Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-19, n. 202207293

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-19, n. 202207293
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207293
Data del deposito : 19 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/08/2022

N. 07293/2022REG.PROV.COLL.

N. 08556/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8556 del 2021, proposto da
Ministero della Cultura - Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Salerno e Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

A R e A R, rappresentati e difesi dall'avvocato G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Vibonati, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), n. 00809/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio di A R e di A R con riproposizione di motivi assorbiti in primo grado ex art. 101, comma 2, c.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Francesco De Luca e udito per le parti appellate l’avvocato Sorrentino Giancarlo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. I ricorrenti in primo grado, comproprietari di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Vibonati, nel corso del 2008, volendo potenziare la produzione colturale, hanno ottenuto dall’Amministrazione comunale l’autorizzazione ad eseguire, sulla loro proprietà, opere di miglioramento fondiario, consistenti nel taglio e nello sradicamento delle essenze arboree e arbustive presenti, nel dissodamento del terreno per impiantare alberi da frutti, nonché nella messa a dimora di nuove piante tra cui uliveto, frutteto ed agrumeto.

Essendo emersa nel corso dell’attività la necessità di realizzare un fabbricato rurale, nel 2009 gli odierni appellati hanno chiesto dall’Amministrazione comunale il rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo.

L’Amministrazione comunale, in assenza del nulla osta paesaggistico della Soprintendenza BAP delle province di Salerno e Avellino, ha rilasciato il permesso di costruire con atto n. 143/2009 del 23 dicembre 2011: detto titolo edilizio è stato prorogato, sempre in assenza del parere della Soprintendenza, con atto del 28 marzo 2017.

A seguito di alcune verifiche svolte nel 2017, il Comune, sul presupposto che l’area interessata dai lavori fosse gravata da vincolo paesaggistico ex art. 142 comma 1 lettera g) d. lgs. 42/2004, con ordinanza n. 10240 del 2017, ha disposto la demolizione delle opere sino ad allora realizzate, stante la mancata acquisizione del previo parere soprintendentizio.

Gli odierni appellati, pur ritenendo che l’area oggetto di intervento non fosse vincolata paesaggisticamente, hanno presentato apposita istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, relativa alla platea in cemento e ai pilastri su essa distribuiti.

La Soprintendenza per i B.A.P. di Salerno ed Avellino, con nota prot. n. 28205 del 10 dicembre 2018, riscontrando l’esistenza del vincolo paesaggistico per la presenza di un bosco, ha espresso parere contrario all’accoglimento dell’istanza di parte.

L’Amministrazione comunale, pertanto, con nota prot. 620 del 25 gennaio 2019, ha rigettato l’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica.

2. Il provvedimento comunale di diniego e il presupposto parere negativo soprintendizio sono stati impugnati dagli odierni appellati dinnanzi al Tar Campania, Salerno.

3. Il giudice adito ha accolto il ricorso con sentenza n. 441/19, riscontrando, in via assorbente, la violazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90, tenuto conto che, a fronte delle motivate osservazioni della parte ricorrente, tese a contestare, in radice, l’esistenza nell’area de qua del vincolo a bosco, presupposto della stessa necessità di munirsi dell’autorizzazione paesaggistica, la Soprintendenza si era limitata a controdedurre, in maniera generica e stereotipata, senza spiegare per quale concreta ragione gli elementi forniti dall’istante non fossero idonei a determinare l’espressione di un diverso avviso.

4. Nella fase di riedizione del potere, la Soprintendenza, con nota n. 20517 del 24 settembre 2019, ha chiesto al Comune di Vibonati “ di precisare se l’area in cui ricade l’intervento sia o meno tutelata ai sensi dell’art. 142 del D. Lgs. 42/2004. In particolare si chiede all’amministrazione competente se l’area di cui sopra è individuata, riportata e definita quale bosco e quale sia la destinazione riportata nel vigente PRG alla voce “Vincoli e Demanio” e soprattutto quale sia il certificato di destinazione urbanistica dell’area stessa .”

L’Amministrazione comunale, riscontrando tale richiesta, con nota n. 7863 del 23 ottobre 2019, ha confermato che l’area oggetto di intervento non risultava definita nella tavola 2 C –Vincoli e Demani del PRG quale boschi e foreste, nonché ha precisato che la destinazione urbanistica della zona risultava essere “ zona agricola E1 boschive, pascolive ed incolte …”.

La Soprintendenza, con nota del 27 gennaio 2020 (n. 1638), ha comunicato che avrebbe emesso il parere di competenza entro i successivi novanta giorni;
con nota dell’8 settembre 2020 (n. 15925), ha comunicato il preavviso di rigetto;
nonché, con nota del 17 novembre 2020 (n. 21196), ha espresso un secondo parere contrario, ravvisando la sussistenza del vincolo paesaggistico per la presenza di un’area boschiva e la incompatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio in contestazione.

5. Gli odierni appellati, ricorrendo nuovamente dinnanzi al Tar Campania, Salerno, hanno impugnato il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, deducendone l’illegittimità con l’articolazione di plurime censure.

6. Il Tar adito ha accolto il ricorso, rilevando che:

- dalla data di acquisizione della nota comunale del 23 ottobre 2019, prot. n. 7863 alla data di adozione dell’atto susseguente dell’autorità tutoria statale (ossia della comunicazione del 27 gennaio 2020, prot. n. 1638-P, avente per oggetto il riavvio del procedimento di accertamento di conformità paesaggistica) risultava irrimediabilmente trascorso un tempo superiore al termine di 90 giorni fissato dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 per il rilascio del parere soprintendentizio;

- parimenti, dalla data della comunicazione del 27 gennaio 2020, prot. n. 1638-P alla data della successiva comunicazione ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 (di cui alla nota dell’8 settembre 2020, prot. n. 15925-P, a cura della Soprintendenza di Salerno e Avellino), anche al netto del periodo (9 marzo – 15 maggio 2020) di sospensione per l’emergenza epidemiologica da COVID-19 (introdotto dall’art. 103 del d.l. n. 18/2020 e prorogato dall’art. 37 del d.l. n. 23/2020), il richiamato termine di 90 giorni, previsto dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, figurava ulteriormente consumato;

- per l’effetto, stante l’intempestività dell’intervento consultivo da parte dell’autorità tutoria statale, doveva ritenersi formato il silenzio assenso “orizzontale” o “interno” ex art. 17 bis della l. n. 241/1990 sull’istanza di compatibilità paesaggistica prot. n. 2655 del 6 aprile 2018;

- di conseguenza, il parere della Soprintendenza di Salerno e Avellino prot. n. 21196-P del 20 novembre 2020 doveva considerarsi tamquam non esset , siccome pronunciato ben oltre il termine ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, il cui spirare aveva comportato, in combinato disposto con l’art. 17 bis della l. n. 241/1990, la formazione del silenzio assenso orizzontale sull’istanza di compatibilità paesaggistica prot. n. 2655 del 6 aprile 2018;

- nonostante l’avvenuta formazione del silenzio assenso, l’autorità tutoria statale aveva tardivamente pronunciato il citato parere del 20 novembre 2020, prot. n. 21196-P, senza previamente rimuovere in autotutela (ossia nel rispetto dei presidi partecipativi e motivazionali all’uopo necessari) la determinazione consultiva favorevole frattanto tacitamente perfezionatasi, ed aveva, per di più, erroneamente qualificato il proprio avviso espresso come cogente nei confronti dell’autorità tutoria locale, ai sensi dell’art. 146, comma 8, del d.lgs. n. 42/2004.

7. Il Ministero della cultura - Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Salerno e Avellino ha appellato la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità per “ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 17 bis e 20 l. 241/1990 e dell’art. 167 d.lgs. n. 42/2004 ”.

8. Le parti private si sono tempestivamente costituite in giudizio, riproponendo, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi di ricorso assorbiti in primo grado.

