente in primo grado e in appello rivendicano la totale estraneità all’impresa di L L Lorenzo, laddove la parte non poteva ignorare, trattandosi del fatto proprio, che costui è stato amministratore di Line Banking s.r.l. fino al 10 gennaio 2003, e che aveva una partecipazione a quel capitale societario .

Alla luce di tali elementi le spese di lite del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in euro quindicimila.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi