Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-24, n. 201401435

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-24, n. 201401435
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401435
Data del deposito : 24 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00474/2012 REG.RIC.

N. 01435/2014REG.PROV.COLL.

N. 00474/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 474 del 2012, proposto da:
Società Igiene e Territorio Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti A P e C C, con domicilio eletto presso l’avv. A P in Roma, via dei Condotti 9;

contro

Utilya S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti G G e A S, con domicilio eletto presso l’avv. G G in Roma, via Nomentana, 251;
RTI Padova Territorio Rifiuti Ecologica Padova Tre S.r.l. - Savi Servizi S.r.l.;

nei confronti di

Ideal Service Soc. Coop., rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Paviotti, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Luigi Canina, 6;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Veneto, Sezione I, n. 1509 del 10 ottobre 2011, resa tra le parti, concernente ESCLUSIONE DA PROCEDURA DI GARA PER SERVIZIO RACCOLTA DIFFERENZIATA DEI RIFIUTI URBANI E SERVIZI COMPLEMENTARI DI IGIENE URBANA.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Utilya S.r.l. e di Ideal Service Soc. Coop.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2014 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati C C, G G e Maurizio Boifava su delega dell'avv. Roberto Paviotti;


FATTO

1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. I, con la sentenza 10 ottobre 2011, n. 1509, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante per l'annullamento:

a) del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara per il "servizio di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e servizi complementari di igiene urbana nei Comuni di Alonte, Arcugnano, Asigliano Veneto, Grancona, Lonigo, Pojana Maggiore, San Germano dei Berici, Sarego, Villaga e Zovencedo";

b) del provvedimento di aggiudicazione provvisoria in favore della ditta Ideal Service, recato dalla deliberazione del consiglio di Amministrazione di Utilya in data 17.6.2011, comunicato alla ricorrente il successivo 20.6.2011;

c) della clausola contenuta al punto B.1) della Sezione III pag. 4 del bando di gara, nella parte in cui prevede l'applicazione delle condizioni di esclusione di cui alla legge n. 133-2008.

2. Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’art. 23- bis , comma 9, D.L. n. 112-2008 vieta l’acquisizione della gestione di servizi ulteriori, in concessione o in appalto, alle società che già gestiscono servizi pubblici locali ad esse affidati senza il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica, anche per il tramite di società controllanti o da essa controllate e che, in tale contesto, è irrilevante la modalità di affidamento prescelta dalla stazione appaltante (appalto o concessione), atteso che il divieto posto dal legislatore riguarda genericamente “l’acquisizione della gestione di servizi ulteriori”.

Osservava il TAR che l’odierna appellante, che svolge attualmente il servizio di raccolta dei rifiuti nella zona nord del bacino TV1 (servizio ottenuto senza l’espletamento di alcuna procedura concorsuale), è interamente controllata da ASM Vicenza spa, società a socio unico costituita dal Comune di Vicenza, a sua volta affidataria diretta di servizi pubblici locali da parte del Comune di Vicenza: circostanze, queste, che confermano come essa incorra nel divieto di cui all’art. 23-bis, comma 9, D.L. n. 112-2008.

Infine, per il TAR è inammissibile, per tardività, l’impugnazione della clausola del bando che prevede come motivo di esclusione la condizione di cui alla legge n. 133-2008, in quanto, impedendo essa la partecipazione alla gara della ricorrente, doveva essere gravata tempestivamente, entro il termine decadenziale dalla pubblicazione del bando (in data 11.2.2011).

3. L’appellante contestava la sentenza del TAR deducendo, con un unico complesso motivo:

- Falso Presupposto. Travisamento dei fatti. Carenza di motivazione. Illogicità. Error in iudicando. Errata applicazione e interpretazione dell’art. 23-bis, comma 9, D.L. n. 112-2008. Illogicità.

4. Si costituivano le parti intimate, chiedendo il rigetto dell’appello.

5. All’udienza pubblica del 25 febbraio 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Ritiene il Collegio che possa prescindersi dalla valutazione della eccezione di improcedibilità del ricorso per carenza d’interesse (legata al fatto che, nelle more di questo giudizio, in seguito alla risoluzione per inadempimento del contratto stipulato fra Padova Territorio e Utilya, il servizio è stato aggiudicato in via definitiva, per scorrimento della graduatoria, alla seconda classificata Idealservice), stante la manifesta infondatezza dell’appello.

Preliminarmente, deve ancora precisarsi che è divenuta definitiva, per omessa impugnazione del relativo capo, la statuizione del TAR circa la tardività della contestazione delle clausole del bando di gara.

7. Nel merito si deve sinteticamente rilevare quanto segue.

A) La contestazione secondo cui il servizio affidato da Utilya non era un servizio pubblico locale e che, quindi, verrebbe a mancare il presupposto per l’applicazione dell’art. 23- bis, comma 9 del D.L. n. 112-2008 è infondata poiché il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani in oggetto costituisce tradizionalmente tipico servizio pubblico locale.

Non vi è dubbio, infatti, che i servizi di igiene urbana attinenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti rientrino nella qualificazione dell’art. 112 T.U.E.L., ai sensi del quale “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali” e che, ai sensi dell’art. 198 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, spetti ai Comuni la gestione dei rifiuti urbani, compresa la disciplina delle modalità del servizio di raccolta e di trasporto.

Sia, quindi, sul piano soggettivo, quale riconduzione diretta alla competenza del Comune, sia sul piano oggettivo, in relazione all’assoggettamento dell’attività sussumibile come servizio pubblico alla disciplina settoriale che assicura costantemente il conseguimento di fini sociali per l’idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti di cui si controverte deve essere ricompreso nella delineata definizione di servizio pubblico (cfr. da ultimo sugli elementi tipizzanti il servizio pubblico ed il suo affidamento, Cons. St., Ad.plen. n. 7 del 2014;
sul servizio pubblico locale di igiene urbana, Sez. V, n. 2012 del 2011).

Non rileva nemmeno, sotto questo profilo, che oggetto dell’affidamento fosse soltanto la raccolta dei rifiuti e non l’intero servizio dell’igiene ambientale, così come non rileva che il gestore fosse remunerato dal soggetto aggiudicatore: ciò che appare dirimente è, invece, che l’attività del gestore fosse diretta, come nella specie, ad una platea indifferenziata di utenti e che il gestore stesso fosse destinatario, come nella specie, di obblighi funzionali alla destinazione al pubblico dell’attività dovuta.

B) Per quanto riguarda la Sit, si deve rilevare che al suo capitale sociale partecipa in misura maggioritaria la AIM, società pubblica costituita ed interamente partecipata totalitariamente dal Comune di Vicenza allo scopo di gestire i servizi pubblici locali indicati nell’oggetto sociale: servizio energetico, servizio gas, servizio telecomunicazioni, servizio idrico integrato, servizi integrati della mobilità, servizi di igiene ambientale, oltre ai servizi accessori.

La partecipazione totalitaria del Comune di Vicenza nella costituzione di AIM e l’oggetto sociale sopradescritto dimostrano la sua qualità di affidataria diretta di servizi pubblici da parte del Comune di Vicenza.

Peraltro, la documentazione proveniente dal Comune di Vicenza e diretta a comprovare che il medesimo ha poteri di ingerenza soltanto su AIM e non sulle controllate e partecipate di quest’ultima, potrebbe essere rilevante al fine di escludere che la Sit sia società strumentale del Comune di Vicenza, ma non ai fini che rilevano in causa, ove è rilevante anche la partecipazione indiretta ai fini dell’operatività del divieto ex comma 9 dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 conv. dalla l. n. 133 del 2008, modificato dall’art. 15 comma 1 lett. d) del d.l. n. 135 del 2009 convertito dalla legge n. 166 del 2009 (argomento già ampiamente sviluppato dall’Adunanza Plenaria nella nota sentenza 4 agosto 2011, n. 17).

Peraltro, allo stesso modo, le società controllate sono equiparate alle società pubbliche controllanti ai fini della cessazione degli affidamenti diretti, ai sensi del comma 8, lett. d), dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 cit.

Ne consegue che Sit, controllata da AIM affidataria diretta della gestione di servizi pubblici locali da parte del Comune di Vicenza, incorreva nel divieto di cui al comma 6 dell’art. 113 TUEL citato.

Deve, peraltro, considerarsi che si deve evitare che soluzioni di ingegneria societaria, pur legittime in astratto, possano vanificare le finalità della norma, ponendo in essere operazioni sostanzialmente elusive del divieto in esame.

Pertanto, alla luce delle suesposte argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.

8. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

9. Il Collegio ritiene, inoltre, che sussistono i presupposti per l’applicazione della norma sancita dall’art. 26, comma 2, c.p.a. (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210, per un’esaustiva panoramica in merito al campo di applicazione di tale norma).

Sul punto occorre rilevare che l’attuale testo normativo, novellato dal d.lgs. n. 195 del 2011, entrato in vigore l’8 dicembre 2011, antecedentemente all’introduzione del presente giudizio di appello, dispone che “Il giudice condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio. Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si applica l’articolo 15 delle norme di attuazione”.

