Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-01-29, n. 201500438

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-01-29, n. 201500438
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500438
Data del deposito : 29 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04887/2014 REG.RIC.

N. 00438/2015REG.PROV.COLL.

N. 04887/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4887 del 2014, proposto da:
Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
Ministero della Giustizia;

contro

L D B, rappresentata e difesa dall'avv. A P, con domicilio eletto presso A P in Roma, Via Luigi Robecchi Brichetti, 10;

nei confronti di

Giovanni Trere', rappresentato e difeso dall'avv. M L, con domicilio eletto presso M L in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, 9;

per l'ottemperanza

della sentenza del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA- SEZIONE I n. 04960/2014,concernente la esecuzione sentenza T Lazio, Sezione I n. 1541/2013 - Conferimento dell’Ufficio semidirettivo di Presidente di Sezione del Tribunale di Forlì - Mcp-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di L D B e di Giovanni Trere';

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2014 il Consigliere F T e uditi per le parti l’ Avvocato dello Stato Noviello, e gli Avvocati Vannicelli, per delega dell'Avv. Piazza, e Luciani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza in epigrafe appellata, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma – ha accolto il ricorso in ottemperanza proposto dalla odierna parte appellata L D B volto ad ottenere la declaratoria di nullità, ovvero, in via subordinata, l ’annullamento per illegittimità della deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura che aveva (nuovamente) conferito a Giovanni T l’ufficio semidirettivo di presidente di sezione presso il Tribunale di Forlì, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e/o collegato.

L’odierna appellata aveva in proposito esposto che con sentenza del T.A.R. Lazio, I Sezione, 12 febbraio 2013 n. 1541 in accoglimento del ricorso dalla medesima proposto era stata annullata la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 5 luglio 2012 con cui era stato conferito al dott. Giovanni T l’ufficio semidirettivo di presidente di sezione presso il Tribunale di Forlì.

Ha in proposito rammentato i passaggi salienti della fase infraprocedimentale e del contenzioso giurisdizionale celebratosi, ed ha sostenuto che la ottemperanda sentenza cognitoria del T.A.R. Lazio, I Sezione, 12 febbraio 2013 n. 1541, aveva accertato che il CSM aveva perpetrato numerose illegittimità in occasione dell’adozione della prima delibera.

Ha fatto poi presente che,in sede di seconda comparazione, era stato violato il giudicato formatosi, ed il CSM aveva nuovamente prescelto il controinteressato odierno appellante incidentale, non conformandosi quindi al decisum cognitorio.

Avverso tale “nuova” deliberazione del C.S.M. essa ha quindi prospettato svariate censure di nullità per violazione/elusione del giudicato e, in via subordinata, di “semplice” illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.

Dette doglianze sono state analiticamente vagliate (ed accolte) dal T sotto un assorbente profilo.

Il primo giudice, infatti, ha posto in luce che in primo luogo dovevano essere esaminate le (maggiormente gravi) doglianze di nullità per violazione/elusione del giudicato (Cons. Stato, Ad. Plen. n.2/2013).

Secondariamente, ha rammentato che il decisum di primo grado (sentenza n. 1541/2013)aveva accertato che “la proposta accolta dal Plenum si fonda di un’istruttoria inesatta, la quale ha condotto a formare dei profili dei candidati viziati per aspetti sicuramente rilevanti, ed ha così falsato la decisione del Consiglio superiore della magistratura, che è solo per questo affatto illegittima”.

Ivi infatti,si era rilevato che risultava incontestabile che l’odierna appellata durante la propria carriera avesse esercitato quasi esclusivamente nel settore penale le sue funzioni, sia requirenti (sostituto procuratore), sia giudicanti, quale pretore, giudice monocratico e collegiale (presiedendo per un anno e mezzo uno dei due collegi della sezione), g.i.p. e g.u.p.

Essa poi in due occasioni, aveva anche prestato servizio come giudice a latere in Corte d’assise.

Di converso era stato accertato che il dott. T, non aveva partecipato ad alcuna sezione dibattimentale, “essendo stato tabellato sia a Rimini che a Forlì nella sezione g.i.p./g.u.p.”, non aveva mai tenuto udienze monocratiche, e, come applicato, aveva partecipato “a sporadiche udienze collegiali … e …a udienze di Corte d'Assise a Rimini e a udienze in Corte d'Appello e al Tribunale del Riesame a Bologna”.

Il primo giudice ha quindi rilevato che il C.S.M. non aveva impugnato la richiamata decisione cognitoria n. 1541/2013 ed aveva invece preferito rinnovare il procedimento fino a giungere, il 4 luglio 2013, a una nuova decisione del Plenum che, con lo scarto di un voto (11 contro 10), aveva (nuovamente) accolto la proposta di nomina del T (pur essendo quest’ultima risultata ancora una volta minoritaria in commissione).

