Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-09-11, n. 202308252

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-09-11, n. 202308252
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308252
Data del deposito : 11 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/09/2023

N. 08252/2023REG.PROV.COLL.

N. 06409/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6409 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati C E G, A R, con domicilio eletto presso lo studio A R in Roma, Lungotevere Sanzio n. 1.

contro

Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G G, N P, G R, con domicilio eletto presso lo studio N P in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 34.

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di -OMISSIS-;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.


FATTO e DIRITTO

1. I fatti rilevanti ai fini del decidere possono essere ricostruiti come segue:

- l’appellante è proprietario di un fondo sito nel Viale “Parco Mazza” del Comune di -OMISSIS-;

- a seguito di un sopralluogo effettuato dal Corpo Forestale, si è accertato che sul predetto fondo è stato realizzato uno scavo con interramento di rifiuti di risulta edile;

- conseguentemente, il Responsabile del Servizio Urbanistica, Ambiente e Ecologia del Comune di -OMISSIS-ha emesso un’ordinanza con la quale, ai sensi dell'art. 192, D.lgs. n. 152/2006, ha ingiunto all’odierno appellante la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti provenienti da lavorazioni edili e depositati in modo incontrollato all’interno dello scavo effettuato nel Viale “Parco Mazza”;

- in particolare, detta ordinanza ha disposto:

a) di rimuovere i rifiuti provenienti da lavorazioni edili e depositati in modo incontrollato all'interno dello scavo realizzato nel Viale “Parco Mazza”;

b) di provvedere al corretto smaltimento dei rifiuti mediante soggetti debitamente autorizzati;

c) di inviare al Comune di -OMISSIS-copia dei formulari di identificazione previsti dall'art. 5 del D. Lgs.22/97, debitamente controfirmati dagli impianti di smaltimento.

2. Avverso tale provvedimento il proprietario del fondo ha proposto ricorso per annullamento al T.a.r per la Lombardia, articolato nei seguenti due autonomi motivi:

a) violazione di legge in relazione all’art 192 del D.lgs. 152/06 e incompetenza;

b) eccesso di potere per travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà degli atti, illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione;

3. Il Ta.r. per la Lombardia ha respinto il ricorso.

3.1. In particolare, il giudice di primo grado ha così argomentato la pronuncia di rigetto: “Con il primo motivo si contesta la competenza del dirigente alla adozione del provvedimento della cui impugnativa si tratta, che l’art. 192 del D. L.vo 152/06 riserva al Sindaco, e non al dirigente.

Ancorché la censura debba riconoscersi astrattamente fondata, non può tuttavia per questo solo fatto determinare l’annullamento dell’atto dovendosi constatare che, attesa la situazione di fatto, il Sindaco non avrebbe comunque potuto adottare un provvedimento di diverso tenore.

Difatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la documentazione acquisita nel corso del giudizio consente di affermare che non si tratta solo di attività di sistemazione del terreno, poiché il ricorrente risulta aver realizzato, intorno al fabbricato, una sorta di trincea nella quale ha allocato materiale edile di risulta e terreno riportati da altri cantieri, senza dedurre né dimostrare di aver diritto ad effettuare il predetto deposito a titolo di deposito temporaneo.

A fronte della natura del materiale e del deposito realizzato sull’area di proprietà del ricorrente, è chiaro che non poteva non essere emesso l’ordine di rimozione previsto dall’art. 192 D. L.vo 152/2006, il quale non può che avere come contenuto la rimozione e lo smaltimento nelle discariche autorizzate, che può essere effettuato con le modalità rimesse all’obbligato, purché nel rispetto degli obblighi in materia.

L’Amministrazione ha quindi correttamente esercitato il potere ordinario di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell'art. 192, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che pone a carico del proprietario o di coloro che a qualunque titolo abbiano la disponibilità dell'area interessata dall'abbandono dei rifiuti, l’obbligo di ripristino del fondo, una volta accertata la loro responsabilità, a titolo di dolo o colpa. Infine, tenuto conto del fatto che i documenti acquisiti al fascicolo mostrano che i rifiuti oggetto della ordinanza impugnata sono stati depositati all’interno di una trincea realizzata nel terreno di proprietà del ricorrente, si spiega anche la ragione per la quale l’atto impugnato fa riferimento ai rifiuti rinvenuti nel sottosuolo ”.

4. Contro questa pronuncia l’originario ricorrente ha proposto appello con il quale ha reiterato i motivi già formulati con il ricorso in primo grado, sia pure adattandoli al contenuto della sentenza impugnata.

5. Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di -OMISSIS-, chiedendo il rigetto dell’appello.

6. In vista dell’udienza dell’8 giugno 2023 le parti hanno, per il tramite di memorie e repliche, specificato e ulteriormente argomentato le rispettive posizioni difensive.

