Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-11, n. 202006928
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Pubblicato il 11/11/2020
N. 06928/2020REG.PROV.COLL.
N. 03941/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3941 del 2019, proposto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Terza), n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2020 il Cons. Oberdan Forlenza;nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale impugna la sentenza -OMISSIS- con la quale il TAR per il Lazio, sez. III-ter, in accoglimento del ricorso proposto dall’appellato, ha annullato il provvedimento (comunicato con nota del 4 giugno 2009), con il quale il Ministero lo aveva invitato a trasmettere i suoi dati e le fatture quietanzate dei suoi legali, al fine di rimborsare le spese di patrocinio legale nella misura determinata dall’Avvocatura generale dello Stato.
La controversia in esame riguarda la richiesta di rimborso delle spese legali – proposta dall’attuale appellato (-OMISSIS-) ai sensi dell’art. 18 d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. in l. n. 135/1117 – dopo aver ottenuto l’assoluzione con formula piena nel processo penale nel quale era imputato per i reati di concussione e corruzione.
La predetta richiesta riguardava le parcelle dei due difensori del ricorrente, rispettivamente di Euro 1.224.866 e di Euro 958.837.
L’Avvocatura dello Stato, cui la richiesta era sottoposta dall’amministrazione onde ottenerne il parere vincolante, riteneva liquidabili all’istante solo le somme relative al processo penale subito per la seconda delle citate imputazioni (corruzione), nella misura di Euro 169.740, per la prima parcella, ed Euro 133.136, per la seconda.
Di qui la nota comunicata al ricorrente e da questi impugnata.
La sentenza appellata, quanto al contestato reato di concussione (consistente nel richiedere all’amministratore di una società impegnata con il Ministero nel campo della cooperazione allo sviluppo, la stipulazione di un fittizio contratto di consulenza con società facenti capo ad esponenti politici) afferma in particolare:
- che il primo reato contestato “era inevitabilmente connesso al ruolo di diplomatico del ricorrente;solo per tale qualifica la pretesa convocazione dell’imprenditore risulta penalmente rilevante in quanto solo in ragione della sua -OMISSIS- avrebbe potuto abusare della sua qualità e dei suoi poteri per indurre un terzo a stipulare un contratto fittizio”, costituendo aspetto secondario il fatto che la conferma fosse avvenuta “in via amichevole”;
- che da ciò consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato (che sulla base del richiamato “rapporto amichevole” aveva ritenuto sussistente la rottura del nesso di immedesimazione organica e quindi l’esclusione del diritto al rimborso), “appare evidente il nesso tra le funzioni svolte . . . e le accuse in sede penale”;di qui l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Quanto alla misura del rimborso, la sentenza afferma:
- che “il diritto al rimborso non è un diritto al completo ristoro delle spese legali sostenute dal dipendente . . . (ma) di un diritto da soddisfare e liquidare nei termini riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato, in base all’utilizzo dei criteri . . . del rispetto dei valori costituzionali dell’affidamento, della ragionevolezza e della tutela effettiva dei diritti ed infine da bilanciare con l’esigenza di contenimento della spesa pubblica”;
- che da tali principi, nel caso di specie, consegue che – se “legittimamente il ricorrente ha scelto di farsi assistere da due difensori, tale scelta non può però non influire sull’impegno richiesto all’attività di patrocinio che viene dunque compartecipata”, con conseguente riduzione dell’aumento applicato dai legali ai massimi tariffari, con non irragionevole evidenziazione di attività “sovrapponibili”;infine, altrettanto non irragionevole è il ridimensionamento della tariffazione dell’attività di studio ed esame degli atti.
Avverso il primo capo di tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
error in iudicando ;violazione e falsa applicazione art. 18, d.l. n. 67/1997, conv in l. n. 135/1997;ciò in quanto l’istituto del rimborso delle spese legali, disciplinato dalla disposizione predetta, “è accordato al ricorrere di due presupposti: la connessione dei fatti o atti contestati con l’espletamento del servizio o l’assolvimento di obblighi istituzionali e la definizione del processo con sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità del dipendente”. Nel caso di specie, la sentenza di assoluzione si fonda sulla circostanza che l’appellato “avrebbe fornito al presunto imprenditore concusso un’indicazione in via amichevole . . . nell’ambito di un rapporto di conoscenza personale”, di modo che “non può non ritenersi che tale circostanza abbia determinato la rottura del nesso di immedesimazione organica con l’amministrazione stessa, in quanto l’indicazione da parte -OMISSIS- di una via non istituzionale per la prosecuzione ed il buon esito dei rapporti con il Ministero non può intendersi come volontà propria dell’amministrazione, di cui l’-OMISSIS- è istituzionalmente portatore”.
