Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-17, n. 202101463

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-17, n. 202101463
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101463
Data del deposito : 17 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/02/2021

N. 01463/2021REG.PROV.COLL.

N. 02545/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 2545/2020, proposto da F S, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, M G e G F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Toscana n. 30,

contro

il Ministero per i beni e le attività culturali-MIBA, il Dipartimento per la Pubblica amministrazione, il Ministero dell'istruzione e la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del rispettivi legali rappresentanti pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e

nei confronti

di Maria Letizia Sebastiani, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sez. II, n. 1934/2020, resa tra le parti, concernente l’ottemperanza all’ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c. n. 87504 del 15 settembre 2017 dal Tribunale di Roma in composizione monocratica (poi confermata dal Tribunale in composizione collegiale), se del caso previa disapplicazione e, ove occorra, con l’annullamento del decreto direttoriale MIBAC n. 804 del

21 maggio 2019 (risoluzione del rapporto di lavoro), nonché di tutti gli atti connessi e conseguenti e del nuovo bando d’interpello per la posizione dirigenziale ricoperta dal ricorrente;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle sole Amministrazioni statali intimate;

Visto l'art. 114 c.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 24 settembre 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi pure, per le parti costituite, il solo avv. Fiengo;


Ritenuto in fatto che:

– il prof. arch. F S, dirigente del MIBAC, in tale qualità nel 2017 adì l’AGO, in funzione di Giudice del lavoro, affinché s’accertasse il suo diritto a permanere in servizio fino al raggiungimento dell’età contributiva di 42 anni e 10 mesi;

– l’adito Tribunale di Roma in composizione monocratica, con ordinanza n. 87504 del 15 settembre 2017, accolse la domanda cautelare ex art. 700 c.p.c., poi confermata dallo stesso Tribunale nella sua composizione collegiale;

– stante l’inerzia del MIBAC a dar esecuzione alla predetta ordinanza, il prof. S ha dunque proposto al TAR Lazio il ricorso NRG 14040/2019, al fine d’imporre alla P.A. l’ottemperanza del decisum cautelare (divenuto ormai inoppugnabile);
nonché per l’annullamento, cogli atti connessi, del decreto direttoriale MIBAC n. 804 del 21 maggio 2019, con cui è stata disposta la risoluzione del di lui rapporto di lavoro, chiedendone la disapplicazione o la nullità, per aver violato il giudicato riproponendo gli stessi vizi pregressi;

– l’adito TAR, con sentenza n. 1934 del 12 febbraio 2020, ha dichiarato inammissibile il ricorso del prof. S, in quanto: a) il giudizio di ottemperanza è esperibile, per i provvedimenti dell’AGO, per le sole sentenze passate in giudicato e gli altri provvedimenti ad esse equiparati, ai sensi dell’art. 112, co. 2, lett. c) c.p.a.;
b) il titolo esecutivo deve perciò consistere in un giudicato formale, cioè nell’espressione definitiva del comando giudiziale per le parti, non rimovibile se non con i mezzi straordinari di gravame;
c) nel caso in esame, è chiesta l’ottemperanza di un’ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c., priva, quindi, dell’attitudine al consolidamento nelle forme del giudicato;
d) ciò non cambia sol perché la riforma del rito cautelare ha dequotato la strumentalità del provvedimento di urgenza rispetto alla fase del merito (divenuta eventuale), poiché tal dato non ha inciso sul carattere intrinsecamente provvisorio di questo (c.d. strumentalità attenuata ), tant’è che le parti possono in ogni caso avviare il giudizio di merito per un’ulteriore definizione giudiziale della controversia;

– appella dunque il prof. S, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per non aver colto: 1) che la citata pronuncia cautelare non ha alcun carattere provvisorio e non è modificabile dalle successive evoluzioni di una controversia, che deve considerarsi per contro decisa in via definitiva, onde essa va intesa, ai sensi dell’art. 112, co. 2, lett. c), c.p.a., quale uno dei provvedimenti equiparati alle sentenze passate in giudicato dell’AGO;
2) la chiara necessità della presente azione, anziché del rimedio ex art. 669-duodecies c.p.c., in quanto la tutela effettiva della posizione di lavoro attorea interferisce con valutazioni d'interesse pubblico discrezionali della P.A. datrice di lavoro e tal vicenda può esser apprezzata e definita solo con la plena cognitio estesa al merito del Giudice dell’ottemperanza;
3) l’irragionevole contraddizione (tale da violare gli artt. 3 e 113 Cost.) tra la competenza del Giudice dell’ottemperanza sull’esecuzione di tutte le ordinanze emesse nei suoi giudizi cautelari (art. 112, co. 2, lett. b, c.p.a) e l’impossibilità di delibare l’omessa esecuzione delle corrispondenti decisioni dell’AGO verso la P.A., pur quando queste definiscano in modo irrevocabile la lite;
4) l’evidente elusione del predetto giudicato per aver detta P.A. emanato il decreto unilaterale di collocamento a riposo dell’appellante, che ha la stessa forma e sostanza del provvedimento annullato dal Giudice del lavoro ed il contrasto tra il comportamento della P.A. stessa e le decisioni del ministro Bonisoli e della Presidenza del Consiglio dei ministri sull’incarico dell’appellante stesso a dirigente generale;

