Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-07-15, n. 201303864
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N. 03864/2013REG.PROV.COLL.
N. 09544/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9544 del 2004, proposto da:
G M, rappresentato e difeso dall'avv. R V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A;
contro
Azienda U.S.L. Roma F con Sede in Civitavecchia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. B M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Strindberg, n. 39;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III BIS, n. 7270/2003, resa tra le parti, concernente riconoscimento di infermita' dipendenti da causa servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2013 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per la parte appellante l’avvocato Bolognini su delega di Viggiano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. - Il Sig. G M ha prestato servizio dal 30.9.1980 fino all’1.10.1999 presso l’Azienda U.S.L. Roma F (ex USL RM 22), con la qualifica di ausiliario socio-sanitario.
Afferma di avere svolto servizi di pulizia e turni di lavoro straordinario anche presso presidi esterni, di avere contemporaneamente espletato servizio di “navetta” per la distribuzione di biancheria, posta e altro, nonché lavori di pulizia presso il laboratorio analisi, ed altre mansioni presso l’Economato, tutte richiedenti notevole impegno e stress.
2. - Con istanza del 12.10.1996, ha chiesto il riconoscimento di infermità dipendenti da causa di servizio per tre patologie, su due delle quali il CMO esprimeva, in data 15.1.1998, parere favorevole circa la dipendenza da causa di servizio: 1)esiti di by-pass aorto-coronarico in cardiopatia ischemica con acinesia ventricolare;2)pregressa lombalgia acuta sinistra.
Viceversa, il C.P.P.O. con parere del 17.11.1998, esprimeva parere difforme dalla C.M.O., sicchè il Sig. G chiedeva che il caso venisse sottoposto al giudizio dell’Ufficio medico legale del Ministero della Sanità, che si pronunciava, il 17.3.2000, nel senso di escludere il nesso concausale efficiente e determinante tra l’infermità cardiaca e l’attività di servizio, mentre riteneva la patologia discale, prodotta da infortunio traumatico pregresso, dipendente dal servizio.
3. - Con determina n. 291 del 19.6.2000, l’Azienda sanitaria prendeva atto della decisione dell’Ufficio medico legale del Ministero e liquidava l’equo indennizzo limitatamente alla infermità ernia discale L4-L5, adeguandosi per il resto al parere negativo.
4. - Il Sig. G proponeva ricorso al TAR Lazio, sede di Roma, lamentando la violazione di legge, il difetto di motivazione e l’illogicità del provvedimento, che si limita al mero richiamo per relationem del parere dell’Ufficio medico legale del Ministero della Sanità, senza alcuna esternazione delle ragioni medico – scientifiche che hanno portato a disattendere il contrastante parere sanitario della C.M.O..
5. - La sentenza ha rigettato il ricorso affermando che per quanto attiene al riconoscimento dell’equo indennizzo è il C.P.P.O. l’unico organo competente ad esprimere il giudizio conclusivo ed il suo avviso si impone all’Amministrazione, senza necessità di motivazione, salvo che nel diverso caso di eventuale avviso contrario.
6. - Con l’appello in esame, il Sig. G critica la sentenza che sembrerebbe ignorare che il parere del C.P.P.O. si pone come vincolante all’Amministrazione solo se il giudizio sia congruo dal punto di vista istruttorio e motivazionale ed abbia tenuto conto delle considerazioni svolte dalla C.M.O. ed, in caso di disaccordo, le abbia valutate.
Né il parere del C.P.P.O., né quello reso dall’Ufficio medico legale del Ministero della Sanità avrebbero dato, a suo avviso, congrua motivazione delle ragioni di difformità del giudizio negativo espresso rispetto alle valutazioni della Commissione medica ospedaliera e si porrebbero in contrasto con gli atti dell’istruttoria, da cui emergerebbe in modo chiaro la gravosità delle mansioni, anche superiori, svolte.
7. - Resiste in giudizio l’Azienda intimata.
8. - All’udienza del 22 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato.
1.1 - Nel caso in esame si controverte in ordine alla possibilità di attribuire all'attività svolta dall'appellante, nella sua qualità di ausiliario socio-sanitario addetto al servizio pulizie e altre mansioni superiori, la responsabilità di tutte le patologie dalla quale è risultato affetto.
Trattasi di questione che involge problematiche di carattere medico-legale, rimesse alla esclusiva valutazione degli organi tecnici intervenuti nel procedimento, le cui determinazioni, in quanto espressione di una competenza specifica ed esclusiva ad essi riconosciuta ex lege, possono formare oggetto di sindacato da parte del giudice della legittimità solo per vizi che ictu oculi appaiano di eccesso di potere in alcune figure sintomatiche, quali l'illogicità, la contraddittorietà, l'ingiustizia manifesta, l'arbitrarietà o l'irragionevolezza della determinazione.
In questo ambito, acquista perciò valore pregnante l'adeguatezza della motivazione, attraverso la quale è possibile ricostruire l’iter logico seguito nel pervenire alla valutazione.
1.2 - Tanto premesso, osserva il Collegio che l’insieme delle considerazioni svolte con l’atto di appello, con le quali si critica nel merito il giudizio tecnico espresso dal C.P.P.O. e recepito dall’Amministrazione, perché non avrebbe considerato l’efficacia concausale delle mansioni svolte dal ricorrente, comportanti specifiche responsabilità decisionali (eccessivamente gravose per un semplice operaio) non sono conducenti, poiché attengono a profili di apprezzamento tecnico di merito, non censurabili da questo giudice, e che non mettono in luce la manifesta illogicità del giudizio medico.
Il sindacato giurisdizionale può e deve essere, invece, esercitato nella sua interezza con riferimento alle censure afferenti al procedimento e alla normativa che lo regola.
1.3 – La sentenza appellata esclude che l’Amministrazione, nell’uniformarsi al parere del C.P.P.O. e dell’Ufficio medico del Ministero della sanità, sia tenuta ad indicare le ragioni della preferenza accordata, atteso che l’obbligo di motivazione sussiste solo quando intenda discostarsi da tale parere in considerazione degli elementi di cui dispone.
In effetti, in tema di riconoscimento di equo indennizzo, l'ordinamento non mette a disposizione dell'Amministrazione una serie di pareri pariordinati e resi da organi consultivi di diversa origine e competenza sui quali orientarsi, ma affida ad un solo organo, il C.P.P.O., la competenza ad esprimere un giudizio conclusivo, anche sulla base dei pareri resi nei rispettivi diversi procedimenti da altri organi tecnici;sicchè l’adesione al parere del Comitato e, ove, intervenuto, anche a quello dell’Ufficio medico legale del Ministero della Sanità, non richiede una espressa motivazione (giurisprudenza costante;cfr. tra tutte, Consiglio di Stato, sez. V, 27 settembre 2011, n. 5374;sez. IV, 06 maggio 2008, n. 2029).
1.4 – L’appellante, lamenta anche che il primo giudice abbia ignorato che il parere del C.P.P.O. si ponga come vincolante per l’Amministrazione solo nella sussistenza di determinati presupposti, che nel caso di specie non sarebbero rispettati, non essendo stato espresso un giudizio congruo sul versante istruttorio e motivazionale.
La censura non ha prego.
Va premesso che la funzione attribuita al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie è diversa da quella assegnata alle Commissioni mediche ospedaliere, giacché non si configura come mera revisione del loro precedente giudizio sanitario, ma si fonda su ulteriori profili: compito della Commissione è solo la diagnosi sull' infermità, l'indicazione della categoria, il giudizio di idoneità al servizio, mentre spetta al Comitato accertare la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio e al rapporto causale tra i fatti e l' infermità e pronunciarsi con parere motivato sulla dipendenza dell'infermità da causa di servizio (art. 11, D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461).
Peraltro, vero è che il Comitato ha il dovere, in applicazione di principi generali fissati dall'art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, di prendere in esame effettivamente tutte le variabili suscettibili di determinare il proprio giudizio e, tra queste, anche il contenuto delle valutazioni espresse dalla C.M.O. (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 agosto 2012, n. 4476).
Se disattende il giudizio della Commissione, il Comitato ha l'obbligo di articolare il proprio parere su una concreta considerazione delle risultanze istruttorie e diagnostiche già scrutinate dalla Commissione, che deve confutare (Consiglio Stato, Sez. VI, 19 marzo 2009, n. 1676;23 gennaio 2006, n. 179;Sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8066).
Ma, nella specie, contrariamente a quanto asserisce l’appellante, il Comitato, “visto il P.V. n. 708/1997 del 15.1.1998 della CMO di Roma”, ha esposto esaurientemente la propria tesi discordante circa la non dipendenza da causa di servizio dell’infermità cardiaca, affermando che la sua insorgenza sia stata favorita da fattori di rischio individuali e legata alle abitudini di vita del soggetto, mentre il servizio prestato “non può aver svolto alcun ruolo, neppure sotto il profilo concausale efficiente, tenuto conto che non risulta essere stato caratterizzato da particolari abnormi responsabilità ovvero da eccezionali disagi”.
Inoltre, su richiesta dello stesso interessato del 22.4.1999, è stato assunto il parere dell' Ufficio medico legale presso il Ministero della sanità, ai sensi dell'art. 178 D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, di regola finalizzato a consentire all’Amministrazione di essere confortata da un ulteriore e conclusivo giudizio medico, che possa superare le perplessità derivanti dai pareri contrastanti degli organi tecnici già intervenuti nel procedimento.
Tale parere (doc. 11 della produzione di parte in primo grado) ha diffusamente motivato con riguardo al diverso avviso della C.M.O., escludendo che la patologia coronarica di tipo ischemico da cui è risultato affetto il dipendente potesse ascriversi alle mansioni espletate come risultanti dagli atti, in quanto “non emergono quelle condizioni di stress psico-fisico che per modalità e criterio qualitativo possono assurgere a concause”.
Così si esprime il parere del Ministero: “si può parlare di stress lavorativo quando l’individuo è sottoposto per motivi di servizio a specifiche responsabilità decisionali con diretto riflesso giuridico e/o elevata tensione emotiva tali da coinvolgere la personalità psichica del soggetto anche al di fuori dell’orario e dell’ambiente di lavoro. Tutto ciò non risulta nell’attività lavorativa svolta dal G e le motivazioni addotte non rappresentano un valido stressor. Risulta, invece, dall’esame della cartella clinica agli atti che è fumatore (20 sigarette al dì), dislipidemico, affetto da diabete mellito, ha familiarità (padre affetto da cardiopatia), presenta quindi quei fattori di rischio fortemente predisponenti ai processi aterosclerotici responsabili del quadro clinico”.
Tale diffusa motivazione, in accordo, peraltro, con il giudizio espresso dal C.P.P.O., appare ben più esauriente di quella tesi “possibilista” enunciata dalla C.M.O., che si limitava a definire “particolarmente gravoso e stressante” il servizio prestato dal G e a considerarlo come fattore che può assumere un ruolo di concausa necessaria preponderante nel determinismo della patologia cardiaca.
Deve concludersi, pertanto, per l’insussistenza dei denunciati vizi della motivazione.
2. - In definitiva, l’appello va rigettato.
3. - Le spese di giudizio possono essere compensate, attesa la natura della vicenda umana esaminata.