Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-08-17, n. 202207209

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-08-17, n. 202207209
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207209
Data del deposito : 17 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/08/2022

N. 07209/2022REG.PROV.COLL.

N. 00165/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 165 del 2022, proposto da
C.E.M. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Savarese Costruzioni S.p.A. e Meridiana Costruzioni Generali S.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall'avvocato E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi n. 5;
Comune di S. Agnello, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Ferdinando Pinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Bruno Sassani in Roma, via XX Settembre 3;
C.U.C. - Centra Unica Committenza Penisola Sorrentina, non costituita in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 00043/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Savarese Costruzioni S.p.A. e di Meridiana Costruzioni Generali S.r.l. e del Comune di S. Agnello;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Caporaso, Soprano e Pinto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha accolto il ricorso proposto dalle società Savarese Costruzioni s.p.a. e Meridiana Costruzioni Generali s.r.l. contro il Comune di Sant’Agnello e nei confronti della C.E.M. s.p.a., per l’annullamento dell’aggiudicazione a quest’ultima della gara per l’affidamento dei lavori di “Recupero e sistemazione scogliera Marina di Cassano” ed ha respinto il ricorso incidentale proposto dalla C.E.M. per la mancata esclusione dalla gara delle società ricorrenti ovvero per l’illegittima assegnazione del punteggio per l’offerta tecnica ed economica.

1.1. Il tribunale ha accolto le prime due censure del ricorso principale, in ragione delle quali ha ritenuto che la C.E.M. avrebbe dovuto essere estromessa dalla gara per la rilevata indisponibilità del materiale lapideo offerto per realizzare i lavori di recupero e di sistemazione della scogliera di Marina di Cassano, oggetto di gara.

In particolare, avendo l’aggiudicataria dichiarato che si sarebbe avvalsa dei massi in pietra lavica giacenti nella cava R, ubicata in Terzigno, che le sarebbero stati forniti dalla L.M.P. s.r.l. unipersonale, il tribunale ha ritenuto che l’indisponibilità sarebbe derivata dalla “ documentata circostanza per la quale la Cava R è, ormai da molti anni dismessa e, ad oggi, interamente ricadente nell’ambito dell’area protetta dell’Ente Parco del Vesuvio, per questo sottoposta alla normativa vincolistica ”.

A fondamento della decisione il tribunale ha posto la nota n. 3246 del 19 maggio 2021 dell’Ente Parco del Vesuvio ed i chiarimenti forniti dallo stesso Ente in adempimento dell’ordinanza istruttoria n. 1106/2021, nonché l’interpretazione ivi sostenuta, condivisa in sentenza, della lettura coordinata dell’art. 11, comma 3, lett. b), della legge n. 394 del 1991 ( Legge quadro sulle aree protette ) con gli artt. 15 e 39 delle n.t.a. del Piano del Parco.

Dalle argomentazioni illustrate in sentenza è stata tratta la conclusione che la C.E.M. non sarebbe stata in grado di assicurare l’effettiva disponibilità del materiale lapideo offerto, poiché quest’ultimo, pur ricavato da una precedente attività estrattiva, non avrebbe potuto essere rimosso né commercializzato e nemmeno utilizzato per le finalità di cui alla gara in questione “ in quanto incompatibili con le peculiari e residue attività ammesse dalla citata normativa di riferimento ”.

1.2. E’ stata quindi disattesa la nota del Genio Civile di Napoli, depositata in giudizio dalla C.E.M. il 9 ottobre 2021, riguardante la regolarità dell’attività estrattiva eseguita nella cava R, sull’assunto - esplicitato in sentenza - che la nota non faceva alcun riferimento alla normativa vigente, in particolare all’art. 39 delle n.t.a. del Piano del Parco, che vieterebbe “ tra l’altro, l’asportazione del materiale lapideo già estratto e giacente all’interno della ex Cava R in questione ”.

1.3. Dato quanto sopra, il tribunale ha ritenuto rilevante l’indisponibilità del materiale lapideo, non tanto perché, come pure dedotto dalle ricorrenti, la C.E.M. avrebbe reso in proposito una dichiarazione falsa o non veritiera (“ estremi che non si ravvisano nel caso di specie ”, secondo il giudice di primo grado), quanto perché avrebbe avanzato un’offerta tecnica “ indeterminata ed incerta nel suo contenuto ”.

Di qui la sanzione dell’espulsione, sia per quanto previsto dalla legge di gara sull’obbligo contrattuale avente ad oggetto le dichiarazioni del concorrente in ordine alla fornitura, alla disponibilità ed alle caratteristiche di resistenza del materiale lapideo offerto (punto 19.1 DG) sia per quanto affermato dalla giurisprudenza sulle carenze ed incertezze dell’offerta tecnica, che ne determinano la nullità (come da precedenti richiamati in sentenza).

1.4. Il tribunale ha infine respinto l’argomentazione secondo cui i profili in contestazione sarebbero stati rilevanti al momento dell’esecuzione del contratto piuttosto che a quello dell’offerta, ritenendo la disponibilità del materiale lapideo “ elemento imprescindibile di quest’ultima ”, la cui assenza o incertezza avrebbe minato in radice “ l’intrinseca affidabilità della proposta contrattuale ”.

1.5. Dopo aver esaminato e respinto il ricorso incidentale (per ragioni che, come si dirà, non rilevano ai fini della presente decisione), il tribunale ha annullato l’aggiudicazione in favore della C.E.M. e condannato quest’ultima ed il Comune di Sant’Agnello al rimborso delle spese processuali in favore delle società ricorrenti.

2. Avverso la sentenza la società C.E.M. ha proposto appello con due motivi.

2.1. Il Comune di Sant’Agnello si è costituito prestando adesione all’appello.

2.2. Le società Savarese Costruzioni e Meridiana Costruzioni Generali hanno resistito al gravame.

2.3. Con ordinanza cautelare del 3 febbraio 2022, n. 498 è stata sospesa l’esecutività della sentenza appellata, richiedendo al contempo chiarimenti alla Regione Campania, Genio Civile di Napoli, in merito alla situazione della ex cava R, nei termini specificati nella stessa ordinanza.

2.4. Depositati relazione istruttoria e documenti da parte degli uffici regionali interpellati, nonché documenti da parte dell’appellante, all’udienza del 23 giugno 2022 la causa è stata assegnata a sentenza, previo deposito di memorie e repliche di tutte le parti.

3. Col primo motivo di gravame viene criticato l’accoglimento del ricorso principale.

3.1. Con una prima censura ( Errores in iudicando e in procedendo. Omessa pronuncia. Travisamento nei presupposti di fatto e di diritto. Manifesta ingiustizia ), si premette in punto di fatto, che:

a) i massi di origine vulcanica, come dichiarato nella relazione tecnica di C.E.M., provengono dalla cava R di Terzigno e sono materiali lapidei non di “nuova estrazione”, ma già estratti in passato e presenti (“materiale giacente”, quale materia prima) e stoccati nell’area di cava, risalenti ad epoca anteriore al 2001;

b) la cava R ha un’estensione di oltre 400.000 mq. e sulla minore area di 180.000 mq. esaminata nella relazione giacciono circa 280.000 tonnellate di massi vulcanici di pregresse estrazioni (come risultante dalla relazione tecnica allegata all’offerta e dal verbale alla presenza del Comune e del Genio Civile del 6 febbraio 2001);

c) il materiale è stato estratto prima del 2001, quando, come da tale ultimo verbale, la R Orlando &
Ing. A s.n.c. in liquidazione (proprietaria dell’area di cava) stava realizzando il progetto di recupero ambientale presentato alla Regione Campania con nota prot. n. 14933 del 22 novembre 1996, assentito dalla Regione Campania ex art. 36 della legge regionale n. 54 del 12 dicembre 1985.

Tutto ciò premesso, l’appellante sostiene che il detto materiale poteva e può (anzi deve, stante la fase liquidatoria della R s.n.c.) essere commercializzato, tanto è vero che è stato acquistato dalla L.M.P. s.r.l. con contratto del 30 gennaio 2018 per le quantità idonee a soddisfare la richiesta della gara (come dichiarato nella relazione tecnica e ribadito nella nota della R s.n.c. in liquidazione del 3 giugno 2020, nonché nella relazione esplicativa della L.M.P. del 3 giugno 2021) con disponibilità alla fornitura confermata dalla stessa L.M.P. con nota del 4 giugno 2021 e ribadita con nota del 9 novembre 2021.

3.1.1. L’appellante sostiene quindi che la sentenza sarebbe errata intanto nella parte in cui richiama ed applica la legge n. 394 del 1991 e le n.t.a. del Piano del Parco, perché la cava R era attiva sia prima di queste ultime che addirittura prima della legge regionale n. 54 del 13 dicembre 1985;
essa inoltre non è qualificabile come “dismessa” poiché inserita come attiva nel PRAE del 2006, in quanto sottoposta ad un piano di recupero ambientale presentato, come detto, il 22 novembre 1996, assentito ai sensi dell’art. 36 della legge n. 54 del 1985;
le norme applicate in sentenza sono sopravvenute dopo oltre quindici anni dalla approvazione del piano di recupero, sicché si sarebbero dovute ritenere inapplicabili (in quanto valevoli per il futuro), come dedotto già in primo grado, senza che la sentenza si sia pronunciata sul punto, incorrendo perciò nel vizio di omessa pronuncia.

3.1.2. Sotto un secondo profilo, l’appellante critica la sentenza per avere trascurato quanto risolutivamente detto e documentato dalla Regione Campania, unico organo competente ex art. 17 P.R.A.E., nella nota prot. n. 377361 del 16 luglio 2021 e dai documenti depositati il 10 novembre 2021. In particolare, con la prima, la Regione ha sostanzialmente confermato quanto sostenuto dalla società C.E.M., concludendo che l’impiego dei massi ubicati nel piazzale e oggetto della cessata attività estrattiva “ non costituisce attività di cava bensì utilizzo di materie prime già estratte […] ” e che dal confronto fotografico dello stato dei luoghi tra il 2001 ed il 2021 si evince che molti dei massi già presenti sul piazzale sono stati rimossi e “ verosimilmente avviati alla commercializzazione in ossequio a quanto rilevato nel verbale del 2001 ”.

In sintesi, secondo l’appellante, l’istruttoria svolta in primo grado avrebbe confermato le proprie argomentazioni difensive e la sentenza, disattendendone le risultanze ed addebitando alla Regione Campania di non avere menzionato nella nota istruttoria le n.t.a. del Piano del Parco, non avrebbe considerato che queste sono sopravvenute (approvate il 19 gennaio 2010) diversi anni dopo l’approvazione del piano di recupero della cava (risalente al 1996: prot. n. 14933 del 22 novembre 1996).

3.1.3. Fermo tutto quanto sopra, la società appellante censura comunque l’interpretazione delle n.t.a. del Piano del Parco sollecitata dall’Ente Parco con la nota del 21 luglio 2021 e seguita dal tribunale.

Afferma l’appellante che sia l’art. 11, comma 3, lett. b, che l’art. 39, comma 1, delle n.t.a. non possono essere interpretati nel senso che vietano la commercializzazione di materiale (materia prima) già estratto (da oltre trent’anni) e giacente ed abbancato in un piazzale (solo coincidente con l’area di cava). In ogni caso, si tratta di materiale che non potrebbe essere usato per il riempimento, né ai sensi dell’art. 39, comma 3 bis (che lo consentirebbe solo per le cave abusive) né ai sensi delle norme del Piano del Parco del 2010, che consentirebbero il “prelievo produttivo” e la commercializzazione all’esito di un’attività estrattiva attuale (in seno ad un piano di recupero).

L’appellante sostiene la contraddittorietà della sentenza, dato che, dopo aver “desunto” dalla normativa applicabile un divieto assoluto di commercializzazione del materiale inerte, dall’altro ha affermato che il materiale lapideo presente in loco avrebbe dovuto essere “ prioritariamente utilizzato per la riqualificazione del sito di cava, non potendo essere utilizzato materiale inerte sotto forma di mps in quantità superiore al 50% ”. In particolare, ad avviso di C.E.M., da un lato, l’uso prioritario individuato dal tribunale non escluderebbe un uso diverso (come l’utilizzo per la sistemazione di una scogliera), dall’altro, lo dovrebbe consentire dato che i massi in questione, come per tabulas , non potrebbero essere lavorati in altro modo, di talché l’unico uso possibile sarebbe proprio - come accade da sempre – per il ripascimento di scogliere, come nella gara in esame del Comune di S. Agnello.

L’appellante richiama a sostegno della propria interpretazione delle norme applicabili, sia il principio di libera iniziativa economica dell’art. 41 Cost. e i principi unionali a tutela della concorrenza, della libera circolazione, della ragionevolezza, della libertà di servizio e di proporzionalità, sia gli artt. 23 e 42 Cost. e gli artt. 34 del decreto legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, e 1 del decreto legge n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012, ed ancora l’art. 1 della legge n. 180 del 2011.

3.2. Con una seconda censura ( Errores in iudicando e in procedendo. Omessa pronuncia. Travisamento nei presupposti di fatto e di diritto. Manifesta ingiustizia ) l’appellante sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal t.a.r., i dubbi sulla commerciabilità del materiale lapideo non potrebbero inficiare l’offerta, in quanto si tratterebbe di profili che afferiscono alla fase di esecuzione del contratto o comunque attinenti al punteggio per il sub-criterio Pt1 relativo alle caratteristiche tecnico-qualitative dei materiali offerti, sicché l’obbligo contrattuale sarebbe stato limitato a tali caratteristiche.

4. Preliminarmente occorre rilevare che - come opposto anche dalla stazione appaltante – l’offerta di C.E.M. è conforme alle prescrizioni della legge di gara e non è incerta, né indeterminata quanto al materiale offerto ed alle sue caratteristiche.

L’art. 19 del disciplinare, relativamente all’offerta tecnica (busta telematica B), in ordine al criterio Pt ( Qualità dei lavori e delle opere ), sub-criterio Pt1 ( Qualità mineralogica e meccanica dei materiali ), prevedeva la presentazione di una relazione che illustrasse le caratteristiche tecnico-qualitative dei materiali offerti rispetto alle specifiche riportate in capitolato e poste a base di gara, nonché la produzione di uno o più certificati relativi al valore di resistenza a compressione dei massi (valore, che sarebbe stato verificato a campione in fase esecutiva) e concludeva che “ le dichiarazioni rese e le caratteristiche di resistenza offerte dal concorrente costituiscono obbligo contrattuale ”.

Inoltre il capitolato prevedeva che l’operatore economico dovesse avere la disponibilità dei materiali e dei mezzi d’opera.

In ossequio a dette previsioni, la C.E.M. ha presentato una relazione tecnica, nella quale ha rappresentato che si sarebbe avvalsa di un’unica cava e dei “ massi di pietra lavica giacenti all’interno della dismessa Cava R di Terzigno (NA) ”, precisando nella stessa relazione che la fornitrice sarebbe stata la società L.M.P. s.r.l. unipersonale, avente la disponibilità in forza di “ regolare contratto di vendita ”. La relazione conteneva inoltre tutte le informazioni ribadite dalla società appellante negli scritti processuali, sopra riportate, sulla provenienza dei massi e le loro qualità, con allegazione dei rapporti di prova richiesti dalla legge di gara.

L’acquisto dei materiali e la relativa disponibilità in capo alla L.M.P. sono stati documentati col contratto del 30 gennaio 2018 e con la nota della società fornitrice di quest’ultima, la R Orlando s.n.c. in liquidazione, del 3 giugno 2020, entrambi prodotti nel primo grado di giudizio, sicché non è fondata l’obiezione di “inesistenza” del contratto che le società appellate hanno sviluppato addirittura nella memoria di replica del presente grado.

A sua volta, la L.M.P. ha ribadito e confermato la propria disponibilità a rifornire la C.E.M.

In definitiva, non vi è alcuna incertezza in ordine alla provenienza dei massi vulcanici da utilizzare per la scogliera ed alla disponibilità giuridica in capo alla società aggiudicataria.

4.1. L’assunto delle società ricorrenti, condiviso dal giudice di primo grado, concernente l’esistenza di un generale divieto di commercializzazione dei materiali lapidei offerti da C.E.M. attiene allora, non tanto all’indeterminatezza dell’offerta, quanto all’impossibilità di eseguire la prestazione oggetto della proposta formulata nella fase della gara.

Orbene, siffatta impossibilità, se sopravvenuta alla gara ed alla stipulazione del contratto, rileva nella fase esecutiva, potendo dare luogo o ad un inadempimento dell’appaltatore ovvero ad una modifica consentita del contratto medesimo (anche ove determinata dalla sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti: arg. ex art. 106, comma 1, lett. c, d.lgs. n. 50 del 2016).

Tuttavia, contrariamente a quanto sostengono sia l’appellante che la stazione appaltante, quando l’impossibilità di eseguire una o più delle prestazioni offerte sussiste ab origine , essa vizia l’offerta. Tale vizio può comportare, a seconda delle prestazioni di che trattasi, l’invalidità dell’offerta e l’esclusione dell’offerente (se le prestazioni ineseguibili sono oggettivamente essenziali o considerate tali dalla legge di gara) ovvero la non attribuzione (o la riduzione) di un punteggio premiale (se si tratta di prestazioni integranti migliorie o requisiti aggiuntivi).

4.2. Dato ciò, ed escluso che la C.E.M. fosse consapevole dell’esistenza di un divieto di commercializzazione dei massi offerti (visto che il tribunale ha respinto la censura di dichiarazione falsa o non veritiera, senza che la relativa statuizione sia stata impugnata con appello incidentale), per ritenere invalida l’offerta dell’aggiudicataria, il divieto di movimentazione e/o di commercializzazione dovrebbe risultare per tabulas dalle norme vigenti o dai provvedimenti concernenti la cava R alla data di presentazione dell’offerta .

Circa la mancanza di un tale divieto, sono fondati tutti i motivi di censura di cui alla prima parte del primo motivo di appello.

4.2.1. Risulta dalle relazioni del 16 luglio 2021 e del 28 aprile/5 maggio 2022, trasmesse dalla Regione Campania – Direzione generale 18, Lavori pubblici e Protezione Civile – UOD 50.18.06 Genio Civile di Napoli, rispettivamente in primo grado e in appello, e dai documenti allegati che:

- la cava R era attiva già prima della legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54;

- dopo l’entrata in vigore di quest’ultima legge, la ditta R Orlando e ingg. A s.n.c., proprietaria della cava, presentò una richiesta di autorizzazione alla prosecuzione della coltivazione ai sensi dell’art. 36 (“ Norme transitorie per le cave in atto ”) della legge n. 54 del 1986 e succ.mod., che venne assentita come da progettazione agli atti dell’Ufficio del Genio Civile con prot. n. 14933 del 22 novembre 1996;

- successivamente in applicazione del d.m. 28 dicembre 1998 ( Piano Territoriale Paesistico dei Comuni Vesuviani ), con decreto dirigenziale del 29 dicembre 2000, n. 1531, si decretò di non accogliere una domanda di prosecuzione indicata come presentata il 7 luglio 1986, in quanto la prosecuzione dell’attività estrattiva era vietata dal detto decreto ministeriale e comunque si sospese l’attività estrattiva;

- con la legge regionale 5 agosto 2003, n. 15, art. 3 (indicato nella nota come art. 2), comma 7, si previde però che: “ nelle more dell’approvazione definitiva del piano regionale delle attività estrattive e in deroga alle prescrizioni dettate dal piano territoriale paesistico vigente per i comuni vesuviani e fino all’approvazione definitiva del piano e del regolamento del parco nazionale del Vesuvio, alle cave in attività individuate dal piano regionale delle attività estrattive, è consentita la prosecuzione delle attività di coltivazione delle cave di pietra lavica vesuviana ” ;

- in forza di tale ultima disposizione, con decreto dirigenziale 10 dicembre 2003, n. 4152 (cfr. chiarimento reso con la nota regionale del 28 aprile 2022, a seguito dell’ordinanza di questa Sezione V, 4 febbraio 2022, n. 498), venne revocato il decreto dirigenziale n. 1531 del 2000 e venne ordinata la presentazione del piano di coltivazione e del progetto di recupero ambientale, in conformità agli artt. 8 e 9 della legge regionale n. 54 del 1985 e s.m.i.;

- ai sensi dell’art. 2 della citata L.R. 54 del 1985 s.m.i. venne successivamente adottato il Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAE) approvato dal commissario ad acta con ordinanza n. 11 del 07.06.2006 (in B.U.R.C. n. 27 del 19.06.2006), modificata ed integrata con successiva ordinanza n. 12 del 06.07.2006, nel quale la cava R è individuata col codice 63082-03 ed è classificata come “ Art. 36 Cava Attiva ”.

L’assunto delle società appellate, illustrato negli scritti conclusivi, secondo cui il piano di recupero ambientale della cava R di cui al prot. n. 14933 del 21 novembre 1996 non sarebbe mai stato assentito perché il provvedimento n. 4152/2003 (oltre ad essere riferito ad una richiesta di autorizzazione precedente) ne aveva richiesto l’aggiornamento, non è condivisibile.

Invero, la richiesta di aggiornamento effettivamente contenuta nel decreto del 10 dicembre 2003 non può che valere per un’attività estrattiva che si sarebbe dovuta compiere successivamente , laddove i massi in contestazione risultano essere stati estratti in epoca precedente all’anno 2001 , per come si evince, oltre che dalle relazioni istruttorie regionali, dal verbale di sopralluogo del febbraio 2001 (prodotto nel giudizio di primo grado e richiamato nella prima nota regionale).

In tale verbale, redatto alla presenza di rappresentati del Comune e del Genio Civile, si dà atto dell’avvenuta estrazione e si provvede alla ricognizione dei massi vulcanici estratti, stoccati nel piazzale della cava per la commercializzazione e riprodotti nelle fotografie allegate.

Dalle vicende successive esposte nelle relazioni istruttorie regionali e documentate dai provvedimenti in atti si evince, inoltre, che l’attività estrattiva venne “ sospesa ” col decreto dirigenziale n.1531 del 29 dicembre 2000, con ciò confermandosi che essa fosse stata autorizzata in precedenza, e che, proprio all’esito di tale attività estrattiva, fosse stata effettuata la ricognizione di cui al verbale di sopralluogo del febbraio 2001.

A ciò si aggiunga che nella prima nota dell’Ufficio del Genio Civile regionale si attesta che “ i materiali attualmente presenti sui piazzali di cava risultano essere quelli depositati dalla ditta esercente in seguito alle attività estrattive ” e che “ l’attività estrattiva eseguita dopo l’entrata in vigore della L.R. 54/85 è stata sempre condotta in uno alle indicazioni ed alle direttive impartite dallo scrivente Ufficio e dalla Soprintendenza Archeologica che ha vigilato e persino in alcuni casi indirizzato le fasi di estrazione ”.

In definitiva, è accertato che vi fu un’attività estrattiva in esecuzione del piano di recupero del 1996, nota ai competenti uffici regionali ed anzi seguita da questi ultimi, sospesa nel dicembre 2000, con decreto tuttavia revocato nel 2003, e che a tale attività estrattiva risalgono i massi di origine vulcanica oggetto dell’offerta di C.E.M.

4.2.2. Consegue a tutto quanto sin qui esposto che le deduzioni delle società appellate concernenti l’asserita mancanza dei presupposti di legge per il rilascio dell’autorizzazione all’estrazione in forza del piano di recupero del 1996 sono del tutto irrilevanti ai fini della decisione, sia perché si sarebbe trattato di ragioni di illegittimità di tale autorizzazione (asserita mancata osservanza delle norme di tutela già vigenti nel territorio dell’Ente Parco del Vesuvio, istituito ai sensi dell’art. 34 della legge n. 394 del 1991 col d.P.R. 5 giugno 1995, e delle relative misure di salvaguardia, ovvero asserito mancato rilascio del nulla-osta ai sensi dell’art. 7, comma 2, della legge regionale n. 54 del 1985) da fare valere all’epoca dell’adozione del relativo provvedimento (e/o del compimento dell’attività estrattiva precedente l’anno 2000) sia perché, ove pure esistenti, motivi di illegittimità della passata attività estrattiva non potrebbero incidere sulla sorte dei massi vulcanici in contestazione, trattandosi di materiale estratto da più di venti anni e “ depositato nelle aree del piazzale ”, come confermato dalle citate note regionali e attestato dal ridetto verbale di sopralluogo del 2001.