In particolare, le parti private, insistendo nelle doglianze di prime cure, hanno dedotto:

- la violazione dell’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, stante l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni entro il quale l’atto soprintendizio avrebbe dovuto essere assunto, con la conseguenza che il parere tardivo doveva ritenersi illegittimo e, comunque, privo di effetti vincolanti;

- la mancata disamina, a cura della Soprintendenza, delle specifiche controdeduzioni svolte in sede procedimentale dalla parte istante (in ordine alla tardività del parere emanando e all’insussistenza del vincolo boschivo), in violazione degli artt. 3 e 10 bis L. n. 241/90, con l’emersione del medesimo vizio che aveva condotto all’annullamento del precedente parere negativo;

- l’erroneità e la genericità della motivazione alla base del parere censurato, in specie in relazione all’identificazione dell’area come boscata, non avendo la Soprintendenza neppure preso posizione sulla propria nota del 24.9.2019 cit. e sul riscontro comunale del 23.10.2019 cit.;

- la lesione e, comunque, la mancata considerazione del legittimo affidamento ingenerato nelle parti private (in ordine alla conformità dell’intervento non solo sul piano urbanistico-edilizio ma anche su quello paesaggistico), in ragione dell’edificazione di un manufatto sulla base di un titolo edilizio non ritirato in autotutela, pure tenuto conto del notevole lasso di tempo trascorso dalla autorizzazione dell’intervento;

- in subordine, la riconducibilità degli interventi de quibus alle fattispecie soggette all’accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04, nonché la concreta compatibilità delle opere in parola con le esigenze di tutela paesaggistica, pure in ragione dell’emersione di un contesto ambientale di riferimento caratterizzato da un’edificazione diffusa e servito da opere di urbanizzazione.

Gli appellati hanno pure evidenziato come la formazione del silenzio assenso ex art. 17 bis L. n. 241/90 e la tardività del parere impugnato in prime cure non fossero influenzate dalla nota del 20.7.2020, con cui l’Amministrazione comunale aveva chiesto audizione all’Avvocatura erariale per fornire ogni utile elemento in merito, facendosi questione di nota inidonea a rimettere in termini la Soprintendenza in relazione ad atti da cui l’organo statale doveva ritenersi ormai decaduto.

9. Le parti private hanno depositato documentazione ed hanno controdedotto all’appello con memoria difensiva dell’9 novembre 2021, pure eccependo, da un lato, l’improcedibilità dell’avversa impugnazione, alla luce delle determinazioni (favorevoli agli appellati) assunte dal Comune dopo la pubblicazione della sentenza gravata (rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e rimozione della sospensione risalente al 2017);
dall’altro, l’inammissibilità dell’appello, per la mancata contestazione di un autonomo capo decisorio riferito alla natura non più vincolante del parere tardivamente espresso dalla Soprintendenza.

10. La Sezione, con ordinanza n. 6109 del 12 novembre 2021, ha accolto la domanda cautelare articolata dall’appellante, disponendo, per l’effetto, la sospensione dell’esecutività della sentenza gravata.

11. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 19 maggio 2022.

DIRITTO

1. Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità dell’appello opposte dalle parti private e argomentate, rispettivamente, sulla base della sopravvenuta adozione di provvedimenti favorevoli ai ricorrenti in prime cure -suscettibili di persistere anche in caso di denegata riforma della sentenza gravata- nonché sulla mancata impugnazione del capo decisorio con cui il Tar, in accoglimento di altra censura attorea, ha ravvisato la non vincolatività del parere tardivamente espresso dalla Soprintendenza.

2. Le eccezioni di rito sono infondate.

3. Quanto all’eccezione di improcedibilità, si osserva che l’adozione, in pendenza del giudizio di appello, di un provvedimento amministrativo favorevole alla parte privata vittoriosa in prime cure, anche nelle ipotesi in cui sia imputabile ad un’Amministrazione che, sebbene soccombente dinnanzi al Tar, si sia astenuta dall’iniziativa impugnatoria, non è, di per sé, idonea ad integrare una causa di improcedibilità dell’impugnazione delle more proposta da altra parte resistente.

3.1 In subiecta materia , deve richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale, in forza del quale l'esecuzione di una sentenza non sospesa è doverosa per ogni amministrazione soccombente, con la conseguenza che l’adozione di provvedimenti attuativi della pronuncia di prime cure non manifesta una spontanea adesione al ditum giudiziale, a meno che la parte procedente dichiari in modo espresso di accettare la decisione o, comunque, tale accettazione sia inequivocabilmente evincibile dal complessivo comportamento tenuto.

Soltanto in tali ultimi casi emerge un provvedimento che, anziché assumere mera natura esecutiva, implica una rinnovata, spontanea ed autonoma volontà provvedimentale, ai fini della posizione di una regula iuris indipendente dall’esito del giudizio impugnatorio eventualmente già introdotto (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 27 aprile 2020, n. 2666).

Tali regole processuali trovano applicazione anche nelle ipotesi in cui, in primo grado, siano state intimate più parti resistenti titolari di un rapporto inscindibile, e, a fronte di una sentenza di accoglimento del ricorso, soltanto una di esse abbia proposto impugnazione.

In presenza di un rapporto amministrativo inscindibile, ascrivibile – dal lato pubblico – ad una pluralità di Amministrazioni, chiamate ad intervenire nell’ambito del medesimo procedimento ai fini dell’adozione di un unico provvedimento finale (afferente al medesimo rapporto amministrativo), l’appello proposto da una delle parti pubbliche soccombenti è idoneo ad impedire la formazione della cosa giudicata anche nei confronti delle parti non impugnanti (cfr. Cass. civ. Sez. II, Sent., 24 ottobre 2018, n. 26992, secondo cui, a fronte di rapporti caratterizzati da inscindibilità, alla parte non impugnante si estendono gli effetti derivanti dall'accoglimento dell'impugnazione proposta da altre parti contro una sentenza sfavorevole emessa nei confronti di entrambi).

Di conseguenza, essendo gli effetti della sentenza di appello idonei a dispiegarsi nei confronti di tutte le parti processuali (anche non appellanti), i provvedimenti assunti in mera esecuzione della sentenza di primo grado, anche se promananti da una parte pubblica, soccombente in prime cure ma non appellante, continuerebbero a risentire dell’effetto espansivo esterno della riforma in appello ex art. 336, comma 2, c.p.c., promanando da un’Amministrazione comunque destinataria degli effetti del giudicato (sull’applicabilità al processo amministrativo dell’art. 336, comma 2, c.p.c., espressivo di un principio processuale generale, cfr. tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 giugno 2021, n. 4807).

3.2 Alla luce di tali rilievi, al fine di valutare l’integrazione di una causa di improcedibilità dell’appello proposto da una delle parti resistenti, occorre pur sempre verificare se i provvedimenti sopravvenuti ascrivibili alla parte pubblica (soccombente) non appellante, siano stati assunti in mera esecuzione della sentenza gravata ovvero all’esito di una rinnovata ed autonoma manifestazione di volontà provvedimentale.

3.2.1 In tale ultimo caso, il consolidamento -per omessa impugnazione- del sopravvenuto atto amministrativo, espressione di nuove, autonome, scelte discrezionali dell'Amministrazione soccombente non impugnante, potrebbe dare luogo ad una situazione del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione dell’appello, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza di secondo grado, per avere fatto venire meno per l’appellante l'utilità della pronuncia del giudice adito (Consiglio di Stato, Sez. III, 28 marzo 2022, n. 2247).

Difatti, l’omessa impugnazione del nuovo ed autonomo provvedimento consoliderebbe sul piano sostanziale un assetto di interessi incompatibile con quello che l’appellante intendeva attuare attraverso la riforma della sentenza di prime cure (il mero ripristino degli atti impugnati in primo grado e, dunque, della regula iuris ivi divisata);
sicché, un’eventuale pronuncia di accoglimento dell’appello non sarebbe idonea ad arrecare alla parte impugnante alcuna effettiva ed attuale utilità, con conseguente integrazione di una causa di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse.

3.2.2 Diversamente, qualora il provvedimento assunto nelle more del giudizio di appello rivesta mera natura esecutiva, essendo volto ad ottemperare alla sentenza di primo grado non ancora sospesa, si assiste all’adempimento di un puntuale comando giuridico gravante su ogni parte pubblica soccombente, pure ove non rivestente la posizione di ricorrente in appello, dato dalla necessità “ che la decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa ” (oggetto di un ordine componente il contenuto tipico della sentenza ex art. 88, comma 2, lett. f), c.p.a.).

Un tale provvedimento, meramente esecutivo, non potrebbe influire sulla procedibilità dell’impugnazione già proposta da altra parte pubblica: in ragione dell’effetto espansivo esterno della riforma della sentenza di primo grado ex art. 336, comma 2, c.p.c., in caso di accoglimento dell’appello e di riforma della sentenza di prime cure, si produrrebbe, infatti, la caducazione di tutti gli atti assunti in esecuzione della pronuncia gravata, ivi compresi i provvedimenti attuativi assunti in pendenza di giudizio, ascrivibili ad altre Amministrazioni non appellanti

Pertanto, in tali ipotesi, persisterebbe un interesse alla decisione del ricorso in appello, in quanto il suo accoglimento permetterebbe alla parte impugnante di ottenere, in riforma della sentenza censurata e in ragione della conseguente automatica caducazione di tutti gli atti esecutivi nelle more assunti, il ripristino dell’assetto di interessi che aveva concorso ad attuare con gli atti impugnati in prime cure, suscettibili in tale modo di essere confermati all’esito del gravame.

3.3 Alla luce di tali rilievi, occorre, dunque, verificare se il Comune di Vibonati, intimato in primo grado e costituitosi dinnanzi al Tar in resistenza del ricorso - parte di un rapporto amministrativo inscindibile, originato dall’istanza ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04 e ascrivibile, dal lato pubblico, tanto alla Soprintendenza, quanto all’Amministrazione comunale, parimenti chiamate ad esercitare un pubblico potere nell’ambito dello stesso procedimento e sul medesimo oggetto – abbia adottato i provvedimenti di compatibilità paesaggistica e di annullamento dell’ordinanza di sospensione dei lavori in mera ottemperanza della sentenza di primo grado ovvero all’esito di una spontanea ed autonoma manifestazione di volontà provvedimentale, idonea ad esprimere una nuova regula iuris suscettibile di consolidarsi sul piano sostanziale (indipendentemente dall’esito del ricorso in appello nelle more proposto) in caso di sua omessa tempestiva impugnazione

Il Collegio ritiene che nella specie l’Amministrazione comunale abbia agito in mera ottemperanza di una sentenza di annullamento che, sebbene non ancora passata in giudicato stante la pendenza dei termini di impugnazione, risultava al tempo esecutiva: i provvedimenti comunali sono stati, infatti, assunti in data 30 giugno 2021, quanto alla compatibilità paesaggistica, e 23 luglio 2021, quanto alla determinazione di annullamento dell’ordinanza di sospensione dei lavori, mentre la sentenza di primo grado è stata sospesa dalla Sezione soltanto con ordinanza del 12 novembre 2021.

Nel caso di specie, in particolare, la natura esecutiva dei provvedimenti in parola, discende non soltanto dall’esecutività della sentenza di annullamento di primo grado e dall’assenza di indici deponenti per una manifestazione di volontà provvedimentale di accettazione del decisum di primo grado ancora non definitivo, ma dal contenuto motivazionale delle determinazioni amministrative, deponente per la configurazione di una condotta di mera ottemperanza.

3.4 Difatti, l’accertamento di compatibilità paesaggistica n. 34 del 30 giugno 2021 è stato assunto, tra l’altro, vista “ la sentenza n. 80/2021 del 29/03/2021 con la quale il TAR Campania – Sez. staccata di Salerno definitivamente pronunciandosi, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento con esso impugnato (prot. n. 211196-P del 20 novembre 2020), per il formarsi del silenzio assenso ex art. 17 bis della l. n. 241/1990, il quale è da intendersi configurabile esclusivamente nel rapporto “orizzontale” tra l’autorità locale preposta alla gestione del vincolo paesaggistico e la Soprintendenza territorialmente competente a rendere il vincolante parere co-decisorio, e non anche come nel rapporto “verticale” istaurantesi tra il privato e l’amministrazione per effetto della richiesta di autorizzazione paesaggistica;
ed ha, altresì, soggiunto che, “una volta formatosi il silenzio assenso per decorso del termine, quest’ultimo deve considerarsi perentorio e la sua scadenza fa pertanto venire meno il potere di dissenso postumo
”.

Alla luce di tali rilievi, l’Amministrazione ha provveduto ad accertare la compatibilità paesaggistica delle opere in contestazione, pure irrogando la sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 167, commi 4 e 55, D. Lgs. n. 42/04.

Emerge, pertanto, che l’accertamento di compatibilità paesaggistica è stato reso in esecuzione delle statuizioni giudiziali di primo grado: l’Amministrazione comunale, in particolare, non ha manifestato un’autonoma volontà provvedimentale, ritenendo, a prescindere dalla pronuncia esecutiva, acquisito l’atto di assenso sopraintendizio, ma si è limitata ad attuare il giudicato, stante la necessità di assumere le determinazioni conseguenti all’accertamento giurisdizionale, non potendosi revocare in dubbio, perché allo stato accertato con pronuncia esecutiva, l’avvenuta formazione del silenzio assenso ex art. 17 bis L. n. 241/90;
il che costituisce, pertanto, il presupposto di adozione del provvedimento comunale.

3.5 Parimenti, l’annullamento dell’ordinanza di sospensione dei lavori e demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 10240/2017, disposto con la determinazione n. 14 del 23.7.2021, è stato motivato, tra l’altro, sulla base:

- della “ sentenza del TAR Salerno del 23/9/2021, n. 809/2021… con a quale il TAR Campania- Sez. staccata di Salerno definitivamente pronunciandosi, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava il provvedimento con esso impugnato (prot. N. 21196-P del 20 nov 2020) per il formarsi del silenzio assenso ex art. 17 bis della L. 241/90 sulla istanza di compatibilità paesaggistica ”;
nonché

- della determinazione comunale n. 34 del 30/6/2021, con cui le opere de quibus erano state ritenute compatibili sul piano paesaggistico con l’area tutelata ai sensi del D. Lgs. 42/2004 e D.M. 7 giugno 1967.

Pertanto, l’Amministrazione, “ ritenuto dover determinarsi a seguito della richiamata Sentenza TAR Salerno del 23/9/2021 n. 809/2021 … e successiva Autorizzazione Paesaggistica –Accertamento di compatibilità di cui alla … D.D. n. 34/2021 ”, ha provveduto all’annullamento dell’ordinanza n. 10240 del 2017 cit.

Anche in tale caso il provvedimento sopravvenuto è motivato sulla base della necessità di dovere dare esecuzione alla sentenza di prime cure (si discorre espressamente di “ dover determinarsi a seguito della richiamata sentenza ”) a conferma della cogenza della condotta amministrativa, tale da non poter essere considerata il frutto di scelte autonome e discrezionali.

3.6 In definitiva, il Comune, pure non avendo appellato la sentenza pronunciata dal Tar, ha ritenuto necessario ottemperare al dictum giudiziale ancora non definitivo, presupponendo come acquisito il silenzio assenso della Soprintendenza e provvedendo, conseguentemente, sulla base di tale circostanza -non valutata autonomamente, ma ritenuta esistente perché accertata in giudizio-, all’adozione dei dipendenti provvedimenti di accertamento di compatibilità paesaggistica e, per l’effetto, di annullamento del pregresso ordine di sospensione dei lavori e di demolizione.

Emergono, dunque, meri atti esecutivi della sentenza gravata, suscettibili di essere caducati dalla riforma in appello della sentenza sulla base della quale sono stati assunti;
ciò, ai sensi dell’art. 336, comma 2, c.p.c., alla luce delle considerazioni sopra espresse.

Per l’effetto, persistendo la possibilità di ripristinare, in conseguenza della riforma della sentenza gravata, l’atto impugnato in prime cure - stante la precarietà dell’assetto di interessi attuato sul piano sostanziale dal Comune nella fase di riedizione del potere, condizionato dall’esito del giudizio di gravame - deve ravvisarsi un persistente interesse al ricorso in capo al Ministero.

L’Amministrazione statale potrebbe, infatti, ancora trarre un’utilità concreta dall’accoglimento del proprio appello, ottenendo la conferma del proprio parere impugnato in primo grado, non ostandovi gli atti meramente esecutivi assunti dal Comune di Vibonati.

4. Parimenti, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, motivata sulla base dell’asserita mancata impugnazione, a cura dell’Amministrazione statale, di un autonomo capo decisorio, riferito al carattere non vincolante del parere censurato in primo grado.

Invero, il Tar, nello statuire sul ricorso di primo grado, ha ritenuto fondati “ gli ordini di doglianze riportati retro, in premessa, sub lett. a-b, alla stregua delle ragioni illustrate in appresso e in conformità all’indirizzo già accreditato dalla Sezione in subiecta materia (cfr. sentenze n. 1811 del 30 novembre 2020 e n. 306 del 13 gennaio 2021) ”.

4.1 Nell’illustrazione dei motivi di ricorso, il Tar ha richiamato, nelle lettere a) e b), le seguenti censure:

a) “ il parere del 20 novembre 2020, prot. n. 21196-P, sarebbe stato rilasciato dall’autorità tutoria statale tardivamente rispetto al termine di 90 giorni ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, iniziato a decorrere dalla data (23 ottobre 2019, prot. n. 23057-A) di acquisizione dell’integrazione istruttoria a cura del Comune di Vibonati (nota in pari data, prot. n. 7863, in riscontro alla nota soprintendentizia del 24 settembre 2019, prot. n. 20517-P, recante richiesta di chiarimenti in merito alla natura boschiva o meno dell’area di intervento) o, al più, dalla data (27 gennaio 2020, prot. n. 1638-P) della comunicazione di riavvio del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica: di qui, dunque, l’irreversibile formazione del silenzio assenso ‘orizzontale’ ex art. 17 bis della l. n. 241/1990, che avrebbe potuto essere rimosso soltanto in autotutela dall’organo ministeriale periferico ”;

b) “ in ogni caso, il parere del 20 novembre 2020, prot. n. 21196-P, sarebbe illegittimo, anche nella misura in cui si sarebbe configurato come vincolante per l’amministrazione comunale, nonostante la sua tardività e inefficacia ”.

Emerge, dunque, che il Tar, considerando fondate le censure sub lett. a) e b), non soltanto ha ritenuto acquisito il silenzio assenso ex art. 17 bis L. n. 241/90 della Soprintendenza, ma ha pure reputato che il parere comunque reso dall’organo statale fosse “ illegittimo, anche nella misura in cui si sarebbe configurato come vincolante per l’amministrazione comunale, nonostante la sua tardività e inefficacia ”.

Il primo giudice, in definitiva, ha considerato che la decorrenza del termine perentorio per rendere il parere di competenza della Soprintendenza integrasse una causa di illegittimità dell’operato amministrativo in contestazione.

4.2 Tale ratio decidendi deve ritenersi censurata in grado di appello, avendo l’Amministrazione statale evidenziato che, stante l’inapplicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90, la Soprintendenza avrebbe potuto rendere legittimamente il parere di competenza, persistendo in proprio favore il potere decisorio attribuito dal quadro normativo di riferimento.

In particolare, l’appellante ha dedotto che: “ il silenzio dell’amministrazione, avendovi il legislatore attribuito valore e significato di rifiuto (silenzio-inadempimento), non potrà mai valere, in tali situazioni, quale silenzio assenso, né, d’altronde, può sostenersi che la citata disposizione sia stata tacitamente abrogata dal successivo art. 17 bis per l’assorbente motivo che, in materia, la gestione del bene (culturale) ad opera della Soprintendenza è di tipo “verticale” e, dunque, “monostrutturata”, essendo esclusa ogni co-gestione del relativo potere con la Regione o il Comune subdelegato ”.

Trattasi di censura idonea a contrastare la decisione di prime cure, incentrata sull’illegittimità del parere impugnato in ragione della previa formazione del silenzio assenso e, comunque, della sua tardività: l’appellante ha, infatti, ritenuto che, una volta decorso il termine per l’espressione del parere, non soltanto non si fosse formato alcun silenzio assenso, ma persistesse in capo all’Amministrazione statale il potere decisorio sostanziale;
il che è incompatibile con la configurazione di un parere illegittimo per tardività.

Ne deriva che anche tale ultimo capo decisorio risulta censurato in sede impugnatoria, con conseguente ammissibilità del ricorso in appello.

5. Una volta definiti i profili di rito, è possibile soffermarsi sul merito delle censure impugnatorie.

6. Con un unico articolato motivo di appello l’Amministrazione statale ha dedotto l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere ritenuto applicabile l’istituto del silenzio assenso ex art. 17 bis L. n. 241/90 ai procedimenti di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167 D. Lgs. n. 42/04.

Secondo la prospettazione ministeriale, in particolare, l’art. 17 bis cit. troverebbe applicazione nell’ambito dei rapporti orizzontali tra amministrazione e non con riferimento alle ipotesi in cui vi sia un coinvolgimento diretto dei diritti del privato, in cui il rapporto intersoggettivo tra pubbliche amministrazioni si inserisce in un procedimento ad istanza di parte, quale risulta essere quello inerente all’autorizzazione paesaggistica.

Il parere del Soprintendente, inoltre, pure partecipe della funzione decisoria, non potrebbe essere assimilato allo schema di provvedimento di cui all’art. 17 bis, L. n. 241/90, costituente un requisito necessario per la configurazione della relativa fattispecie normativa. Parimenti, anche la proposta trasmessa dalla Regione (o dall’ente locale subdelegato) alla Soprintendenza ex art. 146, comma 7, D. lgs. n. 42/04, non potrebbe essere assimilata allo schema di provvedimento.

Ai sensi dell’art. 146 D. Lgs. n. 42/04, l’atto conclusivo del procedimento rimarrebbe imputabile soltanto all’autorità emanante, con conseguente emersione di un provvedimento monostrutturato, sottratto all’applicazione dell’art. 17 bis cit.

Ne deriva che nell’ambito di un procedimento verticale o monostrutturato, in cui la domanda proviene direttamente dal privato anziché da Amministrazioni pubbliche, troverebbe applicazione l’art. 20 L. n. 241/90, che, tuttavia (secondo quanto previsto al comma 4), escluderebbe dalla formazione del silenzio assenso gli atti e i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.

7. L’appello è fondato ai sensi e nei limiti di seguito precisati.

8. Nell’esaminare le censure articolate dall’appellante, occorre: dapprima, evidenziare, sul piano soggettivo, l’applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 anche alle Amministrazione preposte alla tutela paesaggistica;
all’esito, soffermarsi sulla portata oggettiva del relativo istituto, verificando se il silenzio assenso nei rapporti (orizzontali) tra Pubbliche Amministrazioni possa effettivamente operare in materia di compatibilità paesaggistica, tenuto conto della peculiare disciplina procedimentale dettata dall’art. 167, commi 4 e 5, D. Lgs. n. 42/04.

Al riguardo, preliminarmente, giova rilevare che nell’odierna sede processuale si discorre di un parere della Soprintendenza reso in relazione (anziché ad un’istanza di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 D. Lgs. 42/04, per propria natura preventiva rispetto all’intervento edilizio da assentire) ad un’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, riguardante opere in parte già eseguite in assenza e/o difformità dai titoli autorizzativi.

Il riferimento, pure operato in appello, al disposto dell’art. 146 D. Lgs. n. 42/04 non influisce, tuttavia, sull’ammissibilità dell’impugnazione ministeriale, avendo l’Amministrazione statale svolto argomentazioni di portata generale, concernenti i pareri -di competenza della Soprintendenza- resi in materia paesaggistica, nell’ambito di procedimenti dell’autorità regionale o sub delegata in cui si fa questione di interventi edilizi, con conseguente emersione di deduzioni apprezzabili anche in relazione ai procedimenti di compatibilità paesaggistica ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04 (disposizione pure richiamata nella rubrica del motivo di appello).

9. Ciò precisato, si evidenzia, in primo luogo, come non sembrino sussistere dubbi ermeneutici sull’applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 anche agli atti di assenso di competenza delle Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica.

9.1 Una tale conclusione discende chiaramente dal dato letterale.

Secondo quanto espressamente previsto dal legislatore, infatti, il silenzio assenso “ tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici ” opera “ anche nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale… per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubblich e” (art. 17 bis, comma 3, L. n. 241/90), con la precisazione che, in siffatte ipotesi, il termine entro il quale le amministrazioni interpellate sono tenute a comunicare il proprio assenso, concerto o nulla osta è definito dalla normativa di settore, attestandosi, in mancanza di diversa previsione, in novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente;
decorso siffatto termine senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.

Qualora la richiesta di assenso non promani dal privato (in tale caso operando la diversa disciplina di cui all’art. 20 L. n. 241/90), bensì afferisca ai rapporti orizzontali tra pubbliche amministrazioni, il dato positivo ammette, pertanto, espressamente la formazione del silenzio assenso anche se l’Amministrazione interpellata sia un’Amministrazione preposta alla tutela paesaggistico-territoriale.

Il che risponde a quanto pure sostenuto da questo Consiglio in sede consultiva, secondo cui: “ La formulazione testuale del comma 3 consente di accogliere la tesi favorevole all’applicabilità del meccanismo di semplificazione anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali e la salute dei cittadini. Sul punto la formulazione letterale del comma 3 è chiara e non lascia spazio a dubbi interpretativi: le Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili beneficiano di un termine diverso (quello previsto dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni), scaduto il quale sono, tuttavia, sottoposte alla regola generale del silenzio assenso ” (Consiglio di Stato, parere commissione speciale, 13 luglio 2016, n. 1640).

9.2 La portata soggettiva generale dell’istituto, riferibile anche alle Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica, deriva, altresì, dalla ratio sottesa alla sua introduzione.

L’efficienza dell’azione amministrativa, corollario del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., richiede (tra l’altro) che il perseguimento del pubblico interesse affidato alla cura dell’Amministrazione procedente avvenga mediante la tempestiva adozione del provvedimento amministrativo.

La necessità che il provvedimento sia assunto entro i termini di legge (art. 2 L. n. 241/90) risponde all’esigenza di evitare uno stato di incertezza determinato dalla pendenza del procedimento, idoneo (altresì) ad interferire sulla libertà di autodeterminazione negoziale dei soggetti incisi dall’esercizio del potere, i quali, in attesa della decisione amministrativa, potrebbero anche essere indotti ad assumere scelte negoziali (potenzialmente foriere di danni patrimoniali) che non avrebbero compiuto se avessero tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018, n. 5).

L’art. 17 bis L. n. 241/90 regola, dunque, un istituto di semplificazione procedimentale, in funzione dell’efficiente esercizio del pubblico potere: attraverso la formazione di atti di assenso per silentium , si intende evitare che, ove il procedimento debba concludersi con l’adozione di una decisione pluristrutturata implicante un accordo tra più Amministrazioni co-decidenti, la condotta inerte dell’Amministrazione interpellata possa produrre un arresto del procedimento, impedendo la tempestiva adozione della determinazione conclusiva.

Trattasi di un’esigenza apprezzabile (in ipotesi, anche) in relazione ai procedimenti in materia paesaggistica, spesso suscettibili di condizionare lo svolgimento di attività economiche, la cui corretta programmazione esige un tempestivo riscontro amministrativo, da garantire (altresì, sempre che si faccia questione di decisioni autenticamente pluristrutturate) evitando che l’inerzia dell’Amministrazione interpellata, preposta alla tutela paesaggistica, impedisca la pronta adozione del provvedimento finale.

10 Precisata l’applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90, sul piano soggettivo, agli atti di assenso delle Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica, occorre verificare se l’ambito di applicazione oggettivo del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni comprenda anche il procedimento delineato dall’art. 167 D. Lgs. n. 42/04.

10.1 Al riguardo, si osserva che la semplificazione amministrativa propria del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche viene attuata mediante la riconduzione alla condotta inerte dell’Amministrazione interpellata (chiamata a rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta, rimasta silente oltre il termine alla stessa assegnato per il pronunciamento espresso) di effetti equipollenti a quelli dell’atto di assenso.

A tali fini, occorre, in particolare, che:

- l’Amministrazione procedente abbia predisposto e trasmesso uno “ schema di provvedimento ” all’Amministrazione competente a rendere il proprio assenso;

- sia decorso il termine di “ trenta giorni ” ovvero (per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio) il termine di “ novanta giorni ” (operante per gli assensi, i concerti o i nulla osta comunque denominati di Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale) dalla ricezione della richiesta dell’Amministrazione procedente, senza che l’Amministrazione interpellata abbia manifestato espressamente la propria posizione al riguardo ovvero abbia rappresentato esigenze istruttorie o richieste di modifica dello schema di provvedimento ricevuto.

Al ricorrere di tali condizioni, si considera acquisito per silentium l’atto di assenso e, per l’effetto, l’Amministrazione procedente è posta in condizione di adottare il provvedimento conclusivo, comunque necessario per la definizione del procedimento.

Nell’assumere la decisione finale, peraltro, l’Amministrazione procedente dovrebbe valutare i vari interessi coinvolti nell’esercizio del potere, ivi compreso l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso implicitamente acquisito: soltanto in tale maniera si assicura, oltre che la tempestiva adozione della decisione finale, anche un’adeguata protezione di tutti gli interessi pubblici coinvolti nell’esercizio del potere, pure qualora manchi la determinazione espressa dell’Amministrazione (interpellata) che sarebbe stata competente a statuire sulla compatibilità della soluzione prescelta con l’interesse pubblico dalla stessa tutelato.

10.2 Alla luce di tali rilievi, deve ritenersi che il silenzio assenso ex art. 17 bis L. n. 241/90:

- non riguardi la fase istruttoria del procedimento amministrativo -che rimane regolata dalla pertinente disciplina positiva-, influendo soltanto sulla fase decisoria, attraverso la formazione di un atto di assenso per silentium . L’Amministrazione procedente, in particolare, è comunque tenuta ad elaborare uno schema di provvedimento da trasmettere all’Amministrazione co-decidente;
il che potrebbe avvenire soltanto sulla base delle risultanze dell’istruttoria già svolta, non potendosi elaborare un progetto di decisione senza avere previamente accertato e valutato i presupposti del provvedere;

- operi soltanto in relazione ai procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata e, dunque, come precisato da questo Consiglio nel parere n. 1640/2016 cit., “ nei casi in cui l’atto da acquisire, al di là del nomen iuris, abbia valenza co-decisoria ”;

- presupponga, per l’effetto, un potere decisionale distribuito tra plurime Amministrazioni, tutte abilitate ad intervenire sul contenuto del provvedimento finale, suscettibile di essere adottato solo previo accordo tra le parti pubbliche co-decidenti.

Con riferimento a tale ultimo profilo, in particolare, l’art. 17 bis L. n. 241/90 prevede: a) la competenza dell’Amministrazione procedente a predisporre lo schema di provvedimento, nonché ad adottare la decisione conclusiva;
b) il potere delle Amministrazioni interpellate di presentare tempestivamente “ richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso ”)”.

Ne deriva che, ai fini dell’adozione del provvedimento conclusivo, occorre che la soluzione decisionale ivi accolta sia condivisa tra tutte le Amministrazioni, procedente e interpellate.

Difatti, da un lato, l’art. 17 bis, comma 1, L. n. 241/90, pure ammettendo la presentazione (a cura delle Amministrazioni interpellate) di richieste di modifica dello schema di provvedimento, non prevede l’obbligo dell’Amministrazione procedente di accogliere tali richieste ove non condivise;
dall’altro, l’art. 17 bis, comma 2, L. n. 241/90 detta un’apposita disciplina per l’ipotesi di “ mancato accordo tra Amministrazioni statali ” - incentrata sul potere del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, di decidere sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento – in tale maniera avvalorando l’esigenza di un accordo (tacito o espresso) tra tutte le Amministrazioni co-decidenti sul testo del provvedimento da adottare (e, dunque, sullo schema originario di provvedimento ovvero sulle successive modifiche richieste dalle Amministrazioni interpellate), altrimenti dovendo ricorrersi a meccanismi di superamento del dissenso per pervenire alla decisione finale.

Si conferma, dunque, che l’art. 17 bis L. n. 241/90 presuppone la titolarità in capo a ciascuna Amministrazione co-decidente del potere di influire sul contenuto del provvedimento conclusivo.

Del resto, la presenza di una fase co-decisoria necessaria di competenza di plurime amministrazioni denota come l’istituto in esame, di regola, sia applicabile qualora la decisione finale sia idonea ad incidere su plurimi interessi pubblici, ciascuno assegnato alla cura di un’Amministrazione differente: in tali ipotesi, il potere decisionale è distribuito tra le Amministrazioni competenti, al fine di garantire che, attraverso la necessaria condivisione della soluzione accolta con il provvedimento finale, possa attuarsi la migliore tutela dei vari interessi pubblici in concreto coinvolti.

10.3 Ciò precisato in relazione alla disciplina dell’art. 17 bis L. n. 241/90, occorre verificare se l’ambito di applicazione di tale istituto comprenda anche il procedimento di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, commi 4 e 5, D. Lgs. n. 42/04.

A tale ultimo riguardo, il legislatore ha previsto sì una forma di cogestione del vincolo paesaggistico tra due Amministrazioni – Soprintendenza, competente nel rendere un parere vincolante, nonché Amministrazione regionale (o ente subdelegato), chiamata ad assumere la decisione finale (in termini, tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2019, n. 721 e la giurisprudenza ivi citata) – ma secondo modalità del tutto peculiari, che non sembrano presupporre un analogo potere di ciascuna parte pubblica di influire sul contenuto della decisione finale.

Ai sensi dell’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, in particolare, “ il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni ”.

Emerge, pertanto, che:

- l’autorità preposta alla gestione del vincolo non è tenuta ad elaborare uno schema di provvedimento alla stregua delle risultanze istruttorie da trasmettere alla Soprintendenza ai fini dell’espressione del parere di competenza, sebbene un tale documento sia necessario per la formazione del silenzio assenso, posto che, altrimenti, difettando lo schema di provvedimento, mancherebbe pure la bozza di decisione su cui possa ritenersi tacitamente acquisito un atto di assenso;

- il termine per l’espressione del parere è espressamente qualificato dal legislatore come perentorio, il che, come si osserverà infra , influisce sulla individuazione delle conseguenze discendenti dalla sua inosservanza, emergendo effetti incompatibili con la formazione di un atto per silentium ;

- la Soprintendenza e l’autorità preposta alla gestione del vincolo sono chiamate a verificare la compatibilità dell’intervento edilizio rispetto al medesimo interesse pubblico (paesaggistico), quando, come osservato, tendenzialmente, la co-decisione è un modulo procedimentale impiegabile per la condivisione di una data decisione da parte di plurime Amministrazioni, ciascuna preposta alla tutela di un differente interesse pubblico, parimenti rilevante ai fini della regolazione del caso concreto;

- il parere della Soprintendenza è qualificato come vincolante, con la conseguenza che “ a fronte del carattere vincolante del parere soprintendentizio ai sensi dell'art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42 del 2004, non persiste[…] margine alcuno di valutazione difforme in capo all'Amministrazione comunale ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2245).

Difatti, da un lato, il parere della Soprintendenza è vincolante, dall’altro, l’Amministrazione procedente è tenuta, comunque, a concludere il procedimento entro il termine perentorio di centoottanta giorni (parimenti previsto dall’art. 167, comma 5, cit.), sicché il parere de quo assume più propriamente natura di parere conforme, non potendo l’Amministrazione procedente astenersi dalla decisione, né potendo assumere una decisione difforme da quella indicata dalla Soprintendenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3092, secondo cui è conforme il parere che si imponga nel suo contenuto all'Amministrazione procedente, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, è tenuta esclusivamente, nell'esercizio dei poteri ad essa peculiari di amministrazione attiva, alla verifica estrinseca della completezza e della regolarità del precedente procedimento di valutazione, senza quindi attivare una nuova ed autonoma valutazione di merito).

10.4 Si è in presenza di una disciplina connotata da elementi procedurali del tutto peculiari, incompatibili con quelli posti alla base della disciplina del silenzio assenso ex art. 17 bis L. n. 241/90.

Come osservato, il silenzio assenso tra Amministrazioni presuppone che l’Amministrazione procedente sia tenuta a: istruire il procedimento, elaborare uno schema di provvedimento, trasmettere lo schema di provvedimento alle Amministrazioni co-decidenti ai fini dell’acquisizione dell’atto di assenso, nonché adottare il provvedimento finale, senza essere vincolata a recepire le modifiche richieste dalle Amministrazioni. In tali ipotesi, proprio per facilitare il raggiungimento dell’accordo, necessario per pervenire alla decisione finale, è prevista la riconducibilità all’inerzia di effetti equipollenti a quelli dell’atto di assenso.

Il procedimento ex art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04 integra, invece, uno schema procedurale differente.

Difatti, l’autorità competente a gestire il vincolo non è tenuta a predisporre uno schema di provvedimento (non essendo previsto un tale onere dall’art. 167, comma 5, cit., a differenza di quanto previsto dall’art. 146, comma 7, D. Lgs. n. 42/04 per l’autorizzazione paesaggistica) su cui possa in ipotesi considerarsi acquisito per silentium un atto di assenso, né, comunque, secondo quanto osservato, è titolare di un margine di valutazione difforme rispetto a quanto indicato dalla Soprintendenza, con la conseguenza che la cogestione del vincolo si atteggia in maniera peculiare, spettando in via esclusiva alla Soprintendenza il potere sostanziale di valutare la compatibilità paesaggistica dell’intervento in contestazione e all’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo la competenza ad esternare in conformità la relativa volontà provvedimentale, attraverso l’adozione del provvedimento finale.

Ai sensi dell’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, in altri termini, non occorre un accordo tra plurime amministrazioni co-decidenti – di regola, preposta alla cura di interessi pubblici differenziati – in ordine ad uno schema di provvedimento predisposto dall’Amministrazione procedente (implicante, come osservato, il potere di ciascuna parte pubblica di influire sulla decisione di merito), costituente il presupposto di applicazione dall’art. 17 bis cit.;
bensì l’Amministrazione interpellata (Soprintendenza) è chiamata ad assumere la decisione sostanziale sul contenuto del provvedimento finale da adottare (senza essere vincolata da un previo schema di provvedimento), mentre l’Amministrazione procedente (preposta alla gestione del vincolo) è tenuta a statuire in conformità.

10.5 Le peculiarità del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica si manifestano anche nella disciplina delle conseguenze discendenti dalla condotta inerte della Soprintendenza: il legislatore ha, infatti, qualificato (ai sensi dell’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04) come “ perentorio ” il termine entro cui la Soprintendenza deve esprimere il parere di competenza, in tale maniera regolando (implicitamente) gli effetti dell’inerzia.

Come precisato da questo Consiglio, “ un termine può […] essere considerato come perentorio o quando sia espressamente qualificato come tale o quando sia prevista la comminatoria di esclusioni o decadenze;
lo stesso termine, ove non sia indicato come perentorio, ha funzione solo acceleratoria, cosicché il suo superamento non comporta la decadenza della potestà amministrativa al riguardo o l'illegittimità del provvedimento conclusivo
” (Consiglio di Stato Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1374).

La natura perentoria di un termine, esplicitata dal legislatore o desumibile dalla normativa di riferimento, implica, dunque, la produzione di un effetto decadenziale per il caso di sua inosservanza, non potendosi ritenere persistente il potere non tempestivamente esercitato.

Di conseguenza, come pure precisato dalla Sezione (19 novembre 2020, n. 7193), deve ritenersi che l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni ex art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04 determini – anziché la formazione di un atto di assenso tacito, a conferma dell’inapplicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 – la decadenza dall’esercizio dello specifico potere assegnato dal legislatore e, dunque, dalla possibilità di vincolare l’amministrazione procedente nella decisione finale;
il che, tuttavia, non impedirebbe all’organo statale di intervenire nel procedimento per fornire il proprio contribuito partecipativo, ponendo in essere un atto non obbligatorio e non vincolante.

Tale ricostruzione risulta maggiormente idonea a:

- garantire la coerenza con il dato positivo, che discorre, come osservato, di termine “ perentorio ”, con la conseguenza che l’inutile decorrenza di una tale tipologia di termine (perentorio) non potrebbe essere reputata irrilevante, non consentendo la persistenza in capo alla Soprintendenza del potere (di esprimere un parere obbligatorio e vincolante) conferito dalla norma primaria;

- soddisfare le esigenze di tempestività dell’azione amministrativa, che deve, comunque, essere proseguita anche in assenza del parere tempestivo di competenza della Soprintendenza (ormai non più obbligatorio e vincolante, una volta manifestatasi l’inerzia dell’organo statale), prevedendo, al riguardo, l’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04 anche un secondo termine perentorio (di centottanta giorni) per la definizione del procedimento avviato con istanza di parte, a dimostrazione dell’esigenza di tempestiva adozione del provvedimento finale;

- realizzare le esigenze di tutela paesaggistica, perdurando in materia la competenza istituzionale della Soprintendenza, da ritenere comunque abilitata, in quanto affidataria della cura dell’interesse pubblico (paesaggistico) alla base dell’esercizio del potere amministrativo, ad intervenire nel procedimento, anziché per esercitare il potere attribuito dall’art. 167, comma 5, cit. - da cui ormai l’autorità statale deve ritenersi decaduta per l’inutile decorrenza del termine perentorio -, per fornire il proprio contributo partecipativo, che l’Amministrazione procedente, ove non abbia ancora assunto la determinazione finale, è tenuta comunque a valutare nella definizione del procedimento;

- assicurare una coerenza degli indirizzi interpretativi formatisi in materia di valutazione della compatibilità paesaggistica, sia preventiva ex art. 146 D. Lgs. n. 42/04, sia postuma ai sensi dell’art. 167 D. lgs. n. 42/04, avendo questo Consiglio evidenziato, anche in relazione al procedimento di autorizzazione paesaggistica, che “ a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l'espressione del parere vincolante (rectius: conforme) da parte della Soprintendenza, l'Organo statale non resti in assoluto privato della possibilità di rendere un parere;
tuttavia il parere in tal modo espresso perderà il proprio valore vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente valutato dall'amministrazione preposta al rilascio del titolo
” (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 dicembre 2019, n. 8538).

Si è, dunque, in presenza di una disciplina che, pure non equiparando l’inerzia all’atto di assenso, assicura le esigenze di tempestività dell’azione amministrativa, nel rispetto della rilevanza costituzionale dell’interesse (paesaggistico ex art. 9 Cost.) tutelato.

Difatti, l’Amministrazione silente, da un lato, è privata del potere decisorio attribuito dall’ordinamento, non potendo di conseguenza – con la propria condotta inerte – imporre l’arresto del procedimento o vincolare la decisione finale;
dall’altro, ha comunque la possibilità di intervenire nel procedimento, fintantoché il provvedimento finale non sia assunto, al fine di rappresentare il proprio punto di vista sul tema in decisione, che l’autorità procedente è, comunque, chiamata a valutare ove pervenuto in tempo utile in vista dell’adozione del provvedimento conclusivo.

10.6 Alla luce di tali rilievi e sintetizzando le osservazioni svolte, deve escludersi l’applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 al procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, comma 6, D. Lgs. n. 42/04.

Operando il silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni ex art. 17 bis L. n. 241/90 in relazione a procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata, in cui la decisione finale necessita di una condivisione tra plurime Amministrazioni co-decidenti (spesso, preposte alla tutela di interessi pubblici differenziati) sulla base di uno schema di provvedimento elaborato dall’Amministrazione procedente, tale disciplina non è riferibile al procedimento delineato dall’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04, non integrante i presupposti di applicazione dell’art. 17 bis L. n. 241/90.

10.6.1 In primo luogo, l’art. 167, comma 5, cit. non prevede uno schema di provvedimento formato dall’Amministrazione procedente su cui l’Amministrazione interpellata è chiamata a statuire e su cui, dunque, possa in ipotesi considerarsi formato un silenzio tacito.

Pertanto, difettando un tale schema provvedimentale, il silenzio assenso non potrebbe che formarsi sull’istanza di parte trasmessa dall’Amministrazione procedente, come, invero, ritenuto nella sentenza gravata, in cui si discorre della “ formazione del silenzio assenso orizzontale sull’istanza di compatibilità paesaggistica prot. n. 2655 del 6 aprile 2018 ”.

Il che, tuttavia, costituisce un’ulteriore conferma dell’inapplicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90, venendo in rilievo, anziché un rapporto orizzontale tra Amministrazioni co-decidenti (non formandosi il silenzio assenso sullo schema di provvedimento trasmesso dall’Amministrazione procedente, ma direttamente sull’istanza presentata dal privato), un rapporto verticale tra l’istante e l’Amministrazione titolare del potere decisionale, tuttavia sussumibile sotto il diverso disposto dell’art. 20 L. n. 241/90, inapplicabile agli “ atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico ” (art. 20, comma 4, L. n. 241/90).

10.6.2 In secondo luogo, in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica si assiste alla devoluzione all’Amministrazione interpellata (Soprintendenza) del potere sostanziale decisorio - da esercitare a prescindere da un previo schema di provvedimento alla stessa trasmesso - e all’attribuzione all’Amministrazione procedente (preposta alla gestione del vincolo) del potere di provvedere in conformità, senza possibilità di discostarsi da quanto statuito dalla Soprintendenza.

Pertanto, la decisione finale non è il risultato di quell’accordo tra Amministrazioni co-decidenti (ciascuna delle quali titolare del potere di influire sulla valutazione di merito) che costituisce il presupposto di applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90, la cui funzione tipica è proprio quella di favorire il raggiungimento del consenso necessario per l’adozione del provvedimento finale, ex lege agevolato dalla formazione di un atto di assenso per silentium .

10.6.3 In terzo luogo, la perentorietà del termine per rendere il parere ex art. 167, comma 5, D. Lgs. m. 42/04 non sembra compatibile con la formazione di un atto di assenso tacito, determinando, anziché la formazione di un titolo decisorio tacito, la decadenza dal potere, privando in radice l’Amministrazione interpellata del potere di rendere (tacitamente o espressamente) un parere obbligatorio e vincolante.

In tali ipotesi, l’Amministrazione procedente potrebbe ( rectius , dovrebbe) concludere tempestivamente il procedimento, assumendo la decisione finale -in tale caso, non soltanto sul piano formale (attraverso l’adozione del provvedimento), ma anche sostanziale - anziché sulla base di un atto di assenso per silentium (che, peraltro, sarebbe vincolante per l’Amministrazione procedente, assumendo il titolo tacito la stessa natura del parere espresso), alla luce di un’autonoma valutazione della compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio, previa disamina del contributo tardivo, non vincolante, eventualmente fornito dalla Soprintendenza in tempo utile in vista dell’adozione del provvedimento conclusivo.

11. Tale interpretazione, del resto, risulta maggiormente coerente con l’elemento sistematico e, in specie, con le indicazioni ritraibili dalla disciplina operante in materia di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 D. Lgs. n. 42/04, facente parte del sistema normativo di protezione dell’interesse paesaggistico in materia edilizia, in relazione tanto alle attività da svolgere (autorizzazione preventiva) quanto a quelle esaurite (accertamento di compatibilità).

11.1 Al riguardo, occorre principiare l’analisi dal disposto dell’art. 11, comma 9, DPR n. 31/17, che ha previsto l’applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 al procedimento autorizzatorio semplificato di cui agli artt. 3 e 7 dello stesso DPR n. 31/17.

In forza del principio dell'effetto utile, le disposizioni normative devono essere intese nel significato in cui assumano una qualche rilevanza, anziché nel senso in cui risultino del tutto inutili.

Alla luce di tale principio, la circostanza per cui sia stata avvertita l’esigenza di prevedere, in materia di procedimento autorizzatorio semplificato, nell’ambito di un atto normativo del 2017 - successivo all’introduzione dell’art. 17 bis L. n. 241/90 (inserito dall'art. 3, comma 1, L. 7 agosto 2015, n. 124) - l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso di cui all’art. 17 bis L. n. 241/90, denota come, in assenza di tale clausola di rinvio, la materia non sarebbe stata assoggettata alla disciplina generare dell’art. 17 bis cit..

Una soluzione opposta, volta ad associare al rinvio normativo de quo una valenza meramente recettiva di un effetto già operante in via generale, condurrebbe a considerare la clausola di rinvio priva di utilità, in contrasto con il principio dell’effetto utile, che deve, invece, governare l’attività esegetica nella ricostruzione del significato precettivo degli enunciati normativi.

11.2 L’esistenza di un’espressa previsione normativa sancente l’applicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 al solo procedimento autorizzatorio semplificato conduce, inoltre, a ritenere inoperante l’istituto del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni in relazione al procedimento autorizzatorio ordinario ex art. 146 D. Lgs. n. 42/04.

La semplificazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica è stata, infatti, assicurata (ex artt. 8 e s. DPR n. 31/17) mediante l’introduzione di disposizioni derogatorie rispetto a quelle generalmente applicabili: trattasi, in particolare, di previsioni dirette ad assicurare una semplificazione documentale ex art. 8 DPR n. 31/17, una concentrazione procedimentale ex art. 9 DPR n. 31/17, una riduzione dei termini di conclusione del procedimento ex art. 10 DPR n. 31/17, una semplificazione organizzativa ex art. 12 DPR n. 31/17 e una semplificazione procedimentale ex art. 11 DPR n. 31/17;
tra le disposizioni procedimentali assume particolare rilievo il rinvio all’art. 17 bis L. n. 241/90.

L’applicazione dell’art. 17 bis L. n. 241/90, al pari delle ulteriori misure di semplificazioni appositamente previste dal DPR n. 31/17, costituisce, dunque, una deroga al modello ordinario, caratterizzato da regole procedurali differenti.

Ne deriva che, essendo prevista per il solo procedimento autorizzatorio semplificato, la disciplina di cui all’art. 17 bis L. n. 241/90 non può considerarsi operante in via generale per il procedimento autorizzatorio ordinario ex art. 146 D. Lgs. n. 42/04;
come, peraltro, sostenuto anche da alcune pronunce di questo Consiglio di Stato, secondo cui “ Il meccanismo del silenzio-assenso tra amministrazioni di cui all'art. 17-bis, L. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, si applica esclusivamente ai rapporti fra l'amministrazione "procedente" per l'adozione di un provvedimento definitivo e quelle chiamate a rendere "assensi, concerti o nulla osta" a questo prodromici, e non anche al rapporto "interno" fra le amministrazioni chiamate a co-gestire l'istruttoria e la decisione in ordine al rilascio di tali assensi nei confronti di un'amministrazione terza, come è nel caso della Regione e della Soprintendenza in relazione all'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 ” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2640;
Id., sez. IV, 19 aprile 2021, n. 3145)

Un tale esito, del resto, sembra giustificarsi proprio in ragione della mancata integrazione dei presupposti applicativi del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni.

Difatti, anche il procedimento di cui all’art. 146 D. Lgs. n. 42/04 è connotato da una particolare forma di cogestione del vincolo paesaggistico: “ ai sensi dell'art. 146, comma 8, del D.Lgs. n. 42 del 2004, …, il parere della Soprintendenza in tema di autorizzazione paesaggistica è vincolante, sì che l'amministrazione preposta deve provvedere "in conformità", con un atto dovuto” (Consiglio di. Stato Sez. VI, 1 settembre 2017, n. 4162;
sulla necessità di qualificare il parere della Soprintendenza quale “ parere vincolante (rectius: conforme) ”, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2640).

Emerge, in parte qua , uno schema procedimentale analogo a quello dell’accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04 supra descritto -parimenti incentrato sul potere soprintendizio di vincolare la decisione finale non adottabile in difformità- ostativo (per quanto osservato) all’applicazione dell’art. 17 bis L. n. 241/90.

11.3 In definitiva, così come il procedimento ordinario di autorizzazione paesaggistica è sottratto all’applicazione dell’art. 17 bis L. n. 241/90 – essendo stata necessaria un’apposita clausola normativa di rinvio, riferita ad interventi minori ex artt. 3 e 7 dello stesso DPR n. 31/17, per consentire l’applicazione del silenzio assenso tra pubbliche amministrazione al (solo) procedimento autorizzatorio semplificato – per evidenti esigenza di coerenza normativa, anche il procedimento di compatibilità paesaggistica, parimenti incentrato su un potere decisorio sostanziale della Soprintendenza nella individuazione della decisione finale (da accogliere a cura dell’Amministrazione procedente quale atto dovuto), deve ritenersi sottratto all’ambito di applicazione dell’art. 17 bis L. n. 241/90;
ciò, in assenza di una diversa previsione normativa che estenda anche a tale procedimento l’operatività del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni.

Per l’effetto, anche l’elemento sistematico – che impone di assegnare all’enunciato normativo il significato precettivo maggiormente coerente con quello desumibile da altre disposizioni normative componenti il medesimo sistema normativo esaminato, nella specie integrato dalle previsioni regolanti l’accertamento (preventivo e postumo) della compatibilità paesaggistica di interventi edilizi – depone per l’inapplicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 al procedimento di cui all’art. 167 D. Lgs. n. 42/04.

12. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello ministeriale deve essere accolto, stante l’inapplicabilità dell’art. 17 bis L. n. 241/90 al procedimento di compatibilità paesaggistica, con conseguente impossibilità di ricondurre all’inerzia della Soprintendenza la formazione di un atto tacito di assenso.

Il parere tardivamente reso dalla Soprintendenza non avrebbe potuto, per ciò solo, ritenersi illegittimo, sia per l’assenza di un previo atto di assenso formatosi per silentium , sia per la possibilità per la Soprintendenza di rappresentare, comunque, il proprio punto di vista nell’ambito del procedimento, assumendo un atto non vincolante, ma per ciò solo non illegittimo.

13. L’accoglimento dell’appello impone di statuire sui motivi di ricorso riproposti dalle parti private, che, tuttavia, devono essere dichiarati inammissibili per difetto di interesse, alla stregua delle considerazioni svolte nella disamina dell’impugnazione ministeriale.

A seguito del decorso del termine per l’espressione del parere vincolante, la Soprintendenza, pure potendo intervenire nel procedimento, rimane abilitata a rendere esclusivamente un parere facoltativo e non vincolante, con la conseguenza che:

- in caso di mancanza del parere, l’Amministrazione procedente è, comunque, tenuta a statuire sulla domanda di parte, nel rispetto del termine perentorio di centoottanta giorni dalla sua presentazione e previa valutazione concreta della compatibilità paesaggistica delle opere eseguite;

- in caso di espressione di un parere tardivo, reso in tempo utile per la sua disamina ai fini della decisione finale, l’Amministrazione procedente è tenuta a valutare autonomamente e motivatamente tale contributo, al pari di quanto avviene per ogni elemento istruttorio pertinente rispetto all’oggetto del procedimento (cfr. art. 10, comma 1, lett. b), L. n. 241/90).

Nel caso di specie, il parere della Soprintendenza è stato reso tardivamente, una volta decorso il termine perentorio di novanta giorni assegnato dall’art. 167, comma 5, D. Lgs. n. 42/04;
il che costituisce una specifica circostanza fattuale accertata dal primo giudice e non oggetto di specifica critica svolta in appello.

Facendosi questione di parere tardivo, lo stesso deve ritenersi non vincolante, con la conseguente carenza di interesse, in capo ai ricorrenti di primo grado, ad impugnare un atto per gli stessi non lesivo, in quanto inidoneo a vincolare l’Amministrazione procedente nella decisione finale.

Come precisato da questo Consiglio, “ Il parere vincolante, obbligando le parti ad attenervisi, è pertanto atto immediatamente lesivo, condizione questa che ne consente - giusta anche quanto espressamente previsto dalla norma- l'autonoma impugnabilità. Il parere non vincolante, invece, avendo carattere di manifestazione di giudizio, non presenta aspetti di autonoma lesività e non è, dunque, autonomamente impugnabile ” (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1621).

Di conseguenza, risultando impugnato un parere non vincolante, deve essere dichiarata l’inammissibilità per difetto di interesse sia dei motivi di ricorso riproposti sia, ancora prima, del ricorso di primo grado, in quanto afferente ad un atto non immediatamente lesivo.

14. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, stante la natura non vincolante dell’atto impugnato in primo grado, in riforma della sentenza gravata, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

Atteso l’effetto espansivo esterno della riforma in appello, i provvedimenti comunali (infondatamente valorizzati dalle parti private a sostegno dell’eccezione di improcedibilità dell’appello), in ragione della loro natura meramente esecutiva, devono ritenersi caducati, essendo venuto meno il titolo giurisdizionale (sentenza gravata) sulla cui base sono stati assunti.

Nella fase di riedizione del potere, l’Amministrazione dovrà, dunque, rivalutare l’istanza di parte, prendendo posizione anche sul parere (non vincolante) espresso dalla Soprintendenza, al fine di pervenire motivatamente ad una tempestiva decisione sull’istanza di accertamento di compatibilità per cui è causa.

15. La particolarità della controversia impone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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