Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-11-28, n. 201908146

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-11-28, n. 201908146
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908146
Data del deposito : 28 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/11/2019

N. 08146/2019REG.PROV.COLL.

N. 03396/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 3396 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il pres. L M e uditi l’avvocato Giovanni Bonaccio, su delega dell’avvocato A A, e l'avvocato dello Stato Giulio Bacosi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’appellante, dipendente della Guardia di Finanza, è stato sottoposto ad un processo penale, nel quale è stato imputato per il reato di abuso d’ufficio, per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio in relazione ad una verifica fiscale, effettuata nei confronti di una società.

Il g.i.p. del Tribunale di Rimini con proprio decreto ha disposto l’archiviazione della imputazione, ai sensi dell’art. 408 del codice di procedura penale.

Dopo l’archiviazione del procedimento penale, in data 30 giugno 2015 egli ha chiesto alla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito nella legge n. 135 del 1997.

Il Ministero ha respinto l’istanza con l’atto n. 6782 del 12 gennaio 2016 ed ha poi respinto il ricorso gerarchico proposto dall’interessato, rilevando che i fatti valutati in sede penale non erano connessi all’espletamento del servizio o con l’assolvimento di compiti istituzionali.

2. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-(proposto al TAR per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna), l’interessato ha impugnato il diniego e la conseguente decisione gerarchica e ne ha chiesto l’annullamento.

3. In data 24 febbraio 2016, l’appellante ha presentato una ulteriore istanza di rimborso di spese legali (protocollata in data 26 aprile 2016), con riferimento ad un ulteriore processo penale (terminato con la sentenza del tribunale di Rimini n. 2303 del 2015, con l’assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato’), nel quale è stato imputato per il reato di abuso d’ufficio, per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio in relazione ad una verifica fiscale, effettuata nei confronti di una associazione sportiva dilettantistica.

Con motivi aggiunti, l’interessato ha impugnato l’ulteriore diniego, emesso in data 12 aprile 2017, con cui il Ministero ha respinto l’istanza del 24 febbraio 2016.

3. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti ed ha compensato le spese del giudizio, rilevando che l’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997 non si applica quando l’interessato non abbia ‘agito nell’interesse dell’Amministrazione’ e la condotta oggetto della contestazione non sia strumentale alla prestazione del servizio.

4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.

L’appellante – dopo aver ampiamente richiamato i precedenti giurisprudenziali in materia - ha dedotto che i fatti contestati (oggetto del decreto di archiviazione e della sentenza di assoluzione) sarebbero ‘connessi al servizio svolto’.

L’interessato ha altresì lamentato che il TAR avrebbe erroneamente esaminato la vicenda concernente l’associazione sportiva, oggetto dei motivi aggiunti, prima di quella concernente la società -OMISSIS-, oggetto del ricorso principale, ed avrebbe respinto il ricorso principale con una motivazione estremamente succinta, col richiamo a quanto deciso con riferimento a quanto deciso sui motivi aggiunti.

Con le censure rubricate a pp.

5-21 del gravame, l’appellante ha dettagliatamente richiamato le risultanze emerse nel corso dei procedimenti penali ed ha altresì richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza, in tema di rimborso delle spese legali.

Egli ha rimarcato che il decreto di archiviazione è stato emesso perché non sono risultati elementi comprovanti il concorso con alcuni colleghi, avendo dato giustificazione di alcune somme ricevute in contanti (quanto alla verifica effettuata nei confronti della società) e, inoltre, che la sentenza di assoluzione del Tribunale di Rimini ha escluso ogni sua responsabilità penale (quanto alla verifica effettuata nei confronti della associazione sportiva).

5. Il Ministero appellato si è costituito in giudizio in data 27 maggio 2019 ed ha chiesto che il gravame sia respinto.

Le parti hanno depositato memorie, con cui hanno illustrato le questioni controverse ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni.

L’Amministrazione ha depositato note di udienza di data 9 ottobre 2019.

L’appellante, in data 28 ottobre 2019, ha depositato una memoria di replica, oltre ad una nota spese.

6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato.

7. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.

Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità ”.

Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionato’ all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194;
Sez. VI, 21 gennaio 2011, n. 1713).

L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti - se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).

Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861;
Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736;
Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).

Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.

8. Per quanto riguarda i presupposti indefettibili per l’applicazione dell’art. 18, si è formata una univoca e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato.

Tali presupposti sono due:

a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;

b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.

9. Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 - sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.;
Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13;
Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.).

L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.;
Sez. VI, 2005, n. 2041).

10. Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’).

10.1. Tale connessione sussiste – sia pure in modo peculiare - qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).

Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute - il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti - sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.

Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.

10.2. A parte l’ipotesi del coinvolgimento del dipendente estraneo ai fatti, ma vittima di una illecita condotta altrui, quanto alla ‘connessione’ tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427;
Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali.

L’art. 18 è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ dell’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2;
Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154;
Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190;
Sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).

Invece, esso non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che:

a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427);

b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasione’ dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026;
Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874;
Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297;
Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379;
Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718;
Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816;
Sez. III, 2013, n. 4849;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 2014, n. 6389;
Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato.

c) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione (ad esempio quando, malgrado l’assenza di una responsabilità penale, sussistano i presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055;
Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.;
Sez. IV, 2013, n. 1190;
Sez. IV, 2012, n. 423).

Infatti, la ratio della regola del rimborso delle spese – per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio - è quella di ‘evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio dovere’: occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2018, n. 2735;
Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681) e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio (commesso per la qualità di dipendente dello Stato).

10.3. In materia non rilevano di per sé le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, proprio perché l’art. 18 sopra riportato ha indicato i presupposti – sostanziali e procedimentali – indefettibili per la spettanza del rimborso.

11. Tenuto conto dei principi sopra evidenziati, vanno integralmente confermate le statuizioni della sentenza appellata.

12. Vanno innanzitutto respinte le censure secondo cui il TAR avrebbe esaminato inadeguatamente i fatti esposti, nonché quelle secondo cui il TAR avrebbe dovuto esaminare prima il ricorso principale e poi i motivi aggiunti.

La sentenza impugnata, infatti, ha dapprima enunciato i principi rilevanti in materia, soffermandosi sulla infondatezza delle censure proposte con i motivi aggiunti, per poi richiamarli per relationem , in sede di esame del ricorso principale: una tale tecnica espositiva non è di per sé censurabile, dal momento che ha con chiarezza – sia pure sinteticamente – evidenziato le ragioni poste a base della reiezione delle doglianze dell’interessato.

13. Ritiene il Collegio che – per ragioni di ordine logico - si possono esaminare dapprima le vicende che hanno riguardato la verifica presso l’associazione sportiva, oggetto dell’istanza respinta con l’atto impugnato con i motivi aggiunti in primo grado.

Si può pertanto seguire l’ordine delle questioni per come indicate nella sentenza impugnata, anche in considerazione delle diffuse argomentazioni poste a base della sentenza del Tribunale di Rimini n. 2303 del 2015.

14. Con riferimento alla vicenda oggetto dei motivi aggiunti in primo grado, in sede penale all’appellante, quale comandante di una tenenza, è stato contestato di non essersi astenuto dalla effettuazione di una verifica fiscale ‘punitiva’, effettuata nei confronti di una associazione sportiva (già sottoposta a verifica fiscale l’anno precedente ad opera di un altro comando), malgrado la sussistenza di un interesse proprio e del proprio figlio, il quale risultava interessato ad essere inserito nell’organico dei maestri di tennis della medesima associazione, e di avere focalizzato l’attenzione sul periodo di gestione del presidente della associazione che aveva deciso tale mancato inserimento.

Dalla lettura della sentenza del Tribunale di Rimini n. 2303 del 2015, risulta che:

- le indagini hanno fatto seguito ad un esposto-denuncia del presidente della associazione sportiva;

- l’appellante ha frequentato il circolo (come risultava , oltre che dalle persone informate dei fatti, dalle prenotazioni dei campi da gioco’: v. p. 43 della sentenza);

- il figlio dell’appellante ha percepito compensi per l’attività svolta dal 27 dicembre 2006 al 19 ottobre 2009;

- l’appellante ha avuto un ruolo attivo nella determinazione di effettuare la verifica e non ha chiesto ai superiori di essere sollevato dall’incarico per incompatibilità, né vi ha rinunciato dopo che nel corso della verifica il presidente della associazione aveva fatto rilevare a verbale la sua incompatibilità;

- il tribunale stesso ha rilevato come la condotta contestata di aver contribuito alla programmazione della visita fiscale ‘non rappresenta ex se una condotta illecita, anche se connotata da profili di inopportunità o comunque di non conformità alla prassi del corpo di polizia tributaria’ e che ‘per contro sussisteva… l’obbligo di astensione o comunque di segnalazione dei pregressi ed attuali rapporti con il circolo tennistico, sia propri che del figlio… infatti entrambi frequentavano la struttura come atleti, il luogotenente era stato socio e- per breve tempo- membro del consiglio direttivo;
il giovane figlio, socio anch’egli, aveva collaborato nell’attività dell’associazione’ (v. p. 58 della sentenza);

- il tribunale ha concluso che, ‘tuttavia, pur in presenza di una accertata violazione dell’obbligo di astensione, manca la piena prova dell’intenzionalità della condotta, ossia della sua deliberata destinazione a cagionare un danno ingiusto al circolo e per esso’ al suo presidente (v. p. 59 della sentenza), con la conseguente assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato).

15. Ritiene il Collegio che, pur se il Tribunale di Rimini ha escluso che la condotta contestata all’imputato abbia configurato un reato, il proscioglimento vi è stato per la ravvisata assenza dell’elemento soggettivo del reato, in relazione ad una condotta che è stata posta in essere in violazione dell’obbligo di astensione.

Va condivisa la valutazione dell’Amministrazione, che ha rilevato come il comportamento oggetto della contestazione non può essere considerato connesso ‘con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali’.

16. Circa la vicenda oggetto del ricorso principale di primo grado, dall’esame della richiesta di archiviazione – presentata in relazione al procedimento n. 7544 del 2013 – risulta che la contestazione ha riguardato una verifica fiscale ‘in modo incompleto ed in violazione delle disposizioni’ rilevanti in materia e la percezione di una utilità in favore di una terza persona, nonché di una somma in proprio favore.

Nella richiesta di archiviazione, si è dato atto che non sono emersi elementi tali da comprovare il concorso dell’appellante con alcuni colleghi e che egli ‘ha dato giustificazione delle somme ricevute in contanti di cui all’imputazione, provandone l’estraneità ai fatti contestati’.

Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, per le ragioni sopra esposte affinché vi sia l’applicazione dell’invocato art. 18 non basta che vi sia stato il proscioglimento da una imputazione, riferita a condotte poste in essere durante lo svolgimento del servizio.

Nella specie, vi è stata la contestazione in sede penale di un comportamento comunque posto in essere per ragioni personali, riguardanti la consegna del denaro in contanti, che solo all’esito delle indagini è risultata non connessa alle vicende concernenti la verifica fiscale, sicché correttamente il TAR ha osservato che il comportamento, sia pure posto in essere ‘in occasione’ dello svolgimento del servizio, non può essere considerato riferibile all’Amministrazione.

18. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

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