Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-11-12, n. 200907057
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N. 07057/2009 REG.DEC.
N. 03886/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 3886 del 2009, proposto da:
Societa' Elettrica Trigno Srl - Set, rappresentato e difeso dagli avv. S S, M P, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;
contro
Comunita' Montana Trigno Medio Biferno di Trivento, rappresentato e difeso dall'avv. G D P, con domicilio eletto presso Cons. Di Stato Segreteria in Roma, p.za Capo di Ferro 13;
nei confronti di
Consorzio Per Lo Sviluppo Industriale di Campobasso-Boiano, rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Sabatini, con domicilio eletto presso Marco Orlando in Roma, piazza della Liberta' N.20;
per la riforma
della sentenza del TAR MOLISE - CAMPOBASSO n. 00075/2009, resa tra le parti, concernente ASSEGNAZIONE AREE ZONA PIP.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comunita' Montana Trigno Medio Biferno di Trivento;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consorzio Per Lo Sviluppo Industriale di Campobasso-Boiano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2009 il dott. Anna Leoni e uditi per le parti gli avvocati Scarano, Di Pardo e Rivellino su delega dell’avv. Sabatini ;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. La Società elettrica Trigno s.r.l. – S.E.T. impugna la sentenza del TAR Molise n. 75/09 con la quale è stato accolto il ricorso proposto dalla Comunità montana di Trivento per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Consorzio sull’istanza presentata dalla Comunità montana in data 30/6/08, volta ad ottenere il provvedimento di revoca e/o decadenza dall’assegnazione dell’area ceduta sita in agro di Trivento, zona PIP e la risoluzione del contratto stipulato fra la ricorrente e la Carter-lavorazione legno s.r.l., con conseguente condanna del Consorzio a provvedere su detta istanza, attenendosi ai principi indicati in sentenza.
2. Con delibera n. 40 del 1998 la Comunità montana Trigno Medio Biferno di Trivento approvava la graduatoria per l’assegnazione delle aree comprese nel proprio piano degli insediamenti produttivi(PIP). A tal fine si collocava in posizione utile anche la soc. Caver, che risultava assegnataria di un lotto di mq. 5500 circa.
A tale assegnazione le parti collegavano funzionalmente una convenzione attuativa stipulata con atto notarile del 12/5/2000, con la quale venivano specificate le reciproche attribuzioni, secondo quanto previsto dall’art. 27 ultimo comma L.n. 865 del 1971.
Con successiva convenzione di diritto pubblico ex art. 15 L.n. 241 del 1990 il Consorzio per lo sviluppo industriale di Campobasso, la Comunità montana Trigno Medio Biferno ed il Comune di Trivento disciplinavano le funzioni relative all’attuazione del PIP in questione ed in tale contesto al Consorzio veniva affidato lo svolgimento di tutte le funzioni connesse alla gestione delle aree industriali, sia tecniche sia amministrative.
Alla soc. Caver succedeva la Società elettrica Trigno che, al posto della originaria destinazione dell’area(produzione e commercializzazione di statue di legno) vi intendeva realizzare una centrale termoelettrica, previa autorizzazione regionale unica n. 11 del 2008.
La Comunità montana, dopo aver diffidato il Consorzio a provvedere alla revoca dell’assegnazione per violazione del vincolo di destinazione del lotto, chiedeva al TAR del Molise di pronunciarsi sull’illegittimità dell’inerzia da esso serbata e la conseguente condanna a provvedere.
3. Il TAR adito accoglieva il ricorso, ritenendo che il rapporto fra Comunità montana e Consorzio industriale rientrasse nell’ambito di una Convenzione fra enti pubblici per l’esercizio di funzioni amministrative e, quindi, in un rapporto disciplinato convenzionalmente ex art. 15 L.n. 241 del 1990;che l’assegnazione in proprietà del lotto in area PIP ricadesse nell’ambito dei rapporti di concessione di beni pubblici e che quindi dovesse essere funzionalmente condizionata all’attuazione dello scopo pubblicistico di realizzazione dell’intervento produttivo programmato;che vi fosse una tutela reale e non meramente obbligatoria in caso di inosservanza di tale vincolo attraverso la risoluzione ipso iure dell’atto di concessione traslativa della proprietà(art. 6 della convenzione);che l’azione di inadempimento potesse essere esercitata attraverso il rito del silenzio.
4. Appella la Società elettrica Trigno, deducendo le seguenti censure:
4.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L. n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 15 L. n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 della L. n. 865/71. Difetto di giurisdizione.
Non sussisterebbe in materia la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto i rapporti fra Comunità montana e Consorzio non potrebbero essere inquadrati nell’ambito degli accordi tra pubbliche Amministrazioni ex art. 15 L.n. 241 del 1990, né varrebbe il richiamo all’art. 11 comma 5 della medesima legge.
Nell’ambito della procedura del silenzio e della conseguente azione finalizzata ad ottenere un provvedimento espresso non si potrebbe configurare la mera esecuzione dell’accordo, trattandosi, viceversa, di verificare l’esistenza delle circostanze presupposte a fondamento dell’adozione del provvedimento richiesto, che nella specie sarebbero insussistenti.
La Comunità montana avrebbe potuto agire revocando la delega di funzioni al Consorzio e provvedendo direttamente alla declaratoria della decadenza. Inoltre, non si tratterebbe di concessione di area ma di vera e propria cessione in proprietà.
Vi sarebbe non esercizio di potere autoritativo, bensì l’esercizio di una facoltà risolutoria meramente privatistica collegata ad un presunto inadempimento a quanto stabilito nell’atto di compravendita dell’area.
4.2. Difetto di legittimazione e di interesse della Comunità montana, in quanto avrebbe delegato al Consorzio industriale di Campobasso- Boiano la intera gestione delle aree comprese nel Piano PIP di Trivento- Piana d’Ischia. Ove l’interesse lo si vedesse radicato nel presunto inadempimento contrattuale della soc. Carter rispetto all’oggetto del contratto stipulato con la Comunità montana di Triveneto, il ricorso sarebbe ugualmente inammissibile perché la Comunità dovrebbe intentare un’azione di risarcimento del contratto per inadempimento nei confronti della soc. Carter ovvero della SET, dinanzi al giudice ordinario.
Il ricorso sarebbe, altresì, inammissibile per difetto di legittimazione della Comunità, trattandosi di un vero e proprio contratto di compravendita del terreno, con cessione della proprietà, cui il Consorzio è rimasto estraneo.
Il ricorso sarebbe, infine, inammissibile perché a fronte della istanza del 26/6/2008 non si sarebbe formato il silenzio- inadempimento, in quanto non sussisterebbe alcun obbligo di natura provvedimentale in capo al Consorzio.
L’esercizio del potere di risoluzione del contratto di cessione delle aree ex Carver per presunto inadempimento dell’obbligo di rispetto dei termini di inizio e fine lavori rientrerebbe nell’ambito di esercizio di funzioni di natura privatistica.
4.3 Infondatezza nel merito della domanda, in quanto il contratto del 12/5/2000 non conterrebbe l’esatta indicazione delle opere da realizzare, facendo esclusivo riferimento alla realizzazione di manufatti aventi caratteristiche tipologiche e costruttive conformi a quelle di cui al progetto planovolumetrico già depositato presso gli uffici della Comunità montana. Inoltre, il mancato rispetto dei termini non potrebbe costituire ex se presupposto per la risoluzione contrattuale, in quanto la Soc. Carter avrebbe ritardato l’esecuzione a causa dei ritardi subiti nell’ottenimento delle erogazioni finanziarie da parte della soc. Sviluppo Italia e a a fronte di tale circostanza il Consorzio avrebbe evidentemente ritenuto giustificabile il ritardo, decidendo di non intervenire ai fini della risoluzione contrattuale per inadempimento. L’attivazione della Comunità montana è avvenuta soltanto dopo che la SET aveva intrapreso una nuova e diversa iniziativa economica da realizzare sulla stessa area e quindi sarebbe intempestiva e tardiva in quanto non avrebbe inteso impugnare l’autorizzazione unica regionale n. 11 del 6/3/08.
Inoltre, il contratto del 12/5/00 in caso di esecuzione di opere non conformi non prevederebbe la risoluzione, ma solo una sanzione pecuniaria.
5. Si è costituita in giudizio la Comunità montana Trigno- Medio Biferno, contestando le dedotte censure in quanto:
- si tratterebbe di convenzione di diritto pubblico(con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo), finalizzata al coordinamento dell’attività amministrativa di competenza di Enti pubblici distinti, disciplinata dall’art. 15 L. n. 241 del 1990;
- la stessa sarebbe subordinata e funzionalmente collegata al contratto d’area denominato (Molise interno”), stipulato in Roma il 22/6/08;
- la soc. Carter(oggi SET) sarebbe un concessionario di bene pubblico che soggiace al potere autoritativo dell’Ente concedente fino a quando non venga realizzata la finalità pubblicistica;
- sussisterebbe la legittimazione e l’interesse a ricorrere della Comunità montana sotto molteplici profili;
- sarebbe illegittimo il silenzio serbato dal Consorzio sulla istanza della Comunità montana;
- l’inadempimento posto in essere dalla concessionaria comporterebbe l’obbligo per l’Amministrazione di dichiarare la decadenza e la successiva risoluzione di diritto del contratto, anche in virtù delle condizioni nello stesso pattuite(art. 7 lett. D), a nulla rilevando l’eventuale comportamento tollerante tenuto dall’Amministrazione.
6. Si è costituito in giudizio anche il Consorzio per lo sviluppo industriale di Campobasso- Bojano, sostenendo la riconducibilità della questione all’Autorità giudiziaria ordinaria, in quanto attinente a rapporti di natura contrattuale e ad una sfera di azione eminentemente privatistica, in quanto tale non censurabile attraverso il rimedio del cd. silenzio rifiuto.
Ha, altresì, sostenuto l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere della Comunità montana già sollevata in I grado e ciò in ragione della delega di funzioni fra Comunità e Consorzio, titolare in via esclusiva della gestione tecnico-amministrativa delle aree disponibili e di tutte le infrastrutture realizzate, da completare e programmate (da ciò la carenza di interesse della Comunità a ricorrere per far valere rapporti eventualmente vertenti tra il Consorzio ed i soggetti terzi.
Ha, inoltre, sostenuto l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso per la non configurabilità del silenzio-rifiuto in capo all’Ente consortile, in quanto nessun comportamento inerte poteva essere imputato al Consorzio da parte della Comunità montana, non gestendo ormai più da tempo le aree interessate dal PIP “Piana d’Ischia”. Era, invero, intervenuta revoca da parte del Consorzio, in data 13/7/07, per assenza di finanziamenti regionali, della convenzione a suo tempo stipulata con la Comunità montana, con conseguente impossibilità giuridica di assumere le determinazioni richieste dalla Comunità montana, che, ritornata nelle disponibilità delle aree, avrebbe potuto adottare direttamente le determinazioni richieste.
7. Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla Camera di consiglio del 21 luglio 2009.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto.
1.1. Va anzitutto affermata in materia la giurisdizione del giudice amministrativo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Società appellante.
La controversia riguarda le conseguenze dell’inerzia serbata dal Consorzio per lo sviluppo industriale di Campobasso- Boiano sull’istanza presentata dalla Comunità montana Trigno Medio- Biferno, volta ad ottenere il provvedimento di revoca e/o decadenza dell’assegnazione dell’area ceduta in agro di Trivento, in zona PIP Piano d’Ischia e la risoluzione del contratto12/5/00 stipulato fra la indicata Comunità montana e la soc. Carter avente ad oggetto la cessione della medesima area e per la declaratoria dell’obbligo del Consorzio di pronunciarsi con provvedimento formale espresso le conseguenze previste in caso di violazione degli obblighi contenuti in una convenzione.
A tal fine rileva che in ordine al PIP si versa, secondo quanto risulta dall’art. 27 L. n. 865 del 1971, in un’ipotesi di urbanistica negoziata o contrattata, nell’ambito della legislazione sull’uso del territorio caratterizzata dalla presenza di uno strumento negoziale nella fase conclusiva di un procedimento urbanistico, volto alla cura di interessi pubblici. In virtù di esso i Comuni dotati di piano regolatore o di programma di fabbricazione possono formare un piano delle aree da destinare ad insediamenti produttivi, da reperire nell’ambito delle zone destinate a insediamenti produttivi dai piani regolatori generali o dai programmi di fabbricazione, ha efficacia per dieci anni ed ha valore di piano particolareggiato di esecuzione. Le aree comprese nel Piano sono espropriate dai Comuni che provvedono poi ad utilizzarle mediante cessione in proprietà, in misura non superiore al 50%, e per la restante quota mediante concessione del diritto di superficie. E’, inoltre, prevista la stipula di una convenzione fra il Comune e i concessionari o gli acquirenti per regolare gli oneri posti a carico di questi ultimi.
Nel caso specifico, al Consorzio per lo sviluppo industriale di Campobasso- Boiano è stata affidato lo svolgimento di tutte le funzioni connesse alla gestione delle aree industriali, gestione non solo tecnica ma anche amministrativa.
L’accordo dal quale trae origine il Consorzio rientra nell’ampia categoria generale degli accordi fra Amministrazioni pubbliche, previsti dall’art. 15 L.n. 241 del 1990. In virtù degli espressi richiami di cui al comma 2 di tale articolo, ne discende, da un lato l’applicabilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili e, dall’altro, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi”, ai sensi dell’art. 11 comma 5 della stessa legge n. 241 del 1990(cfr. dec. Cons. Stato, V Sez., n. 4952/08).
Ciò comporta che, in linea di principio, i rapporti instaurati tra Amministrazioni aderenti e Consorzio ed il loro svolgimento- cha abbraccia la fase attuativa dell’accordo concluso- ricadono nella sfera di giurisdizione del giudice amministrativo.
Invero, “la finalità dell’art. 11 comma 5 legge n. 241 del 1990 è, evidentemente, quella di riservare al giudice amministrativo la cognizione piena (estesa, cioè, anche ai diritti) dell’esercizio della funzione amministrativa, anche quando esercitata con il modulo convenzionale, anziché unilaterale ed autoritativo. La disposizione consacra, in sintesi, il principio dell’indifferenza, al fine dell’attribuzione della pertinente capacità giurisdizionale, dello schema giuridico formale con il quale viene concretamente esercitato il potere autoritativo, sancendo la regola per cui resta riservata al giudice amministrativo la cognizione dell’esercizio delle funzioni pubblicistiche, anche quando concretamente espletate con il modello convenzionale (in alternativa a quello unilaterale)” (cfr. dec. Cons. Stato, IV Sez., n. 2244 del 2006).
In altri termini, la circostanza che una controversia, come quella in esame, tragga origine dall’esecuzione di un accordo assoggettato, in forza degli artt., 11 e 15 della legge n. 241 del 1990. ai principi del codice civile, non è ragione sufficiente per escludere la natura autoritativa del potere esercitato e la conseguente giurisdizione amministrativa (cfr. dec. n. 4952 cit.;Cass. Civ. SS.UU., n. 13712/05).
L’eccezione di difetto di giurisdizione deve dunque essere rigettata.
1.2. Per quanto riguarda, poi, la verifica circa la sussistenza di un obbligo di provvedere, in presenza del quale l’inerzia dell’Amministrazione assume rilevanza giuridica sub specie di silenzio rifiuto, va rilevato come la giurisprudenza abbia puntualizzato che il nuovo rito abbreviato di cui all’art. 2 L. n. 205/2000 riguardi solo il silenzio- rifiuto in senso tecnico, ossia il comportamento omissivo che maturi a fronte di un’istanza diretta a far valere una posizione di interesse legittimo e non anche l’inerzia della P.A. a fronte di un’istanza diretta a far valere un diritto soggettivo (cfr. Cons. Stato, IV Sez., n. 208/04;n. 5711/03;VI Sez. n. 2534/03;Iv Sez. n. 540/03;Vi Sez. , n. 4824/02).
Invero, l’istituto del silenzio-rifiuto trova la sua giustificazione laddove la realizzazione dell’interesse sostanziale del ricorrente sia subordinata alla valutazione della compatibilità con l’interesse pubblico e di conseguenza richieda la collaborazione dell’Amministrazione cui, istituzionalmente, compete tale valutazione.
Quando, invece, si sia in presenza di diritti soggettivi e, quindi, si facciano valere interessi non correlati al potere dell’Amministrazione, la procedura del silenzio appare inutile, ben potendo il soggetto ottenere una tutela più diretta ed immediata tramite un’azione di accertamento, senza la necessaria intermediazione di un provvedimento formale (cfr. Cons. Stato, IV Sez., n..419/05).
Va, poi, rilevato come l’art. 2 L. n. 205/00 operi, secondo la prevalente giurisprudenza, esclusivamente sul piano processuale, presupponendo e non fondando la giurisdizione del giudice amministrativa. Sicché l’applicazione del nuovo rito richiede una verifica preliminare circa l’esistenza della giurisdizione amministrativa sulla materia nella quale l’Amministrazione è rimasta inerte di fronte all’istanza del privato.
E’ stato, invero, affermato che il silenzio dell’amministrazione può configurarsi solo rispetto al mancato esercizio del potere, mentre, allorché si deduca la lesione di un diritto soggettivo, occorre proporre un’azione di accertamento volta ad ottenere il riconoscimento di quel diritto (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., n. 7088/04;V Sez., n. 497/04).
Nella fattispecie all’esame del Collegio si è già verificata, sub 1.1., la sussistenza della giurisdizione amministrativa in via esclusiva. Per converso, l’istanza cui il Consorzio non ha corrisposto, riguarda l’attività di gestione privatistica affidata al medesimo, in virtù della intervenuta convenzione fra le parti.
Tale affidamento non prevede che sia sanzionato un comportamento che non corrisponda a corretti criteri di gestione, sicché va escluso che si verta in fattispecie comportante la spendita di potere pubblico, con la conseguenza che non vi è obbligo di pronuncia né di intervento da parte del Consorzio sulla istanza di parte.
Ne discende la non praticabilità, in materia, del rimedio del silenzio.
2. Per le suesposte considerazioni, l’appello va accolto nei termini indicati, restando assorbite le rimanenti censure, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.