Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-08-01, n. 202206725

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-08-01, n. 202206725
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206725
Data del deposito : 1 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/08/2022

N. 06725/2022REG.PROV.COLL.

N. 02390/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2390 del 2017, proposto da
L L, rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Comito in Roma, via di Donato n. 10;

contro

Ministero della Difesa, Aeronautica Militare Comando 36 Stormo Servizio Amministrativo, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Aeronautica Militare – Comando 36^ Stormo di Stanza in Gioia del Colle – Servizio Amministrativo, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 01484/2016, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Aeronautica Militare Comando 36 Stormo Servizio Amministrativo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2022 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati nessuno presente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con l’appello in esame, il signor Lorenzo Leone, ufficiale pilota dell’Aeronautica Militare, impugna la sentenza 30 dicembre 2016 n. 1484, con la quale il TAR per la Puglia, sez. II di Bari, ha rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento del 10 dicembre 2013 del Ministero della Difesa – Aeronautica Militare – Comando 36° stormo – Servizio amministrativo.

Con tale atto, l’amministrazione ora indicata ha richiesto la restituzione delle somme percepite dal ricorrente per attività extraprofessionale non autorizzata, prestata durante un periodo biennale – dal 23 agosto 2010 al 22 agosto 2012 – di congedo dal servizio, richiesto per assistere due suoi familiari (madre e sorella disabili), ai sensi dell’art. 4, co. 2, l. n. 53/2000 (attività “alle dipendenze della compagnia di aviazione spagnola

INAER

Helicopteros off-shore S.A.U.”: v. pag. 19 app.).

Nel corso del giudizio di primo grado, il Tribunale, con ordinanza n. 855/2014, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 d. lgs. n. 165/2001, ma la stessa è stata dichiarata inammissibile.

La sentenza impugnata – dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo – afferma, in particolare:

- l’art. 4, co. 2, l. n. 53/2000 vieta lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa durante il periodo di congedo, di modo che non ricorre “l’ipotesi disciplinata dall’art. 896 d. lgs. n. 66/2010, che consente lo svolgimento di incarichi retribuiti da parte del personale militare purché autorizzato dall’amministrazione di appartenenza, ma la violazione del divieto assoluto di attendere ad attività lavorativa durante il congedo per l’assistenza al familiare disabile, non derogabile neppure con l’autorizzazione del datore pubblico”;

- la circostanza che si tratti non già di incarico non autorizzato, bensì vietato in assoluto, non esclude l’applicazione dell’art. 53, co. 7, d.lgs. n. 165/2001 “in quanto norma generale applicabile a tutti i dipendenti pubblici tenuti al rispetto del regime di esclusività del rapporto di lavoro”;
peraltro, “se il versamento alle casse pubbliche dei compensi percepiti per incarichi retribuiti non autorizzati serve a compensare l’amministrazione, cui è stato precluso di valutare se autorizzare o non autorizzare detti incarichi, perché inevitabilmente sottraggono le energie lavorative del dipendente, a maggior ragione la disposizione dovrà essere applicata quando la P.A., senza spazio per valutazioni discrezionali, abbia dovuto accordare il congedo per la cura di un interesse prevalente, ma il dipendente abbia impiegato il suo tempo e le sue energie per un suo interesse privato, non meritevole di analoga tutela, anzi incompatibile con lo status di dipendente pubblico”.;

- infine, il compenso deve “essere preventivamente richiesto all’ente erogante solo se non sia stato ancora pagato al dipendente”.

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando;
violazione e mancata applicazione art. 53, co. 6, lett. e), d. lgs. n. 165/2011;
ciò in quanto “in nessun modo si devono confondere le questioni attinenti la responsabilità disciplinare contestabile al pubblico dipendente per violazione dell’art. 4, co. 2, l. 53/2000, con il distinto problema di natura patrimoniale, regolato dall’art. 53, co. 7, d. lgs. n. 165/2001 …. la relativa violazione, pur causando sanzioni disciplinari nei confronti del dipendente pubblico, non determina la nullità del contratto concluso fra i privati”;
tale violazione “giammai potrà comportare, sic et simpliciter, conseguenze di natura restitutoria delle somme percepite in un diverso contesto lavorativo”;
né è stato considerato quanto previsto dall’art. 53, co. 6, lett. e) d. lgs. n. 165/2001, il quale esclude dalla disciplina sanzionatoria, tra gli altri, proprio i compensi da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo”, in tal modo individuando “ipotesi nelle quali lo svolgimento di attività extraprofessionali da parte dei pubblici dipendenti in generale e dei militari in particolare può essere consentito in quanto sostanzialmente inidoneo agli interessi tutelati dalle norme di divieto”;

b) error in iudicando;
errata e non completa valutazione della sollevata eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 53, co. 7, d. lgs. n. 165/2001 per violazione degli artt. 36 e 97 Cost.;
eccesso di potere per sviamento e travisamento, contraddittorietà, illogicità manifesta;
ciò in quanto vi è stata inadeguata prospettazione della questione da parte del giudice remittente della legittimità costituzionale dell’art. 53, co. 7 cit., “nella parte in cui pone a carico del dipendente pubblico l’obbligo di restituire all’amministrazione di appartenenza i compensi percepiti per incarichi extraistituzionali privi della prescritta autorizzazione preventiva laddove non venga verificata, preventivamente, l’incidenza negativa dello svolgimento dei predetti incarichi lavorativi sul corretto adempimento degli obblighi istituzionali del dipendente o, in generale, sul buon andamento dell’azione amministrativa”;

c) error in iudicando;
violazione e falsa applicazione art. 53, co. 7, d. lgs. n. 165/2001;
il quale stabilisce “un espresso beneficium excussionis a favore del pubblico impiegato, nel senso che l’amministrazione non può procedere coattivamente a carico di quest’ultimo se non dopo aver agito infruttuosamente nei confronti del soggetto erogante”;

d) error in iudicando con riferimento al difetto di motivazione e alla genericità, nonché incompletezza, del provvedimento impugnato;
poiché l’amministrazione avrebbe dovuto chiarire “l’incidenza dell’attività extraprofessionale disimpegnata dal ricorrente sullo svolgimento delle prestazioni lavorative che connotano l’oggetto del rapporto di pubblico impiego”;
né l’amministrazione indica l’importo degli emolumenti percepiti e da restituire.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa.

Con ordinanza 5 maggio 2017 n. 1888, questo Consiglio di Stato, sez. IV, ha respinto la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

All’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

3. Occorre innanzi tutto precisare, come è pacifico tra le parti, che l’appellante è stato a suo tempo autorizzato dall’amministrazione di appartenenza a fruire di un congedo ai sensi dell’art. 5, co. 4, l. n. 53/2000 e che lo stesso ha, durante tale periodo, svolto attività lavorativa, come specificato nella esposizione in fatto.

L’art. 5, co. 4, della legge 8 marzo 2000 n. 53 (recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”), prevede, per quel che interessa nella presente sede che:

“I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell'anzianità di servizio né ai fini previdenziali;
il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria”.

A sua volta, l’art. 53, co. 7, d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, prevede

“I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.

Giova inoltre osservare che il comma 6, lett. e), del medesimo art. 53, prevede che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni ad esso successive (e, in particolare tra queste, del comma 7), “gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi e le prestazioni derivanti:

(omissis)

e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo…..”

Come è dato osservare, l’art. 53, co. 7, in coerente applicazione dell’art. 98, comma 1, Cost. (secondo il quale “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione”), prevede innanzi tutto un generale divieto di svolgimento di incarichi retribuiti presso terzi, salvo che, in considerazione delle specificità dei medesimi, questi stessi non siano previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

La disposizione prevede inoltre il versamento del compenso dovuto per prestazioni lavorative svolte senza che l’incarico sia stato previamente autorizzato o conferito dall’amministrazione.

A maggior ragione, quindi, deve essere ritenuta sussistente la violazione della norma di divieto ed applicabile il versamento del compenso innanzi indicato, laddove l’attività extraistituzionale sia svolta dal dipendente pubblico in violazione di un espresso divieto di legge, che rende quindi in radice non autorizzabile l’incarico medesimo (e doverosa l’adozione di un provvedimento di diniego laddove per lo stesso fosse, per ipotesi, richiesta l’autorizzazione).

Nel caso di specie, l’art. 4, co. 2, l. n. 53/2000 prevede il divieto di svolgimento di qualunque attività lavorativa da parte del dipendente che usufruisce del congedo ivi previsto.

Alla luce del chiaro dettato normativo, non può trovare accoglimento quanto dedotto dall’appellante con il primo motivo di impugnazione, in quanto, innanzi tutto, l’insussistenza della nullità del contratto stipulato dal terzo con il dipendente pubblico non autorizzato non esclude la previsione del versamento del compenso all’amministrazione, ovvero il recupero dello stesso da parte di quest’ultima (qualora già corrisposto).

Quanto alla previsione dell’art. 53, co. 6, lett. e), secondo il quale sono esclusi dall’applicazione del divieto di cui al comma 7 (e dall’obbligo di versamento) gli “incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo…..”, è sufficiente osservare che la norma si riferisce ad incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è stato posto in aspettativa, comando o fuori ruolo.

Certamente non rientra nell’ipotesi il caso di specie, dove il congedo è stato autorizzato per finalità di assistenza previste ex lege, non già per lo svolgimento di una attività presso un datore di lavoro privato.

Altrettanto infondati sono i motivi sub lett. c) e d) dell’esposizione in fatto.

Quanto al primo, l’art. 53 co. 7 non prevede alcun beneficium excussionis in favore del dipendente: l’obbligo del versamento è posto a carico di chi dovrebbe corrispondere il compenso al dipendente non autorizzato, ma è del tutto evidente che, laddove la corresponsione sia già avvenuta, non può che sussistere un diritto/dovere di recupero da parte dell’amministrazione. D’altra parte, a voler seguire la prospettazione dell’appellante, il soggetto privato si troverebbe a corrispondere due volte il compenso: una prima al dipendente non autorizzato, una seconda all’amministrazione.

Quanto al secondo motivo (sub lett. d) dell’esposizione in fatto), non sussiste alcun obbligo dell’amministrazione di valutare previamente (prima cioè di richiedere il versamento diretto o di procedere al recupero delle somme) se lo svolgimento di attività non autorizzata abbia o meno inciso “sullo svolgimento delle prestazioni lavorative che connotano l’oggetto del rapporto di pubblico impiego”.

L’art. 53, co. 7 introduce un espresso divieto e l’attribuzione delle somme all’amministrazione, mediante versamento o recupero, costituisce l’effetto diretto della violazione del divieto di svolgere attività extraistituzionale non previamente autorizzata.

Quanto alla dedotta carenza di motivazione che inficerebbe la legittimità del provvedimento impugnato, è sufficiente ricordare come la sentenza impugnata abbia condivisibilmente indicato come l’importo delle somme da versare risulta dalla relazione del Dipartimento della funzione pubblica 10 settembre 2013 n. 1657. D’altra parte, in disparte la legittimità della motivazione per relationem, nulla vieta che un provvedimento si limiti ad indicare l’an del recupero, rinviando ad altro provvedimento la determinazione del quantum.

Infine, in relazione al secondo motivo di appello con il quale sostanzialmente si ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, co. 7, d. lgs. n. 165/2001, per violazione degli artt. 36 e 97 Cost., le considerazioni sin qui esposte sorreggono la valutazione di manifesta infondatezza della questione medesima, peraltro genericamente riproposta.

4. Alla luce di tutte le considerazioni sin qui esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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