7. All’udienza dell’8 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

8. La questione all’esame del Collegio attiene al tema della natura sostanziale o formale del vizio di incompetenza e a quello, correlato, della possibilità di poter applicare al vizio di incompetenza la speciale sanatoria processuale prevista dall’art. 21 octies , comma 2, legge 241/90.

9. Con il primo mezzo di gravame l’appellante assume l’erroneità della sentenza impugnata (e l’illegittimità dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti, di cui all’art. 192 del D.lgs. 152/06) per non aver annullato l’ordinanza di rimozione dei rifiuti, pur ritenendola affetta da un vizio di incompetenza.

9.1. In particolare, l’appellante, premesso che l’art. 192 del D.lgs.152/06 demanda l’adozione dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti alla competenza del Sindaco e non del dirigente, assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, pur ritenendo siffatto vizio astrattamente fondato, lo ha ritenuto superabile in base alla considerazione per cui il contenuto del provvedimento in concreto adottato non avrebbe potuto essere diverso da quello eventualmente adottato dall’organo effettivamente competente.

L’appellante, pertanto, si duole del fatto che il giudice di prime cure, nel respingere il ricorso, ha impropriamente applicato al vizio di incompetenza la peculiare sanatoria processuale di cui all’art. 21 octies della legge 241/90.

Il vizio di incompetenza, infatti, ad avviso dell’appellante, sarebbe un vizio di natura non meramente formale e, come tale, insuscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 21 octies , legge 7 agosto 1990, n. 241.

10. In via preliminare, il Collegio rileva che la prospettazione dell’appellante, in relazione all’incompetenza del dirigente ad adottare l'ordinanza di rimozione rifiuti, trova solido riscontro nella lettera della legge e nella più recente giurisprudenza amministrativa.

10.1. L’art. 192, del D.lgs. n. 152/2006, la cui rubrica reca “Divieto di abbandono”, stabilisce che:

1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.

2. à altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, che nelle acque superficiali e sotterranee.

3. Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.

4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni ”.

Il comma tre della riportata disposizione indica chiaramente nel Sindaco l’organo competente ad adottare l’ordinanza di rimozione dei rifiuti.

L’esame dei precedenti giurisprudenziali conferma tale conclusione.

La costante giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito, infatti, che l’ordinanza in esame può essere adottata esclusivamente dal Sindaco e non dal dirigente, poiché l'art. 192, D.lgs. n. 152/2006, è una disposizione sopravvenuta, speciale e derogatoria rispetto all’art. 107. comma 2, D.lgs. n. 267/2000 ( ex pluribus , cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, n. 6294/2020;
Sez. II, n. 6326/2020;
Sez. V, n. 57/2016).

11. Ciò premesso, il Collegio ravvisa sul tema della natura sostanziale o formale del vizio di incompetenza e su quello, connesso, della possibilità di poter applicare al vizio di incompetenza la speciale sanatoria processuale prevista dall’art. 21 octies , comma 2, della legge 241/90, un contrasto interpretativo nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.

11.1. Prima di esaminare l’evidenziato contrasto, appare utile premettere un breve inquadramento in relazione al vizio di incompetenza e all’istituto di cui all’art. 21 octies , comma 2, della legge 241/90.

Secondo una risalente, e largamente acquisita, definizione dottrinale, l'incompetenza ricorre nel caso di " violazione di quella norma di legge che determina l'assegnazione ai diversi organi amministrativi della attribuzione di compiere determinati atti ".

Si dice che un organo cade in quella disfunzione chiamata incompetenza quando compie un atto che sarebbe legalmente valido solo se compiuto da un altro organo (dello stesso o di altro ente). Reciprocamente, si dice che un atto è viziato da incompetenza quando è compiuto da un organo diverso da quello a cui per legge è riservato il potere di compiere validamente atti di quel tipo.

Il vizio di incompetenza può derivare dal fatto che l’autorità ha esercitato una competenza che è propria di altro organo dello stesso ente (es: il Sindaco che si sostituisce al consiglio comunale) o ha esercitato una competenza che è propria di organo di altro ente (es: il Sindaco che adotta un provvedimento di competenza del prefetto).

Perché ci sia incompetenza occorre comunque che il potere esercitato indebitamente sia previsto dalla legge come potere di altro organo (dello stesso o di altro ente).

Esorbita dall’area della incompetenza, invece, l’esercizio di un potere che la legge non attribuisce ad alcuna autorità amministrativa. In questo caso vi è carenza di potere, che dà luogo alla nullità dell’atto, ai sensi dell’art. 21 septies , legge 241/90.

L’art. 21 -octies, comma 2 della legge n. 241/1990 prevede una sorta di sanatoria processuale per i vizi di forma e del procedimento. In base a tale disposizione, in particolare, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso.

La ratio di questa previsione, ad avviso del prevalente orientamento giurisprudenziale, risiede nell’assenza di un concreto interesse ad ottenere l’annullamento di un provvedimento giusto nella sostanza e sbagliato solo nella forma. Si evidenzia, in tale prospettiva, che non avrebbe senso dare torto all'Amministrazione quando la pretesa del privato è infondata sul piano sostanziale, e, quindi, l’esercizio del potere successivo al giudicato non potrebbe che condurre all'adozione di un provvedimento di identico contenuto.

Sul piano strutturale, l’art. 21 octies, secondo comma, primo alinea, legge 241/90 prevede che il provvedimento non sia annullabile quando ricorrano necessariamente tutti i seguenti elementi:

a) violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti;

b) natura vincolata del provvedimento;

c)essere « palese » che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Centrale, ai fini dell’applicazione di siffatta disposizione, è, pertanto, l’individuazione del significato da attribuire alla locuzione « norme sul procedimento o sulla forma degli atti ».

11.2. La giurisprudenza amministrativa ha affrontato il tema alla natura formale o sostanziale del vizio di incompetenza al fine stabilire se sia applicabile il regime previsto da quest’ultima previsione normativa.

Secondo un primo indirizzo interpretativo, non sarebbe possibile, in relazione al vizio di incompetenza, fare applicazione della sanatoria di cui al citato art. 21 octies , in ragione della natura sostanziale del vizio.

A sostegno di tale conclusione si osserva che, nonostante non figuri nel c.p.a. una previsione analoga a quella in precedenza racchiusa nell’art. 26, co. 2, l. T.a.r. (la quale, come noto, prevedeva che, nel caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento per motivi di incompetenza, il giudice rimetteva l'affare all'autorità competente), dovrebbe cionondimeno darsi continuità alla impostazione che predica la portata assorbente del vizio di incompetenza, alla luce della previsione dell’art. 34 c.p.a., che preclude al Giudice di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati dall'amministrazione, da riferire anche ai poteri non esercitati dall'autorità competente, ovvero da quella chiamata a esplicare la propria volontà provvedimentale in base all’ordinamento di settore.

Dall’accoglimento di tale premessa, che sottende la riconduzione del vizio di incompetenza al profilo sostanziale dell’esercizio del potere amministrativo, si fa discendere la conseguenza per cui l’atto affetto da tale vizio, anche in presenza di un’attività vincolata, deve essere annullato, al fine di consentire all'organo titolare del munus agendi di esercitare il proprio potere (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2011, n. 2001).

Secondo un diverso indirizzo interpretativo, l’incompetenza relativa è un vizio di carattere meramente formale e, come tale, suscettibile, in presenza di un’attività vincolata, di essere reso irrilevante dall’accertamento che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, condotto al metro dell’art. 21 octies della legge 7 agosto1990, n. 241 (cfr. Consiglio di Stato;
Sez. V, 14 maggio 2013, n. 2602;
C. di S., V, 15 novembre 2012, n. 5772).

11.3. Il primo degli orientamenti esaminati è avvalorato dalla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015.

Nell’occasione, l’Adunanza Plenaria, pur non affrontando espressamente il tema dell’applicabilità dell’art. 21 octies , comma 2, al vizio di incompetenza, ha, nondimeno, avuto modo di affermare, per quanto di rilievo nel presente giudizio, i seguenti importanti principi di diritto: “L’art. 26, co. 2, l. T.a.r. imponeva, in caso di accoglimento del vizio di incompetenza, di rimettere l’affare all’autorità competente.

In ossequio al dettato legislativo, secondo un costante orientamento, il vizio di incompetenza doveva essere sempre scrutinato per primo, in quanto la valutazione del merito della controversia si sarebbe risolto in un giudizio meramente ipotetico sull’ulteriore attività amministrativa dell’organo competente cui spettava l’effettiva valutazione della vicenda e che avrebbe potuto emanare o meno l’atto in questione o comunque provvedere con un contenuto diverso. Diversamente opinando si sarebbe leso il principio del contraddittorio rispetto all’autorità competente dato che la regola di condotta giudiziale si sarebbe formata senza che questa abbia partecipato al giudizio;
il che trovava positiva conferma nel menzionato art. 26, co. 2, primo periodo. Si era conseguentemente escluso che la parte potesse subordinare l’esame del vizio di incompetenza al rigetto di altri motivi di impugnazione.

L’indirizzo tradizionale che si era formato all’interno della giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143;
Sez. V, 6 marzo 2001, n. 1253;
Sez. IV, 1 agosto 2001, n. 4214;
Sez. IV, 12 marzo 1996 n. 310), aveva in conclusione stabilito che:

a) nel conflitto fra ordine legale di esame dei motivi di ricorso - quanto al vizio di incompetenza ai sensi dell’art. 26, l. T.a.r. - e potere dispositivo della parte, la richiesta del ricorrente di previo esame degli altri motivi rispetto alla censura di incompetenza costituiva una condizione nulla, che come tale non soltanto era inutile, ma rendeva inammissibile per carenza di interesse il motivo di incompetenza proposto dalla parte subordinatamente agli altri motivi, con conseguente obbligo del giudice di esame con priorità degli altri motivi, cui la parte aveva interesse prevalente;

b) se il potere è stato esercitato da un’autorità incompetente, il giudice sul piano logico non può fare altro che rilevare il vizio di incompetenza, ma non può dettare le regole dell’azione amministrativa, posto che l’azione amministrativa non è ancora stata esercitata dall’organo preposto;

c) l’accoglimento del ricorso giurisdizionale per la riconosciuta sussistenza del vizio di incompetenza comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, in quanto la valutazione del merito della controversia si risolverebbe in un giudizio meramente ipotetico sull’ulteriore attività amministrativa dell’organo competente, cui spetta l’effettiva valutazione della vicenda e che potrebbe emanare, o non, l’atto in questione e comunque, provvedere con un contenuto diverso.

8.3.2. La situazione dopo il c.p.a.

Nonostante sia formalmente scomparsa la previsione dell’art. 26, co. 2, l. T.a.r., con il nuovo c.p.a. i termini del dibattito restano invariati e, anzi, si amplia il novero dei vizi che impediscono alla parte di graduare ad libitum i relativi motivi.

Invero l’art. 34, co. 2, c.p.a., dispone che<<in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati>>.

Una parte della giurisprudenza ha valorizzato tale disposizione in chiave di limite normativo espresso del potere di graduazione delle parti (cfr., oltre all’ordinanza di rimessione, Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 761).

Tale situazione, si badi, può riscontrarsi:

a) nella fase iniziale del procedimento (si pensi alla mancanza della proposta vincolante prevista ex lege come indefettibile);

b) nel corso del procedimento (si pensi alla mancata acquisizione di un parere obbligatorio per legge, ed alla complessa disciplina sostanziale sancita dagli artt. 16 e 17 l. n. 241 del 1990 per fronteggiare tale evenienza);

c) alla fine del procedimento (è questo il caso classico del provvedimento reso da un’autorità diversa da quella legalmente competente).

Secondo una lettura oggettiva, i poteri cui si riferisce l’art. 34, co. 2, c.p.a. sono quelli mai esercitati da alcuna autorità;
secondo una opposta lettura, d’indole soggettiva, il riferimento è anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente, ovvero quella chiamata a esplicare la propria volontà provvedimentale in base al micro ordinamento di settore.

E’ senza dubbio da preferirsi quest’ultima esegesi, più rispettosa del quadro sistematico e dei valori costituzionali che si correlano a tale norma: diversamente opinando, del resto, verrebbe leso il principio del contraddittorio rispetto all’autorità amministrativa competente nel senso dianzi precisato - sia essa appartenente al medesimo ente ovvero ad ente diverso ma comunque interessato alla materia - dato che la regola di condotta giudiziale si formerebbe senza che questa abbia partecipato, prima al procedimento, e poi al processo, in violazione di precise coordinate costituzionali: l’art. 97, co. 2 e 3 Cost., infatti, riserva alla legge l’ordinamento delle amministrazioni ed il riparto delle sfere di competenza ed attribuzione, impedendo all’autorità amministrativa di derogarvi a suo piacimento (cfr. Cons. Stato, n. 761 del 2013 cit.).

L’art. 34, co. 2, cit., è espressione del principio costituzionale fondamentale di separazione dei poteri (e di riserva di amministrazione) che, storicamente, nel disegno costituzionale, hanno giustificato e consolidato il sistema della Giustizia amministrativa (sul valore del principio e la sua declinazione avuto riguardo al potere giurisdizionale in generale, ed a quello esercitato dal giudice amministrativo in particolare, cfr. da ultimo Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85;
23 febbraio 2012, n. 40;
Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 2012, n.. 2312 e 2313;
Ad. plen. n. 9 del 2014 cit.;
Ad. plen., 3 febbraio 2014, n. 8).

Tale principio fondamentale è declinato nel codice del processo amministrativo in svariate disposizioni che si ricompongono armonicamente a sistema:

d) divieto assoluto del sindacato giurisdizionale sugli atti politici (art. 7, co. 1);

e) divieto del giudice di sostituirsi agli apprezzamenti discrezionali amministrativi e tecnici dell’amministrazione ancorché marginali (art. 30, co. 3);

f) tassatività ed eccezionalità dei casi di giurisdizione di merito (art. 134).

Pertanto, in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus .

A ben vedere, nel disegno del codice tale tipologia di vizi è talmente radicale e assorbente che non ammette di essere graduata dalla parte.

A quest’ultima, se intende ottenere una pronuncia su tali peculiari modalità di (mancato) esercizio del potere amministrativo, si aprono perciò due strade: non sollevare la censura di incompetenza (e le altre assimilate), oppure sollevarla ma nella consapevolezza della impossibilità di graduarla .

Il principale presupposto concettuale del ragionamento sviluppato dell’Adunanza Plenaria risiede nella lettura “oggettiva” del principio di separazione dei poteri di cui all’art. 34 c.p.a., secondo cui il giudice in nessun caso può pronunciare con riferimento a poteri non ancora esercitati.

Ad avviso della Adunanza Plenaria, infatti, i poteri amministrativi, cui la norma si riferisce e sui quali il giudice non ha il potere di pronunciarsi, sono “ non i poteri mai esercitati da alcuna autorità” bensì “i poteri non esercitati dall'autorità competente”.

Logico corollario di tale premessa è quello secondo cui, in tutte le situazioni di incompetenza, il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice, anche ai sensi dell'articolo 34, comma 2, c,p.a., non può fare altro che rilevare il vizio e dichiarare assorbite tutte le altre censure, non dovendosi ritenere vincolato dalla prospettazione del ricorrente e dalla eventuale graduazione dei motivi da quest'ultimo effettuata.

L’itinerario argomentativo dell'Adunanza Plenaria, oltre che sul richiamato principio di separazione dei poteri, ha fatto leva sulla garanzia del diritto di difesa e, soprattutto, sull'inderogabilità dell'ordine legale delle attribuzioni e competenze, come delineato dalla legge o in base alla legge, ai sensi dell’art. 97, commi 2 e 3, della Costituzione.

Coerentemente con i principi richiamati, l’Adunanza Plenaria è giunta alla conclusione per cui, di fronte a un vizio di incompetenza, il giudice non può fare altro che rilevare il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure " non potendo dettare le regole dell'azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus ".

11.4. In linea con tali considerazioni, è stato evidenziato in dottrina che se il giudice negasse l'annullamento, perché convinto che l’autorità competente non avrebbe potuto agire diversamente da come ha agito l’organo ritenuto incompetente, finirebbe col sostituirsi all'autorità competente, esprimendo una valutazione che solo a questa spetta.

Questa, del resto, sarebbe la ragione per la quale, storicamente, le leggi sulla giustizia amministrativa (a partire dall’art. 45. comma 1, del T.U del Consiglio di Stato) prevedevano che il giudice, annullato l'atto per incompetenza, rimettesse l'affare all'autorità competente.

11.5. Anche successivamente alla decisione dell’Adunanza Plenaria, parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato ha continuato a sostenere la tesi della natura meramente formale del vizio di incompetenza e la conseguente applicabilità, in relazione ad esso, dell’istituto di cui all’art. 21 octies , comma 2 (cfr. Cons. Stato Sez. III n. 3046/2020;
Cons. Stato Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 971).

Tali pronunce non si confrontano, peraltro, con gli argomenti valorizzati dalla suddetta Adunanza Plenaria a sostegno della soluzione opposta, limitandosi a ribadire il principio della, potenziale, non annullabilità, ex art. 21 octies , comma 2, del provvedimento vincolato adottato da un organo incompetente.

Le decisioni che aderiscono a quest’ultimo indirizzo interpretativo sono valutate con favore da quella parte della dottrina che, successivamente alla entrata in vigore dell’art.21 octies (per effetto della novella recata dalla legge n. 15/2005), reputa necessario intervenire, anche con riferimento al vizio di incompetenza, nella prospettiva di superamento del formalismo.

È stato, al riguardo, osservato che tale opzione ermeneutica, calata all'interno del vizio di incompetenza, tende a privilegiare la dimensione sostanziale della tutela discendente dall’annullabilità dell’atto inficiato da tale vizio, riconoscendo scarso rilievo all’aspetto formale legato alla tipologia astratta di regola organizzativa violata.

E ciò, si argomenta in tale ottica interpretativa, al fine di evitare inutili annullamenti giurisdizionali quante volte il provvedimento, pur se adottato da un organo non perfettamente competente, sia un provvedimento sostanzialmente giusto e anzi assolutamente vincolato nella logica legislativa e corrispondente all'interesse pubblico.

Nel solco di tale elaborazione concettuale, è stato ulteriormente evidenziato come la tesi della natura sostanziale del vizio di incompetenza si porrebbe in contrasto anche con la logica che ispira l’ordinamento euro-unitario, la quale comprenderebbe nel concetto di forma ogni violazione che non incida sulla sostanza della decisione e che non sia indice di un cattivo uso del potere sostanziale.

Nella prospettiva del diritto euro-unitario, si sostiene da parte dell’indirizzo in esame, la incompetenza, non incidendo sulla valutazione di merito della determinazione amministrativa e non rilevando ai fini della risoluzione sostanziale del rapporto, assumerebbe valenza di vizio formale.

E’ stato, infine, rilevato che, proprio al fine di alleggerire il peso dei vincoli formali e procedimentali di una pubblica amministrazione, che si vorrebbe informata ad una logica di “risultato” più che alla legalità “formale” dei singoli atti, il legislatore ha introdotto la regola, di cui all’art. 21- octies , comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, della non applicabilità della misura caducatoria in presenza di difformità dallo schema legale che non abbiano influenzato la sostanziale composizione degli interessi prefigurata dall’ordinamento normativo.

12. Ciò premesso, la Sezione ritiene preferibile l’orientamento che qualifica l’incompetenza quale vizio di carattere sostanziale.

13. La tesi della natura formale del vizio di incompetenza mal si concilia, invero, con il principio, affermato dall’Adunanza Plenaria n. 5/2005, della valenza prioritaria e assorbente del vizio di incompetenza.

E ciò in quanto, come anticipato, il riscontrato vizio di incompetenza “ preclude al giudice, per il suo carattere assorbente, l'esame delle altre censure dedotte, che costituirebbe un giudizio anticipato sui futuri provvedimenti dell'autorità riconosciuta competente e un vincolo anomalo all'attività dell'autorità stessa", che non è neppure parte necessaria del giudizio ”.

Ed in effetti, appare difficile negare che, se si ammettesse la possibilità per il giudice di negare, ai sensi dell’art. 21 octies , comma 2, l'annullamento del provvedimento adottato da un’autorità incompetente, in base alla considerazione per cui l’autorità competente non avrebbe potuto agire diversamente da come ha agito l'organo ritenuto incompetente, si consentirebbe allo stesso di sostituirsi all’autorità competente, esprimendo una valutazione che solo ad essa spetta.

13.1. L’opzione che attribuisce al vizio di incompetenza natura meramente formale, contrariamente a quanto sostenuto dai suoi assertori, non pare adeguatamente supportata neanche dagli orientamenti della giurisprudenza euro-unitaria.

Preliminarmente il Collegio ricorda che l’ordinamento dell'Unione Europea, all’art. 263, c. 2, TFUE – pur nella varietà e diversità degli atti disciplinati – considera partitamente il vizio di incompetenza rispetto agli ulteriori vizi invalidanti del provvedimento.

In particolare, i tipi di vizi di legittimità previsti dalla disposizione in esame sono i seguenti:

- incompetenza: l’atto è emanato da un’istituzione che non è competente a emanarlo;

- violazione di forme sostanziali che regolano l'adozione degli atti;

- violazione da parte dell'atto di un trattato o di qualunque altra norma gerarchicamente superiore;

- sviamento di potere.

Sul piano del diritto euro-unitario, il vizio di incompetenza ricomprende essenzialmente due ambiti.

In primo luogo, esso riguarda il mancato rispetto del principio di attribuzione in base al quale l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati (art. 5 TUE;
cfr. Corte giust., C-294/83;
Corte giust. C-8 l0/15 P, Ledra Advertísing ).

In secondo luogo, il vizio di incompetenza si riferisce alla violazione della regola per cui ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai Trattati (art. 13, par. 2, TUE) o dal diritto derivato (cfr. Trib. UE, T-660/14, Sv Capital/ABE) e quindi all’invasione delle attribuzioni di un'altra istituzione (e ciò anche nel caso in cui l'organo agente trascende i poteri conferitigli da un altro organo per l'esecuzione di un atto generale di quest’ultimo).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina sopra riportata, da un esame puntuale della giurisprudenza euro-unitaria si registra, in relazione al trattamento processuale del vizio di incompetenza, una significativa evoluzione nella direzione di orientamenti giurisprudenziali sempre più rigorosi.

Nelle pronunce più risalenti si affermava, infatti, che, nelle ipotesi di attività vincolata, il vizio di incompetenza non potesse comportare l'annullamento della decisione contestata. A sostegno di tale conclusione si evidenziava che, nelle fattispecie in esame, l'annullamento avrebbe potrebbe dar luogo, una volta sanato il vizio, soltanto all'adozione di una decisione identica quanto al merito.

Nella più recente giurisprudenza euro-unitaria si registra, tuttavia, un mutamento di indirizzo interpretativo.

Le più recenti sentenze della Corte di Giustizia paiono in effetti ispirate al diverso, e più rigoroso, orientamento secondo il quale il vizio di incompetenza costituisce un motivo di annullamento di ordine pubblico, il quale deve essere rilevato d’ufficio dal giudice dell'Unione, anche in assenza di eccezioni delle parti (cfr. Corte giust., C-577/15 P, SV Capital OU/EBA, par. 31-32), ma nel rispetto del principio del contraddittorio (cfr. Corte giust., C-89/08 P, Commissione/Irlanda,).

