Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-04-13, n. 202103034

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-04-13, n. 202103034
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103034
Data del deposito : 13 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2021

N. 03034/2021REG.PROV.COLL.

N. 08199/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8199 del 2019, proposto dal Comune di La Morra, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati V B e M B, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio V B in Torino, corso Galileo Ferraris, n. 120;

contro

il signor G B, rappresentato e difeso dagli avvocati C E G e A R, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A R in Roma, Lungotevere Sanzio, n. 1;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 222 del 26 febbraio 2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor G B;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell’udienza del giorno 25 febbraio 2021, svoltasi ai sensi dall’art. 25 del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in l. n. 176 del 18 dicembre 2020, il consigliere E L;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla deliberazione del consiglio comunale di La Morra n. 22 del 27 novembre 2017, recante modificazioni al “Piano colore” del centro storico (approvato con deliberazione n. 15 del 22 aprile 2013) nella parte in cui si riferisce alla scheda n. 8 relativa alla sede del municipio.

1.1. Il ricorso è stato proposto in prime cure dal signor G B, nella sua qualità di consigliere della minoranza comunale ed è affidato ad un unico motivo che contesta, nella sostanza, le modalità di approvazione della deliberazione intesa come variante allo strumento urbanistico generale.

2. L’impugnata sentenza del T.a.r. per il Piemonte, sez. II, n. 222 del 26 febbraio 2019:

a) ha accolto il ricorso e ha annullato la deliberazione impugnata;

b) ha condannato il comune al pagamento delle spese di giudizio nella misura di euro 2.500,00.

3. Il comune di La Morra ha appellato la suindicata sentenza, affidando il gravame a tre autonomi motivi (da pagina 4 a pagina 14).

3.1. Si è costituito in giudizio il signor G B, il quale ha articolato le proprie difese nella memoria del 25 gennaio 2021, eccependo, fra l’altro, l’inammissibilità della produzione documentale del comune effettuata in appello e segnatamente del documento n. 3.

3.2. Le parti hanno scambiate memorie difensive e memoria di replica.

4. All’udienza del 25 febbraio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in l. n. 176 del 18 dicembre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

In limine il Collegio rileva che può prescindersi dall’esame della su indicata eccezione di inammissibilità perché la stessa attiene a documenti concernenti il merito della causa che, per le ragioni in prosieguo illustrate, non sarà delibato.

4.1. Il Collegio, infatti, ritiene che sia fondato il primo motivo d’appello con il quale è stata eccepita l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione e di interesse ad agire del consigliere comunale.

4.2. La questione controversa, relativa alla legittimazione e all’interesse all’impugnativa, da parte di uno dei suoi componenti, di deliberazioni dell’Organo consiliare, può essere risolta con rinvio, ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a., al costante orientamento del Consiglio di Stato in subiecta materia .

In particolare, giova citate la sentenza della Sezione V, n. 5549 del 2 dicembre 2015, che ha richiamato “ i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2014, n. 3446;
Sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 593;
Sez. I, 6 febbraio 2013, n. 4603/10;
Sez. I, 22 gennaio 2013, n. 219;
Sez. V, 21 marzo 2012, n. 1610;
sez. VI, 19 maggio 2010, n. 3130, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d) c.p.a.), in forza dei quali:

a) il giudizio amministrativo non è volto a risolvere controversie tra organi dello stesso ente (e a maggior ragione fra un componente dell’organo nei confronti di altro organo del medesimo ente), ma a risolvere conflitti intersoggettivi: conseguentemente il consigliere dell’ente locale, in linea generale, non è legittimato ad impugnare le deliberazioni collegiali in ragione della sola qualità di componente che non abbia condiviso le determinazioni della maggioranza, ma è legittimato, al pari di tutti gli altri soggetti dell’ordinamento, ad impugnare le deliberazioni emanate dal consiglio solo quando esse ledano un suo interesse personale diretto (non rilevando nel presente giudizio la questione se si possa ravvisare un tale interesse quando le delibere siano state emanate con modalità tali da ledere le sue prerogative riguardanti l’esercizio delle sue finzioni), sicché il consigliere dell’ente locale non può impugnare le deliberazioni con le quali è semplicemente in disaccordo, perché ciò significherebbe trasporre e continuare nelle sedi di giustizia la competizione che lo ha visto in minoranza, gravando le sedi medesime di decisioni che competono all’organo collegiale elettivo;

