Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-06, n. 201907572

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-06, n. 201907572
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907572
Data del deposito : 6 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/11/2019

N. 07572/2019REG.PROV.COLL.

N. 03358/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3358 del 2017, proposto da
V R, M F R, G R, V R, rappresentati e difesi dall'avvocato F S E, con domicilio eletto presso lo studio Massimo Lauro in Roma, via Ludovisi, 35;

contro

Comune di Piano di Sorrento, rappresentato e difeso dall'avvocato E F, con domicilio eletto presso lo studio Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli, 11;

nei confronti

Anas S.p.A, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Settima) n. 4826/2016, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Piano di Sorrento e di Anas S.p.A;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati F S E, E F, l'avvocato dello Stato Paola De Nuntis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza n. 4826/2016 del 21-10-2016 il Tribunale amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Settima) rigettava il ricorso proposto dai signori M F R, V R, G R e V R, inteso ad ottenere l’annullamento dei seguenti atti: 1) determinazione n. 212 del 3 maggio 2013, emessa dal Responsabile del V Settore del Comune di Piano di Sorrento, recante il provvedimento finale di diniego di condono edilizio, in esito al procedimento relativo alla Conferenza di servizi avente ad oggetto “Acquisizione dei pareri necessari alla definizione della pratica di condono edilizio n. 188 della l. n. 47/85”;
2) nota prot. Anas Cna – 0012788 del 26-3-2013, con cui l’Anas ha espresso parere negativo alla richiesta di condono presentata dai signori R.

La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.

1. I ricorrenti, comproprietari di un immobile sito in Comune di Piano di Sorrento alla via Meta Amalfi n. 49, catastalmente identificato al foglio 10, particelle nn. 135 e 952, con nota prot. n. 9575 dell’8.5.2012, hanno chiesto al Comune resistente l’indizione di una conferenza di servizi per acquisire i pareri necessari alla definizione della pratica di condono prot. n. 188, avanzata ai sensi della legge n. 47/1985.

1.2. Con il provvedimento gravato l’amministrazione comunale, uniformandosi al parere negativo espresso dall’Anas, ha denegato il condono poiché gli interventi abusivi di proprietà dei ricorrenti sono ubicati ad una distanza dal ciglio della SS 163 di circa 7.50 e, pertanto, ricadono all’interno della fascia di rispetto stradale, inibita alle edificazioni per la larghezza di ml. 30,00 in base al D.M. n. 1404 del 4.4.1968.

1.3. I ricorrenti deducono l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione di legge (art. 97 Cost.;
artt. 14 ter, commi 6 e 8, 14 quater, comma 1, della legge n. 241/1990;
art. 4, comma 3, della Circolare Ministero LL.PP. 3357/25 del 30.7.1985) e per eccesso di potere sotto molteplici profili, concludendo per l’annullamento degli stessi.

2. Il Comune di Piano di Sorrento, ritualmente costituito in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.

3.L’A.N.A.S. s.p.a., costituita in giudizio, ha concluso per il rigetto del gravame in quanto infondato.

4. Con l’ordinanza n. 4536 del 7.9.2015 la Sezione ha disposto una verificazione, ai sensi dell’art. 66 c.p.a., tesa ad accertare, tenendo conto di tutte le censure sollevate e previa accurata descrizione dello stato dei luoghi e delle opere oggetto da condonare, la ricorrenza di una serie di circostanze fattuali dedotte dalle parti in causa nelle rispettive memorie difensive, demandandola al Dirigente dell’Ufficio tecnico per la Provincia di Napoli del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania - Molise.

5. All’esito della verificazione, depositata in data 25.1.2016 e preso atto delle memorie depositate ai sensi dell’art. 73 c.p.a., alla pubblica udienza del 21.6.2016 la causa è stata trattenuta in decisione. ”.

Il Tribunale Amministrativo riteneva l’infondatezza del ricorso, evidenziando che:

-i manufatti si trovavano, dal ciglio stradale, a distanza inferiore da quella prevista dal d.m. n. 1404/1968;

-la violazione della distanza legale non era stata determinata dalla procedura di esproprio posta in essere dall’Anas;

-era irrilevante, in relazione al mancato rispetto della distanza, la circostanza che i manufatti oggetto di condono si trovassero in posizione sopraelevata rispetto alla sede stradale e che in precedenza l’Ente aveva autorizzato, a distanza inferiore, la realizzazione di un muro di contenimento e di un pergolato;

- non erano ravvisabili violazioni rilevanti delle disposizioni regolatorie dell’istituto della conferenza di servizi.

Avverso la decisione di rigetto del giudice di primo grado i signori R hanno proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

Hanno in proposito articolato i seguenti motivi di gravame: 1) Error in iudicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. n. 47/85 – violazione e falsa applicazione art. 3 l. n. 241/1990 – mancata valutazione del giudice di primo grado degli aspetti di contraddittorietà e carenza di motivazione nei provvedimenti impugnati pur evidenziati nei motivi formulati – errata valutazione in ordine alla evidente contraddittorietà manifesta del diniego tenuto conto del precedente parere favorevole per il pergolato coperto;
2) Error in procedendo et in iudicando – contraddittorietà della decisione con l’ordinanza istruttoria n. 4536 del 7-9-2015 – illogicità;
3) Error in iudicando et in procedendo – erroneità dei presupposti di fatto – violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 285/1982 e della circolare 30-12-1970 n. 5980 del Ministero dei lavori Pubblici – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 47/85;
4) Error in procedendo et in iudicando – erroneità dei presupposti di fatto – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della l. n. 47/85 anche in relazione alla circolare Anas n. 50 del 30-10-1985 ed alla circolare del ministero dei LL.PP. n. 3357/85;
5) Error in iudicando et in procedendo – errata valutazione in ordine ai motivi formulati con il ricorso con i quali è stata dedotta violazione delle regole procedurali e dei principi del giusto procedimento – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 14-quater, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Piano di Sorrento e l’ANAS, deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Le parti hanno depositato memorie illustrative e di replica.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 6 giugno 2019.

DIRITTO

Con il primo motivo i signori R lamentano: Error in iudicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. n. 47/85 – violazione e falsa applicazione art. 3 l. n. 241/1990 – mancata valutazione del giudice di primo grado degli aspetti di contraddittorietà e carenza di motivazione nei provvedimenti impugnati pur evidenziati nei motivi formulati – errata valutazione in ordine alla evidente contraddittorietà manifesta del diniego, tenuto conto del precedente parere favorevole per il pergolato coperto.

Essi deducono che erroneamente il Tribunale avrebbe posto a fondamento del rigetto la constatazione che gli ampliamenti eseguiti fossero, rispetto alla strada statale, a distanza inferiore a quella prescritta dal d.m. 1404/1968.

Invero, l’intervento oggetto della domanda di condono si era concretato nella realizzazione di due modesti ampliamenti, il corpo B nella parte retrostante del fabbricato ed il corpo A all’interno del muro di contenimento e, dunque, in posizione tale da non arrecare pregiudizio alla sicurezza stradale.

Evidenziano, altresì, che il corpo B corrisponde, quanto ad ingombro e volume, al pergolato in legno autorizzato, previo parere favorevole dell’Anas, con concessione edilizia n. 43 del 20-10-1980;
mentre il corpo A risultava essere stato realizzato all’interno del muro di recinzione, anche esso autorizzato, previo parere favorevole dell’Anas, con la prefata concessione edilizia.

Dunque, il corpo B era null’altro che la trasformazione del preesistente pergolato in veranda, con conservazione dell’ingombro e della sagoma, onde il Comune e l’Anas avrebbero dovuto indicare le ragioni per le quali la veranda, a differenza del pergolato e più del pergolato stesso, potesse costituire fonte di pericolo per la sicurezza stradale.

A fronte di un precedente favorevole, dunque, gli enti avrebbero dovuto rendere puntuale e rigorosa motivazione in ordine alle ragioni che le avevano indotte a rendere una determinazione negativa, pur a fronte del precedente parere favorevole;
in tal modo superando l’intrinseca contraddittorietà che si palesava tra gli atti.

Il motivo non è meritevole di favorevole considerazione.

E tanto per le ragioni che di seguito si svolgono.

Il decreto del Ministero dei Lavori pubblici 1° aprile 1968 n. 1404 reca disposizioni relativamente alle “ Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all’art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 ”.

Esso, all’articolo 3, distingue le tipologie di strade in: Autostrade (lettera A), Strade di grande comunicazione o di traffico elevato (lettera B);
Strade di media importanza (lettera C) e Strade di interesse locale (lettera D).

L’articolo 4 prevede, poi, che “ Le distanze da osservarsi a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale sono così da stabilire: strade di tipo A) – m.60,00;
strade di tipo B) –m.40,00;
strade di tipo C) – m.30,00;
strade di tipo D) – m. 20
”.

L’indicazione di tali distanze come “ minime ” e la circostanza che le stesse sono poste “ a protezione del nastro stradale ” depone, già alla mera lettura delle prefate disposizioni normative, per il loro carattere assoluto e non derogabile, configurandosi, in relazione alla loro operatività, un vincolo di inedificabilità assoluto.

Tale natura è, poi, con orientamento consolidato, affermata dalla giurisprudenza.

Si ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata.

Il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 1961 e dal successivo d.m. n. 1404 del 1968, dunque, non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti ( cfr. , ex multis, Cons. Stato, IV, 30-9-2008, n. 4719;
Cons. Stato, 15-4-2013, n.2062;
Cass. Civ., II, 3-11-2010, n. 22422;
TAR Toscana, III, 23-7-2012, n. 1347;
TAR Campania,II, 26-10-2012, n. 4283).

L’inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo stesso, in tema di condono edilizio, nell’ambito applicativo dell’articolo 33 della legge n. 47/85, disciplinante le “ Opere non suscettibili di sanatoria ” (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2062/2013 cit.).

Ed, invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che “ Le opere di cui all’articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: ….d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree ”.

Osserva il Collegio che nella vicenda in esame trova applicazione il richiamato articolo 33, considerandosi che i manufatti per i quali è richiesto il condono edilizio sono stati realizzati negli anni 80, dunque successivamente alla operatività del vincolo di cui al richiamato d.m. del 1° aprile del 1968 ( la circostanza della realizzazione delle opere successivamente all’imposizione del vincolo è affermata anche nella sentenza di primo grado, sul punto non oggetto di specifica contestazione).

Ed, invero, al riguardo non può farsi riferimento al fabbricato originario, che il verificatore definisce “ forse plurisecolare ”, ma occorre aver conto dei manufatti oggetto di condono, i quali, costituiti da una veranda e da un nuovo corpo di fabbrica, presentano, rispetto al primo, una loro autonoma consistenza, che ne consente l’identificazione quali opere da esso distinte.

O, rileva il Collegio che, acclarata la inedificabilità assoluta della fascia di rispetto stradale, il parere negativo dell’organo preposto alla tutela del vincolo e il conseguente diniego di condono, risultando vincolata la determinazione amministrativa a seguito dell’accertamento del mancato rispetto della distanza minima prescritta, non dovevano recare alcuna altra motivazione se non l’indicazione di tale mancata osservanza.

Invero, l’incondonabilità delle opere poste a distanza inferiore da quella legale, riveniente dal carattere assoluto del vincolo di inedificabilità, non richiedeva alcuna altra valutazione in ordine alla collocazione dei manufatti ovvero alla avvenuto rilascio, in passato, di nulla osta da parte dell’Anas per opere situate nella stessa proprietà.

Va, in proposito, in primo luogo osservato che alcuna valutazione l’Amministrazione doveva rendere in ordine all’esistenza di un concreto pregiudizio per la sicurezza del traffico.

Invero, l’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta imposto prima della realizzazione delle opere ne comporta comunque l’incondonabilità, ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 47/1985, richiedendosi, invece, una valutazione in ordine alla inesistenza di una minaccia alla sicurezza del traffico solo in ipotesi di vincolo imposto successivamente alla realizzazione dei manufatti dei quali si richiede la sanatoria, nel qual caso il legislatore prevede che il vincolo di inedificabilità sia relativo (art. 32 l. n. 47/85).

Nella specie, come si è sopra visto, il vincolo di inedificabilità è assoluto ed inderogabile, con la conseguenza che alcun rilievo può assumere, anche ai fini motivazionali, la concreta collocazione del manufatto e l’esistenza di altre opere nella fascia di rispetto stradale che siano state precedentemente autorizzate dall’ente preposto alla tutela del vincolo.

In ogni caso, deve comunque essere evidenziato che non sussiste la lamentata contraddittorietà.

Quanto al manufatto indicato come corpo A, ritiene il Collegio che non abbia rilevanza la circostanza che lo stesso si trova in posizione sopraelevata rispetto alla sede stradale né che esso è situato in posizione arretrata rispetto al muro di contenimento autorizzato dall’Anas con nulla osta n. 34308 del 27-9-1980.

Va in proposito richiamato l’orientamento giurisprudenziale più sopra esposto, il quale, in relazione al carattere assoluto del vincolo di inedificabilità ed alla ratio del divieto di costruzione nelle aree di rispetto stradale, afferma che le distanze vadano rispettate anche quando le opere siano sopraelevate ovvero si trovino in posizione arretrata rispetto ad altre opere preesistenti.

Evidenzia comunque il Collegio, ferme restando le considerazioni svolte in ordine alla natura assoluta del vincolo di inedificabilità ed alla incondonabilità delle opere realizzate in area di rispetto stradale, che non può dirsi che il fabbricato, così come collocato, non sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla sicurezza del traffico.

Il carattere sopraelevato, invero, non esclude che eventi di rovina ad esso relativi possano interessare anche la sede stradale.

Il muro di contenimento autorizzato non pare, poi, poter escludere tali conseguenze, avuto riguardo alla circostanza, evincibile dalla documentazione fotografica agli atti di causa, che il manufatto non è coperto dal muro.

Né possono ricavarsi profili di contraddittorietà tra la mancata autorizzazione del corpo A e l’avvenuto rilascio del nulla osta, nell’anno 1980, per la realizzazione del muro di contenimento.

Quest’ultimo, invero, a differenza del manufatto destinato ad abitazione, persegue anche una finalità di tutela della sede stradale, costituendo elemento di contenimento atto ad impedire frane ovvero cadute di cose dalla proprietà R sulla sede stradale medesima.

Quanto sopra, comunque, fatta salva l’assorbente considerazione che, in ipotesi di divieto assoluto di inedificabilità, un precedente rilascio di autorizzazione in violazione di esso, e come tale illegittimo, non può giustificare il rilascio di altre autorizzazioni né concretare contraddittorietà o disparità di trattamento, atteso il carattere vincolato della determinazione negativa che l’ente deve assumere sul punto.

Venendo ora alla veranda, indicata come corpo B, vanno ribadite le considerazioni sopra rese in ordine alla non necessità di una motivazione ulteriore oltre il rilievo della violazione delle distanze, in ragione del carattere assoluto del vincolo di inedificabilità e della incondonabilità dell’opera;
nonché quelle in ordine alla inconfigurabilità del vizio di contraddittorietà o disparità di trattamento riveniente dal rilascio di una precedente autorizzazione illegittima.

A tanto va aggiunto che, in ogni caso, l’avvenuto rilascio del nulla osta per la realizzazione del pergolato non imponeva una determinazione favorevole anche per la veranda.

Invero, anche a voler ritenere che l’ingombro sia rimasto lo stesso, non può non rilevarsi che le opere sono diverse, costituendo la veranda, a differenza del pergolato, un manufatto chiuso e costituente volumetria;
come tale, avente una maggiore potenzialità di vulnus sul vincolo di rispetto stradale, in ragione della diversa consistenza quantitativa e qualitativa.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, il primo motivo di appello deve essere rigettato.

Con il secondo motivo i signori R lamentano: Error in procedendo et in iudicando – contraddittorietà della decisione con l’ordinanza istruttoria n. 4536 del 7-9-2015 – illogicità.

Rilevano che l’ordinanza istruttoria n. 4536 del 7-9-2015 aveva chiesto al verificatore di accertare, per il fabbricato contraddistinto con la lettera B, per il quale l’abuso era consistito anche nell’ampliamento di volume attraverso la realizzazione di una veranda con pareti vetrate a chiusura di un preesistente pergolato, se la realizzazione di quest’ultimo fosse stata regolarmente autorizzata dal Comune sulla base di un nulla osta positivo dell’Anas.

Lamentano, quindi, che nonostante il verificatore avesse accertato il rilascio di concessione edilizia (n. 43 del 20-10-1980) e di parere favorevole Anas (nulla osta n. 34308 del 27-9-1980), il Tribunale non aveva accolto sul punto il ricorso né aveva esplicitato le ragioni per le quali aveva inteso, in sentenza, discostarsi dall’impostazione che aveva caratterizzato l’ordinanza con la quale era stata disposta la verificazione.

La doglianza non ha pregio.

Va, invero, evidenziato che l’accertamento, attraverso la verificazione, di circostanze fattuali dedotte dal ricorrente non condiziona previamente il contenuto della decisione del giudice, nel senso che, ove accertate tali circostanze, questa debba necessariamente esplicitarsi in senso favorevole per il ricorrente.

La funzione della verificazione è, più propriamente, quella di accertare fatti e circostanze, onde tradurre gli stessi da mera asserzione di parte in realtà oggettiva giudizialmente dimostrata, sulla quale poi possano essere operate le valutazioni dell’organo giudicante ai fini della decisione.

Il fatto che essa attiene ad elementi prospettati dal ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, non comporta che, acclarati tali elementi, l’esito del gravame sia scontato.

Allo stesso modo, non risultando la verificazione necessariamente funzionale all’accoglimento del ricorso, il giudice non deve motivare il perché abbia inteso “ discostarsi dall’impostazione che aveva caratterizzato l’ordinanza con la quale era stata disposta la verificazione ”, appunto perché il disporre verificazione, sia pure su circostanze dedotte dal ricorrente, non è funzionale all’accoglimento del ricorso, ma unicamente all’esame dello stesso, che può comportarne tanto l’accoglimento quanto la reiezione.

Con il terzo motivo viene dedotto: Error in iudicando et in procedendo – erroneità dei presupposti di fatto – violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 285/1982 e della circolare 30-12-1970 n. 5980 del Ministero dei lavori Pubblici – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 47/85.

I signori R evidenziano che il Comune di Piano di Sorrento, con deliberazione di G.M. n. 420 del 5-12-2000 e con successiva delibera n. 427/200, aveva individuato alcune aree del territorio comunale come centro abitato.

O, l’area di insistenza del fabbricato di proprietà R, pur non essendo definita come centro abitato, ne presenta tutte le caratteristiche.

Invero:

-essa è ricompresa tra due aree costituenti centro abitato;

-nel tratto di strada prospiciente è presente l’illuminazione pubblica di città e il limite di velocità stabilito è di 50 Km /h, ossia quello previsto dal Codice della Strada per i centri abitati;

-il fabbricato R è ricompreso in un nucleo di oltre venticinque fabbricati con accessi veicolari e pedonali sulla strada pubblica.

Deducono, pertanto, che, ai fini della individuazione delle distanze da osservare, occorreva operare riferimento alla situazione di fatto, la quale evidenziava la natura di centro abitato dell’area di insistenza del fabbricato, irrilevante essendo la circostanza di una mancata qualificazione formale in tal senso.

O, il verificatore avrebbe dovuto accertare che si era in presenza di una connotazione fattuale di centro urbano, con conseguente inapplicabilità delle distanze fissate dal d.m. 1404/1968 ed altrettanto avrebbe dovuto rilevare il giudice di primo grado, in quanto la relazione di verificazione comunque evidenziava che le opere ricadevano in un “ complesso edilizio ”.

Ritiene il Collegio che il motivo di appello sia inammissibile.

Abilmente la difesa degli appellanti cerca di ricondurre la doglianza all’operato del verificatore ed alla decisione del giudice di primo grado, censurandone una omessa considerazione della realtà fattuale della zona del territorio comunale di insistenza del fabbricato, la quale, connotata - pur in assenza di formale deliberazione comunale sul punto- dai caratteri del centro abitato, avrebbe comportato l’inapplicabilità delle distanze di cui al d.m. n. 1404/1968, in quanto da osservarsi solo al di fuori del perimetro dei centri abitati.

O, in disparte la considerazione che l’articolo 1 del decreto ministeriale opera riferimento letterale al “ perimetro” dei centri abitati così lasciando intendere che debba esservi una individuazione formale degli stessi, va osservato che lo stesso provvedimento impugnato e, segnatamente, il parere negativo dell’ANAS ritiene la violazione delle distanze in quanto i manufatti oggetto di condono sono situati al difuori del centro abitato.

Si legge, invero, nella nota prot. ANAS CNA-0012788-P del 26-3-2013: “….-considerato che i predetti corpi di fabbrica, realizzati nel 1983 e ricadenti fuori del Centro Abitato del Comune di Piano di Sorrento, risultano ubicati all’interno della fascia di rispetto stradale inibita alle edificazioni della larghezza di ml. 30.00, in conformità a quanto previsto dal d.m. n. 1404 del 04.04.1968 per le strade assimilabili a quelle di tipo C “extraurbane secondarie”;…… ”.

La doglianza relativa alla configurabilità nella specie di un centro abitato andava, dunque, proposta nei confronti del provvedimento amministrativo impugnato, il quale, per tale parte, era certamente lesivo della posizione giuridico-soggettiva dei ricorrenti.

O, dalla lettura del ricorso introduttivo di primo grado non si evince la deduzione di un vizio di legittimità riveniente dalla omessa considerazione che i manufatti erano in realtà situati in centro abitato, donde l’inapplicabilità delle distanze previste dal decreto ministeriale.

Nel motivo di ricorso rubricato sub IV, invece, si afferma espressamente “ che le opere edilizie di cui i ricorrenti chiedono il condono sono poste, rispetto alla SS 163 Meta Amalfi, a distanza inferiore a quella prevista dalla normativa vigente ”, mentre il dedotto vizio di difetto di istruttoria è riferito alla omessa considerazione della ubicazione dei manufatti, non costituenti perciò pericolo per la sicurezza stradale, all’avvenuto rilascio della concessione edilizia e del nulla osta Anas nel 1980 relativamente al muro di contenimento ed al pergolato che la veranda abusiva aveva sostituito.

Da quanto sopra, dunque, emerge che, in assenza di impugnativa sul punto del diniego di condono e del parere Anas, non può in sede di appello contestarsi la sentenza di primo grado per non avere ritenuto in concreto sussistere un centro abitato nell’area di insistenza dei manufatti.

Ove, poi, la censura dovesse sostanzialmente ritenersi riferita ai predetti provvedimenti amministrativi, pur se formalmente esplicitata nei confronti della verificazione e della sentenza di primo grado, essa sarebbe inammissibile per violazione dell’articolo 104 c.p.a., trattandosi di motivo proposto per la prima volta in sede di appello.

Il mezzo di gravame è, dunque, inammissibile.

Da tanto deriva che non risulta accoglibile la richiesta, formulata dalla difesa dei signori R, diretta a disporre nuova verificazione, al fine di acclarare la sussistenza delle condizioni per ritenere “centro abitato” l’area di insistenza dei manufatti.

Con il quarto motivo i signori R lamentano: Error in procedendo et in iudicando – erroneità dei presupposti di fatto – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della l. n. 47/85 anche in relazione alla circolare Anas n. 50 del 30-10-1985 ed alla circolare del ministero dei LL.PP. n. 3357/85.

Deducono che l’articolo 32 della legge n. 47/85 prevede la possibilità di rimuovere il vincolo relativamente ad opere che, seppure in contrasto con le norme del d.m. 1404/1968, non costituiscano minaccia per la sicurezza del traffico.

Nel caso di specie, la verificazione aveva acclarato che le opere oggetto di istanza di condono ricadevano in un lotto di terreno che si inerpicava fino ad una quota di +10,20 mt. dal piano stradale.

Di conseguenza, tale posizione sopraelevata rispetto alla strada escludeva che potesse esservi minaccia per la sicurezza del traffico.

Inoltre, la circolare Anas n. 50 del 30-10-1985 prevedeva che, ai fini del condono, potessero essere assunti valori inferiori e meno rigorosi rispetto a quelli stabiliti in linea generale nelle zone in cui il vincolo risultasse sostanzialmente compromesso dalla esistenza di opere non abusive.

O, il fabbricato in questione ricadeva in area in cui il vincolo stradale risultava già compromesso per l’esistenza di manufatti legittimi, sotto il duplice aspetto urbanistico e paesaggistico.

Il motivo di appello è infondato.

Valgono in proposito le argomentazioni rese a confutazione del primo motivo di appello.

Come sopra riferito richiamando il costante orientamento giurisprudenziale sul punto, il vincolo relativo alla fascia di rispetto stradale è un vincolo di inedificabilità assoluta, con conseguente incondonabilità, ex articolo 33 della legge n. 47/85, delle opere realizzate in violazione delle distanze previste dal d.m. n. 1404/1968.

Non rileva, dunque, ai fini della condonabilità delle opere, la circostanza che le stesse non rechino minaccia per la sicurezza del traffico.

Invero, il vincolo di inedificabilità diviene relativo, ai fini del condono ed in virtù della previsione dell’articolo 32 della legge n. 47/85, solo se trattasi di opere realizzate prima dell’apposizione del vincolo, fattispecie la cui sussistenza non risulta dimostrata nella vicenda in esame, risalendo i manufatti abusivi al 1980.

L’esistenza di un vincolo assoluto esclude, poi, che possa darsi rilievo all’esistenza in zona di preesistenti manufatti regolarmente edificati a distanza inferiore dai limiti previsti dal d.m. n. 1404.

Sono state, infine, più sopra esposte le ragioni per le quali la natura sopraelevata dei manufatti non incide sull’esistenza e sull’operatività del vincolo.

Anche il quarto motivo di appello deve, pertanto, essere rigettato.

Resta a questo punto da esaminare il quinto motivo, con il quale si lamenta: Error in iudicando et in procedendo – errata valutazione in ordine ai motivi formulati con il ricorso con i quali è stata dedotta violazione delle regole procedurali e dei principi del giusto procedimento – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 14-quater, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

I signori R deducono che erroneamente il Tribunale Amministrativo ha ritenuto che il parere espresso dall’Anas non avesse violato le regole di partecipazione procedimentale.

Invero, l’Anas non aveva partecipato alle diverse sedute della conferenza di servizi e si era limitata a chiedere integrazioni della documentazione fornita dall’amministrazione comunale.

Essa aveva, poi, prodotto, nell’ultima seduta, un parere negativo, depositato da un soggetto sprovvisto di delega.

Di conseguenza, non poteva tenersi in alcun conto un parere negativo formulato al di fuori della conferenza di servizi e, dunque, il Comune avrebbe dovuto interpretare come assenso le reiterate assenze dell’Ente in Conferenza di servizi.

Il motivo non è meritevole di favorevole considerazione.

E tanto per le ragioni che di seguito si svolgono.

La conferenza di servizi costituisce un modulo procedimentale volto alla semplificazione ed alla accelerazione dei tempi di svolgimento dell’attività amministrativa, conducendo in un unico contesto l’espressione delle determinazioni delle diverse autorità amministrative coinvolte in un procedimento al fine della emanazione del provvedimento finale, conclusivo del procedimento medesimo.

In tale ottica semplificatoria si inseriscono le previsioni della legge n. 241 del 1990, volte a prescrivere la partecipazione delle amministrazioni attraverso un unico rappresentante legittimato ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’ente (art. 14-ter, comma 6), l’assunzione della determinazione finale di conclusione del procedimento tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza che sostituisce gli atti di assenso delle amministrazioni invitate ma risultate assenti ( comma 6 bis), l’avvenuta acquisizione dell’assenso quando il rappresentante dell’amministrazione, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione (comma 7), la manifestazione del dissenso, a pena di inammissibilità, all’interno della conferenza di servizi ( art. 14 ter, comma 1).

Deve, peraltro, essere evidenziato che le suddette regole vanno applicate rigidamente quando

gli assensi da acquisire (necessari per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento) da parte di amministrazioni diverse da quella procedente abbiano carattere discrezionale, potendo le relative determinazioni astrattamente esprimersi in termini positivi o negativi e potendo, di conseguenza, la valutazione degli interessi pubblici coinvolti essere sostituita dalla maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza medesima ovvero comunque effettuata con il supporto delle altre amministrazioni partecipanti.

Non può, invece, farsi rigida applicazione delle richiamate regole e, dunque, la loro mancata osservanza non produce effetti invalidanti tutte le volte in cui la determinazione dell’amministrazione coinvolta (in ordine al nulla osta, parere o autorizzazione di competenza) abbia un contenuto vincolato e doveroso.

In tal caso, infatti, non vi è spazio per una diversa determinazione assunta con la regola della maggioranza, né è possibile ritenere comunque acquisito l’assenso (per effetto della non rituale partecipazione alla conferenza di servizi) tutte le volte in cui l’amministrazione cui spetta l’espressione del parere lo abbia comunque fornito rendendone edotti i soggetti partecipanti alla conferenza e la stessa amministrazione procedente.

Invero, diversamente opinando, l’istituto della conferenza di servizi condurrebbe a risultati illegittimi, ossia a ritenere acquisito un assenso che, invece, doveva essere negato ( ed è stato in concreto negato), all’esito di una attività vincolata e doverosa dell’amministrazione.

Con ciò travalicandosi la ratio e la finalità della conferenza di servizi che è quella di semplificare ed accelerare l’azione amministrativa e non certamente di giungere all’adozione di provvedimenti illegittimi.

Ciò posto, rileva il Collegio che nella fattispecie in esame si è di fronte ad un vincolo di inedificabilità assoluto, con la conseguenza che, in relazione alla collocazione dei manufatti al di fuori del centro abitato, la mancata osservanza delle distanze dal ciglio stradale prescritte dal d.m. n. 1404/1968 comportava, quale esito doveroso e vincolato, l’espressione, da parte dell’Anas, di un parere negativo alla condonabilità delle opere.

Ne consegue, in base a quanto sopra esposto, che le dedotte violazioni della normativa disciplinante l’istituto della conferenza di servizi non producono illegittimità dei provvedimenti gravati.

Va, invero, considerato che, avendo l’Anas comunque espresso un parere negativo (dal contenuto vincolato) con nota prot. ANAS CNA – 0012788-P del 26-3-2013 e risultando comunque lo stesso acquisito in conferenza di servizi, l’ente locale legittimamente ne ha tenuto conto nell’assunzione della determinazione finale di diniego del richiesto condono edilizio.

Non assume, dunque, valenza invalidante il fatto che non vi sia stata partecipazione fisica dell’Anas alle diverse sedute della conferenza di servizi e che nella seduta conclusiva sia intervenuto un soggetto sprovvisto di delega che ha depositato il richiamato parere.

In relazione al carattere assoluto del vincolo di inedificabilità ed alla conseguente natura vincolata del parere da esprimersi, il Comune non poteva ignorare la nota prodotta dall’Anas e non poteva, pertanto, ritenere per acquisito l’assenso dell’autorità preposta al vincolo.

Va comunque evidenziato che, da un punto di vista sostanziale, l’Ente non si è sottratto al confronto con le altre autorità amministrative coinvolte.

Attesa la natura vincolata e non discrezionale dell’attività ad esso spettante, il confronto doveva essere limitato all’ accertamento dei presupposti fattuali in presenza dei quali operava il vincolo.

O, in proposito l’Anas ha chiesto, con reiterate note, la documentazione necessaria per verificare l’ubicazione dei manufatti al di fuori ovvero all’interno del centro abitato nonché le previsioni dello strumento urbanistico generale in tema di distanze dal nastro stradale.

Solo in ordine a tali circostanze esso doveva interpellare le autorità amministrative competenti (come in concreto è avvenuto), mentre l’espressione del parere – dovendosi unicamente verificare il rispetto delle distanze previste dal d.m. n. 1404/1968- non necessitava di alcuna interlocuzione, non trattandosi di valutare comparativamente gli interessi coinvolti ma unicamente di verificare, con accertamento scevro da margini di opinabilità, l’osservanza dei limiti di distanza normativamente imposti.

Deve, poi, essere evidenziato che il parere negativo, sottoscritto da organo competente, è stato comunque depositato in sede di conferenza di servizi e, dunque, gli altri partecipanti, ove lo avessero ritenuto necessario, ben avrebbero potuto interloquire.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte l’appello è dunque, infondato e deve essere rigettato, con conseguente conferma della decisione di primo grado.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., ex multis, Cass. Civ., V, 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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