Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-09-09, n. 201906108

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-09-09, n. 201906108
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201906108
Data del deposito : 9 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/09/2019

N. 06108/2019REG.PROV.COLL.

N. 05788/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5788 del 2017, proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F C, G L P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F C in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;

contro

AUTORITÀ DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

ITALO-NUOVO TRASPORTO VIAGGIATORI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliano Berruti, Sante Ricci, Ernesto Stajano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuliano Berruti in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 161;
TRENITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Botto, Vito Auricchio, Valerio Mosca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Botto in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, n. 67;
GRANDI STAZIONI S.P.A., CENTOSTAZIONI S.P.A., ASSOCIAZIONE FERCARGO, IMPRESE FERROVIARIE NEL TRASPORTO MERCI, non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Piemonte, Torino, sez. II, n. 541 del 2017;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Autorità di Regolazione dei Trasporti, di Nuovo Trasporto Viaggiatori s.p.a. e di Trenitalia s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2019 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati F C, Federica Varrone dell’Avvocatura dello Stato, Vito Auricchio, Alessandro Botto, Giuliano Berruti e Ernesto Stajano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- La società Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. - gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, in forza dell’atto di concessione di cui al decreto-ministeriale del 31 ottobre 2000 - ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte n. 541 del 2017, la quale ha respinto il ricorso proposto dalla stessa Rete Ferroviaria Italiana per l’annullamento:

i ) della delibera 31 ottobre 2014, n. 70, dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti, avente ad oggetto la «Regolazione dell’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie e avvio del procedimento per la definizione dei criteri per la determinazione del pedaggio per l’utilizzo delle infrastrutture ferroviarie»;

ii ) della delibera n. 76 del 27 novembre 2014 dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti, recante «Indicazioni e prescrizioni relative al Prospetto informativo della rete 2015, presentato dal gestore della rete ferroviaria nazionale, R.F.I. s.p.a.»;

iii ) della nota prot. 2015/2 del 6 febbraio 2015, con la quale l’Autorità di Regolazione dei Trasporti ha ulteriormente chiarito il contenuto delle previsioni della delibera 31 ottobre 2014, n. 70 in materia di pedaggio AV/AC.

Le delibere citate sono state adottate in applicazione del previgente quadro normativo, basato sulla Direttiva 2001/14/CE, come da ultimo modificata dalla Direttiva 2007/58/CE, recepita in Italia dal decreto legislativo n. 188 del 2003 (nel frattempo abrogato dal d.lgs. n. 112 del 2015, entrato in vigore il 25 luglio 2015, che ha recepito in Italia la sopraggiunta Direttiva 2012/34/UE).

1.1.- Oggetto del contendere sono le misure dell’Autorità di regolazione che hanno determinato il canone di accesso alla rete ferroviaria in Alta Velocità/Alta Capacità (“AV/AC”) per l’anno 2015. Il gestore della infrastruttura - sul presupposto che il costo del pedaggio fissato al valore di € 8,2 treno/km per l’utilizzo della rete ferroviaria nell’alta velocità fosse troppo basso in quanto privo della copertura della “remunerazione del capitale investito” - ha sollevato davanti al giudice di prime cure le seguenti censure:

a ) violazione dei principi del giusto procedimento: l’Autorità avrebbe violato i principi propri dei procedimenti pubblici di notice and comment, omettendo di porre in consultazione lo schema compiuto di atto di regolazione, in specie con riguardo all’ipotesi di modifica del pedaggio per l’infrastruttura AV/AC;

b ) violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990: l’Autorità avrebbe illegittimamente ritenuto di recepire le osservazioni formulate da RFI in corso d’istruttoria, deliberando la riduzione sine die del canone di utilizzo della rete AV/AC da 13,1 euro/km a 8,2 euro/km, senza tener conto delle condizioni essenziali che la stessa RFI aveva preteso, ossia la temporaneità e gradualità della riduzione e la previsione di un recupero a partire dal 2018, per la copertura degli investimenti programmati ed approvati dal CIPE;

c ) incompetenza: l’Autorità avrebbe indebitamente deliberato la misura puntuale del pedaggio per l’infrastruttura AV/AC, mentre la normativa vigente le consentirebbe la sola enunciazione dei criteri, assegnando viceversa al gestore della rete il compito di fissarne la misura;

d ) violazione di legge: alla luce della disciplina comunitaria, i criteri di quantificazione del pedaggio non potrebbero essere utilizzati allo scopo di proteggere la concorrenza, favorendo un’impresa ferroviaria di recente costituzione;

e ) violazione di legge: il canone di 13,1 euro/km era stato determinato in relazione agli investimenti programmati ed approvati con delibera CIPE del 2005, la sua immediata riduzione non terrebbe conto della voce di costo del capitale investito (WACC) e provocherebbe al gestore una perdita annua di oltre 120 milioni di euro, con conseguente impossibilità di far fronte agli impegni finanziari già assunti (prestiti UE ed emissioni di obbligazioni);

f ) incompatibilità dell’art. 37 del d.l. n. 201 del 2011 con la direttiva 2001/14/CE e con la direttiva 2012/34/UE: la normativa comunitaria vieterebbe agli Stati membri di attribuire all’Autorità di regolazione l’approvazione dei criteri per la fissazione del pedaggio di utilizzo dell’infrastruttura, compito che viceversa spetterebbe al gestore della rete, sulla base degli indirizzi politici del governo;

g ) violazione di legge: con riguardo alla regolazione dello sgombero delle infrastrutture, oltre alla violazione della procedura di notice and comment, sarebbero sproporzionati ed irragionevoli gli oneri attribuiti al gestore della rete, tenuto ad acquisire in proprio i mezzi di soccorso ed a dotarsi di un’organizzazione stabile per gli interventi;

h ) violazione di legge: nella parte relativa all’assistenza alle persone con mobilità ridotta, l’Autorità avrebbe illegittimamente addebitato la gran parte del costo del servizio al gestore della stazione, anziché all’impresa ferroviaria che trae un utile dal contratto di trasporto con l’utente disabile;

i ) violazione di legge: nella misura relativa agli spazi da assegnare per l’installazione di biglietterie self-service e desk informativi, l’Autorità avrebbe illegittimamente disatteso il criterio di proporzionalità riferito al volume di traffico e di clientela delle imprese ferroviarie operanti sul mercato;

l ) violazione di legge: la delibera avrebbe illegittimamente conferito esecutività immediata alle nuove misure di regolazione, rispetto ai contratti di utilizzo della rete disciplinati dall’edizione dicembre 2013 del PIR.

2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, con sentenza n. 541 del 2017, ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto.

3.- Avverso la predetta sentenza ha proposto appello Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., riproponendo in sede di gravame solo alcune delle principali doglianze articolate in primo grado, e segnatamente:

i ) l’intrinseca erroneità della riduzione ad euro 8,2 treno/km per via della parziale e non adeguata considerazione della “remunerazione del capitale investito”;

ii ) la completa omissione del procedimento di “notice and comment”, il quale presuppone, prima dell’adozione formale del provvedimento regolatorio, una fase di pubblicazione della bozza di atto con spazio per la partecipazione degli interessati;

iii ) la totale assenza di istruttoria a base della decisione, dato che l’unico elemento raccolto nel breve procedimento dall’Autorità di regolazione era stato il contributo di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., il quale bilanciava la temporanea riduzione ad euro 8,2 treno/km per il primo anno con un progressivo aumento negli anni a venire e in misura adeguata a recuperare il vulnus finanziario;

iv ) l’incompetenza dell’Autorità di regolazione nella fissazione di un valore del pedaggio, anziché dei criteri attraverso cui esso è determinato dal gestore dell’infrastruttura;

v ) l’erroneità dei presupposti da cui l’Autorità di regolazione ha preso le mosse, dichiarando di voler agire per promuovere la concorrenza.

4.- Resistono in giudizio, sia l’Autorità di regolazione dei trasporti, sia le società Italo-Nuovo Trasporto Viaggiatori s.p.a. e Trenitalia s.p.a. (imprese ferroviarie che effettuano servizi di trasporto passeggeri sulla rete AV/AC dell’infrastruttura ferroviaria), insistendo tutte per il rigetto del gravame.

5.- In data 7 febbraio 2019, la causa è stata discussa in pubblica udienza e, all’esito della successiva camera di consiglio dell’11 luglio 2019 (a cui l’affare era stato differito ai sensi dell’art. 75, comma 2, del c.p.a.), è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Con il primo ordine di motivi, la società Rete ferroviaria italiana s.p.a. (di seguito anche “RFI”) censura le ragioni in base alle quali il giudice di primo grado ha respinto il quinto motivo di ricorso incentrato sulla misura del canone di pedaggio fissato ad € 8,2 treno/km. L’appellante insiste nel sostenere l’illegittimità della delibera n. 70 del 2014 per avere essa determinato ad una soglia troppo bassa tale misura e, in particolare, per averlo fatto senza includervi la remunerazione del capitale investito nella realizzazione della infrastruttura AV/AC.

1.1.- Il giudice di primo grado ha posto a fondamento del rigetto la seguente motivazione: « La ricorrente non è stata in grado di dimostrare l’esatta diminuzione degli introiti relativi al pedaggio per la rete AV/AC nell’anno 2015. In ogni caso, l’Autorità ha chiarito nella propria memoria (all. B del fascicolo depositato dall’Avvocatura dello Stato - pag. 18) che, sulla base dei dati contabili forniti da RFI in corso d’istruttoria, il livello di pedaggio vigente per la rete AV aveva creato negli ultimi anni le condizioni per il conseguimento di margini positivi, ossia di ricavi da pedaggio superiori ai costi di esercizio operativi del servizio, nel triennio 2011 – 2013. Sul piano giuridico, l’art. 15 del d.lgs. n. 188 del 2003 dispone, al primo comma, che la contabilità del gestore deve presentare un tendenziale equilibrio tra i ricavi complessivi conseguiti ed i costi relativi alla gestione dell’infrastruttura, così implicitamente escludendo la possibilità che gli investimenti siano coperti in parziale autofinanziamento con il flusso degli introiti da pedaggio. Tale argomento appare di per sé sufficiente a fondare la legittimità dell’intervento regolatorio dell’Autorità, che non era tenuta a compiere accertamenti sulla destinazione del gettito del pedaggio, nel senso qui reclamato da RFI. In punto di fatto, poi, il pregiudizio economico denunciato dalla ricorrente è stato presto ridimensionato: come si è visto in relazione al secondo motivo d’impugnativa, il canone di 8,2 euro/km ha trovato applicazione transitoria limitata ad un anno ».

1.2.- Ritiene il Collegio che tale statuizione è errata e che, quindi, la sentenza deve essere riformata.

2.- È utile una breve premessa di inquadramento generale.

2.1.- In presenza di infrastrutture non replicabili - quando cioè le condizioni di monopolio naturale rendono non economicamente conveniente la realizzazione di forme concorrenziali dirette nella produzione o nella gestione di un servizio - la teoria economica della regolazione suggerisce due correttivi, volti rispettivamente a garantire: i) l’uso «efficiente» della rete, attraverso dispositivi che incentivino (simulando, ad esempio, pressioni concorrenziali) l’innovazione dell’infrastruttura e la qualità del servizio, insieme al contenimento dei costi;
ii) l’«uso comune» della rete, in funzione della libera competizione degli operatori, mediante l’adozione di meccanismi di “neutralità”.

Ai predetti fini, il diritto pubblico impone al gestore dell’infrastruttura l’obbligo di garantire l’accesso e l’utilizzo equo e non discriminatorio dell’infrastruttura ferroviaria da parte delle singole imprese ferroviarie, a fronte della corresponsione di un canone il cui ammontare è regolata dal diritto europeo e dalla relativa normativa nazionale di recepimento.

2.1.- I principi generali relativi all’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria sono dettati, ratione temporis, dall’art. 7 della Direttiva 2001/14/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2001, «relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti di utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria» (poi rifusa nella Direttiva 2012/34/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, «che istituisce uno spazio ferroviario unico Europeo»).

Il suddetto articolo prescrive che: «[i] diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria sono pagati al gestore dell’infrastruttura che li usa per finanziare le sue attività» (par. 1), e che «[i] diritti per il pacchetto minimo di accesso e per l’accesso ai servizi sulla linea sono stabiliti al costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario» (par. 3).

In deroga al criterio del costo diretto, l’art. 8, paragrafo 1, della stessa Direttiva 2001/14/CE (cui corrisponde l’attuale art 32 della direttiva 2012/34) stabilisce che «[a]i fini del pieno recupero dei costi da parte del gestore dell’infrastruttura, uno Stato membro può, se il mercato lo consente, applicare coefficienti di maggiorazione in base a principi efficaci, trasparenti e non discriminatori, garantendo nel contempo una competitività ottimale, in particolare per il trasporto internazionale di merci per ferrovia. Il sistema di imposizione dei diritti deve rispettare gli aumenti di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie. Il livello dei diritti stabiliti non deve tuttavia precludere l’utilizzo dell’infrastruttura a segmenti del mercato che possono pagare quanto meno il costo direttamente imputabile, più un tasso di rendimento accettabile per il mercato, alla prestazione del servizio ferroviario». Aggiunge, al paragrafo 2, che «[p]er progetti di investimento specifici, da realizzare in futuro o ultimati al massimo quindici anni prima dell’entrata in vigore della presente direttiva, il gestore dell’infrastruttura può stabilire o mantenere diritti più elevati, sulla base dei costi a lungo termine di tali progetti, purché si tratti di progetti che migliorano l’efficienza e/o la redditività e che, in caso contrario, non potrebbero o non avrebbero potuto essere attuati. Tale sistema di imposizione dei diritti può inoltre comportare accordi di ripartizione dei rischi connessi ai nuovi investimenti» (analoghe disposizioni sono attualmente contemplate dall’art 32 della direttiva 2012/34).

In attuazione delle richiamate previsioni europee, l’art. 17 del decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 188 – oggi sostituito dal decreto legislativo 15 luglio 2015 n. 112, recante la trasposizione della Direttiva 2012/34/UE, ma applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto del presente giudizio,– dispone che: «[a]i fini della determinazione del canone sono presi in considerazione i costi diretti e indiretti di circolazione dei servizi di gestione d’infrastruttura forniti, i costi di energia sostenuti dal gestore dell'infrastruttura ferroviaria per lo svolgimento della corrispondente attività, nonché le spese generali dirette e quota di quelle indirette. Dai costi così considerati devono dedursi gli eventuali indennizzi e gli eventuali contributi pubblici di qualsiasi natura previsti nel contratto di programma di cui all’articolo 14» (comma3). Il comma 5 dello stesso art. 17 precisa che: «[p]er il calcolo e la fissazione del canone dovuto per l’utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, si applicano i seguenti parametri: a) qualità dell’infrastruttura ferroviaria, intesa come velocità massima e attrezzatura tecnica ed impiantistica della linea;
b) saturazione, legata alla densità dei convogli sulle singole tratte infrastrutturali all'interno della giornata e all’intensità di utilizzo dei nodi ferroviari;
c) usura del binario e della linea elettrica, legata al peso e alla velocità del convoglio, nonché alle caratteristiche del contatto tra pantografo e catenaria;
d) velocità, intesa come grado di assorbimento di capacità sulla linea percorsa in relazione alla tipologia della fascia oraria in cui si inserisce la traccia oraria richiesta;
e) consumo energetico, legato alla tipologia di trazione utilizzata» (va osservato che la successiva Direttiva del 2012 ha demandato la definizione dei costi diretti recuperabili ad un apposito regolamento della Commissione, adottato con il Regolamento di esecuzione 2015/909, del 12 giugno 2015).

Secondo poi l’art. 18 dello stesso decreto legislativo n. 188 del 2003, «possono essere previsti coefficienti di maggiorazione sui canoni corrisposti per l’utilizzo della rete ferroviaria, ovvero riduzioni dei canoni stessi, nonché modifiche dei canoni che tengano conto del costo degli effetti ambientali causati dalla circolazione dei treni».

2.2.- I costi fissi dell’infrastruttura sono dunque suscettibili di copertura tramite maggiorazione del pedaggio. Non sempre, tuttavia, le tariffe sono il mezzo adeguato per finanziare le infrastrutture;
in molti casi i fallimenti del mercato impediscono la piena attuazione del principio «chi utilizza paga», su cui si fonda la regolamentazione delle tariffe, ad esempio perché l’aumento delle tariffe volto a finanziare nuovi investimenti infrastrutturali sarebbe così sostanziale da fungere da deterrente per gli investimenti o per potenziali utenti dell’infrastruttura. Per tale motivo, la normativa interna individua nel contratto di programma tra Stato e Gestore lo strumento di finanziamento delle opere infrastrutturali, quale misure aggiuntiva per ovviare ai fallimenti del mercato che rimangano irrisolti nonostante le altre politiche e misure del caso (cfr. art. 14 del d.lgs. 188 del 2003;
sostituito dall’art. 15 del d.lgs. 112 del 2015).

2.3.- Nel contesto normativo appena descritto è intervenuta la delibera n. 70 del 31 ottobre 2014, il cui Allegato, al punto 6.6.2, prevede quanto segue: «Con riferimento ai criteri di ammissibilità delle voci di costo, l’Autorità prescrive al GI che, per il computo del pedaggio di accesso alla rete AV/AC, siano ammissibili, in aggiunta alla componente relativa al costo di gestione dell’infrastruttura, adeguatamente rimodulato, esclusivamente le seguenti quote annuali degli oneri finanziari, opportunamente ottimizzati in coerenza con le migliori condizioni di mercato: a) la quota annuale degli oneri finanziari residui sostenuti direttamente dal GI per gli investimenti già realizzati al 31/12/2013, in quanto non coperti da contributi pubblici;
b) la quota annuale degli oneri finanziari cumulati da sostenere per gli investimenti in corso di realizzazione successivamente al 31/12/2013, calcolati sui soli costi effettivamente sostenuti dal GI al netto dei contributi pubblici».

Il valore unitario del canone derivante dall’applicazione dei suddetti criteri - non comprensivi della remunerazione del capitale investito nella sua componente di capitale di rischio - ha trovato applicazione dal mese di novembre 2014 al mese di dicembre 2015, ovvero sino all’adozione del nuovo sistema tariffario previsto dalla delibera n. 96 del 2015.

3.- Contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, la pretesa della società appellante al recupero, per l’anno 2015, delle somme impiegate per la realizzazione e lo sviluppo in Italia della rete “AV/AC” non trova alcuna preclusione nella disciplina di settore.

3.1.- Dal complesso delle disposizioni sopra richiamate si desume che, in via ordinaria, i canoni di accesso ed utilizzo dell’infrastruttura sono stabiliti al costo di circolazione direttamente legato all’uso da parte delle imprese ferroviarie dell’infrastruttura. Nel canone di accesso possono essere tuttavia incluse componenti aggiuntive a copertura dei costi di investimento per specifici progetti, al netto delle fonti di finanziamento alternative e purché si tratti di progetti che migliorino l’efficienza e la redditività della rete. In tali casi, l’Autorità di regolazione è chiamata a stabilire criteri per la determinazione del canone di accesso finalizzati al recupero non solo dei costi diretti, ma anche dei costi totali.

Ebbene, tra i predetti «costi» va di regola incluso - al cospetto di servizi economici di interesse generale, per i quali cioè esista un mercato di riferimento - anche il rendimento del capitale investito. Il costo medio ponderato del capitale, generalmente indicato con l’acronimo inglese «Weighted Average Cost of Capital» (WACC), misura infatti il costo-opportunità che una impresa sostiene per raccogliere le risorse finanziarie occorrenti per l’attività, vuoi sotto forma di capitale di rischio (raccolta presso il mercato finanziario o presso gli investitori) vuoi sotto forma di capitale di credito (raccolta di mezzi di terzi, in forma di finanziamenti). Tale voce esprime, in coerenza con gli equivalenti di mercato, la soglia minima di rendimento accettabile ai fini della profittabilità o della scelta di effettuare o meno un investimento, ed è dunque il «costo» con cui l’azienda deve remunerare i suoi finanziatori (azionisti, detentori di titoli di debito).

3.2.- L’assunto è confermato dalla normativa nel frattempo intervenuta, la quale - essendo rimasto inalterato il modello aziendale prefigurato dal legislatore per la gestione dell’infrastruttura - consente una lettura retrospettiva del materiale normativo previgente.

In particolare vengono in rilievo le seguenti disposizioni:

- l’art. 16, comma 1, del decreto legislativo 15 luglio 2015 n. 112 (che, come si è detto, ha recepito la direttiva 34/2012/UE), il quale prevede che: «[i] conti del gestore dell’infrastruttura ferroviaria devono presentare, in condizioni normali di attività e nell’arco di un periodo ragionevole non superiore a cinque anni, almeno un equilibrio tra, da un lato, il gettito dei canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura, i contributi statali definiti nei contratti di programma […], le eccedenze provenienti da altre attività commerciali e le eventuali entrate non rimborsabili da fonti private e pubbliche, e, dall’altro, i costi di infrastruttura almeno nelle sue componenti di costi operativi, ammortamenti e remunerazione del capitale investito»;

- l’art. 3, comma 1, lettera qq ), dello stesso d.lgs. n. 112 del 2015, secondo cui, per «progetti di investimento specifici» (nel cui ambito rientra senza dubbio anche la rete “AV/AC”), devono intendersi i «progetti di investimento finanziati, integralmente o parzialmente, con capitale di debito o di rischio».

3.3.- È inoltre significativo rimarcare come sia stata la stessa Autorità di regolazione, con la successiva delibera n. 96 del 2015, valevole per il periodo regolatorio 2016-2021, ad includere tra le voci tariffarie la remunerazione del capitale investito nell’infrastruttura AV/AC come componente necessaria del canone di pedaggio, sia pure senza prevedere alcuna forma di recupero per l’anno 2015 (l’appellante, senza specifica contestazione di controparte, ha precisato che il pregiudizio economico derivante dal mancato recupero nel 2015 dei costi totali che avrebbero dovuto essere remunerati con il pedaggio può essere stimato almeno in € 101,93 milioni, come calcolato nei documenti n. 2 e n. 3).

3.4.- Sulla scorta di quanto osservato, è evidente che il disconoscimento del rendimento del capitale investito non poteva certo fondarsi, come invece sostenuto dal T.a.r., sull’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 188 del 2003, il quale si limita ad affermare che: «[i] conti del gestore dell'infrastruttura ferroviaria devono presentare e un tendenziale equilibrio tra i ricavi derivanti dalla riscossione dei canoni […], le eccedenze provenienti da altre attività commerciali e i contributi pubblici definiti nel contratto di programma […], e i costi relativi alla gestione dell’infrastruttura al netto degli ammortamenti, dall’altro» (la disposizione è ora rifluita all’art. 16 del d.lgs. 112 del 2015).

Per completezza argomentativa, va sottolineato come, di per sé, sia erronea anche l’affermazione, pure contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui «la normativa escluda che i canoni possano costituire una leva per garantire un profitto al Gestore stesso»: a riprova del contrario, basta citare la Direttiva (UE) 2016/2370 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016 («che modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l’apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell’infrastruttura ferroviaria») che, all’art. 7- quinquies , paragrafo 1, (attuato nell’ordinamento interno dall’art. 11- quater del d.lgs. n. 112 del 2015), prevede espressamente che le entrate derivanti dalla gestione della rete dell’infrastruttura sono utilizzabili dal gestore anche «per pagare dividendi ai proprietari dell’impresa». Al considerando 18 della stessa direttiva si legge altresì che «[i]dividendi prodotti da attività che non comportano l’impiego di fondi pubblici o le entrate derivanti da canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria possono essere utilizzati anche da imprese che fanno parte di un’impresa a integrazione verticale e che esercitano un controllo sia su un’impresa ferroviaria sia sul gestore dell’infrastruttura»).

4.- La necessità giuridica di includere il rendimento del capitale investito nell’ambito dei criteri e della quantificazione del canone di pedaggio, è supportata anche dai seguenti argomenti di interpretazione sistematica.

4.1.- Il sistema tariffario - operante per i servizi economici che la pubblica amministrazione assume in regime di riserva legale, oppure che vengono attribuiti in concessione - può perseguire una pluralità di obiettivi: l’efficienza allocativa;
la copertura dei relativi costi di produzione;
la stabilizzazione dei prezzi;
misure redistributive di politica sociale (per accrescere cioè il benessere collettivo in una particolare situazione regionale, demografica e culturale).

All’esito di un articolato itinerario normativo - dipanatosi nelle seguenti disposizioni: l’art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498;
gli artt. 1 e 2, commi 17 e 18, della legge 14 novembre 1995, n. 481;
l’art. 117 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
l’art. 165 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 - appare oramai sedimentata nell’ordinamento amministrativo una chiara direttrice regolativa: le tariffe dei servizi di interesse economico generale devono assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione, quale che sia la metodologia concretamente applicata (si pensi che: nell’ottica marginalistica, la tariffa ottimale è quella che consente di realizzare l’eguaglianza tra prezzo unitario e costo marginale;
il metodo integralista fissa invece la tariffa al livello del costo medio).

La strumentalità del sistema tariffario rispetto al conseguimento degli obiettivi di carattere economico-industriale impone l’integrale copertura dei costi di produzione del servizio, ivi compresi quelli di indiretta imputazione e quelli generali: quali ammortamenti, costi finanziari della raccolta e del servizio al debito, costi generali di governance, nonché per l’appunto i costi figurativi di remunerazione del capitale investito.

La determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell’impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall’unità economica il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo. Il costo medio ponderato del capitale permette, a questi fini, di discriminare tra un rendimento atteso accettabile o meno di un investimento.

Si tratta ovviamente di regola generale che ammette eccezioni in caso di servizi privi di mercati di riferimento e di rilevanza industriale (ovvero caratterizzati da anomalia strutturali e funzionali che non consentono efficienza allocativa), ovvero di interessi sociali ritenuti prevalenti dal legislatore (si pensi alle tariffe in materia di servizio idrico integrato, dove l’art. 154, comma 1, del con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, dal cui testo, come modificato a seguito dell’esito positivo del referendum abrogativo di parte del comma medesimo, indetto con d.P.R. 23 marzo 2011, è stato espunto il riferimento alla «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito»).

4.2.- La soluzione prospettata è altresì coerente anche con la disciplina delle relazioni finanziarie tra ente pubblico e società partecipate (si ricordi che il legislatore ha mantenuto in mano pubblica la proprietà dell’intero gruppo Ferrovie dello stato, il cui capitale sociale, che controlla al 100% RFI s.p.a. e Trenitalia s.p.a., è detenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze).

Dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, emerge infatti un modello di società a partecipazione pubblica informato al canone dell’investitore privato razionale, ovvero della piena imprenditorialità e redditività dell’investimento azionario, senza distinguere tra società partecipate svolgenti «attività di impresa» e società partecipate svolgenti «attività di servizio pubblico di interesse generale o di interesse economico generale» (fatte salve specifiche eventuali disposizioni derogatorie di diritto speciale).

Il criterio dell’investitore in regime di mercato che persegue l’obiettivo della massima redditività dei propri investimenti - enunciato tra i criteri direttivi della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, all’art. 18, comma 1, lettera l ) - permea varie disposizioni del testo unico, tra cui: - l’art. 14, comma 5, secondo cui le amministrazioni pubbliche non possono, in linea di massina, effettuare «aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate» che abbiano registrato «per tre esercizi consecutivi», «perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali»;
- l’art. 5 che impone, prima della costituzione della società o della deliberazione di partecipazione a quest’ultimo, un’analitica motivazione «sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato», dovendosi altresì dare «conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa» e della «compatibilità dell'intervento finanziario previsto con le norme dei trattati europei e, in particolare, con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato alle imprese»;
- l’art. 20 secondo cui vanno dismesse o comunque riorganizzate le «partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti».

4.3.- Vanno poi tenuti in considerazione gli effetti del finanziamento pubblico delle infrastrutture sulle imprese ferroviarie.

Il gestore di un’infrastruttura che abbia ricevuto aiuti di Stato o le cui risorse siano statali è in grado infatti di concedere un vantaggio agli utenti (qualora si tratti di imprese), salvo che le condizioni di utilizzo soddisfino il criterio dell’operatore in un’economia di mercato, ossia che l’infrastruttura sia messa a disposizione degli utenti a condizioni di mercato. Qualora i canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura non siano stati fissati nel quadro di una gara, oppure non sia possibile effettuare un confronto con la gestione di infrastrutture analoghe in situazioni analoghe, si può escludere l’esistenza di un vantaggio per gli utenti della rete soltanto se, «alla luce di valutazioni effettuate ex ante gli utenti contribuiscono in misura apprezzabile alla redditività della gestione. Tale situazione ricorre nel caso in cui il gestore dell’infrastruttura stipuli accordi commerciali con singoli utenti che consentano di coprire tutti i costi derivanti dagli accordi stessi, compreso un ragionevole margine di profitto sulla base di solide prospettive a medio termine» (cfr. paragrafo 228 della Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato del 19 luglio 2016).

Non appare dunque condivisibile quanto affermato dalla controinteressata società Italo-Nuovo Trasporto Viaggiatori s.p.a., secondo cui dai costi di ammortamento e di remunerazione del capitale ammissibili a fini tariffari dovrebbero essere senz’altro esclusi quelli relativi ad investimenti realizzati sulla base di aumenti di capitale.

5.- Non resta che esaminare i restanti punti controversi.

5.1.- Le considerazioni espresse dall’Autorità di regolazione, secondo cui in alcuni degli anni precedenti all’adozione della delibera n. 70 del 2014 il gestore dell’infrastruttura avrebbe ottenuto dei «ricavi da pedaggio superiori ai costi di esercizio operativi del servizio, nel triennio 2011-2013», non appaiono in grado di inficiare il ragionamento sin qui svolto.

I «margini positivi» derivanti dal conseguimento, negli anni 2011-2013, della remunerazione del capitale investito, rafforza semmai la prospettazione dell’appellante, il quale lamenta proprio che la delibera impugnata ha comportato la riduzione dei profitti al di sotto della soglia corrispondente alla invocata voce tariffaria.

5.2.- Anche la tesi - sviluppata a partire dalle slide prodotte da RFI nell’ambito dell’interlocuzione informale intrattenuta con l’Autorità di regolazione (doc. 12) - per cui la delibera n. 70 del 2014 avrebbe in realtà assicurato al gestore un tasso di remunerazione del capitale investito del 5,50%, appare contraddetta dalla documentazione in atti.

Come puntualmente replicato dall’appellante, nel modello di calcolo di RFI il riconoscimento della remunerazione del capitale investito ad un tasso del 5,5% sarebbe stato garantito al gestore solo qualora fosse stato accordato un aumento progressivo del pedaggio dell’alta velocità, unitamente al riconoscimento di un credito regolatorio al 31 dicembre 2018 da recuperare a valere sui pedaggi degli anni successivi.

6.- Per tutte le ragioni sopra esposte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, gli atti impugnati in primo grado vanno annullati nei sensi di cui in motivazione.

6.1.- Dal carattere retroattivo dell’annullamento consegue l’obbligo conformativo per l’Autorità di colmare «ora per allora» il vuoto regolatorio determinato dall’anzidetta ablazione, attraverso l’adozione di un atto tecnicamente retroattivo, dal momento che i relativi effetti sono fatti decorrere da un momento antecedente rispetto al perfezionarsi della fattispecie. La retroattività esecutiva del giudicato - a differenza di quella (per così dire) ‘naturale’ dell’annullamento d’ufficio - è imposta dalla necessità di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla effettiva realizzazione dell’interesse meritevole di tutela del ricorrente vittorioso, ‘ricostruendo’ la pienezza della posizione giuridica lesa dall’atto annullato dal giudice (con il solo limite delle sopravvenienze di fatto o di diritto che possano aver reso impossibile travolgere gli effetti medio tempore prodottisi).

L’Autorità do regolazione, nel rinnovare il procedimento relativamente al periodo regolatorio dal 6 novembre 2014 al 31 dicembre 2015, dovrà compiere un’istruttoria che tenga conto dei principi affermati nella presente sentenza, consentendo la partecipazione di tutti gli operatori interessati.

6.2.– Possono assorbirsi le ulteriori doglianze formulate dall’appellante - alcune perché avvinte alla censura accolta da nessi di continenza logica, altre perché non arrecherebbero all’interessata alcun vantaggio sostanziale ulteriore -, e segnatamente:

i) il secondo motivo di appello (corrispondente alla prima censura del ricorso di primo grado), con cui l’appellante ribadisce la lesione del contraddittorio procedimentale, in ragione del fatto che la delibera n. 70 del 2014 sarebbe stata adottata in assenza di un procedimento di notice and comment;

ii) il terzo motivo di appello (corrispondente alla seconda censura del ricorso di primo grado), con il quale si censura la decisione dell’Autorità di regolazione di ridurre il livello di pedaggio da 13,1 a 8,2 euro per treno/km senza alcuna base istruttoria e senza prevedere che tale riduzione fosse definita come temporanea e fosse accompagnata da una previsione di recupero graduale negli anni successivi delle perdite subite;

iii) il quarto motivo di appello (corrispondente alla terza censura del ricorso di primo grado), inerente la circostanza che l’Autorità non si sarebbe limitata ad enunciare i criteri per la determinazione del pedaggio, bensì avrebbe fissato direttamente il livello dello stesso, contravvenendo a quanto disposto dall’art. 37, comma 2, lettera i ), del decreto-legge n. 201 del 2011;

iv) il quinto motivo di appello (corrispondente alla quarta censura di ricorso di primo grado), relativo al capo della sentenza di primo grado che ha ritenuto infondato «l’assunto per cui la normativa europea sui canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria non contemplerebbe la finalità di proteggere la concorrenza».

6.3.- Le spese di lite del doppio grado di lite devono compensarsi, in considerazione della particolare difficoltà e novità della questione.

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