Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-12-07, n. 201505570

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-12-07, n. 201505570
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201505570
Data del deposito : 7 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03029/2015 REG.RIC.

N. 05570/2015REG.PROV.COLL.

N. 03029/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3029 del 2015, proposto da:
R M Q, V Q, A Q, A Q, A M Q, G Q, M C, rappresentati e difesi dall'avv. C V, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano in Roma, largo Arenula, 34;

contro

Comune di Bari, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, viale delle Milizie, 2;
Regione Puglia;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della PUGLIA –Sede di BARI - SEZIONE III n. 00368/2015, resa tra le parti, concernente intervento di demolizione e ricostruzione fabbricato – risarcimento danni;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Ventura e Ciociola, per delega di Farnelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale della Puglia – Sede di Bari – ha scrutinato il ricorso, corredato da una pluralità di atti di motivi aggiunti, proposto dalla odierna parte appellante dichiarando inammissibile il ricorso principale, in quanto volto ad avversare atti infraprocedimentali, respingendo il primo e il secondo ricorso per motivi aggiunti e dichiarando improcedibile il terzo ricorso per motivi aggiunti.

In seno alla gravata decisione, il T ha dichiarato la nullità del provvedimento del 23.4.2014 nella parte in cui il Comune di Bari aveva sospeso il procedimento di rilascio del permesso per costruire ed ha respinto la domanda accessoria di risarcimento dei danni,avendo ritenuto complessivamente legittima l’azione amministrativa espletata dal Comune di Bari.

La complessa vicenda processuale trae le mosse dall’istanza di rilascio di permesso per costruire presentata dalla odierna parte appellante -proprietaria di un edificio situato nel centro storico della città di Bari, identificato in catasto al fol. 94 particella 558 sub 1-6 in via Principe Amedeo n. 289/291/293, Via Alessandro Manzoni - finalizzata alla demolizione e ricostruzione del fabbricato.

Su tale istanza, venne inoltrato, a parte appellante il preavviso di rigetto del 18.12.2012 (nota della Ripartizione urbanistica del Comune di Bari prot. n. 292317): secondo il Comune, l’intervento sarebbe stato in contrasto con la proposta regionale, formalizzata con determinazione dirigenziale n. 425/2012, di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area ove il fabbricato era situato.

Avverso detto preavviso di rigetto e gli atti ad esso connessi e sottesi (tra cui la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area centrale della città di Bari assunta dalla Commissione regionale istituita ai sensi dell’art. 37 d.lg. n. 42/04 di cui ai verbali 21.6.2011, 25.10.2011, 12.12.2011, 18.1.2012 1,2,2012, 1.3.2012 3.4.2012;
e la determinazione della Regione Puglia n. 425/2012) parte appellante era insorta con il mezzo introduttivo del giudizio di primo grado, prospettando quattro articolate censure di violazione di legge(articoli 138, 139 e 140 del d.lg. n. 42/04 - violazione dell’art. 136 lett. c) e dell’art. 139 d.lg. 42/04,) ed eccesso di potere, sostenendo, nel merito, che l’immobile di loro pertinenza oggetto della richiesta di permesso per costruire, non rientrava in alcuna delle categorie per le quali era possibile apporre il vincolo di interesse pubblico (in quanto realizzato in epoca successiva al 1942).

Successivamente alla proposizione del detto ricorso introduttivo, il Comune ritornò a soffermarsi sulla detta istanza di rilascio del permesso di costruire.

Ed emise due ulteriori preavvisi di rigetto: il primo del 15.5.2013 con cui si rilevavano errori progettuali e si sollecitava la richiesta di autorizzazione paesaggistica;
il secondo del 5.11.2013 (nota della Ripartizione urbanistica del Comune di Bari prot. n. 247050 del 5.11.2013) che, dichiarato l’intervento urbanisticamente ammissibile, ne rilevò il contrasto con la determinazione dirigenziale regionale n. 425/2012.

Parte appellante con il primo ricorso per motivi aggiunti insorse, chiedendo l’accertamento del silenzio rifiuto formatosi in data 25.3.2014 sull’istanza relativa all’intervento di demolizione e ricostruzione del detto fabbricato di propria pertinenza.

In seno al predetto primo mezzo per motivi aggiunti, gravò il secondo preavviso di rigetto del 5.11.2013, la delibera della Giunta del Comune di Bari n. 862 del 17.12.2013 e la delibera della Giunta del Comune di Bari n. 754 del 21.12.2012, e gli atti a questi connessi, prospettando sette ulteriori macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Intervenne poi nel descritto procedimento amministrativo scaturito dalla istanza relativa all’intervento di demolizione e ricostruzione del fabbricato di parte appellante la ulteriore nota della Ripartizione urbanistica del Comune di Bari prot. n. 101945 del 23.4.2014 avente ad oggetto la determinazione della sospensione di ogni determinazione inerente al procedimento edilizio, ai sensi dell’art. 12 comma 3 d.P.R. n. 380/01.

Con un ulteriore, secondo, ricorso per motivi aggiunti, parte appellante gravò detto atto e, “al buio”, la delibera del Consiglio comunale n. 4 del 18.3.2014 cui la sopradetta nota della Ripartizione urbanistica del Comune di Bari prot. n. 101945 del 23.4.2014 faceva riferimento.

Ivi vennero articolate articolate quattro macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Infine con un ulteriore, terzo ricorso per motivi aggiunti, parte appellante gravò, la predetta delibera del Consiglio comunale n. 4 del 18.3.2014 avente ad oggetto la presa d’atto della variante del PUTT/P di adeguamento al PRG e soggetta ad approvazione definitiva della Regione che prevede, per i beni urbani segnalati per la inopportunità della sostituzione, nonché per edifici non sostituibili per l’alta qualità del fronte, la possibilità di effettuare interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1 d) d.P.R. n.380/01 con la sola esclusione della demolizione e della ricostruzione dell’involucro esterno (art. 82.2 delle n.t.a. della variante di PRG) prospettando ulteriori nove censure.

Il T, riepilogato in punto di fatto e sotto il profilo cronologico il dipanarsi del contenzioso, dichiarò anzitutto l’inammissibilità del ricorso principale perché avente ad oggetto atti endoprocedimentali non autonomamente impugnabili.

Ha in proposito sostenuto che ivi erano stati gravati pareri non vincolanti, la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area centrale della città di Bari formalizzata con la determinazione della Regione Puglia n. 425/2012, ma non seguita da dichiarazione di notevole interesse pubblico, ed un atto endoprocedimentale (quale il preavviso del 18.12.2012 di rigetto dell’istanza di rilascio del permesso per costruire) non autonomamente lesivo né gravabile.

Ha quindi scrutinato il primo ricorso per motivi aggiunti, osservando che ivi era stato richiesto di accertare se si fosse formato il silenzio dell’istanza di permesso per costruire per decorso del termine per provvedere decorrente dalla nota del 5.11.2013 (qualificata dal Comune come comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza).

Il T, ha escluso tale eventualità, alla stregua delle seguenti considerazioni.

A dispetto del nomen iuris attribuito all’atto ha espresso il convincimento per cui la nota del 5.11.2013 fosse in realtà un motivato diniego che, ai sensi dell’art. 20 comma 8 del d.P.R. 380/01, aveva impedito la formazione del silenzio significativo ( in quanto già preceduto da due preavvisi di rigetto, il primo del 18.12.2012 e il secondo del 15.5.2013).

Ad avviso del T la predetta nota del 5.11.2013 affermava la regolarità urbanistica dell’intervento;
ciò implicava la completa e definitiva istruttoria del procedimento.

Ivi si affermava poi che – in considerazione della circostanza che l’immobile ricadeva nell’area oggetto della proposta regionale 425/2012 di dichiarazione di notevole interesse pubblico- fosse impossibile assentirlo Ciò, ad avviso del primo giudice, implicava un accertamento definitivo.

E dalla circostanza che doveva ritenersi che il procedimento fosse stato definito con un diniego motivato discendeva la conseguenza che non poteva accogliersi il gravame avverso il silenzio rigetto (e, per eadem ratio, doveva ritenersi assorbita, la domanda di accertamento della formazione del silenzio assenso introdotta con la memoria del 9.1.2015, alternativamente alla domanda di annullamento del silenzio rigetto).

Il primo giudice, dalla constatazione che, comunque, l’appellante aveva tempestivamente gravato la predetta nota del 5.11.2013 (seppur dal T qualificata quale silenzio-rigetto) ha fatto discendere la necessità di scrutinare, nel merito, i motivi di censura proposti.

Di tali censure ha affermato la infondatezza, alla stregua del seguente iter motivo.

Ad avviso del T, infatti, era nodale evidenziare che -sebbene il diniego motivato contenuto nella predetta nota del 5.11.2013 fosse stato ricondotto dal Comune ad un vincolo esterno ( la determinazione della Regione Puglia n. 425/2012)- esso, in realtà, si fondava sul potere del Comune di porre limiti alla sostituzione edilizia degli immobili ricadenti in zona B9.

Ciò, ad avviso del T, si desumeva dalla successiva nota del 23.4.2014 di sospensione del procedimento, nella quale il Comune aveva ribadito l’inammissibilità dell’intervento così come proposto ed aveva a sua volta proposto di rivalutare l’istanza purché fosse conservata la facciata dell’edificio.