In definitiva, “affinché possa dirsi esistente il requisito della connessione, non è sufficiente la mera occasione del rapporto di lavoro per il compimento di atti che hanno dato origine al procedimento di responsabilità, essendo invece indispensabile che la condotta contestata sia stata tenuta dal dipendente per adempiere i suoi incarichi istituzionali”.
Si è costituito in giudizio l’appellato, con propria memoria.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
La giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare i principi che regolano l’applicazione dell’istituto del rimborso delle spese legali ex art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito in legge n. 135 del 1997, principi che vanno ribaditi ed applicati anche nella presente sede.
Tale predetta disposizione, oltre alla pronuncia del giudice che abbia espressamente escluso la responsabilità del dipendente, richiede un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio del rimborso delle spese legali, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
La disposizione, dunque, si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione, e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’. La citata disposizione è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ dell’attività lavorativa (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8146).
In tale contesto, il rimborso delle spese legali costituisce un meccanismo volto ad imputare al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi abbia agito per suo conto, per cui siffatto meccanismo di imputazione può operare solo in quanto sia ravvisabile quel rapporto di stretta dipendenza, nonché quel nesso di strumentalità tra l’adempimento del doveri istituzionali e il compimento dell’atto, non potendo il dipendente assolvere ai propri compiti, se non tenendo quella determinata condotta (cfr., ex multis : Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2020, n. 281).
Difatti, una diversa conclusione condurrebbe a riconoscere la spettanza del beneficio in ogni ipotesi di reato proprio, anche laddove il fatto addebitato esuli dai doveri istituzionali, senza che possa ravvisarsi un collegamento, diretto e di tipo oggettivo, con l’interesse dell’Amministrazione (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 10 gennaio 2020, n. 239;Cons. Stato, Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568).
3. Tanto richiamato, nel caso di specie la valutazione svolta dall’Avvocatura dello Stato nel proprio parere, e recepita dall’Amministrazione procedente nella propria determinazione, non risulta affatto irragionevole, di modo che risulta fondato il motivo di appello.
E ciò in quanto le ragioni stesse poste a fondamento dell’assoluzione in sede penale dal reato di concussione (l’avere dato l’appellato una indicazione ad un imprenditore in via amichevole nell’ambito di un rapporto di conoscenza personale), se è servita ad escludere che la richiesta di una utilità per il pubblico ufficiale o per altri soggetti da lui indicati integrasse il reato di concussione, allo stesso tempo esclude anche ogni riferibilità della condotta tenuta alla pubblica amministrazione di appartenenza, impedendo di configurare un qualsivoglia rapporto di immedesimazione organica.
Non può essere, dunque, condivisa la sentenza impugnata laddove essa, per un verso, afferma che “solo dalla posizione organica del -OMISSIS- sarebbe potuta derivare la capacità di induzione del privato a fare o promettere (il cd. metus publicae potestatis ) e dunque in questa prospettiva appare evidente il nesso tra le funzioni svolte . . . e le accuse rivoltegli in sede penale”;per altro verso, considera “un aspetto secondario la circostanza che la conferma sia avvenuta in maniera amichevole”.
In sostanza, la sentenza impugnata ricerca la connessione tra atti e/o fatti compiuti e la ragione di servizio, onde stabilire la sussistenza del diritto al rimborso, non già nella realtà fattuale per come emergente dalla ricostruzione operata dalla sentenza di assoluzione, bensì per come essa era stata rappresentata e posta a fondamento dell’esercizio dell’azione penale.
Tuttavia, proprio perché la sentenza di assoluzione – come si è detto – ha escluso che le ragioni della richiesta di utilità si fondassero sulle funzioni inerenti alla qualifica di pubblico ufficiale, diversamente individuandole in un rapporto di conoscenza, risulta definitivamente esclusa ogni connessione con l’esercizio della pubblica funzione e, di conseguenza, il diritto ad ottenere il rimborso delle spese legali.
4. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, nei limiti di quanto accolto dalla predetta sentenza.
Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.