b) ne discende che il consigliere dell’ente locale deve essere considerato di per sé privo della legittimazione ad agire in giudizio, posto che quest’ultima non risiede nella semplice deviazione dell’atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, occorrendo quanto meno che da tale deviazione derivi la compressione di una sua prerogativa inerente all’ufficio (e salve le questioni inerenti l’effettiva incidenza del vizio procedimentale sulla legittimità sostanziale dell’atto emesso in sede collegiale);
in quest’ottica è indispensabile aver riguardo alla natura e al contenuto della delibera impugnata, e non alle norme interne relative al funzionamento dell’organo, per cui è irrilevante ogni altra violazione di forma e di sostanza nell’adozione di una deliberazione;
in altre parole, si esclude che di per sé la mera emanazione di un atto (la cui illegittimità se del caso consente l’impugnazione da parte dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo), si traduca in una automatica lesione dello ius ad officium del singolo consigliere;

c) in definitiva, una deliberazione collegiale, per essere impugnabile dal componente dell’organo, deve investire direttamente la sua sfera giuridica, non potendosi ritenere che la relativa legittimazione si possa desumere dal fatto che vi è la sua opposizione a quanto deciso dalla maggioranza.

8.2. Circa l’intervenuta acquiescenza, il Collegio rileva che – ferma restando la già evidenziata assenza di sostanziali censure avverso il relativo capo dell’impugnata sentenza che l’ha constatata - essa emerge per tabulas dalle decisive seguenti circostanze di fatto:

a) l’appellante ha potuto prendere parte alle sedute consiliari e discutere del merito delle questioni, decidendo di astenersi in sede di votazione finale;

b) non sono stati attivati i meccanismi procedurali previsti dalla disciplina di settore a tutela delle prerogative dei singoli consiglieri, che si sono limitati puramente e semplicemente a lamentare talune irregolarità procedurali senza però proporre mozioni d’ordine, richieste di sospensione o rinvio della seduta.

In altri termini, ritiene la Sezione che, quando un componente di un organo collegiale sia presente nella seduta del medesimo organo e non segnali all’inizio di essa l’illegittimità o l’irregolarità che abbia caratterizzato la sua convocazione, diventano del tutto irrilevanti i vizi della convocazione medesima.

Il medesimo componente – potendo chiedere un differimento della seduta al fine di poter svolgere compiutamente le proprie funzioni – non può tacere le circostanze riguardanti la propria convocazione: se non segnala l’accaduto e non chiede il differimento della seduta, il componente dell’organo collegiale rinuncia seduta stante a far valere i vizi della convocazione.

Pertanto, qualora l’esito della votazione sia a lui sgradito, il consigliere che nulla ha segnalato sulla regolarità della convocazione non può poi dedurre in sede giurisdizionale – per la prima volta - la verificazione di circostanze che aveva l’onere di palesare in sede amministrativa.”

8.3. Nel caso in esame, difetta la lesione dello ius ad officium del consigliere comunale appellato giacchè egli ha potuto prendere parte alla discussione sulla modifica della deliberazione ed esprimere la propria opinione e il relativo voto unitamente ai consiglieri del gruppo di appartenenza;
non è infatti stata dimostrata alcuna concreta lesione a tali prerogative attinenti allo ius ad officium del consigliere comunale.

Inoltre, non risulta dal testo della deliberazione consiliare che il gruppo di minoranza, a cui il consigliere appellato appartiene, abbia chiesto il rinvio della seduta nella quale è stata calendarizzata la modifica alla deliberazione sul “Piano colore”, al fine di meglio articolare la propria posizione nel merito, per cui l’assenza di una iniziativa così configurata esclude in radice qualsiasi violazione in concreto del munus proprio del consigliere comunale.

9. Conclusivamente l’appello va accolto e, in riforma della sentenza di primo grado, va dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado.

10. Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi