Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-05-13, n. 202003034

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-05-13, n. 202003034
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003034
Data del deposito : 13 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/05/2020

N. 03034/2020REG.PROV.COLL.

N. 03496/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3496 del 2018, proposto da
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, l.go Tevere Raffaello Sanzio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 742/2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Rai - Radiotelevisione Italiana S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2020 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino, l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del Dl. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Coin ricorso proposto dinanzi al TAR Lazio Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. impugnava la delibera n.18 del 3 febbraio 2004 dell’AGCom, di irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria, invocandone l’annullamento.

2. Il primo giudice accoglieva il ricorso, rilevando che il programma per il quale era stata irrogata la detta sanzione (Trappola criminale) veniva trasmesso non nell’orario della cosiddetta “fascia protetta”, ma in prima serata e che era preceduto da apposito avviso che ne sconsigliava la visione ai minori. Inoltre, l’AGCom aveva ritenuto potenzialmente nocivo ai minori il film nel suo insieme, senza tuttavia dare indicazione di specifiche sequenze o scene, potenzialmente pregiudizievoli o di violenza gratuita o pornografiche, come invece richiesto, ex art.15, comma 10 della Legge n.223 del 1990.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello AGCom, lamentandone l’erronea applicazione da parte del primo giudice del citato art. 15, comma 10. L’appellante, al riguardo evidenzia che la norma in questione contemplerebbe un divieto di carattere generale, non riferito a specifiche condotte, ma strutturato in funzione del bene da tutelare e, dunque, contraddistinto da un ambito applicativo ampio, basato sull’attitudine lesiva del singolo messaggio rispetto al bene giuridico protetto (id est, lo sviluppo psichico o morale dei minori). Il siffatto divieto di carattere generale opererebbe, dunque, anche durante la fascia oraria durante la quale il pubblico dei minori è presumibilmente supportato dalla presenza di un adulto. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR il provvedimento impugnato non fonderebbe sul divieto di trasmissione di programmi contenenti scene di violenza gratuita. La concreta nocività per i minori delle scene trasmesse emergerebbe con evidenza dalla visione del film nella sua interezza: esso si caratterizza per i contenuti di estrema tensione e per la presenza di scene ed inquadrature che lasciano presumere la consumazione di rapporti sessuali tra i protagonisti e di immagini di violenza riproducenti, anche attraverso inquadrature dirette, omicidi cruenti e atti di stupro. Tali circostanze, unite al fatto che la programmazione è avvenuta in prima serata, avrebbero comportato che il film in questione si configurasse, nel suo insieme, come programma fortemente suscettibile di turbare la sensibilità dei minori e di incidere negativamente sulla sfera psichica ed emotiva dei stessi, in evidente violazione dell’art. 15, co. 10, della legge n. 223/1990, risultando irrilevante l’inserimento di simboli iconografici come l’annuncio preventivo in ordine alla destinazione del film ad un pubblico adulto.

4. Costituitasi in giudizio, l’originaria ricorrente invoca la reiezione dell’odierno gravame.

5. L’appello è infondato e non può essere accolto. La giurisprudenza di questa Sezione con plurime e recenti pronunce ( ex multis , Cons. St., Sez. VI, 20 febbraio 2020, n. 2300;
Id. 2299/2020) ha chiarito che l’art. 15, comma 10, l. n. 233/1990, secondo il quale: “ è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità ”, nel fare riferimento ai programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, prevede una fattispecie di illecito di pericolo concreto. Ciò comporta che ai fini dell’integrazione della fattispecie sanzionata, occorre l’accertamento, della effettiva esposizione a pericolo del bene tutelato dalla norma violata, desumibile da specifiche e rilevanti circostanze concretamente occorse. In definitiva, il giudizio rimesso all’appellante sulla scorta della disciplina europea e dei precetti costituzionali si atteggia sotto forma di bilanciamento tra l’esigenza di tutela del minore e la garanzia della libertà di espressione da effettuare secondo un parametro di proporzionalità che deve tenere conto delle concrete circostanze del caso. Nella fattispecie, come evidenziato dal primo giudice e non contestato dall’appellante, la trasmissione del film avveniva nella fascia oraria denominata “televisione per tutti”, 21.00-23.00, ossia al di fuori della fascia protetta dedicata alla televisione per minorenni. Inoltre, venivano adottati accorgimenti che sconsigliavano la visione del film ai minori sia sotto forma di previo annuncio che di apposita iconografia. Tanto premesso è evidente che la motivazione adottata dall’appellante nel provvedimento impugnato non risulta sufficiente ad evidenziare le ragioni per le quali il programma in questione sarebbe nocivo per lo sviluppo psichico o morale dei minori. Il generico riferimento a scene di violenza e di estrema tensione e alla presenza di omicidi cruenti – senza analitica indicazione delle scene che sono idonee a ledere il bene protetto - non risulta sufficiente a spiegare come ciò metta a repentaglio il benessere psichico dei minori, che, seguendo le modalità consigliate dalla Rai dovevano essere allontanati o opportunamente seguiti dagli adulti durante la visione, dovendo altrimenti concludersi che nessun giallo o thriller possa essere trasmesso in quella fascia oraria non espressamente riservata ai minori. Sotto questo profilo la motivazione del provvedimento impugnato, infatti, potrebbe essere utilizzata per rilevare la presenza di una condotta illecita in relazione alla trasmissione di un qualsiasi film dei generi citati. Né rileva il riferimento ad atti di stupro, pur astrattamente idonei determinare tale lesione, considerato che – al contrario di quanto affermato nell’atto di appello - per quanto si desume dalla motivazione del provvedimento impugnato, le modalità di rappresentazione della tematica erano solo indirette venendo in rilievo scene non esplicite che lasciano solo presumere la consumazione di rapporti sessuali, senza proporre quindi in modo diretto visioni tali da turbare la sensibilità di un soggetto minorenne.

Il delicato bilanciamento tra tutela del soggetto minore e libertà di espressione artistica impone, in definitiva, che l’amministrazione esponga in modo chiaro il meccanismo potenzialmente nocivo per lo sviluppo psichico o morale dei minori attraverso una dettagliata descrizione delle immagini, del loro contenuto e correlazione. Il richiamo operato dalla stessa amministrazione alla prima ipotesi contemplata dal citato art. 15, infatti, esclude che il programma in questione contenga scene esplicite di sesso, pornografia o violenza gratuita che avrebbero legittimato e imposto all’amministrazione il richiamo alla seconda parte della norma citata. Da ciò non può che evincersi che le scene in sé non siano in grado di ledere il bene giuridico protetto o, se lo sono, che l’amministrazione non ha adeguatamente illustrato il meccanismo potenzialmente nocivo per lo stesso.

In assenza di adeguata motivazione non può, quindi, ritenersi accertato l’elemento oggettivo della fattispecie contestata all’odierna appellata e deve, di conseguenza, confermarsi la pronuncia di prime cure.

6. L’appello deve, pertanto, essere respinto. La complessità delle questioni trattate consente di compensare le spese dell’odierno grado di giudizio.

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