Il primo giudice ha sul punto affermato che:

a)di detta nota del 23.4.2014 di sospensione del procedimento doveva affermarsi la nullità per mancanza dell’oggetto nella parte in cui aveva disposto la sospensione di un procedimento concluso (con il diniego motivato contenuto nella nota del 5.11.2013);

b) essa era intervenuta nuovamente sulla questione con valore integrativo del precedente diniego – e la eventuale illegittimità di tale modus operandi non era stata prospettata – ed aveva proposto di mantenere la facciata dell’immobile, facendo riferimento ai poteri inibitori previsti dall’art. 74 del regolamento edilizio e dalla delibera di G.C. 862/13, con la quale erano stati individuati altri edifici per i quali era ritenuta inopportuna la sostituzione oltre quelli già censiti con la delibera d G.C. 754/12.

Il potere del Comune di vietare la sostituzione edilizia per immobili di pregio era autonomo e originario e non necessitava del concerto con altre amministrazioni: e sebbene nella detta nota del 23.4.2014 fosse stato richiamato l’art. 74 del Regolamento edilizio, era nell’art. 17 n. 2 del R.E. che in concreto si iscriveva il potere del Comune di condizionare l’approvazione dell’intervento edilizio al mantenimento della facciata.

Espresso tale convincimento, il T ha proseguito nella propria disamina, ribadendo il convincimento per cui non soltanto il Comune poteva vietare la sostituzione edilizia ( ed in concreto lo aveva fatto con le delibere di G.C. n. 754/12 e 862/13) ma ciò prescindeva dalla previa apposizione del vincolo ex art. 138 d.lg. 42/04.

Tanto comportava l’irrilevanza ai fini del decidere della delibera n. 2252 del 28.10.2014 della Giunta regionale che, ritenendo dovesse aprirsi il procedimento ex art. 138 d.lg. 42/04 per la dichiarazione di notevole interesse culturale, aveva deciso di non recepire la perimetrazione delle aree per le quali il Comune ha ritenuto inopportuna la sostituzione edilizia, in seno al procedimento di adeguamento del PRG al PUTT .

Neppure in senso contrario rilevava il fatto che l’inopportunità della sostituzione fosse prevista dalle NTA del PRG solo per le zone B1 e B2 con esclusione della zona B9 ove si trovava l’edificio della odierna parte appellante.

Al contrario, l’art. 50 delle NTA del PRG, che si riferiva agli interventi edilizi nelle zone B9, richiamava i criteri dettati dall’art. 49 secondo il quale: “In conformità con la struttura delle zone si presceglieranno interventi rivolti a restituire efficienza e «confort» all'abitato attraverso la semplice moltiplicazione dei servizi conservando sistemi stradali e sistemi di unità edilizia e quindi risolvendo l'intervento generale riportandolo in forme di riordino e completamento, anche con parziali sostituzioni”.

La lettura combinata delle due disposizioni consentiva di inquadrare l’intervento del Comune nell’ambito del potere funzionale di conformare gli interventi di ristrutturazione in modo conservativo per ragioni di salvaguardia di valori storici e architettonici non ripetibili.

L’espressione “parziali sostituzioni” contenuta nell’art. 49 NTA doveva essere intesa infatti come specificazione dell’attività di demolizione e sostituzione di cui era menzione nell’art. 3 del d.P.R. 380/01.

Non avrebbe avuto infatti –secondo il convincimento del T- alcun senso compiuto parlare di parziale sostituzione, se non come limite alla facoltà del privato di optare per la sostituzione integrale, quando il Comune avesse inteso valorizzare la conservazione di sistemi di unità edilizia.

Si trattava della stessa finalità perseguita dal citato art. 17 del regolamento edilizio che intendeva preservare contesti architettonici o urbanistici unitari, attribuendo al Comune il potere di classificare come non sostituibili determinati edifici o parti di essi.

La delibera di G.C. 862/13 senza distinguere l’ambito di zona, aveva individuato i quartieri del centro della città di Bari che esprimevano valori architettonici ritenuti meritevoli di conservazione e su tale presupposto il Comune aveva proposto, con la nota del 23.4.2014, l’autorizzazione dell’intervento edilizio di demolizione e ricostruzione dell’edificio di parte appellante a condizione che ne fosse conservata la facciata.

Così individuata nella delibera di G.C. 862/13 il potere fondante della reiezione espressa dal Comune, il T si è interrogato –alla luce delle ulteriori censure proposte da parte appellante – in ordine alla natura del procedimento culminato con la delibera di G.C. 862/13.

Parte appellante aveva infatti sostenuto -muovendo dalla considerazione che ci si trovasse al cospetto di un atto di pianificazione – che il Comune fosse venuto meno alle procedure di adozione e approvazione previste per gli strumenti di piano dalle ll.rr. 21/2011 e 20/2001 e dal regolamento sul decentramento che esigeva il parere delle circoscrizioni.

Inoltre, poiché la delibera di G.C. 862/13 aveva l’effetto di includere il fabbricato ad essa appartenente fra quelli per i quali era stata riconosciuta l’inopportunità della sostituzione, aveva censurato l’omissione dell’inoltro della comunicazione di avvio del relativo procedimento.

Il T, evidenziato che le due doglianze proposte si collocavano in regime di alternatività e reciproca incompatibilità ( se si trattava di atto di pianificazione ai sensi dell’art. 13 l. 241/90, non si doveva far luogo a comunicazione di avvio del procedimento e viceversa) ha espresso il convincimento che il procedimento in questione avesse ad oggetto l’individuazione di ulteriori edifici, analogamente a quanto già fatto per le zone B1 e B2 con la delibera 754/12 e in esecuzione del mandato in essa contenuto, per i quali riconoscere l’inopportunità della sostituzione.

La delibera di G.C. 862/13 non rientrava nella categoria degli atti di pianificazione generale, operando una ricognizione puntuale di altri edifici - oltre quelli già censiti con la delibera n. 754/12 - situati nei quartieri ottocenteschi del centro città sulla base dell’epoca di costruzione e della qualità dei fronti (la nota del 23.4.2014 aveva indicato proprio nell’alta qualità del fronte il motivo per il quale la delibera 862/13 aveva ritenuto inopportuna la sostituzione dell’immobile di parte appellante).

Trattandosi di atto puntuale, di portata lesiva, , il Comune avrebbe dovuto avvisare i proprietari, ai sensi dell’art. 7 l. 241/90: detta omissione, però, ad avviso del T, era dequotabile ai sensi dell’art. 21 octies l. 241/90.

E poiché parte appellante non aveva prospettato alcuna concreta obiezione sull’asserito pregio della facciata del fabbricato ( non avendo allegato elementi tali da smentire che la facciata dell’immobile, risalente, a data anteriore al 30.10.1954 e dunque già per questo ritenuta in via presuntiva di interesse storico, non meritasse di essere conservata) trattavasi di omissione non viziante.

Ciò accertato, ad avviso del T doveva concludersi che non sussistevano profili di illegittimità dalla delibera 862/13 e - per via derivata - degli atti che la richiamavano (diniego del 5.11.2013 e nota del 23.4.2014 che subordinava l’ammissibilità dell’intervento alla conservazione della facciata).

Quanto poi, al profilo di censura riposante nella inefficacia delle determinazione regionale n. 425/12 per l’inutile decorso del termine per la dichiarazione di notevole interesse pubblico, ad avviso del T detta inefficacia non si estendeva alle delibere di G.C. n. 754/12 e 862/13 che ad essa facevano riferimento, perché detta determinazione non ne era l’unico, né fondamentale, presupposto.

Ciò si evinceva dall’espressione contenuta nella delibera 754/12, che dava mandato – eseguito con la delibera 862/13 – di individuare ulteriori edifici di cui riconoscere l’inopportunità delle sostituzione “anche” - cioè non solo - per le finalità di cui alla determinazione 425/12.

Il T ha infine dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il terzo ricorso per motivi aggiunti avverso la delibera n. 4 del 18.3.2014 i cui effetti - limitatamente al capo relativo alla perimetrazione dell’area ove ricade l’immobile dei ricorrenti – erano venuti meno perché la Regione l’ha stralciato dall’approvazione della delibera di adeguamento del PRG al PUTT.

Disattesa la domanda accessoria di risarcimento dei danni (mancando il presupposto della illegittimità dell’azione amministrativa) il T ha riconosciuto che la condotta tenuta dal Comune era stata ondivaga ed ha compensato le spese del giudizio.

La originaria parte ricorrente, rimasta soccombente, ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico.

Ripercorso il frastagliato contenzioso e l’iter procedimentale –anche sotto il profilo cronologico – ha commentato i passaggi salienti della decisione di primo grado ed ha così strutturato l’atto di appello.

Nella seconda parte, ha riproposto integralmente i motivi del mezzo di primo grado e dei tre ricorsi per motivi aggiunti disattesi od assorbiti dal T.

Nella prima parte ha criticato la motivazione contenuta nella gravata decisione.

Ha in proposito rammentato che, con il mezzo introduttivo essa aveva inteso gravare il preavviso di rigetto del 18.12.2012, ma anche la determina regionale n. 452/2012 che ne costituiva l’unico, dichiarato, fondamento.

La declaratoria integrale di improcedibilità del mezzo introduttivo si risolveva in un diniego di giustizia quanto alle censure attingenti la determina regionale n. 452/2012 che costituiva atto immediatamente lesivo.

L’errore del T emergeva in termini ancora più inequivocabili, laddove esso aveva riconosciuto che la nota del 5.11.2013 (recante preavviso di rigetto, ma riqualificata dal T quale atto di definitivo diniego) pur avendo dichiarato l’intervento urbanisticamente ammissibile, ne aveva rilevato il contrasto con la determinazione dirigenziale regionale n. 425/2012.

Non era quindi ammissibile assorbire i motivi –contenuti nel mezzo introduttivo e ribaditi nel primo atto di motivi aggiunti avverso la nota del 5.11.2013 - prospettati avverso la detta determinazione dirigenziale regionale n. 425/2012.

Ma non era questo, il solo errore del T.

Il T infatti, arbitrariamente, e senza procedere all’incombente a garanzia del contraddittorio di cui all’art. 73 del cpa aveva:

a)riqualificato la nota del 5.11.2013 (recante preavviso di rigetto) quale atto di definitivo diniego;

b)omesso di pronunciarsi sulla legittimità della motivazione ivi contenuta (appunto il preteso contrasto con la determinazione dirigenziale regionale n. 425/2012), ritenendo che detto “atto di definitivo diniego” si fondasse – contrariamente a quanto ivi enunciato espressamente -sul potere del Comune di porre limiti alla sostituzione edilizia degli immobili ricadenti in zona B9;

c)ritenuto di trarre detta motivazione “nuova ed inespressa” dal contenuto della nota del 23.4.2014 di sospensione del procedimento ( nella quale il Comune aveva ribadito l’inammissibilità dell’intervento così come proposto ed aveva a propria volta ipotizzato di rivalutare l’istanza purché fosse conservata la facciata dell’edificio);

d)e ciò pur avendo dichiarato nulla la detta nota del 23.4.2014 di sospensione del procedimento in quanto interveniente su un procedimento conclusosi con un diniego espresso (quello rinvenuto dal T nella nota del 5.11.2013 pur recante “recante preavviso di rigetto”).

Il T aveva quindi, motu proprio, disatteso il nomen iuris impresso dal comune alla nota del 5.11.2013 ed alla nota del 23.4.2014;
disatteso la tesi espressa dal comune nella propria memoria, tesa a sostenere ( a propria volta contraddittoriamente) che la nota del 23.4.2014 fosse quella che aveva “chiuso” il procedimento;
“integrato/sostituito” la motivazione della nota del 5.11.2013 con quella di cui alla nota del 23.4.2014;
considerato la nota del 5.11.2013 “atto conclusivo del procedimento”.

Anche a volere considerare la nota del 5.11.2013 “atto conclusivo del procedimento”essa si fondava unicamente sulla motivazione dell’asserito contrasto della richiesta di permesso di costruire con la determinazione dirigenziale regionale n. 425/2012.

Ma di tale determinazione dirigenziale regionale n. 425/2012 lo stesso T, con la pregressa sentenza n. 183/2014 (cui nella sentenza oggetto della odierna impugnazione si era dichiarato di aderire) aveva dichiarato la inefficacia.

Insomma, si era in presenza di una “integrazione postuma della motivazione” effettuata non già dall’Amministrazione, ma dallo stesso giudicante di primo grado, perdipiù in assenza delle garanzie ex art. 73 del cpa: da tutto ciò quale parte appellante non aveva potuto difendersi.

Nel merito (quarto motivo) la sentenza era vieppiù errata, nella parte in cui aveva ritenuto che “sebbene la nota del 23.4.2014 richiami l’art. 74 del Regolamento edilizio, è nell’art. 17 n. 2 del R.E. che in concreto si iscrive il potere del Comune di condizionare l’approvazione dell’intervento edilizio al mantenimento della facciata.”.

Nuovamente, il T:

a)a dispetto del tenore della nota (di sospensione) del 23.4.2014 e pur avendo dichiarata quest’ultima nulla, ne aveva motu proprio integrato/sostituito la motivazione;

b)aveva commesso un errore marchiano, poiché il richiamato art. 17 n. 2 del R.E. ritenuto fonte del “potere del Comune di condizionare l’approvazione dell’intervento edilizio al mantenimento della facciata” in realtà non esisteva: trattavasi di una mera bozza di nuovo regolamento comunale, ancora neppure mai adottato dal Comune.

L’avere ritenuto (quinto motivo) che la fonte del potere pretesamente esercitato dal Comune riposasse in una norma inesistente viziava tutto il successivo iter motivo, incentrato su una errata ed incompleta lettura degli artt. 49 e 50 delle Nta e sull’omessa valutazione dell’art. 47 delle Nta.

Ed ancor più errato (sesto motivo) era il ragionamento del T laddove, dapprima aveva escluso – a dispetto delle espresse indicazioni ivi contenute- che la delibera di G.C. 862/13 avesse portata pianificatoria.

E poi, avendola ritenuta “atto puntuale” aveva obliato tutte le argomentazioni (fatiscenza dell’edificio, avvenuta esecuzione di interventi urgenti, etc) prospettati da parte appellante a sostegno della erroneità della pretesa conservazione della facciata.

Il T, poi, aveva negato che la pacifica inefficacia della determinazione regionale n. 425/12 incidesse sulla delibera di G.C. 862/13 : senonchè essa dichiaratamente si fondava unicamente sulla determinazione regionale n. 425/12.

Il T faceva derivare un contrario convincimento dal termine “anche” contenuto nella delibera di G.C. 862/13 : ma non aveva individuato, neanche in via ipotetica, quali sarebbero potute essere le ulteriori finalità (comunque inespresse) della detta delibera di G.C. 862/13.

Con gli ulteriori tre motivi di ricorso (9,10,11) ha ribadito le dette censure, le conseguenze della fondatezza delle stesse sull’architrave motivazionale della sentenza in punto di omessa formazione del silenzio, ed ha ribadito la tesi della fondatezza (anche) del petitum risarcitorio.

Il Comune di Bari ha depositato un articolato controricorso (riproduttivo, in larga parte, della memoria di costituzione datata 24 aprile 2014 depositata in primo grado)chiedendo la reiezione del mezzo perché infondato: a suo avviso, infatti, il potere di qualificazione dei provvedimenti amministrativi (a dispetto del nomen iuris impressovi) era immanente, in capo al Giudice e non necessitava degli incombenti ex art. 73 del cpa.

Ivi (pag. 3 memoria del 24.4.2014) a fatto presente che la motivata sospensione ex art. 12 del dPR n. 380/2001 delle determinazioni in ordine alla istanza presentata a seguito della delibera di CC n. 4 del 18.3.2014 concludeva il procedimento e determinava la improcedibilità della domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto.

Nel merito, ha ripercorso il contenzioso, ed ha fatto presente che la nota 23.04.2014 di “sospensione” doveva essere teleologicamente ricollegata alla delibera 18.3.2014.

La delibera giuntale n. 862/2013 indicava quali fossero i fabbricati in relazione ai quali era inopportuna la sostituzione del fronte.

Anche il petitum risarcitorio era infondato: non v’era stato alcun danno da ritardo risarcibile;
i termini per la definizione del procedimento erano ordinatori;
in ogni caso era carente ogni prova dell’asserito danno subito, e neppure v’era alcunché da addebitabile all’Amministrazione sotto il profilo dell’elemento psicologico.

All’adunanza camerale del 12 maggio 2015 fissata per la delibazione del petitum cautelare, la Sezione, con la ordinanza n. 02049/2015 ha accolto solo in parte la domanda cautelare, “ai soli fini della fissazione dell’udienza di merito” fissando la trattazione della causa nel merito per la pubblica udienza del 3 novembre 2015, alla stregua delle considerazioni che di seguito si trascrivono: “rilevato che l’interesse cautelare di parte appellante può essere soddisfatto attraverso un accoglimento finalizzato alla sollecita fissazione dell’udienza di merito anche per vagliare i profili relativi al supposto vizio ex art. 73 del cpa asseritamente attingente la sentenza gravata;

rilevato che nel corso della discussione anche parte appellata ha convenuto su detta circostanza;
rilevato che conseguentemente può essere sin d’ora fissata la trattazione del merito per la pubblica udienza del 3 novembre 2015;
”.

In data 2.10.2015 parte appellante Quaranta Vincenzo ha depositato una memoria conclusionale elencando tutti i profili che –a suo dire- integravano violazione del precetto ex art. 73 del cpa posto a tutela del contraddittorio processuale.

Alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. L’appello è fondato, e va accolto, con annullamento della gravata decisione ex art. 105 del cpa, e rinvio al primo giudice (il che impedisce di prendere in esame qualsivoglia petitum risarcitorio, comunque da dichiararsi infondato, allo stato, stante la necessaria riedizione del sindacato giurisdizionale).

1.1. E’ sussistente –ad avviso del Collegio- il denunciato vizio di violazione del contraddittorio ex art. 73 ult. co. del cpa. E tale vizio, ex art. 105 del cpa, spiega portata assorbente.

1.2. Come è noto, costituisce jus receptum il principio secondo cui (ex aliis Consiglio di Stato sez. V 27/08/2014 n. 4383, ma anche Consiglio di Stato sez. V 24/07/2013 n. 3957) “ costituisce violazione del diritto di difesa, rilevabile d'ufficio ex art. 73 comma 3, c.p.a., porre a fondamento della sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza previa indicazione in udienza o assegnazione di un termine per controdedurre al riguardo, con conseguente obbligo per il giudice di appello di annullamento della sentenza stessa e rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105 comma 1, c.p.a.”.

1.3. Nel caso di specie, con il corrispondente motivo di appello è stato denunciato che, in violazione dell’art. 73 del cpa, il T ha proceduto ad una riqualificazione di una pluralità di atti resi dal Comune e gravati (delibera del 18.3.2014, ma anche nota del 5.11.2013) ;
e che detta riqualificazione ad opera del T è avvenuta a dispetto (non soltanto del tenore letterale degli atti amministrativi suddetti, emessi dal Comune ma anche) di quanto dallo stesso Comune sostenuto nel corso del giudizio di primo grado (memoria di costituzione datata 24 aprile 2014 depositata in primo grado).

E non è stata preceduta da alcun “avvertimento”.

1.3. Orbene, è ben noto - ed è condiviso dal Collegio - il principio secondo il quale il nomen iuris attribuito dall’Amministrazione ad un proprio atto o ad un proprio provvedimento non vincola il Giudice adito, che può riqualificarlo.

Senonchè, trattandosi nel caso di specie di riqualificazione afferente atti regolarmente gravati, in simili ipotesi v’è onere di provocare il contraddittorio, risolvendosi altrimenti tale opera riqualificativa in una lesione del diritto di difesa della parte (che i detti atti aveva gravato confidando sul nomen iuris impressovi dall’Amministrazione ed articolando quindi corrispondenti censure con quest’ultimo congruenti).

Ciò non è contestato che non sia in realtà avvenuto (art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo).

Il Comune sostiene che tale potere riqualificativo sia immanente, e non necessiti di avviso ex art. 73 del cpa: il Collegio, per le già chiarite ragioni non concorda con tale tesi in quanto, come efficacemente dimostrato nell’atto di appello, l’operazione ermeneutica del T si è risolta in una rilevante conculcazione del diritto di difesa di parte originaria ricorrente.

1.3.1. Il Collegio non ritiene sia necessario un approfondito esame, per accertare ciò, in quanto la violazione delle regole del contraddittorio emerge per tabulas.

Si consideri che l’appellante aveva gravato la nota del 5.11.2013 (essa venne impugnata con il primo ricorso per motivi aggiunti).

Detta nota era stata qualificata dal Comune come comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza: per giurisprudenza costante, quindi, essa non avrebbe potuto (né dovuto) essere impugnata.

Il T ha ritenuto invece che la nota del 5.11.2013 fosse un motivato diniego che, ai sensi dell’art. 20 comma 8 del d.P.R. 380/01, avrebbe impedito la formazione del silenzio significativo, in quanto già preceduto da ben due preavvisi di rigetto, il primo del 18.12.2012 e il secondo del 15.5.2013.

Solo grazie al tuziorismo di parte appellante, quindi, (che ha gravato la nota in oggetto, sebbene per giurisprudenza costante essa non possedesse autonoma lesività) quest’ultimo ha comunque potuto veicolare processualmente le proprie doglianze.

A questo punto, però, non soltanto il T avrebbe dovuto provocare il contraddittorio su detta propria “attività riqualificativa”, ma avrebbe altresì dovuto soffermarsi su altra – parimenti rilevante questione-.

Una volta che si era proceduto ad attribuire alla nota 5.11.2013 natura sostanziale ( e portata nodale, può aggiungersi) nella economia della causa, si sarebbe dovuto quantomeno valutare se concedere termine all’appellante per gravare la detta nota compiutamente, muovendo proprio dal presupposto della sua portata decisoria.

L’appellante, infatti, che fortunosamente ed a dispetto nel nomen iuris impressovi aveva provveduto a gravarla, avrebbe potuto articolare altre censure (ovvero le stesse, ma più diffusamente) una volta realizzata la portata sostanziale della medesima.

Alle stesse conclusioni si perviene quanto all’ulteriore segmento decisorio del T.

Il primo giudice infatti, ha provveduto a riqualificare anche la nota del 23.4.2014 di sospensione del procedimento (a dispetto, si ribadisce, di quanto dallo stesso comune sostenuto nella memoria depositata in primo grado)dichiarandone la nullità per mancanza dell’oggetto nella parte in cui disponeva la sospensione di un procedimento concluso (ed è superfluo rilevare che, per quanto si è detto prima, la circostanza che il procedimento fosse “concluso” è emersa per la prima volta in sede processuale, e proprio in virtù del dictum qualificativo del T).

Dalla motivazione contenuta in tale nota, del 23.4.2014 però, ha tratto un “integrativo del precedente diniego” (anche in questo caso, provvedendo a riqualificare i richiami normativi ivi contenuti).

1.3.2. Proprio in tale ultimo passaggio motivazionale, sembra emergere che il T si sia reso conto che detta complessiva operazione ledeva (nuovamente, vien fatto di dire) il diritto di difesa di parte appellante.

Ed invero, (evidentemente avendo presente la nota giurisprudenza che entro determinati limiti vieta la integrazione postuma della motivazione) il T sembra porsi tale problematica.

Di essa però, esclude la rilevanza, in quanto –si afferma in sentenza- che se ciò (id est: tale integrazione postuma) “ sia legittimo non è questione sottoposta al Collegio”.

Ma così operando ne risulta capovolta l’intera logica processuale.

Il T avrebbe dovuto cogliere che “ la questione non è stata sottoposta al Collegio” per un semplice motivo: perché non era emersa prima;
perché è emersa soltanto in sede processuale;
e perché è emersa soltanto in virtù dell’attività riqualificativa giurisdizionale.

Parte appellante non avrebbe dovuto – né potuto, può aggiungersi- sollevarla prima.

Non soltanto, quindi, il T avrebbe dovuto dare l’avviso ex art. 73 del cpa, ma , anche, avrebbe dovuto esplorare la possibilità di garantire il diritto di difesa dell’odierno appellante, che, all’evidenza, ove avesse conosciuto della riqualificazione giuridica che il T si accingeva a rendere avrebbe potuto sollevare i motivi avversanti il divieto di postuma integrazione della motivazione, ad esempio.

Invero il cittadino che si senta leso da un provvedimento, ha il diritto, ex art. 24 della Costituzione, di gravarlo;
ovviamente, ciò può fare avendo presente contenuto e nomen impressovi dall’Amministrazione.

Non può certo (e sarebbe persino patologico se a ciò lo si onerasse) gravarlo “a tutto campo” formulando censure slegate dal contenuto del provvedimento e dal nomen impressovi, a fini cautelativi, nella paventata possibilità che il Giudice riqualifichi il detto provvedimento.

Ed allora, il contemperamento tra potere riqualificativo giudiziale e diritto di difesa non può che rinvenirsi in sede processuale: ivi il Giudice deve assicurare che tale sua attività non si risolva in una lesione del diritto di difesa ( producendo conseguenze impedienti al ricorrente di articolare compiutamente tutte le censure che avrebbe potuto formulare laddove ab origine il provvedimento gravato fosse stato qualificato armonicamente a quanto ritenutosi in sede giudiziale).

E ciò deve avvenire senz’altro procedendo ex art. 73 del cpa ( e questo pacificamente non è avvenuto, il che è sufficiente per l’annullamento della sentenza): inoltre, nella ipotesi in cui ciò non sia sufficiente ad assicurare il rispetto delle garanzie difensive, spetta al giudice adito esplorare la possibilità di garantire aliunde il dispiegamento del diritto di difesa.

Con una avvertenza: nella ipotesi in cui per avventura ciò non risultasse in concreto possibile, l’unica alternativa possibile resterebbe quella dell’annullamento dell’ atto e nella necessaria riedizione del potere amministrativo.

1.4. Tale riscontrata violazione spiega portata assorbente, ed impedisce che possano essere prese in esame le doglianze di merito: la sentenza va quindi annullata, ex art. 105 del cpa, con rinvio al T presso il quale il giudizio dovrà proseguire secondo le vigenti disposizioni di legge.

1.5. Si rende pertanto applicabile alla fattispecie all’esame l’ipotesi contemplata dall’art.105 del codice del processo amministrativo secondo cui questo giudice d’appello rimette la causa al giudice di primo grado se è mancato il contraddittorio.

Invero, occorre che per la vicenda giudiziale sia osservato sin dal primo grado del giudizio il principio processuale del contraddittorio, quale esigenza immanente alla garanzia costituzionale del giusto processo di cui all’art.111 Cost. dando la possibilità alle parti di interloquire sull’oggetto del giudizio sin dal primo grado e per tale rilevato difetto di procedura occorre necessariamente disporre ai sensi per gli effetti di cui all’art.105 , 1 comma c.p.a. l’annullamento con rinvio al primo giudice ( cfr Cons. Stato Sez. V 8/3/2011 n.1462) che dovrà esaminare e pronunciarsi sul ricorso di primo grado (ex aliis. Cons Stato, IV n. 438/2015).

2. Le spese processuali del doppio grado vanno integralmente compensate tra le parti a cagione della complessità e particolarità della situazione di fatto e giuridica delle questioni esaminate ricorrendo le eccezionali condizioni di legge.

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