– resistono in giudizio soltanto il MIBAC e le altre Amministrazioni statali intimate, concludendo per il rigetto della pretesa azionata;

Considerato in diritto che:

– l’appello è privo di pregio, poiché, in disparte la precisa ricostruzione della vicenda operata dal TAR e il buon governo da esso fatto della normativa applicabile e del suo significato, ad avviso del Collegio il ricorso in epigrafe, che concerne l’esecuzione di un’ordinanza ex art. 700 c.p.c., sembra scaturire da una erronea interpretazione del dato normativo (nel primo motivo di appello) e da un chiaro equivoco circa i poteri dell’AGO ai sensi dell’art. 669-duodecies c.p.c. (nel secondo motivo);

– nel primo motivo, il Collegio ritiene che tutto si sviluppi dall’erroneità logica della premessa, da cui scaturisce la causa e che si riscontra nella lettura che l’appellante vuol dare all’art. 112, co. 2, lett. c) c.p.a. (per cui il giudizio d’ottemperanza è esperibile per l’esecuzione «… sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario …»), cioè la confusione concettuale tra il giudicato e la (tendenziale) intangibilità della misura cautelare (revocabile o modificabile a fronte d’un quid novi ), sì da far concludere all’appellante che l’ordinanza a lui favorevole sia uno di quei provvedimenti equiparati alle sentenze dell’AGO passate in giudicato, meritevole d’esser eseguito col giudizio d’ottemperanza, in pratica mediante un’interpretazione adeguatrice dell’art. 112 all’art. 669-octies c.p.c.;

– in realtà, non v’è alcun dato testuale o funzionale per cui tal assunto abbia senso, giacché pure l’ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c., se da un lato è una forma di tutela cautelare urgente e atipica

—utilizzabile anche in fattispecie non espressamente e tassativamente previste e disciplinate dal c.p.c.—, non per ciò solo s’appalesa scollegata dal giudizio di merito, servendo solo alla parte, che la richieda, di conservare lo status quo ante della res litigiosa e, in certi casi, d’anticipare per tempo pure un assetto dei diritti assicurandone a priori la fruttuosità, essendo tuttavia evidente che, per i caratteri di strumentalità, provvisorietà ed anticipazione della misura cautelare al giudizio di merito, occorra poi instaurare quest’ultimo e giammai prescinderne;

– di recente, la giurisprudenza, trattando sia dei rimedi ex art. 700 che della relativa esecuzione con le regole dell’attuale e del precedente art. 669-duodecies o del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., conclude, in varia guisa (arg. ex Cass., III, 20 aprile 2018 n. 9830;
id., sez. un., 28 febbraio 2019 n. 6039;
id., I, 7 ottobre 2019 n. 24939), nel senso che tali provvedimenti sono comunque privi di stabilità e inidonei al giudicato, ancorché nessuna delle parti del procedimento cautelare abbia interesse ad iniziare l'azione di merito;

va ricordato in proposito che la citata Cass. civ. [ord.], sez. un., 28-02-2019, n. 6039 ha ritenuto che nel sistema processuale delineatosi, in tema di procedimenti cautelari, a seguito delle modifiche di cui all'art. 2, 3° comma, lett. e bis, d.l. n. 35 del 2005, conv., con modif., nella l. n. 80 del 2005, (così come nel precedente) contro i provvedimenti urgenti anticipatori degli effetti della sentenza di merito, emessi ante causam ai sensi dell'art. 700 c.p.c., non è proponibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 cost., in quanto tali provvedimenti sono privi di stabilità e inidonei al giudicato, ancorché nessuna delle parti del procedimento cautelare abbia interesse ad iniziare l'azione di merito;
peraltro il ricorso proposto non può essere esaminato, benché il ricorrente lo richieda, neppure come ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c, essendo anch'esso inammissibile finché l'istante non abbia iniziato il giudizio di merito;

– ritiene il Collegio che alla stregua del contenuto dell’art. 669-octies, IV co., c.p.c. per le ordinanze cautelari nelle controversie di lavoro alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni, la giurisprudenza testé citata offra la chiave di lettura della novella recata al combinato disposto dei commi IV (dall’art. 31, co. 2 del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80) e VI (dall’art. 2, co. 3, lett. e-bis del DL 14 marzo 2005 n. 35, conv. modif. dalla l. 14 maggio 2005 n. 80 e s.m.i.);

– pertanto, se il noto tema della strumentalità cautelare, stabilito dall'art. 669-bis c.p.c. rispetto al giudizio di merito, nel procedimento cautelare uniforme, risulta modificato per i provvedimenti innominati, nel senso di esser stato trasformato da regola ad eccezione ( con la conseguenza che il giudizio di merito è solo eventuale ), detti provvedimenti , quanto resi nelle cause di lavoro, ritornano per il chiaro disposto dell’art, 669 IV co. c.p.c, alla regola generale ( della strumentalità ) emergendo piuttosto l’inapplicabilità di tal semplificazione ( strumentalità attenuata ) ai provvedimenti cautelari ( anche a quelli anticipatori ex art. 700 c.p.c. ) nelle controversie di lavoro (arg. ex Cass. civ. [ord.], sez. lav., 15-11-2018, n. 29429 che ha statuito che l'art. 6, 2° comma, l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32, 1° comma, l. n. 183 del 2010, va interpretato nel senso che, ai fini della conservazione dell'efficacia dell'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, sono da considerare idonei il deposito del ricorso ai sensi dell'art. 414 c.p.c. –poi sostituito, per le domande di impugnativa dei licenziamenti, dal ricorso di cui all'art. 1, 48° comma e ss., l. n. 92 del 2012– nella cancelleria del giudice del lavoro ovvero, alternativamente, la comunicazione alla controparte della richiesta di conciliazione o arbitrato;
non è invece idoneo a tale scopo il ricorso proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c., perché, da un lato, la proposizione di una domanda di provvedimento d'urgenza è incompatibile con il previo tentativo di conciliazione e, dall'altro lato, perché l'assenza, nel sistema della strumentalità attenuata di cui all'art. 669 octies, 6° comma, c.p.c., di un termine entro il quale instaurare il giudizio di merito all'esito del procedimento cautelare vanificherebbe l'obiettivo della disciplina introdotta dalla l. n. 183 del 2010, di provocare in tempi ristretti una pronuncia di merito sulla legittimità del licenziamento.);

– si potrebbe quindi ritenere che sia la strumentalità piena il regime applicabile al provvedimento in esame, reso dall’AGO-Giudice del lavoro con l’ordinanza n. 87504/2017, che ha disposto il trattenimento dell’appellante in servizio sospendendone il già disposto collocamento in quiescenza, stante la chiara incompatibilità della strumentalità attenuata col previo obbligatorio tentativo di conciliazione nelle cause di lavoro;

– in via generale comunque il regime ex art. 668-octies, laddove prevede per i provvedimenti cautelari innominati l’attenuazione della strumentalità della misura cautelare resa senza l’assegnazione del termine di cui al IV co. del medesimo art. 668-octies, non trasforma la natura cautelare del provvedimento ottemperando in un giudicato in senso sostanziale ex art. 2909 c.c., tant’è che la definizione della domanda cautelare non si trasforma in qualcosa d’altro in assenza d’una norma espressa;

– siffatta trasformazione si ha soltanto per legge, p. es., per quella specifica norma dei giudizi sommari di cui al successivo art. 702-quater, I co, I per., in virtù della quale « l'ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell'articolo 702-ter produce gli effetti di cui all'articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione » e per la quale è possibile applicare, in sede d’ottemperanza ex art. 112, co. 2, lett. c), c.p.a., la regola di assimilazione di tal provvedimento alle sentenze dell’AGO passate in giudicato;

Considerato altresì che:

– ad avviso dell’appellante, nel secondo mezzo di gravame, si sostiene tal assimilazione perché la misura cautelare anticipatoria ottenuta andrebbe ad intercettare la discrezionalità organizzativa della P.A. datrice di lavoro con riguardo alla di lui invocata preposizione ad un ufficio dirigenziale generale e non potrebbe esser eseguita nelle forme ex art. 669-duodecies c.p.c., ma pure tal assunto è frutto d’un equivoco;

– invero, nel pubblico impiego privatizzato, per un verso, il conferimento di incarichi dirigenziali riveste la natura di determinazione negoziale assunta dalla P.A. con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, in base alle clausole generali di correttezza e buona fede, applicabili alla stregua dei principi d’imparzialità e buon andamento, i quali impongono alla P.A. di effettuare valutazioni comparative, di adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e di esternare le ragioni giustificatrici delle scelte (cfr., per tutti, Cass., sez. lav., 10 novembre 2017 n. 26694);

– per altro e correlato verso, in caso di mancato conferimento di un incarico dirigenziale, il dirigente pubblico può far valere l’interesse legittimo di diritto privato, che partecipa della natura dei diritti soggettivi ed è connesso ai citati obblighi datoriali ed inerenti al contenuto dell’atto d’incarico, in quanto si tratta di atti di micro-organizzazione (cfr., da ultimo, Cass., sez. lav., 28 febbraio 2020 n. 5546;
sulla natura “privata” dell’interesse legittimo del dirigente rispetto all’incarico, cfr. pure Cass., sez. lav., 18 giugno 2014 n. 13867;
id., 30 ottobre 2014 n. 23062, sull’ascrizione degli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, come tali assoggettati ai principi fondamentali dell'autonomia privata e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi;
id., 14 aprile 2015 n. 7495;
id., 24 settembre 2015 n. 18972;
id., 20 giugno 2016 n. 12678, sull’illiceità del comportamento datoriale della P.A. che lasci in modo ingiustificato e immotivatamente il dirigente pubblico senza compiti di natura dirigenziale);

– se già i dirigenti generali vantano un jus ad officium consistente in un interesse legittimo di diritto privato, a più forte ragione, come nel caso in esame, il trattenimento dell’appellante in servizio non impinge su scelte discrezionali della P.A. datrice di lavoro ed è un passaggio anteriore a qualunque affidamento di incarichi dirigenziali all’appellante stesso, sicché non appaiono evidenti preclusioni, tali da inibire l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, da questi ottenuta, nelle ordinarie forme di cui all’art. 669-duodecies c.p.c. (attuazione di obblighi di fare o di non fare), la cui cognizione spetta al medesimo Giudice della cautela e, quand’anche se ne potesse ipotizzare qualcuna in presenza o per gli effetti di provvedimenti amministrativi coinvolti nel rapporto di lavoro subordinato, vige sempre il sistema di disapplicazione, da parte dell’AGO, di tali atti, delineato dall’art. 4 della l. 20 marzo 1865 n. 2248, All. E);

– scolora così ogni adombrata questione d’illegittimità costituzionale del diverso regime esecutivo delle ordinanze di questo Giudice affidato a quest’ultimo in via ordinaria col rito ex art. 59 c.p.a., rispetto a quanto accade per le ordinanze dell’AGO, per la duplice, evidente ragione, per un verso, che ciascuno dei due sistemi processuali, specularmente e rispettivamente, offre un medesimo tipo di tutela esecutiva cautelare rispondente perlopiù alle medesime esigenze (di tener indenni i soggetti di diritto dal periculum in mora judicii in presenza di fumus boni juris della pretesa vantata), sì da render superfluo l’intervento esecutivo dell’una giurisdizione sull’altra:

– per altro verso, costante attributo della giurisdizione amministrativa estesa al merito, fin dall’art. 27, I co., n. 4) del RD 26 giugno 1924 n. 1054 e dall’art. 90 del RD 17 agosto 1907 n. 642 e mai revocata in dubbio, è stato ed è tuttora il giudizio d’ottemperanza delle sentenze dell’AGO passate in giudicato , presupposto, quest’ultimo, unico, indefettibile e non estensibile per render coercibile l’adempimento dell’obbligo dell’Autorità amministrativa di conformarsi alle predette decisioni, che non può esser sostituito da altri tipi di provvedimenti del Giudice ordinaria, che non abbiano tanto in senso strutturale, quanto in senso decisorio la caratteristica della stabilità del comando giudiziale;

– resta così assorbito il quarto motivo, attinente alla prova dell’elusione del comando cautelare, di cui questo Giudice, sprovvisto della giurisdizione esecutiva fuori dagli stretti casi ex art. 112, co. 2, lett. c), c.p.a., non può occuparsi, spettando alla delibazione del Giudice dell’esecuzione;

– la novità e la complessità della questione suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

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