Ad avviso del T la rinnovata comparazione (sui cui contenuti essenziali la gravata sentenza si è diffusa ai capi da 3.2.2. a 3.4.2.) era nulla in quanto resa in violazione del giudicato formatosi.

Ciò in quanto, la sentenza n. 1541/13 aveva accertato che il Plenum, con la prima nomina, aveva preferito il T sulla base di elementi errati: ciò affermando, la sentenza aveva altresì indirettamente riconosciuto come, a contrario, quegli stessi elementi fossero decisivi per individuare il magistrato più idoneo a ricoprire le funzioni presidenziali: l’esperienza in una sezione penale dibattimentale, come giudice monocratico o presidente f.f., e per le specifiche attitudini organizzative.

La decisione cognitoria, parimenti, aveva sottolineato che la D B disponeva di un curriculum professionale almeno equivalente a quello del T.

Ad avviso del T, la nuova proposta, risultata prevalente, dichiarava formalmente di voler osservare la prima sentenza, ma, in realtà, riproponeva la nomina del T sulla base degli stessi elementi già espressi nella prima delibera annullata.

Se in sede di prima comparazione il CSM aveva cercato di superare la grave lacuna, derivante al candidato T dalla sostanziale mancanza di esperienza dibattimentale, attribuendogliene una (ritenuta nella sentenza cognitoria ottemperanda se non del tutto inconsistente, comunque inadeguata) nella successiva comparazione si era tentato di minimizzare la rilevanza di tale esperienza.

Per altro verso, ad avviso del T, il Plenum aveva riproposto come rilevanti le sporadiche esperienze di giudice a latere , già ritenute insufficienti nella sentenza.

Si citavano ivi, infatti, le due uniche sentenze di un certo rilievo redatte dal T, in circa vent’anni di esercizio della funzione giurisdizionale, a fronte delle centinaia di decisioni redatte dalla appellata (che, se anche non tutte significative, ad avviso del T confermavano un’esperienza decisamente prevalente).

Ad avviso del T, poi, la sentenza cognitoria aveva anche sottolineato la rilevanza dei profili organizzativi ed aveva colto che il C.S.M. aveva attribuito al T la paternità di soluzioni organizzative che, invece, spettavano alla odierna appellata. Con riferimento a tale versante, se era vero che di ciò il nuovo provvedimento di nomina ne prendeva sostanzialmente atto ,tuttavia ivi si erano riconosciute al T ancora peculiari capacità organizzative (desunte dall’impegno profuso dallo smaltimento dell’arretrato presso l’ufficio GIP/GUP di Rimini).

Senonchè, ad avviso del T, anche tale profilo motivazionale della rinnovata comparazione appariva censurabile, in quanto rimaneva incomprensibile la correlazione tra tale impegno personale, (indice di operosità - diviso, peraltro con un altro collega- ), e la particolare propensione all’organizzazione di un’intera sezione (cosa ben diversa dal riuscire a distribuire produttivamente le proprie energie intellettuali a fronte di un gravoso impegno).

Da ciò,secondo il primo giudice, conseguiva che il nuovo provvedimento, era da considerarsi, (anche per tale parte) sostanzialmente elusivo della decisione cognitoria non contenendo alcun adeguato riferimento alle prevalenti capacità organizzative del T ( né un ruolo di qualche rilievo potevano avere gli altri elementi, marginali, già considerati nel primo provvedimento, riposanti in un articolo di dottrina, ed ad alcune lezioni in un intervallo limitato di tempo).

Alla stregua di tale percorso valutativo, il T ha dichiarato la mancata ottemperanza della sentenza 1541/2013 e la nullità della proposta e del successivo parere ( dichiarando quindi l’inammissibilità della domanda subordinata d’annullamento proposta dall’appellata).

Il T si è poi concentrato sulla portata dispositiva del decisum , ed ha fatto presente che la sentenza 1541/2013 aveva univocamente stabilito come la D B era, per attitudini e meriti professionali, almeno equivalente al T: il nuovo iter comparativo aveva affermato l’opposto, senza tuttavia fornirne una giustificazione rispettosa delle altre prescrizioni contenute nella sentenza.

Il giudizio almeno d’equivalenza tra i due concorrenti non era stato smentito dal nuovo provvedimento: sicché dare prevalenza e scegliere la D B avrebbe costituito per il Plenum doverosa applicazione della regola, prima ricordata, per cui, in un simile caso si doveva preferire il magistrato più anziano.

Il T ha quindi ritenuto possibile (e non collidente con il precetti cui all’art.105 della Costituzione) emanare un provvedimento amministrativo satisfattivo, in sostituzione del Consiglio superiore della magistratura, anche in conformità alla proposta A della competente commissione del Consiglio superiore della magistratura, formata in conformità alle determinazioni di cui alla sentenza 1541/13, e sottoposta al Plenum nella stessa riunione del 4 luglio 2013.

Ha pertanto dichiarato l’odierno appellante incidentale Giovanni T cessato dall’ufficio predetto, con effetto dalla comunicazione della sentenza disponendo, ex art. 114, IV comma, lett. a), c.p.a. il conferimento a L D B dell’ufficio semidirettivo di presidente di Sezione interna del Tribunale di Forlì – settore penale, in conformità alla “Proposta A”, della competente commissione del C.S.M. ed ordinando al Ministro della giustizia di assumere il conseguente provvedimento ex art. 17 della l. 24 marzo 1958 n. 195.

Avverso tale decisione l’amministrazione originaria resistente rimasta integralmente soccombente ha proposto un articolato appello sostenendo che la nuova comparazione non era attinta da alcun vizio e che la statuizione del T si appalesava erronea, anche nella portata dispositiva.

Ripercorsa la precedente fase contenziosa sfociata nella sentenza regiudicata n. 1514/2013 ha sostenuto che ivi si era riscontrato un vizio di istruttoria.

La seconda delibera del 4.7.2013 colmava tale deficit (il CSM aveva prestato acquiescenza alla detta decisione, rinnovando il procedimento).

Preso atto delle indicazioni del T contenute nella detta decisione cognitoria regiudicata, si era nuovamente nominato il Dott. T, valorizzando elementi del tutto diversi da quelli stigmatizzati dal T.

Il T aveva errato nel ritenere che il procedimento impugnatorio dovesse seguire il rito dell’ottemperanza (Ad. Plen. n.2/2013): trattavasi invece di ordinaria impugnazione di legittimità, posto che si censuravano elementi non attinti dal primo giudicato demolitorio.

La sentenza regiudicata n. 1514/2013 si fondava su asserite “lacune” analiticamente indicate;
ed integrava –in tale parte- “giudicato puntuale”;
il Csm, rieditando la procedura valutativa, non era certo incorso negli stessi vizi od errori, né aveva eluso il detto giudicato.

L’azione avrebbe dovuto essere qualificata quindi, quale ordinaria impugnazione di legittimità: ci si trovava al cospetto di un eccesso di potere giurisdizionale in violazione dell’art. 105 della Costituzione (seconda censura).

Per altro verso, (terza doglianza) erano stati anche travalicati i limiti del giudizio di ottemperanza ed il T si era sostituito dal Csm, senza neppure procedere alla nomina del commissario ad acta , come reso palese peraltro dal capo D del dispositivo (quarta censura) contenente un ordine direttamente impartito al Ministro della Giustizia.

Il controinteressato dott. T ha depositato una memoria riepilogando il contenzioso intercorso e chiedendo che l’appello venga accolto, per le stesse ragioni prospettate dal CSM.

Ha poi proposto appello incidentale censurando la sentenza gravata per ragioni coincidenti con quelle prospettate dal Csm.

All’adunanza camerale dell’ 8 luglio 2014 la Sezione con la ordinanza n. . 03044/2014

ha accolto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “sotto il profilo del periculum in mora l’interesse prospettato dall’appellante amministrazione appare certamente di preponderante spessore, apparendo necessario assicurare la continuità della funzione semidirettiva in corso di svolgimento (affidata sino a questo momento al controinteressato dott. T);”.

Tutte le parti processuali, in vista della odierna camera di consiglio hanno depositato scritti difensivi tesi a puntualizzare le rispettive censure ed eccezioni.

Alla odierna adunanza camerale del 16 dicembre 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

1.L’appello (che verrà esaminato unitamente alle analoghe argomentazioni proposte dal controinteressato nella propria memoria)è fondato e va accolto nei termini di cui alla motivazione che segue.

1.1. In via preliminare si rileva che parte appellata, nella propria memoria datata 16 novembre 2014 ha chiesto che venga dichiarato irricevibile - perché tardivo - l’appello incidentale proposto dal controinteressato. La eccezione è ammissibile sebbene parte appellata non possa ricavarne un particolare giovamento posto che le argomentazioni proposte dal controinteressato ricalcavano quelle prospettate nell’appello principale proposto dal CSM (quest’ultimo incontestatamente ricevibile ed ammissibile).

Trattasi comunque di circostanza verificabile anche ex officio .

Essa è fondata alla stregua di quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza amministrativa ( ex aliis Cons. Stato Sez. V, 24-04-2014, n. 2065) secondo cui “l’art. 87 D. Lgs. n. 104/2010 (CPA) stabilisce, al comma 2, lett. d), che i giudizi di ottemperanza siano trattati in camera di consiglio, aggiungendo al successivo comma 3 che tutti i termini processuali (per i giudizi in camera di consiglio) siano dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi incidentali.”.

Posto che la sentenza venne notificata al controinteressato il 4 giugno 2014, e l’appello principale il 11 giugno 2014, l’appello incidentale, in quanto spedito per notifica il 15 settembre 2014 è tardivo. Né sul punto può accogliersi la tesi formulata dall’appellante incidentale nella propria memoria di replica, secondo cui, posto che il T avrebbe fatto malgoverno delle disposizioni che disciplinano lo svolgimento del giudizio di ottemperanza( rectius : non avrebbe potuto celebrare il processo seguendo il detto rito) i termini di impugnazione sarebbero quelli pertinenti ad una ordinaria azione di legittimità.

La tesi è inaccoglibile: la sentenza doveva essere impugnata con le forme e nei termini conseguenti alla qualificazione ad essa impressa dal primo giudice, costituendo semmai questione di merito, logicamente successiva, quella relativa alla esattezza –o meno – del rito prescelto dal T.

L’appello incidentale, in quanto tardivamente proposto va quindi dichiarato irricevibile.

1.1.1. Ciò premesso, passando alla disamina delle questioni poste dall’appello principale, va rammentato innanzitutto che la risalente prassi della doppia impugnazione, in due sedi diverse, del medesimo provvedimento reso successivamente ad un giudicato demolitorio, ha provocato l’intervento dell’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la decisione n. 2 del 15-01-2013 ha affrontato – e compiutamente risolto – il tema relativo alla necessità del cumulo di azioni (la questione era stata rimessa alla Plenaria dalla Sesta Sezione con ordinanza collegiale n. 2024/12 del 5 aprile 2012: in detta fattispecie il giudicato annullatorio aveva investito un concorso universitario).

Lo stabile assetto cui è giunto il massimo consesso della giustizia amministrativa è stato il seguente.

Innanzitutto ci si è chiesti se la scelta della sede cui fare ricorso per la verifica della corretta esecuzione del giudicato potesse essere rimessa alla scelta della parte vittoriosa in sede di giudicato, ossia alla qualifica che questi attribuisce all'azione della p.a. successiva al giudicato (violazione/elusione del giudicato o autonoma violazione) o se occorresse dare prevalenza all'esigenza di frustrare i comportamenti formalmente rinnovatori, ma in realtà meramente reiterativi della precedente determinazione in relazione alla quale si è formato il giudicato (e si è pervenuti alla risposta per cui la scelta dell’azione da esperire scaturisca da referenti oggettivi, e non già meramente soggettivi).

Secondariamente, si è espresso il convincimento per cui “l'instaurazione di due distinti giudizi - che è conseguenza di una incertezza derivante dallo stesso ordinamento processuale - non elimina la sostanziale unicità di una domanda che presuppone implicitamente la richiesta al giudice, insieme all'esame della natura della patologia dell'atto, la corretta qualificazione della tipologia dell'azione.”

Da ciò si è tratto l’ulteriore corollario per cui il detto esame non potrebbe utilmente avvenire “se non attraverso un esame congiunto e comparativo delle due domande, ancorchè le stesse introducano - per effetto del sistema processuale vigente - due giudizi tipologicamente distinti, l'uno di cognizione l'altro di ottemperanza.”

Si è poi dato atto della circostanza che il cpa mostra un favor per la concentrazione nell'alveo del giudizio di ottemperanza di tutte le questioni che sorgono dopo un giudicato e che siano afferenti alla sua esecuzione: senonchè – in armonia con i pregressi approdi giurisprudenziali – è stato ritenuto che tale favor non potesse spingersi al punto “di poter affermare che qualsiasi provvedimento adottato dopo un giudicato, e in conseguenza di esso, e che non sia satisfattivo della pretesa del ricorrente vittorioso, debba essere portato davanti al solo giudice dell'ottemperanza “(con ciò ribadendosi la validità dell’insegnamento per cui ove il nuovo atto successivo al giudicato non sia elusivo o in violazione del giudicato, ma autonomamente lesivo, poiché va a coprire spazi lasciati vuoti dal giudicato, l'azione corretta, , è quella del ricorso ordinario di cognizione”- cfr, in questo senso, anche la prima giurisprudenza formatasi dopo l'entrata in vigore del cpa: C.d.S., VI, 15 novembre 2010 n. 8053).

Si è quindi innanzitutto stabilito che, per consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere conseguente ad un giudicato, le doglianze relative vengano dedotte (soltanto, ed una sola volta) davanti al giudice dell’ottemperanza, in quanto questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza (ma anche in quanto egli è il giudice competente per l’esame della forma di più grave patologia dell’atto - quale è la nullità - ex art. 21 septies della legge generale sul procedimento amministrativo).

Il giudice adito (che deve essere quindi quello dell’ottemperanza) è chiamato in primo luogo a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all’ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell’azione amministrativa che non impinge nel giudicato, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori.

Nel caso in cui il giudice dell’ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall’amministrazione costituisca violazione ovvero elusione del giudicato, -dichiarandone così la nullità- a tale dichiarazione non potrà che seguire la improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della seconda domanda (quella, cioè volta a sollecitare un giudizio di “semplice” illegittimità dell’atto gravato) .

Viceversa, in caso di rigetto della domanda di nullità il giudice disporrà la conversione dell’azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione ex art. 32, co. 2, cpa.

Giova ribadire che l’Adunanza Plenaria ha anche opportunamente precisato che condizione indispensabile perché possa aver luogo la conversione riposa nella necessità che l’azione sia proposta non già entro il termine proprio dell’ actio iudicati (dieci anni, ex art. 114, co. 1, cui rinvia l’art. 31, co. 4, cpa), ma entro il termine di decadenza previsto dall’art. 41 cpa.

1.2. La giurisprudenza successiva ha poi scandagliato l’ipotesi in cui il giudice dell' ottemperanza abbia erroneamente qualificato la domanda, e non abbia disposto la conversione dell'azione e del rito, stabilendo che in simili fattispecie si profilerebbe un error in iudicando che, incidendo sul pieno dispiegamento del diritto di difesa nelle più ampie e rituali forme del giudizio di cognizione, comporterebbe annullamento con rinvio , ai fini della conversione, ai sensi dell'art. 105 D.Lgs. n. 104/2010 (Cons. Stato Sez. IV, 13-03-2014, n. 1236 Cons. Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2012, n. 6239).

L’approdo raggiunto appare coerente sia con la lettera dell’art. 105 del cpa (che fa riferimento alla ipotesi in cui il primo giudice abbia declinato la giurisdizione, cui appare parificabile quella in cui si sia giudicato erroneamente con i poteri della giurisdizione di merito invece che di legittimità ) sia con la giurisprudenza della Corte regolatrice della giurisdizione che predica la sussistenza del vizio di “eccesso di potere giurisdizionale” allorchè si sia utilizzato il rito (ed i poteri) dell’ottemperanza senza che ne ricorressero le condizioni ( ex aliis Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sentenza 19-10-2012, n. 17936 “l'abuso dello strumento del giudizio di ottemperanza da parte del giudice amministrativo può risolversi in un vero e proprio eccesso di potere giurisdizionale solo se ne sia derivato un indebito sconfinamento del provvedimento giurisdizionale nella sfera delle attribuzioni proprie dell'amministrazione o, eventualmente, di un giudice appartenente ad un ordine diverso”, ma si veda anche Sezioni Unite n. 23302 del 9 novembre 2011).

1.3. Traslando i superiori approdi – pienamente condivisi dal Collegio – alla fattispecie per cui è processo, deve rilevarsi quanto segue.

Laddove dovesse essere accolta la censura d'appello (la cui disamina investe, all’evidenza, carattere pregiudiziale) incentrata sulla violazione dell'art. 114 c.p.a. in relazione al denunciato error in iudicando relativo alla qualificazione della domanda proposta ( in quanto asseritamente afferente non già ad atti e provvedimenti adottati in violazione e/o elusione degli effetti conformativi esecutivi della sentenza regiudicata suindicata, 12 febbraio 2013 n. 1541sebbene a provvedimenti costituenti esercizio di potere amministrativo distinto e indipendente, quanto a presupposti, contenuti e finalità, rispetto a quello estrinsecatosi nei provvedimenti e atti deliberativi a suo tempo annullati e pertanto censurabile unicamente in sede di impugnazione di legittimità) questo Collegio dovrebbe annullare con rinvio la sentenza gravata.

2.Ciò premesso in punto di inquadramento generale, si ritiene immediatamente di evidenziare che pare al Collegio ricorra effettivamente l’evenienza paventata nei capi che precedono, e che pertanto la gravata decisione debba essere annullata in parte qua, con rinvio al primo giudice perché si pronunci sulla domanda “ordinaria” di annullamento della delibera per asseriti vizii di legittimità già proposta in via subordinata in primo grado e non esaminata dal T.

2.1.Invero – come riconosciuto dallo stesso T nella decisione oggetto dell’odierno gravame- la sentenza regiudicata 12 febbraio 2013 n. 1541 ebbe ad annullare la prima delibera favorevole al Dott. T sostanzialmente riscontrando un vizio di istruttoria da “travisamento del fatto”;
essa non fu gravata,ed il CSM rese una seconda delibera , il 4 luglio 2013 (ritenuta elusiva/violativa del giudicato mercè la sentenza gravata) che vide nuovamente prevalere il dott. T.

2.2.Risulta dagli atti di causa che il T, nella sentenza oggetto della odierna impugnazione, ha correttamente riportato i passaggi fondamentali sia della prima comparazione annullata con la sentenza 12 febbraio 2013 n. 1541 sia della seconda comparazione sfociata nella delibera 4 luglio 2013 oggi gravata: al fine di non appesantire il presente elaborato a tale parte descrittiva contenuta nella sentenza gravata (non contestata da alcuna parte processuale peraltro) si farà integrale riferimento nel prosieguo della presente esposizione, dovendosi intendere la stessa integralmente richiamata e trascritta nella presente motivazione.

2.3. Il decisum del T, tuttavia, ad avviso del Collegio, incorre in un – non modesto - errore decisionale.

2.3.1. Sotto il profilo sistemico, per il vero, un primo errore si individua nella affermazione di cui al capo 6.3.1. della sentenza (“sulla base di quanto testé esposto, l’azione qui esercitata deve essere qualificata come per ottemperanza, ex artt. 112 segg. c.p.a. giacché questa, e non l’azione ordinaria di legittimità, costituisce ormai lo strumento tipico per la migliore tutela di chi intenda dare effettività alle determinazioni contenute nelle sentenze, prioritariamente del giudice amministrativo, che si ritengano non eseguite o eluse”).

Non è questo, per il vero, l’approdo contenuto nella decisione dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 15-01-2013 che si è prima richiamata, ed alla quale lo stesso T ha affermato di volersi conformare.

Ivi, infatti, si è ritenuto che il gravame avverso la nuova effusione del potere dovesse essere veicolato al giudice competente per l’ottemperanza perché la patologia riscontrabile in ipotesi di violazione/elusione del giudicato (quella, cioè, della nullità) era certamente la più grave.

Muovendo dall’esame del vizio più grave, soltanto escluso quest’ultimo, il giudice adito potrebbe passare, ove competente (ove, cioè, l’azione non fosse stata proposta innanzi al Consiglio di Stato in grado unico)allo scrutinio del vizio “ minor ” di illegittimità.

Non altro.

Non si è mai affermato – come invece sostenuto dal T- che la “naturale disamina” di una simile questione dovesse svolgersi utilizzando “la giurisdizione estesa al merito, ex art. 134 c.p.a., per realizzare nel modo più conveniente l’interesse – segnatamente pretensivo –”.

2.3.2. In sostanza, ad avviso del Collegio, ciò che l’ordinamento prescrive riposa in un esame “laico” della consistenza del vizio ipotizzato, muovendo dalla più grave fattispecie della nullità: esclusa la fondatezza di quest’ultima, si deve convertire il rito (se il giudice adito è competente anche per la impugnazione di legittimità) ovvero fissare un termine per la riassunzione innanzi al giudice competente.

2.3.3. Il T, per il vero, “corregge” poi la prima affermazione surriportata, al successivo capo 6.3.2. e fa presente che avrebbe tenuto separato ben distinto il profilo processuale dell’ammissibilità dell’azione, da quello sostanziale della sua fondatezza.

2.3.4. Senonchè, poi, il prosieguo della motivazione, tradisce il vizio di origine di impostazione che ha indotto in errore il primo giudice.

2.3.5. Invero costituisce principio consolidato quello per cui il sistema giuridico italiano non accoglie il principio dell’ “ one shot ” e – quale equo contemperamento tra esigenze all’apparenza inconciliabili (la “forza”della res iudicata e la stessa funzione ed utilità di quest’ultima;
la continuità del potere amministrativo ex art. 97 della Costituzione;
il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 della Costituzione medesima)- consente che la prima rieffusione del potere successiva ad un giudicato demolitorio sia tendenzialmente “libera”.

Ciò avviene imponendo all'Amministrazione - dopo un giudicato di annullamento da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo - di esaminare l'affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati (tra le tante, si veda Consiglio di Stato Sez. VI, 09-02-2010, n. 633;
Consiglio di Stato sez. V, 06-02-1999, n. 134 e, di recente, Consiglio di Stato Sez. IV, n 4987/2014).

2.3.6. Muovendo da tale presupposto –in ordine al quale non ritiene il Collegio di mutare divisamento, e comunque in realtà neppure criticato dal T- il semplice raffronto testuale della seconda comparazione gravata con la delibera vulnerata dal giudicato demolitorio ottemperando, rende palese che, in realtà, la domanda di ottemperanza fosse inammissibile o, se si vuole, infondata, proprio alla luce di tale principio.

2.3.7. Ciò – a tacer d’altro- emerge per tabulas dalla decisione gravata. Il Csm, infatti, nella gravata delibera (di “seconda comparazione”) del 4 luglio 2013 sostanzia il proprio giudizio di prevalenza in favore del dott. T, quantomeno in parte, su elementi del tutto nuovi.

Ciò viene riconosciuto dallo stesso primo giudice, che così testualmente si esprime al capo 7.3.2. della gravata sentenza: “Il nuovo provvedimento di nomina non smette di riconoscere al T ancora peculiari capacità organizzative, che ora desume dall’impegno profuso dallo smaltimento dell’arretrato presso l’ufficio GIP/GUP di Rimini.”.

Il T, all’evidenza, non condivide detto modo di procedere, e lo stigmatizza esprimendosi nei seguenti termini “non si comprende, peraltro, sempre secondo comune buon senso, quale sia la correlazione tra tale impegno personale, indice di operosità e diviso, peraltro con un altro collega (altrettanto volonteroso, si suppone), e la particolare propensione all’organizzazione di un’intera sezione, con quel che ciò significa, e cui si è accennato, che è cosa ben diversa dal riuscire a distribuire produttivamente le proprie energie intellettuali a fronte di un gravoso impegno.

Il nuovo provvedimento, dunque, è per tale parte, sostanzialmente elusivo della decisione assunta da questa Sezione, giacché non contiene alcun adeguato riferimento alle prevalenti capacità organizzative del T;
né un ruolo di qualche rilievo possono avere gli altri elementi, evidentemente marginali, e già considerati nel primo provvedimento, e che si riducono ad un articolo di dottrina, ed ad alcune lezioni in un intervallo limitato di tempo.”.

2.3.8. Senonchè, prima ancora di esprimere detto giudizio ( rectius : quale condizione legittimante per potere esprimere il detto giudizio in sede di giudizio di ottemperanza e con i poteri di merito a quest’ultimo riconducibili) il T avrebbe dovuto rispondere a questi due connessi interrogativi.

Essi sono i seguenti.

Il T avrebbe dovuto chiarire se tale profilo motivazionale rientrasse (collidendovi) nel “fuoco” del precedente giudicato, ovvero se fosse “nuovo”, e soltanto nella prima evenienza, avrebbe potuto dichiarare ammissibile e/o fondato il petitum di ottemperanza.

Ciò non è avvenuto, e l’implicito convincimento che ci si trovasse al cospetto di una motivazione della delibera collidente con il giudicato formatosi è del tutto errato.

2.3.9. Nell’ambito del giudicato di cui alla sentenza 12 febbraio 2013 n. 1541 il T ha censurato il giudizio di prevalenza accordato al Dott. T ritenendo quest’ultimo viziato (prima di tutto in fatto) allorchè aveva riconosciuto al predetto esperienza nel settore dibattimentale penale;
null’altro.

Nel secondo provvedimento, a tacer d’altro, il Csm ha motivato il proprio convincimento preferenziale riferendolo ad un aspetto tutt’affatto diverso (capacità organizzative) e ad un’esperienza professionale non valorizzata nella prima delibera, quantomeno sotto tale angolo prospettico.

Del pari si è fatto riferimento alla esperienza svolta dal dott. T presso il Consiglio Giudiziario.

Non v’erano nella prima decisione regiudicata (della quale per comodità espositiva si riporterà di qui a poco il più pregnante stralcio motivazionale) espressioni di giudizio dalle quali potesse trarsi una preclusione conformativa (anche indiretta od implicita) a che il Csm valutasse tale aspetto.

Il semplice riscontro testuale della sentenza regiudicata resa nel 2013, ciò conferma (“Come già anticipato, il Collegio condivide i rilievi della ricorrente e, così, la sua conclusione per cui la proposta accolta dal Plenum si fonda di un’istruttoria inesatta, la quale ha condotto a formare dei profili dei candidati viziati per aspetti sicuramente rilevanti, ed ha così falsato la decisione del Consiglio superiore della magistratura, che è solo per questo affatto illegittima.

È invero evidente che, all’opposto di quanto si legge nella proposta T, la D B ha una risalente specializzazione nel settore penale: ed è chiaro quale rilevanza assuma questo profilo nella scelta di un presidente di Sezione penale. A sua volta, il T non ha mai fatto parte di una sezione dibattimentale, e affermare – e si tratta di un altro aspetto palesemente ritenuto determinante dal Plenum, nella scelta da esso compiuta - che egli è stato giudice dibattimentale perché applicato sporadicamente a latere non pare corretto, come ricorda la ricorrente, tanto più che non è neppure chiaro se sia stato poi estensore di una parte, e di quale, delle susseguenti sentenze. Se si aggiunge a ciò l’assegnazione in via esclusiva al T di meriti professionali che tali non sono – le “cartelle condivise”, in particolare - si può concludere che la scelta del presidente della Sezione interna del Tribunale di Forlì deve essere rimeditata dal Consiglio superiore della magistratura, muovendo da una più precisa individuazione delle esperienze professionali dei due aspiranti, ovvero dei loro meriti ed attitudini, secondo quanto appena evidenziato.Ciò non significa, naturalmente, che la D B dovrà essere senz’altro preferita al T, ma soltanto che, secondo ragionevolezza ed esperienza, che essa dispone di un curriculum professionale almeno equivalente a quello del controinteressato, diversamente da quanto si potrebbe pensare, leggendo il giudizio prevalso ed impugnato.”).

2.3.10. Se così è emerge:

a)che la rieffusione del potere si era fondata –quantomeno in parte- su elementi nuovi, non attinti dal precedente giudicato;

b)che quest’ultimo non conteneva preclusioni –anche implicite- a tale modus procedendi ;

c)che armonicamente con quanto prima affermato l’azione di ottemperanza avrebbe dovuto essere dichiarata, per ciò solo, infondata (quando non anche inammissibile, stante la testuale sussistenza di un elemento di “novità” nella seconda comparazione);

Di ciò il T non si è avveduto,ed il successivo sviluppo della motivazione e le connesse statuizioni dispositive risentono di detto errore: se il Csm pone a sostegno della seconda comparazione un elemento “nuovo” non oggetto di disamina nella prima sentenza cognitoria, non si vede come poi possa ritenersi collidente con il giudicato detta seconda manifestazione valutativa.

3.Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso in appello va accolto, con assorbimento delle ulteriori censure, l’azione di ottemperanza va dichiarata infondata e respinta, ed a ciò consegue la “riqualificazione” del petitum quale ordinaria domanda di annullamento in sede di giurisdizione di legittimità, e l’annullamento con rinvio della sentenza al primo giudice, perché si pronunci su detta domanda, seguendo il rito (ed utilizzando i poteri) pertinenti alla ordinaria giurisdizione di legittimità.

Questo Collegio di secondo grado non può infatti direttamente pronunciarsi sul petitum del mezzo di primo grado diretto a sostenere la “semplice” illegittimità (e quindi annullabilità) della delibera di seconda comparazione.

3.1. Detta soluzione si impone (si veda la recente decisione della Sezione n. 05513/2014 da intendersi integralmente richiamata e trascritta in questa sede) sia per le ragioni esposte nella sentenza in ultimo richiamata, ma anche perché, diversamente opinando, si oblierebbe il principio del doppio grado di giurisdizione che, sebbene non munito di “copertura costituzionale” con riferimento al processo amministrativo costituisce tendenziale approdo da rispettare e garantire.

Invero, diversamente opinando, si consentirebbe che un (ordinario) petitum teso a far emergere la asserita illegittimità di un atto amministrativo, e non rientrante nel “fuoco” della ottemperanza venga deciso in unico grado.

3.2. Si rende pertanto applicabile alla fattispecie all’esame l’ipotesi contemplata dall’art.105 del codice del processo amministrativo secondo cui questo giudice d’appello rimette la causa al giudice di primo grado se è mancato il contraddittorio.

Invero, occorre che per la vicenda giudiziale sia osservato sin dal primo grado del giudizio il principio processuale del contraddittorio, quale esigenza immanente alla garanzia costituzionale del giusto processo di cui all’art.111 Cost. dando la possibilità alle parti di interloquire sull’oggetto del giudizio sin dal primo grado e per tale rilevato difetto di procedura occorre necessariamente disporre ai sensi per gli effetti di cui all’art.105 , 1 comma c.p.a. l’annullamento con rinvio al primo giudice ( cfr Cons. Stato Sez. V 8/3/2011 n.1462) che dovrà esaminare e pronunciarsi sul ricorso di primo grado per la parte impugnatoria .

4. Conclusivamente, l’appello va accolto nei termini di cui alla motivazione che precede, e la sentenza va riformata nella parte in cui ha accolto il mezzo di primo grado a cagione della supposta nullità/elusività della delibera;
la detta decisione va annullata con rinvio al T affinchè si pronunci sulla porzione del mezzo di primo grado che ha denunciato la illegittimità della delibera gravata, ed è ultroneo rilevare come tale statuizione spieghi portata assorbente rispetto alle altre doglianze prospettate dalla difesa erariale.

5. Le spese processuali del doppio grado devono essere compensate tra le parti a cagione della particolarità e parziale novità delle questioni esaminate, della natura del provvedimento gravato e dalla complessità delle questioni giuridiche e fattuali prospettate dalle parti.

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