Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-05-06, n. 201302419
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N. 02419/2013REG.PROV.COLL.
N. 07569/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7569 del 2012, proposto da
M F, rappresentato e difeso dagli avvocati D M A e R F, con domicilio eletto presso lo studio della prima, in Roma, via Nicotera, 29;
contro
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro
pro tempore
, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12.
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione III- bis , 7 giugno 2012, n. 5162.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e udito per l’appellante l’avvocato Guzzo per delega dell’avvocato Arlini.
FATTO
1.– Il Provveditore agli studi di Roma, con decreto 2 febbraio 1987, n. 115028, ha escluso il signor M F dal concorso ordinario per esami e titoli, e dalla relativa graduatoria, per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola materna, in quanto lo stesso non aveva dichiarato la sua posizione nei confronti degli obblighi militari.
1.1.– L’interessato ha proposto ricorso n. 2098 del 1987 avverso tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che, con sentenza 7 ottobre 1993, n. 1683, lo ha respinto. In particolare, si è affermato, da un lato, che la normativa di disciplina del settore impone che venga resa la predetta dichiarazione, dall’altro, che, avendo la parte ventinove anni al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda, la stessa « poteva ancora in ipotesi essere soggetto agli obblighi di leva ».
1.2.– Il signor M ha proposto appello avverso la predetta sentenza. Il Consiglio di Stato, con sentenza 2 aprile 1997, n. 532, ha dichiarato: a) inammissibile il ricorso di primo grado e l’appello, per mancata notificazione ad almeno uno dei controinteressati, nella parte in cui aveva ad oggetto la graduatoria del concorso;b) illegittimo l’atto di esclusione, in quanto la posizione della parte nei confronti degli obblighi di leva si poteva desumere dall’età del concorrente che, non essendo in possesso della laurea specificamente indicata ma del solo diploma magistrale, non poteva ritenersi più soggetto agli obblighi di leva.
1.3.– Il Provveditore agli studi, con atto del 21 luglio 1997, prot. n. 68489, ha annullato l’atto di esclusione dal concorso del signor M ma non lo ha inserito nella graduatoria. A tale proposito, si afferma che il Consiglio di Stato, con la citata sentenza, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione e che tutti i posti messi a concorso sono stati occupati, avendo i candidati assunto regolare servizio.
1.4.– Con ricorso n. 12075 del 1997 tale provvedimento è stato impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio che, con sentenza 21 aprile 2011 n. 3498, passata in giudicato, ha annullato l’atto impugnato. In particolare, si è affermato che l’amministrazione avrebbe dovuto includere la parte nella graduatoria « in soprannumero » senza incidere sulle posizioni giuridiche consolidate dei vincitori.
1.5.– Con ricorso n. 9017 del 2011 il signor M ha proposto, innanzi allo stesso Tribunale, ricorso per ottenere l’ottemperanza della predetta sentenza n. 3498 del 2011. Con lo stesso ricorso è stata chiesta la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali pari agli stipendi non corrisposti, non avendo il ricorrente « potuto beneficiare di un lavoro stabile ma è rimasto disoccupato divenendo anche invalido civile », con « decorrenza dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 532 del 1997 ». Sono stati chiesti anche i danni non patrimoniali per le « umiliazioni e le sofferenze conseguenti allo stato di disoccupazione », quantificati in euro 50.000,00.
Il primo giudice, con sentenza 7 giugno 2012, n. 5162: a) ha accolto la domanda volta ad ottenere la condanna dell’amministrazione ad eseguire il giudicato mediante il riconoscimento della posizione giuridica;b) ha rigettato la domanda di risarcimento del danno in quanto, a prescindere dai profili relativi alle modalità e ai termini di proposizione della stessa, ha ritenuto, valutando il contenuto del decreto n. 115028 del 1987, insussistente il requisito della colpa.
L’amministrazione aveva, intanto, provveduto, con atto del 22 febbraio 2012, alla nomina del signor M con decorrenza dall’anno scolastico 2012/2013.
2.– Il ricorrente in primo grado ha proposto appello rilevando l’erroneità della predetta sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la fonte del danno fosse stata individuata nell’atto di esclusione illegittimo del 1987 e non, invece, nell’atto di elusione del giudicato adottato dall’amministrazione nel 1997 a seguito della citata sentenza del Consiglio di Stato. L’azione risarcitoria sarebbe stata, pertanto, proposta ai sensi dell’art. 112, comma 3, Cod. proc. amm., con la conseguenza che non potrebbe venire in rilievo la questione della colpa cui ha fatto riferimento il primo giudice. Si aggiunge che, anche qualora si volesse inquadrare la fattispecie nell’ambito dell’art. 112, comma 4, cod. proc. amm., all’epoca vigente, l’azione sarebbe comunque tempestiva non essendo trascorsi centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza del Tar.
2.1.– Si è costituita in giudizio l’amministrazione chiedendo il rigetto dell’appello.
Nella memoria del 18 dicembre 2012 la stessa amministrazione ha fatto presente che, in data 18 luglio 2012, l’ufficio scolastico regionale del Lazio ha invitato l’appellante a presentarsi per la stipulazione del contratto a tempo indeterminato con decorrenza 1° settembre 2011.
DIRITTO
1.– La questione posta con l’atto di appello attiene alla fondatezza della domanda di risarcimento proposta nel giudizio di ottemperanza e fondata sull’asserita elusione del giudicato.
2.– In via preliminare, è necessario, al fine di stabilire quale sia la disciplina applicabile, qualificare correttamente, alla luce dei lori elementi sostanziali, le azioni proposte dall’appellante nel corso degli anni (cfr., ora, art. 32, comma 2, Cod. proc. amm.).
2.1.– La prima azione proposta, nel 1987, è stata un’azione di annullamento del decreto 2 febbraio 1987, n. 115028 del Provveditore agli studi di Roma di esclusione dell’appellante da una graduatoria per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola materna. Tale domanda è stata respinta dal Tribunale amministrativo, con sentenza 7 ottobre 1993, n. 1683, e accolta dal Consiglio di Stato, con sentenza 2 aprile 1997, n. 532.
2.2.– La seconda azione proposta, nel 1997, è stata un’azione di annullamento dell’atto del 21 luglio 1997, n. 68489, con il quale il Provveditore, pur annullando l’atto di esclusione, non ha inserito il signor M nella graduatoria. Tale domanda è stata accolta dal Tribunale amministrativo del Lazio che, con sentenza 21 aprile 2011 n. 3498, ha annullato il provvedimento impugnato.
Tale azione deve essere qualificata quale azione di cognizione e non di ottemperanza. La parte, infatti, ha chiesto l’annullamento dell’atto al Tribunale amministrativo e non anche l’esecuzione, previa dichiarazione di nullità dell’atto elusivo, della sentenza del Consiglio di Stato n. 532 del 1997 mediante la proposizione del ricorso in ottemperanza allo stesso Consiglio di Stato. Il primo giudice, in conformità alla domanda, ha annullato l’atto impugnato ritenendolo elusivo del giudicato. Non è stato, pertanto, seguito il rito speciale in camera di consiglio con possibilità di nominare, in caso di persistente inadempimento, un commissario ad acta .
A tale proposito, deve rilevarsi che, in virtù del principio generale di autoresponsabilità, rientrava certamente nelle facoltà di scelta dell’interessato scegliere e articolare le modalità di difesa della propria posizione soggettiva. Costui, infatti, a fronte di un atto ritenuto elusivo, avrebbe potuto agire sia, in sede di cognizione, com’è avvenuto nella specie, per ottenere la dichiarazione di invalidità del provvedimento;sia, in sede di ottemperanza, per ottenere non solo una tale dichiarazione ma anche la condanna dell’amministrazione a eseguire il precedente giudicato. Questa libertà di scelta deve essere riconosciuta in quanto non può escludersi che, pur a fronte di un atto elusivo, alla parte interessi ottenere non l’attuazione coattiva dell’obbligo violato ma soltanto una sentenza di annullamento al fine di chiedere, successivamente, la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.
2.3.– La terza azione proposta, nel 2011, è stata finalizzata ad ottenere l’esecuzione della sentenza 21 aprile 2011 n. 3498 del Tribunale amministrativo che aveva annullato il provvedimento del 21 luglio 1997. Unitamente ad essa è stata proposta anche l’azione di risarcimento dei danni.
La prima azione è un’azione di ottemperanza.
La seconda azione è un’azione di risarcimento del danno connessa all’illegittimità del provvedimento del Provveditore agli studi del 1997. La parte, infatti, come già sottolineato, ha proposto un’azione di cognizione volta ad ottenere una sentenza di annullamento dell’atto impugnato, con la conseguenza che la domanda del 2011 deve essere qualificata quale azione risarcitoria conseguente all’accertata illegittimità del provvedimento. Del resto, se si valuta il comportamento dell’amministrazione, è chiaro che la stessa, nel corso della lunga durata del giudizio (tredici anni), non si trovava in una situazione di inottemperanza accertata all’esito di un apposito processo esecutivo, che la parte ha ritenuto di non proporre, ma si trovava in una situazione in cui occorreva attendere l’esito del giudizio per sapere se l’atto adottato fosse o meno invalido.
3.– Una volta accertato che si è in presenza di una domanda di risarcimento del danno da illegittimità provvedimentale, occorre applicare il relativo regime giuridico e, in particolare, verificare se sono stati rispettati i termini e le modalità per la sua proposizione e se sussistono i presupposti per la configurabilità della dedotta responsabilità civile.
In relazione al primo aspetto, l’art. 112, comma 3, Cod. proc. amm., abrogato dal decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 ma qui applicabile ratione temporis , prevedeva che nel processo di ottemperanza potesse essere proposta anche la domanda di risarcimento del danno connessa all’illegittimità di un atto accertata con sentenza passata in giudicato.
In relazione alle condizioni per la proposizione dell’azione, deve sussistere, tra l’altro, una condotta colposa dell’amministrazione.
La giurisprudenza ha più volte avuto modo di rilevare che ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria, tra l’altro, la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa. Ne consegue che: « si deve verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell'Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l'indagine presupposta conduca al riconoscimento dell' errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto » (da ultimo, Cons. Stato, IV, 7 gennaio 2013, n. 32).
Nel caso in esame, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 532 del 1997, ha dichiarato il ricorso di primo grado inammissibile relativamente all’impugnazione della graduatoria e fondato nella parte in cui è stato impugnato l’atto di esclusione. Nella sentenza si è affermato che sono fatti « salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione compatibili con le posizioni dei soggetti inclusi nella graduatoria ». Non è stato espressamente stabilito che l’amministrazione era obbligata ad inserire l’appellante nella graduatoria in posizione di sovrannumero.
In questa situazione l’amministrazione, con il provvedimento poi censurato – preso atto che non fossero presenti posti disponibili e che la parte non aveva impugnato la graduatoria – non ha proceduto ad adottare l’atto di nomina con inserimento della parte nella predetta graduatoria.
Tale provvedimento è stato ritenuto illegittimo dal Tribunale amministrativo che, con la sentenza n. 3498 del 2011, ha affermato che l’esistenza di posizioni giuridiche consolidate non potevano impedire « il ripristino della situazione del ricorrente in soprannumero ».
L’illegittimità dell’atto non implica automaticamente, però, l’illiceità del comportamento dell’amministrazione: in presenza, infatti, di una situazione dai connotati non chiari in ragione anche della condotta della parte che aveva proposto un’azione in parte inammissibile, non può ritenersi che il Provveditore abbia violato le regole della diligenza. Quest’ultimo, infatti, ha interpretato il giudicato, dovendo restare ferma la graduatoria, nel senso che la pretesa azionata avrebbe potuto essere soddisfatta soltanto in presenza di posti rimasti disponibili. Deve, pertanto, ritenersi, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sopra riportato, che sussistono i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile.
4.– In definitiva, mancando un elemento indefettibile, non può ritenersi perfezionata la fattispecie della responsabilità civile. L’appello deve essere, pertanto, rigettato, con conferma, sia pure con diversa motivazione, della sentenza di primo grado.
5.– La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.