Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-06-28, n. 202104912

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-06-28, n. 202104912
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104912
Data del deposito : 28 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/06/2021

N. 04912/2021REG.PROV.COLL.

N. 02341/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2341 del 2020, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il signor V R, rappresentato e difeso dall’avvocato A D N, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno (sezione Prima) del 20 novembre 2019 n. 2042.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor V R;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 6 del d.l. 1 aprile 2021 n. 44, il consigliere Emanuela Loria;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente contenzioso è costituito:

a) dalla domanda di accertamento, proposta dal signor V R, dipendente della Polizia di Stato, del riconoscimento, ai sensi dell’art. 47, comma 8, della l. n. 121 del 1981, del pregresso periodo di servizio prestato nell’Esercito Italiano dal 16 febbraio 1993 al 16 febbraio 1996 e dal 15 ottobre 1996 al 15 settembre 1997;

b) dall’annullamento dei provvedimenti con i quali il Ministero dell’Interno ha respinto le sue istanze del 20 maggio 2002, del 17 dicembre 2002 e del 24 marzo 2005, in ragione della intervenuta abrogazione dell’art. 47, comma 8 della l. n. 121 del 1981 da parte dell’art. 15 del d.lgs. 28 febbraio 2001 n. 53.

1.1. L’interessato ha adito il T.A.R. per la Campania, sede di Salerno, che con la sentenza del 20 novembre 2019 n. 2042:

a) ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Amministrazione per non essere stati impugnati nel termine di decadenza i provvedimenti di diniego, in quanto la controversia non avrebbe carattere impugnatorio, bensì di accertamento, in sede di giurisdizione esclusiva, di una posizione giuridica con natura e consistenza di diritto soggettivo, per cui il termine di proposizione sarebbe quello quinquennale di prescrizione e non quello impugnatorio dei provvedimenti che si configurerebbero come atti paritetici;

b) ha accolto il gravame seguendo un orientamento già assunto dal Tribunale in base al quale “ove - come nel caso di specie - il servizio pregresso sia stato prestato prima dell’intervenuta abrogazione dell’invocato comma 8 dell’art. 47 della l. n. 121/1981, il diritto alla valutazione di tale servizio maturi al momento dell’assunzione nella Polizia di Stato, anch’essa anteriore a detta abrogazione, “a nulla rilevando che successivamente la novella del 2001 abbia abolito il beneficio, ovviamente con riferimento ai diritti non ancora maturati, non potendo la legge disporre che per il futuro, ai sensi dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c.” (in tal senso, questo T.A.R., Sezione I, sentenza n. 682 del 25 maggio 2007). Assume, infatti, rilievo come risulti agli atti di causa nonché incontestato tra le parte che il ricorrente sia transitato nella Polizia di Stato il 15 settembre 1997 a seguito di concorso riservato ed abbia, dunque, maturato l’invocato diritto al preteso beneficio già in tale data, ovvero anteriormente all’intervenuta abrogazione nel 2001 dello stesso.”

2. L’Amministrazione ha appellato la sentenza di primo grado, riproponendo l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado (lettera A pag. 4-5-6) e comunque rilevando la infondatezza del ricorso (lettera B pag. 6-7).

3. Si è costituito in giudizio l’appellato, il quale, con memoria dell’11 maggio 2020, ha eccepito la inammissibilità dell’appello per la carenza di specificità delle censure articolate dall’Amministrazione e ha argomentato in ordine alla sua infondatezza nel merito, sostanzialmente osservando che l’interpretazione data dalla sentenza di primo grado dell’art. 47 della l. n. 121 del 1981 sarebbe quella corretta e che la posizione giuridica dell’istante nel riconoscimento dell’anzianità pregressa sarebbe da ascrivere alla categoria dei diritti soggettivi.

4. Alla camera di consiglio del 21 maggio 2020 la domanda cautelare è stata accolta con ordinanza n. 2873 del 22 maggio 2020.

5. Alla pubblica udienza del 22 aprile, svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in l. 18 dicembre 2020, n. 176 (disposizione prorogata per effetto dell’art. 6 del d.l. 1 aprile 2021 n. 44), la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi;
questi ultimi sono infatti chiaramente desumibili alle pagine da 4 a 7 dell’atto di appello e la circostanza che la difesa dell’Amministrazione abbia fatto riferimento a un precedenti orientamento giurisprudenziale assunto dal Consiglio di Stato in un caso analogo non rende il gravame aspecifico o generico, ma è semplicemente utile a corroborare le tesi dell’Amministrazione.

6.1. L’appello dell’Amministrazione è fondato e va accolto.

6.2. In primo luogo, con esso si deduce l’inammissibilità del ricorso di primo grado per non essere stati impugnati tempestivamente i rispettivi atti d’inquadramento ancorché lesivi del preteso diritto al riconoscimento dell’anzianità pregressa, e comunque per non avere il ricorrente in prime cure agito per far valere il silenzio-inadempimento dell’Amministrazione di appartenenza a seguito di apposite istanze intese al conseguimento del sospirato beneficio.

Invero, come già rilevato da questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 8495 del 16 dicembre 2019, la materia del pubblico impiego è governata dai principi che regolano l’impugnativa degli atti autoritativi, cosicché, come da orientamento di questo Consiglio del tutto consolidato, “E’ inammissibile il ricorso proposto per l’accertamento del diritto del pubblico dipendente ad una qualifica funzionale superiore a quella attribuitagli e non tempestivamente contestata, atteso che la materia dell’inquadramento nel pubblico impiego si caratterizza per la presenza di atti autoritativi, con la conseguenza che ogni pretesa al riguardo, in quanto radicata su posizioni di interesse legittimo, può essere azionata soltanto mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti ritenuti illegittimamente incidenti su di esse” (cfr. sentenza, Sez. V del 4 settembre 2017, n. 4177) .

La pretesa del ricorrente ai fini dell’accertamento del diritto all’anzianità comprensiva del servizio svolto presso altri comparti delle forze armate, si traduce infatti in un migliore inquadramento, che però è consacrato in un apposito atto dell’amministrazione di appartenenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2013, n. 607) cosicché i sospirati effetti sulla carriera del dipendente non possono prodursi senza l’eliminazione di tale sbarramento formale.

In punto di fatto risulta dal fascicolo di primo grado che l’appellato ha preso servizio presso l’Amministrazione ad quem della Polizia di Stato il 15 settembre 1997 e pertanto il diritto al più favorevole inquadramento sarebbe maturato il 15 settembre 2000 con il decorso del prescritto triennio;
il ricorso di primo grado al T.A.R. di Salerno è stato depositato dieci anni dopo (14 settembre 2010).

E’ pertanto del tutto plausibile che, nel tempo trascorso sino alla notifica del ricorso (circa dieci anni), l’Amministrazione abbia provveduto ad inquadrare l’appellante attraverso l’adozione di atti formali coperti, come sopra evidenziato, da un preciso onere d’impugnativa o comunque vi sia stato tutto il tempo per invocare l’intervento del giudice amministrativo secondo il rito del silenzio ove non fossero stati adottati.

6.3. In ogni caso è fondato il motivo d’appello sub B) con il quale l’Amministrazione nel richiamare le numerose sentenze emesse sulla materia de qua dai giudici amministrativi di primo grado (T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, nn. 3553/2017, 1945/2017, 5204/2011, non appellate), argomenta in ordine alla insussistenza del diritto al riconoscimento automatico dell’anzianità di servizio con operatività sin dal primo inquadramento, al fine di evitare che il riconoscimento dell’anzianità pregressa possa alterare l’originario ordine di anzianità tra i dipendenti a danno di coloro che sono già presenti nei ruoli dell’Amministrazione ad quem .

6.4. Invero, l’art. 47, comma 8, della legge n. 121 del 1981, prima della sua abrogazione avvenuta per effetto dell’art. 15 del d.lgs. 28.2.2001 n. 53 considerava utile, con norma sostanzialmente analoga a quella dettata per il personale civile delle amministrazioni dello Stato dall’art. 41 del d.P.R. n. 1077 del 1970 (norma poi estesa al personale della P.S. dall’art. 51 della legge n. 668 del 1986), ai fini della progressione di carriera nella P.S., il servizio prestato, in ferma od in rafferma volontaria (e dunque non nella leva obbligatoria), nella Forza Armata di provenienza nella misura della metà ed, in ogni caso, per non oltre tre anni;
mentre il predetto art. 51 prevedeva per il personale della Polizia di Stato, e per una sola volta, che, ai fini della progressione in carriera e della partecipazione ai concorsi per l’accesso alla qualifica superiore, il servizio prestato senza demerito, in carriera corrispondente o superiore era valutato per intero;
quello prestato nella carriera immediatamente inferiore era valutato per metà. Rimane fermo che il beneficio de quo consentiva l’utile valutazione del servizio pregresso per un periodo non superiore, nel massimo, a quattro anni e richiedeva, quale condizione per il suo riconoscimento, che nella nuova carriera fosse stato prestato servizio effettivo per almeno tre anni, ridotti a due per le carriere direttive (così art. 41 del d.P.R. n. 1077 del 1970 richiamato dal predetto art. 51). Il beneficio disciplinato dall’articolo 47 e quello regolamentato dall’articolo 51 non operavano sin dal primo inquadramento in qualità di agente nei ruoli della P.S. prevedendo esplicitamente, la prima norma, che il servizio pregresso è valido ‘ai fini dell’avanzamento nella Polizia di Stato’ e disponendo, altrettanto esplicitamente, la seconda norma che la sua applicazione presuppone un periodo di servizio prestato nella nuova carriera di almeno tre anni (ridotto a due per le carriere direttive).,Evidenza questa cui accede la non invocabilità del beneficio de quo agitur (sia che lo si faccia rivenire dall’articolo 47, sia che lo si raccordi all’articolo 51) ai fini dell’inquadramento nel ruolo degli agenti della P.S. che avveniva, ex art. 48 della legge n. 121 del 1981, secondo la graduatoria finale del corso e senza alterazione della posizione così conseguita da ciascuno degli allievi agenti frequentanti il corso formativo. Pertanto, il beneficio in questione si traduceva nell’abbreviazione dell’anzianità effettiva di servizio richiesta “ ai fini dell’avanzamento nella Polizia di Stato” (art. 47 e art. 51) e “ai fini della partecipazione ai concorsi per l’accesso a qualifica superiore” (art. 51) consentendo, in tali evenienze, il cumulo dell’anzianità maturata nella nuova carriera con quella convenzionalmente riconosciuta sulla base del servizio prestato nell’amministrazione militare di provenienza.

Il Collegio ritiene pertanto che sia corretta tale interpretazione degli artt. 47 e 51 – peraltro affermata in modo maggioritario dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado e di appello - la cui ratio è quella di evitare, in linea generale, che l’eventuale riconoscimento dell’anzianità pregressa possa alterare l’originario ordine di anzianità tra i dipendenti a danno di coloro già presenti nell’organigramma dell’amministrazione ad quem.

Conseguentemente, non vi è luogo all’applicazione, al caso in esame, delle norme invocate e ciò ha effetti assorbenti di ogni ulteriore questione sollevata.

7. Per le illustrate ragioni, l’appello va accolto con riforma della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso di primo grado.

8. Per quanto attiene alle spese del presente grado di giudizio, sussistono le condizioni, ex artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., per dichiararle integralmente compensate fra le parti.

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