Peraltro, secondo tale orientamento, il potere di rilevo d’ufficio può estendersi, nel caso di un’eccezione incidentale di invalidità (art. 277 TFUE), anche al rilievo dell’incompetenza dell'istituzione che ha adottato il provvedimento in base al quale l'atto impugnato è stato emanato (cfr. Trib. UE, T-320/ 09, Planet/Commissione).

14. La tesi che ravvisa nell’incompetenza un vizio sostanziale è corroborata dalle seguenti ulteriori considerazioni.

14.1. Il primo argomento che depone a sostegno di questa conclusione è di natura formale.

Dal momento che la disposizione di cui all’art. 21 octies , comma secondo, si riferisce testualmente soltanto ai casi in cui il provvedimento sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento e sulla forma, non sembra possibile includere le norme sulla competenza tra le norme sul procedimento o tra quelle sulla forma degli atti.

Sul piano sistematico (e topografico) l’assunto trova riscontro nella distinzione che l’art. 21 octies , primo comma (nell’indicare i vizi che determinano l’annullabilità del provvedimento amministrativo) opera tra l’incompetenza e la violazione di legge.

Il principale riflesso pratico di questa distinzione si apprezza in relazione al regime processuale del vizio di incompetenza.

In chiave storica, occorre, infatti, ricordare che gli artt. 45. comma 1, T.U del Consiglio di Stato e 26. comma 2, legge Tar, disponevano espressamente che, nel caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento per motivi di incompetenza, il giudice rimetteva l'affare all'autorità competente.

Questo regime processuale conserva attualità anche nel mutato contesto normativo, trovando riscontro nell’art. art. 34, comma 2. primo alinea, del codice del processo amministrativo, il quale, almeno sulla base dell’interpretazione oggettiva datane dall'Adunanza Plenaria, con la riferita decisione n. 5/2015, è stato inteso come confermativo della previgente disciplina.

Alla stregua di tale impostazione, come già ricordato, consegue che, dall’accoglimento del ricorso per motivi di incompetenza, seguirebbe sempre l’immediata rimessione dell'affare all'autorità competente, senza lasciare al giudice la possibilità di valutare se il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Sulla scorta di tali rilievi, la tesi che esclude il vizio di incompetenza dall’ambito di applicazione del 21 octies, comma secondo, appare pertanto più coerente con la ragione giustificativa (un tempo espressamente enunciata negli artt. 45. comma 1, del T.U del Consiglio di Stato e 26. comma 2, della legge Tar) del divieto di cui all’art. 34, comma 2, c.p.a.

14.2. Utili spunti in favore della tesi della natura sostanziale del vizio di incompetenza si ricavano anche dall’esame del diritto comparato.

Ed in effetti, la distinzione, sotto il profilo del regime sostanziale e processuale, tra violazione di legge e incompetenza si rintraccia nei principali “ sistemi a diritto amministrativo , affini a quello italiano per tradizioni e premesse culturali.

La distinzione è formulata dalla legge austriaca sulla Corte amministrativa in termini di regime processuale differenziato dei vizi dell’atto.

In tale ordinamento si annoverano, infatti, i seguenti vizi del provvedimento amministrativo: illegittimità intrinseca ( inhaltliche Rechtswidrigkeit ), incompetenza ( Unzuständigkeit ) e violazione delle prescrizioni sul procedimento ( Verletzung von Verfahrenvorschriften ). Mentre i primi due costituiscono ragioni assolute di annullamento, tali che il giudice, una volta accertato il vizio, non può non annullare l'atto impugnato, non ogni violazione delle prescrizioni sul procedimento conduce all'annullamento.

In Francia si usa distinguere tra violation de formalités substantielles e non, ma si guarda a che comunque le violazioni non abbiano avuto influenza determinante sulla decisione, cioè che non siano stati compromessi i diritti che le formalités garantiscono agli amministrati o anche ad altre autorità come gli organi consultivi.

Secondo l'elaborazione pretoria del Conseil d'État sono considerate formalità non sostanziali, che non portano all'annullamento dell’atto, quelle regole di procedura la cui violazione non influisce sul contenuto della decisione finale. La giurisprudenza ha fatto rientrare in questa categoria le violazioni di norme che impongono obblighi di informazione o di rendiconto, che indicano termini non perentori, che impongono particolari modalità di spedizione per l'invio di documentazione integrativa di una istanza già effettuata.

Diversamente, le forme sostanziali sono definite quali disposizioni poste a garanzia dei diritti e degli interessi dei privati nel procedimento, ma anche miranti ad assicurare all'amministrazione la migliore conoscenza dei presupposti di fatto. Sono tali, ad esempio, per quanto di rilievo nel presente giudizio, le norme che impongono l'audizione degli interessati all'adozione di un provvedimento da parte dell'organo competente ad emanarlo, o che dispongono l'adozione di pareri obbligatori.

Parimenti, in Spagna esiste una disposizione di ispirazione analoga a quella francese. La legge 26 novembre 1992 n. 30, contenente disposizioni generali sul procedimento amministrativo, all'art. 63, c. 2, afferma, infatti, che i vizi formali producono l'annullabilità dell'atto soltanto allorché quest'ultimo non è idoneo al raggiungimento del fine cui è preordinato ovvero quando incide negativamente sulle garanzie difensive degli amministrati.

Si discosta parzialmente da questa impostazione, ma solo con riferimento all’incompetenza territoriale (e non anche a quella c.d. funzionale) l’ordinamento tedesco.

Il § 46 della legge tedesca sul procedimento 25 maggio 1976, dispone, infatti, che l'annullamento di un atto amministrativo, non affetto da vizi di nullità, « non può essere preteso per il solo fatto che esso è stato posto in essere in violazione di disposizioni sul procedimento, sulla forma o sulla competenza per territorio, se nessun’altra decisione in materia avrebbe potuto essere adottata ».

14.3. Sul piano sostanziale, la tesi che esclude l’applicabilità dell’art. 21 octies , comma 2, al vizio di incompetenza è stata autorevolmente argomentata in base all’assunto per cui il principio di competenza, oltre a garantire la ripartizione del potere amministrativo fra una pluralità di organi e quindi un’ovvia esigenza di divisione e di razionalizzazione del lavoro, soddisfa anche un’esigenza di garanzia del privato, il quale si trova a dover fronteggiare apparati ciascuno dei quali dispone di una fetta di potere amministrativo, ma non dell'intero potere amministrativo.

In tale prospettiva, è stato sottolineato che, almeno con riferimento all’esercizio di poteri autoritativi, la definizione certa della competenza può essere considerata un aspetto non irrilevante del principio della c.d. legalità-garanzia, che ha ad oggetto, come noto, il contenuto e le modalità, anche organizzative, che devono essere osservate per perseguire lo scopo previsto dalla legge.

Si è, infatti, osservato che nel riparto dei compiti e nel correlato principio di competenza il cittadino trova, infatti, una garanzia della propria sfera.

E ciò in quanto la dimensione organizzativa può essere di per sé stessa fonte di garanzia per il privato nel momento in cui alla qualificazione dei compiti degli uffici si collegano anche scelte relative alla qualità e alla modalità di cura degli interessi tutelati dall'ordinamento.

Dall’accoglimento di siffatta premessa discende che il mancato rispetto della regola di organizzazione, che sancisce siffatte scelte, non realizza soltanto l'elusione di un precetto formale, ma viola direttamente gli interessi il cui assetto è stato prefigurato in sede di decisione organizzativa.

Muovendo da tale plausibile ricostruzione, parte della dottrina ha coerentemente tratto l’ulteriore, conseguente, corollario per cui le norme sulla competenza non sono propriamente norme sul procedimento o sulla forma, ma attengono agli elementi dell’atto, non potendosi ritenere che l’elemento soggettivo risulti del tutto irrilevante nella determinazione del contenuto della decisione.

Se ne ricava che non sarebbe illegittimo ciò che l’autorità ha disposto quanto il fatto stesso che è stata essa a disporlo.

Questo spiegherebbe il motivo per cui alla incompetenza la legge ricollega una presunzione di scorrettezza della scelta superabile solo per effetto della convalida disposta dall’organo competenza in base alla legge.

Di qui la conclusione per la quale il vizio di incompetenza deve essere considerato un vizio sostanziale, dipendendo, in ultima analisi, dal fatto che l'atto abbia un certo contenuto in conseguenza dell'irregolare svolgimento del potere (a favore delle medesime conclusioni si è, da ultimo, orientata anche la recente decisione della Sezione, 9 febbraio 2023, resa in relazione al ricorso recante r.g. n.495/2017).

15. Sulla delle complessive considerazioni svolte, il Collegio reputa preferibile l’opzione interpretativa che privilegia la natura sostanziale del vizio di incompetenza, e che, di riflesso, esclude la sua emendabilità ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241 del 1990.

16. Conclusivamente, alla luce delle ragioni che precedono, l’appello deve essere accolto in relazione al profilo della incompetenza, con assorbimento degli ulteriori motivi e, per l’effetto, deve essere riformata la sentenza impugnata, con accoglimento del ricorso di primo grado in relazione al dedotto motivo .

17. Le spese del giudizio possono essere compensate in relazione alla complessità della vicenda in esame e alla novità delle questioni trattate.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi