Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-08-19, n. 202207304

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-08-19, n. 202207304
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207304
Data del deposito : 19 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/08/2022

N. 07304/2022REG.PROV.COLL.

N. 05906/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5906 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. II, -OMISSIS-, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento della nota via pec dell’8 agosto 2018 dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Pisa avente ad oggetto il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, ai sensi dell’art. 18, d.lgs. n. 286 del 1998.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Cons. G F e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’odierno appellante, cittadino albanese, con sentenza n.-OMISSIS- del 2015 è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione alla pena di anni 6 di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 628, comma 3, 61, n. 5, c.p., 110 e 605, nn. 2 e 4, c.p., 110 e 609 bis ed octies e 61, n. 5, c.p., 110 e 527 c.p..

Sin dal momento del suo arresto, il cittadino straniero ha collaborato con la giustizia, contribuendo all’arresto e alla condanna degli altri soggetti che avevano concorso nella realizzazione delle citate azioni criminose.

Durante la detenzione in carcere, il cittadino straniero ha ricevuto, proprio in ragione della sua collaborazione con la giustizia, minacce di morte e di persecuzioni future da parte dei coimputati, a seguito delle quali questi ultimi sono stati successivamente trasferiti in altre carceri.

In data 18 luglio 2018, il legale del cittadino albanese ha inoltrato alla Questura di Pisa istanza di rilascio del permesso di soggiorno per protezione sociale, ai sensi dell’art. 18, d.lgs. n. 286 del 1998, chiedendo al contempo alla Questura di acquisire d’ufficio presso il Magistrato di Sorveglianza di Firenze e presso il carcere nel quale era detenuto l’interessato la documentazione attestante gli episodi sopra descritti.

Con comunicazione via pec dell’8 agosto 2018, la Questura di Pisa ha informato il legale del cittadino straniero che non sussistevano i presupposti per il rilascio del titolo di soggiorno, ai sensi dell’art. 18 T.U.I.

Il 3 ottobre 2018, il legale del cittadino straniero ha pertanto inoltrato al Tribunale di Sorveglianza di Firenze istanza di accesso al fascicolo dell’interessato, per accertare se fossero stati depositati gli atti e i provvedimenti relativi agli episodi di minaccia posti a fondamento della richiesta di protezione sociale. Non avendo ricevuto risposta dal Tribunale di Sorveglianza, il legale ha reiterato l’istanza il 22 ottobre 2018 e successivamente sollecitato un riscontro con nota inviata il 24 ottobre 2018.

2. Con ricorso notificato il 29 ottobre 2018, il cittadino straniero ha impugnato la citata comunicazione innanzi al Tar Toscana, lamentando la violazione della legge sul procedimento amministrativo, per quel che concerne, in particolare, l’obbligo della Pubblica amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.

3. Con sentenza -OMISSIS-, il Tar Toscana ha dichiarato inammissibile il ricorso, posto che nel caso di specie non è individuabile un atto amministrativo avente natura provvedimentale che risulti lesivo e possa costituire oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale. Il Giudice di prime cure ha ritenuto che tale non potesse considerarsi la comunicazione via pec dell’8 agosto 2018, in quanto priva dei minimi connotati per assumere qualificazione provvedimentale. Il Collegio ha evidenziato, in primo luogo, la mancanza di sottoscrizione e, in secondo luogo, l’impossibilità di ricondurre la comunicazione, inviata da un funzionario della Questura, a un organo dell’Amministrazione legittimato a esprimere la volontà della Questura. Sulla scorta di questi argomenti, il Tar adito ha dedotto la natura meramente interlocutoria dell’atto, che dunque non può rappresentare una esternazione della volontà della Questura.

4. Con appello notificato il 14 luglio 2020, l’originario ricorrente ha impugnato la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, previa istanza di sospensione, deducendo le doglianze non accolte in primo grado. In particolare, l’odierno appellante ha insistito sulla natura provvedimentale della comunicazione impugnata in primo grado, valorizzando il ruolo della pec, che ha lo stesso valore legale di una tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto garantisce la prova dell’invio e della consegna della comunicazione. Secondo l’appellante, il giudice di prime cure avrebbe erroneamente sminuito l’incidenza della comunicazione, dovendone dichiarare, al contrario, la carenza formale e la violazione delle norme sul procedimento amministrativo.

5. Nella camera di consiglio del 27 agosto 2020, il Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare, ritenendo di dover aderire alla qualificazione della comunicazione come atto meramente interlocutorio, ravvisando tuttavia l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere con provvedimento espresso emesso dall’Autorità competente sull’istanza di rilascio del permesso di soggiorno avanzata dall’appellante.

6. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, senza espletare attività difensiva.

7. All’udienza pubblica del 23 giugno 2022 il Consiglio di Stato ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il Tar Toscana, con sentenza -OMISSIS-, ha dichiarato inammissibile il ricorso, non ravvisando nella comunicazione via pec dell’8 agosto 2018 – con la quale la Questura di Pisa ha informato il legale del cittadino straniero che non sussistevano i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, ai sensi dell’art. 18, d.lgs. n. 286 del 1998 – gli estremi dell’atto impugnabile, escludendone la natura provvedimentale.

Ritiene il Collegio non condivisibile la conclusione alla quale è pervenuto il giudice di primo grado, avendo la citata pec determinato un arresto del procedimento amministrativo in grado di vanificare la pretesa della parte al soddisfacimento dell’istanza fatta valere.

Il Giudice di primo grado, avendo disconosciuto la natura provvedimentale della comunicazione de qua, ha fatto applicazione delle regole processuali in materia di interesse ad agire e ha, di conseguenza, ritenuto che l’Amministrazione non avesse, con la comunicazione inviata l’8 agosto 2018, effettivamente leso l’interesse legittimo del ricorrente a veder soddisfatta la propria pretesa, in quanto le caratteristiche di tale nota impediscono la sua riconducibilità a un’esternazione di volontà dell’Autorità competente a decidere sull’istanza, trattandosi – al contrario – di mero atto interlocutorio. Tuttavia, il Giudice di primo grado non ha considerato che proprio la comunicazione per cui è causa, pur non avendo natura stricto sensu provvedimentale, ha determinato un arresto del procedimento amministrativo che ha – di fatto – negato la pretesa avanzata dallo straniero. A tale conclusione si giunge se si considera che la comunicazione via pec qui censurata non è stata seguita da alcuna ulteriore attività provvedimentale da parte dell’autorità competente, nonostante i numerosi solleciti.

2. Tanto premesso in ordine all’effettiva sussistenza, nella fattispecie de qua, dell’interesse a ricorrere, si può passare all’esame del merito, non rendendosi necessario l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al primo Giudice.

La giurisprudenza della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (30 luglio 2018, n. 10;
n. 11;
5 settembre 2018, n. 14;
28 settembre 2018, n. 15) è, infatti, ormai consolidata nel ritenere che l’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado non integri una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., norma considerata di carattere tassativo e non suscettibile di interpretazioni analogiche o estensive. La citata Adunanza Plenaria ha chiarito che la dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità e improcedibilità estingue l’azione e consuma la potestas iudicandi: il giudice di primo grado, infatti, nel ritenere che sussista una delle ragioni litis ingressum impedientes, non abdica alla sua potestas iudicandi, ma valuta, per quanto, in ipotesi, erroneamente, che ricorra una questione preliminare idonea a definire il giudizio avanti a sé.

Pertanto, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato deve decidere nel merito, nei limiti della domanda riproposta, sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (sez. II, 19 marzo 2020, n. 1951;
sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158). In particolare, il giudice di secondo grado può pronunciarsi sulla domanda o sulle domande non esaminate in primo grado o erroneamente dichiarate irricevibili, inammissibili o improcedibili solo se, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a, tali domande siano state oggetto di rituale riproposizione.

3. Passando al merito della vicenda contenziosa, giova premettere che il permesso di soggiorno per protezione sociale, ex art. 18, d.lgs. n. 286 del 1998, è una misura premiale che viene normalmente riconosciuta alle vittime di violenza o di sfruttamento (ad es. vittime del caporalato e della prostituzione) che denunciano i loro aguzzini collaborando con la giustizia, consentendo in questo modo l’emersione di tali reati e la condanna dei responsabili.

La ratio dell’istituto è quella di premiare la collaborazione delle vittime, in modo da poter incentivare le loro denunce nei confronti delle organizzazioni criminali, arginando in questo modo il fenomeno criminoso. Tale ratio è comune ad altre misure premiali previste dall’ordinamento (ad es. in materia di collaboratori di giustizia, di vittime di estorsione, di usura, e così via), in quanto il Legislatore si è reso conto che determinati fenomeni criminosi si possono combattere più agevolmente attraverso la collaborazione dei soggetti intranei ad esso, o perché facenti parte essi stessi dei sodalizi criminosi, o perché loro vittime. Di qui l’interesse ad incentivare con benefici - qual è il rilascio del permesso di soggiorno - i cittadini stranieri che denuncino gli appartenenti alle consorterie criminose.

Nel provvedimento impugnato l’Amministrazione ha escluso la possibilità di riconoscere tale tipo di permesso ma non ne ha motivato le ragioni, argomentazioni che sarebbero state invece necessarie per consentire all’interessato di difendersi dimostrando la sussistenza dei requisiti normativamente previsti.

4. L’appello è dunque fondato, con conseguente riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. II, -OMISSIS- ed accoglimento del ricorso di primo grado, con l’obbligo dell’amministrazione di ripronunciare sull’istanza entro trenta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Quanto alle spese di lite relative al doppio grado di giudizio, tenuto conto della novità della questione trattata, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

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