4.2.3. La quaestio iuris da risolvere ai fini della decisione è allora quella sulla quale si è intrattenuto il giudice di primo grado, concernente l’interpretazione e l’applicazione delle norme tecniche di attuazione del Piano del Parco Nazionale del Vesuvio (approvato dal Consiglio Regionale e pubblicato sul BURC del 27 gennaio 2010, n. 9), al fine di verificare se, pur trattandosi di norme sopravvenute, contengano divieti di commercializzazione del materiale lapideo derivante da precedenti estrazioni ovvero ne impongano utilizzazioni incompatibili con quella di cui alla gara in oggetto.

Le norme richiamate dall’Ente Parco del Vesuvio e poste a fondamento della decisione di primo grado sono le seguenti:

- art. 11, comma 3, lett. b), della legge n. 394 del 1991, secondo cui: “ nei Parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati: […] b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali ”;

- art. 39 delle n.t.a., comma 1, secondo cui “ In tutto il territorio del Parco sono vietate l’apertura e l’esercizio di cave, miniere, impianti di frantumazione e vagliatura di materiale lapideo […] nonché l’asportazione di minerali ”;

- art. 39 delle n.t.a., comma 2 e 3 bis, secondo cui gli esercenti delle cave operanti in data antecedente l’entrata in vigore del Piano del Parco hanno l’obbligo di realizzare opere di risanamento e riqualificazione paesaggistica ed ambientale dei luoghi sulla base di specifici Progetti e Programmi Integrati di Valorizzazione e di Intervento Unitario ( PR.I.V.I.U. ), da presentarsi entro dodici mesi dall’entrata in vigore del regolamento del parco;
nelle unità D4, nelle quali rientra la ex cava R, in caso di pregressa attività di escavazione, i proprietari devono provvedere al riempimento delle parti scavate esclusivamente con materiali lapidei compatibili (rocce laviche già estratte e provenienti da altre cave, materiali sciolti di matrice eruttiva), prodotti provenienti dalla riutilizzazione di materia prima seconda (mps), non classificabile come rifiuto, con la specificazione che il materiale inerte utilizzato per il rimodellamento ed il riempimento non deve superare il 50% di quello utilizzato;

- art. 39 delle n.t.a., comma 3 quater, secondo cui “ l’attività di escavazione è consentita esclusivamente per il restauro di beni archeologici storici e architettonici su espressa autorizzazione della competente soprintendenza anche in relazione alla quantità di materiale necessario ”;

- art. 39 delle n.t.a., comma 5, che individua i seguenti obiettivi dei piani di recupero: a) conservazione (CO), b) manutenzione (MA), c) restituzione (RE), d) riqualificazione (RQ);

- art. 15, comma 1, delle n.t.a., relativo alla divisione in zone del piano e, specificamente, alla destinazione della zona D di promozione economica e sociale, nonché, quanto a quest’ultima zona, anche il comma 10 ed il comma 14 dello stesso art. 15, riguardo all’Unità D4 ed agli interventi ivi ammessi.

Orbene, nessuna delle disposizioni richiamate contiene un divieto di movimentazione e di commercializzazione di materiali lapidei già estratti, mentre le disposizioni che si riferiscono all’attività di escavazione e ai PR.I.V.I.U. , attengono, con tutta evidenza, per un verso, ad attività estrattiva o di escavazione da eseguirsi all’attualità, per altro verso agli interventi obbligatori o consentiti nelle diverse zone nelle quali è divisa l’area del Parco, ma non riguardano in alcun modo l’attività di mero sgombero di materiale esistente in loco .

Per come attestato dalla Regione Campania già nella nota prodotta in primo grado, in conformità peraltro alla disciplina regolatrice della materia, l’attività di sgombero di materiale lapideo già cavato non dà luogo ad esercizio di attività estrattiva e di cava (superiore cioè a 5000 mc) né ad attività di asportazione di minerali (cioè attività estrattiva per quantità inferiori a 5000 mc), poiché si tratta di rimuovere della materia prima, pur se stoccata all’interno dell’area di cava.

Ne consegue che l’attività di movimentazione e commercializzazione della materia prima collocata all’interno dell’area del Parco del Vesuvio non è attività vietata dalle norme invocate dall’Ente Parco, in specie dall’art. 11, comma 3, lett. b), della legge n. 394 del 1991 e dall’art. 39, comma 1, delle n.t.a. del Piano del Parco.

L’assunto delle società appellate - secondo cui, malgrado inserita come cava “attiva” nel PRAE del 2006, la cava R sarebbe oramai una cava “dismessa”, ovvero chiusa (perché così risultante dall’“Elenco cave”, allegato alle Linee Guida del PRAE della Campania: Cava di Terzigno identificata con codice 63082-03, peraltro in contrasto con quanto risultante dallo stesso PRAE e attestato dalla Regione Campania, come sopra riportato) - non vale a smentire la conclusione appena esposta poiché le disposizioni normative, regolamentari e tecniche, sopra richiamate riguardano, in gran parte, attività di cava in esercizio, non quelle delle cave dismesse (fatto salvo quanto si sta per dire sugli obblighi dei precedenti esercenti attività di escavazione).

4.2.4. Ancora, è da escludere che per provvedere all’attività di movimentazione e di commercializzazione sarebbe stata necessaria la presentazione di un apposito progetto di recupero ( PR.I.V.I.U. ), come ritenuto dal primo giudice e sostenuto negli scritti difensivi delle appellate, oltre che nelle note dell’Ente Parco, ai sensi dell’art. 39, commi 2 e 3 bis, n.t.a.: si tratta effettivamente di disposizioni rivolte agli esercenti di attività di escavazione nel periodo antecedente la data di entrata in vigore del Piano Parco. Tuttavia esse impongono a tali soggetti l’obbligo di realizzare “opere di risanamento e riqualificazione paesaggistica ed ambientale dei luoghi sulla base di specifici PR.I.V.I.U. di cui all’art. 5 nel rispetto della normativa regionale e nazionale, secondo le modalità espresse dall’art. 15, comma 14 […] ”;
soltanto per adempiere tale obbligo (concernente le “ opere di risanamento e riqualificazione paesaggistica ed ambientale dei luoghi ”) è richiesta la presentazione di appositi progetti di recupero, senza tuttavia che ciò possa significare che per effettuare una diversa attività (movimentazione di materia prima stoccata in loco ) sia necessario presentare un PR.I.V.I.U. e senza che risulti che la violazione degli obblighi imposti ai precedenti esercenti attività di escavazione (in tesi, la ditta R Orlando s.n.c. in liquidazione) sia di impedimento a rimuovere il prodotto della precedente estrazione.

In merito poi alla asserita obbligata destinazione ad attività di riempimento del materiale già estratto dalla cava R, si osserva che il riempimento risulta essere stato escluso già dai competenti uffici della Regione Campania, in riferimento al piano di recupero del 1996, in considerazione dei reperti ivi esistenti e del tipo di cava a fossa (come da punti a, b, c, d ed f della prima nota regionale, a cui è sufficiente fare rinvio).

4.2.5. Chiarito quanto sopra sulla portata dell’art. 39, comma 2, n.t.a. non appare pertinente il richiamo, da parte dell’Ente Parco (nella nota istruttoria depositata in primo grado e riprodotta nella sentenza qui appellata), delle ulteriori seguenti disposizioni:

- art. 39, comma 3 bis (“ riempimento delle aree di cava esterne alle unità D4 di cui al precedente comma e rimodellazione dei fronti e dei suoli delle Unità D4 ”): come eccepito dalla società appellante, la prima parte della disposizione è riferita ad “ attività illegali di escavazione e di discarica ” (previste dal terzo comma ed escluse nel caso di specie) e comunque tutta la disposizione attiene a “ l’impiego di inerti […] provenienti da attività edilizia […] ”, fattispecie diversa dalla presente;

- art. 39, comma 3 quater (“ restauro di beni archeologici, storici e architettonici ”): il testo della norma è esplicitamente riferito alla “ attività di escavazione attualmente consentita allo scopo di detto restauro, non all’impiego del prodotto di precedente estrazione;

- art. 15, comma 14 (“ riqualificazione delle attività artigianali e della lavorazione della pietra lavica esistenti ”): la disposizione si riferisce agli interventi consentiti nell’Unità D4, tra i quali rientrano quelli finalizzati appunto alla “ riqualificazione delle attività artigianali e della lavorazione della pietra lavica esistenti ”;
la riqualificazione delle attività di tale ultimo tipo ospitate nell’area , in sé considerate, può costituire quindi uno degli obiettivi degli interventi da attuare nell’ambito dell’Unità D4. Tuttavia nel caso di specie, non si tratta di autorizzare alcun intervento di riqualificazione, né la circostanza che questi siano previsti osta alla commercializzazione del materiale già cavato, in mancanza di un divieto contenuto nella disciplina applicabile.

Infine non rileva che – nelle more dell’approvazione definitiva del piano regionale delle attività estrattive e del piano del Parco Nazionale del Vesuvio – la prosecuzione dell’attività di coltivazione della cava avrebbe potuto essere assentita solo per destinazione ai fini artigianali (come previsto dal combinato disposto degli art. 3, comma 7, della L.R. n. 15/2003 e 30 della L.R. n. 10/2001, richiamati nel decreto dirigenziale n. 4152/2003). Infatti, come detto sopra, si tratta di una “prosecuzione” successiva al 2003, che, di fatto, non risulta esservi stata e che comunque non riguarda il materiale lapideo in contestazione, estratto prima del 2001.

4.3. L’offerta tecnica avanzata da C.E.M. alla data della sua presentazione non solo non era incerta né indeterminata nel suo contenuto, ma aveva ad oggetto una prestazione che risultava perfettamente eseguibile dalla società per la disponibilità, giuridica e materiale, in capo alla medesima dei massi vulcanici offerti per il riempimento della scogliera.

4.3.1. Esula dall’oggetto del presente giudizio la questione - estranea ai motivi del ricorso introduttivo, nonché alle relazioni istruttorie del primo grado di giudizio (compresa quella dell’Ente Parco), anzi sopravvenuta nel corso del grado di appello – della mancanza del nulla osta ai sensi dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991, ritenuto dalla Regione Campania necessario per il rilascio di autorizzazioni o concessioni relative ad interventi da compiersi all’interno dell’area del Parco del Vesuvio.

Parimenti estranee al presente giudizio, quindi irrilevanti ai fini della decisione sulla validità dell’offerta dell’aggiudicataria, sono le vicende riguardanti i provvedimenti della Regione Campania emessi in pendenza dell’appello (D.D. n. 5 dell’11.2.2022 e D.D. n. 19 del 26.4.2022), oggetto di altro contenzioso.

4.4. Il primo motivo di appello va quindi accolto, per le ragioni fin qui esposte, aventi portata assorbente delle censure non esaminate, e, per l’effetto, va riformata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto applicabile alla C.E.M. la sanzione espulsiva per indeterminatezza dell’offerta tecnica.

5.Con la memoria di costituzione in appello le società già ricorrenti in primo grado hanno riproposto il terzo motivo del ricorso introduttivo, non oggetto di esame da parte del primo giudice.

5.1. Con tale motivo ( Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 59, 80 e 97 del d.lgs. n. 50/2016. Violazione della lex specialis della gara. Violazione dei principi generali in materia di pubbliche gare. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere. Ingiustizia manifesta. Difetto di istruttoria e di motivazione ) le ricorrenti sostengono che dal verbale di gara del 12 ottobre 2020 risulterebbe che, in data 10 ottobre 2020, ore 17.20, le cartelle di files contenenti gli elaborati dell’offerta tecnica della C.E.M. avrebbero subito una modifica o una sostituzione;
ciò sarebbe accaduto in un momento successivo sia alla scadenza del termine di presentazione delle offerte sia alla seduta di gara del 9 ottobre 2020 in cui la commissione giudicatrice ha scaricato la documentazione tecnica dei concorrenti. Si sarebbe avuta quindi una violazione del principio di segretezza delle offerte, che avrebbe dovuto comportare l’esclusione di C.E.M. dalla gara.

5.2. Il motivo è infondato.

Trattandosi di procedura telematica, la C.E.M., osservando le prescrizioni della legge di gara, ha inserito i documenti componenti l’offerta tecnica nell’unica busta telematica che risulta caricata sulla piattaforma in data 30 giugno 2020;
tutti i files e le cartelle sono stati sottoscritti in pari data con la firma digitale in formato p7.m .

Risulta dalla produzione effettuata in primo grado dalla controinteressata che i documenti contenenti l’offerta recano la firma digitale in data 30 giugno 2020, in un periodo di tempo compreso tra le 11.37 e le 14.27, quindi prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte (1 luglio 2020).

La firma digitale garantisce la data della sottoscrizione e la non modificabilità del documento, oltre che la provenienza di questo da colui che risulta averla apposta.

5.1. Le risultanze del verbale del 12 ottobre 2020 sono state chiarite dalla stazione appaltante con la nota prot. n. 8749 del 1° giugno 2021, prodotta in primo grado.

Con questa nota il r.u.p. ha precisato che la data del 10 ottobre 2020, risultante dal verbale del 12 ottobre 2020, non è riferita né riferibile ai documenti informatici che compongono l’offerta tecnica di C.E.M., bensì alla catalogazione effettuata su una cartella archivio in uso alla commissione giudicatrice.

5.2. Il motivo riproposto dalle società appellate ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. va quindi respinto.

6. In conclusione, il primo motivo di appello va accolto ed il motivo riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. va respinto;
per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso principale proposto dalle società Savarese Costruzioni e Meridiana Costruzioni Generali.

6.1. Il secondo motivo di appello, volto a censurare la decisione di rigetto del ricorso incidentale, è perciò improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

6.2. Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza nei rapporti tra la società appellante e le ricorrenti in primo grado e si pongono a carico di queste ed a favore della C.E.M., liquidate come da dispositivo.

6.2.1. Le spese di entrambi i gradi si compensano per giusti motivi fra le ricorrenti in primo grado ed il Comune di Sant’Agnello, considerata complessivamente la posizione processuale di quest’ultimo, soccombente in primo grado, ma non appellante.

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