Secondo questo Collegio, l’art. 26, co. 2, cit., introduce una clausola generale destinata ad essere riempita di contenuti dalla giurisprudenza, come risulta espressamente dalla relazione illustrativa allo schema di decreto correttivo secondo cui “con la sostituzione del comma 2 dell’articolo 26 si è inteso generalizzare una disposizione di recente introdotta nell’ordinamento, con riguardo al c.d. rito appalti, dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106

Infatti, “l’estensione all’intero processo della particolare ipotesi di responsabilità aggravata riconduce ad unità l’intero sistema processuale in materia di spese, tenuto conto del carattere senz’altro generale dell’esigenza che ha ispirato il legislatore del D.L. n. 70 del 2011”.

Sul piano sistematico, dunque, si staglia una previsione normativa di chiusura dell’ordinamento processuale amministrativo che consente di approntare, in via generale e residuale, un’adeguata reazione alla violazione del principio internazionale e costituzionale del giusto processo, espressamente richiamato dall’art. 2, comma 1, c.p.a., non diversamente tipizzata (si pensi agli artt. 18, comma 7, e 123, comma 1, c.p.a.);
di guisa che tutte le violazioni di tale superiore principio ricevano una adeguata sanzione (cfr. Cons. giust. amm., 19 aprile 2012, n. 395, in ordine alla violazione del dovere di sinteticità).

Si evita, altresì, la beffa di norme processuali, prescrittive di oneri ed obblighi, ma minus quam perfectae , ovvero prive di una sanzione.

E’ pacifica la natura sanzionatoria della misura pecuniaria in esame, che prescinde da una specifica domanda nonché dalla prova del danno subito, ed il cui gettito, commisurato a predeterminati limiti edittali, è destinato al bilancio della giustizia amministrativa, atteso che lo scopo della norma è quello di tutelare la rarità della risorsa giudiziaria, un bene non suscettibile di usi sovralimentati o distorti, soprattutto a presidio dei casi in cui il suo uso è davvero necessario (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sez. V, n. 1733 del 2012;
Cass. civ., sez. I, n. 17902 del 2010, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).

La “temerarietà” della lite rappresenta una parziale novità del lessico normativo (tale formula essendo stata utilizzata negli anni ‘70 in sede di novella dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e successivamente abbandonata);
tale nozione, pertanto, risultava accantonata dal linguaggio attuale dei vari ordinamenti processuali italiani (civile, penale, contabile e tributario, cfr. gli artt. 96 e 385, co. 3, c.p.c. - quest’ultimo abrogato dalla l. n. 69 del 2009 -;
152 disp. att. c.p.c.;
15, d.lgs. n. 546 del 1992;
427 e 538 ss. c.p.p.), nonché del processo amministrativo (cfr. il testo originario dell’art. 26, comma 2, c.p.a. nonché l’abrogato art. 246-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, recante l’approvazione del c.d. codice dei contratti pubblici).

Tale concetto è invece ben noto alla scienza giuridica (ed alla giurisprudenza), che lo inquadra in quello più ampio di abuso del processo, caratterizzato dall’esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela attribuita dall’ordinamento (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, n. 656 del 2012;
sez. V, n. 6537 del 2011;
Cass., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20604;
sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726).

Come ha chiarito la giurisprudenza di questa Sezione, in applicazione dei consueti canoni di interpretazione storica, teleologica e sistematica, la “temerarietà” della condotta processuale comprenda in sé anche le fattispecie delle “ragioni manifeste” e degli “orientamenti giurisprudenziali consolidati” e, facendo applicazione dei su esposti principi al caso che occupa, la sezione rileva che il carattere temerario della presente lite discende direttamente dalal manifesta infondatezza dell’appello, come già chiarito nella parte argomentativa.

Per quanto concerne la quantificazione della pena, entro i limiti edittali sanciti dall’art. 26, comma 2, cit., il Collegio ritiene di determinarla nella misura di euro 5000,00, avuto riguardo ai criteri applicativi elaborati dalla giurisprudenza ai sensi dell’originario secondo comma dell’articolo 26 c.p.a. che, in parte qua , ben possono orientare l’esercizio del potere di scelta della misura della sanzione pecuniaria (nella specie si tratta di correlare la misura pecuniaria alle spese di lite, cfr. Cons. St., sez. V, n. 1733 del 2012 cit.;
sez. V, n. 3252 del 2011, cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.).

La segreteria della Sezione provvederà agli adempimenti conseguenti alla condanna della ricorrente, ex art. 26, co. 2, c.p.a., secondo quanto previsto dagli artt. 202 e ss. d.P.R. n. 115 del 2002 in ordine al recupero delle somme dovute all’erario a titolo di sanzione pecuniaria processuale.

L’applicabilità delle su menzionate disposizioni al processo amministrativo è pacifica sulla scorta di quanto stabilito in via diretta dall’art. 208 d.P.R. n. 115 cit.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi