Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-29, n. 202208389

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-29, n. 202208389
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208389
Data del deposito : 29 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/09/2022

N. 08389/2022REG.PROV.COLL.

N. 10676/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10676 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza n. 24;

contro

Ufficio Territoriale del Governo Reggio Emilia, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero Dell’Interno, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Reggio Emilia e di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 10 novembre 2018 il sig. -OMISSIS- ha subito un furto all’interno della propria abitazione, a seguito del quale la moglie ha sporto denuncia alla Legione dei Carabinieri di -OMISSIS-.

In occasione del sopralluogo degli operanti, tra i vari beni asportati, è emersa la sottrazione di una pistola regolarmente detenuta, custodita all’interno di un cassetto di legno di una scrivania collocata nella camera da letto.

Con decreto notificato il 14 gennaio 2019 il Prefetto della Provincia di Reggio Emilia ha stabilito il divieto di detenzione di armi e munizioni, ai sensi dell’articolo 39, r.d. n. 773/1931 (cd. TULPS), nei confronti del sig. -OMISSIS-.

Il provvedimento è motivato sulla mancata adozione delle dovute cautele di custodia. In particolare, l’arma – secondo quanto riferito nella nota del Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS- (RE) prot. n. -OMISSIS- – sarebbe stata lasciata incautamente all’interno di un cassetto non chiuso a chiave della camera da letto.

A seguito dell’episodio, il proprietario della pistola è stato deferito all’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 20, l. n. 110/1975 per il reato di omessa custodia di armi.

2. Avverso il sopra menzionato provvedimento, nonché avverso gli atti ad esso presupposti, connessi e/o consequenziali, il destinatario ha proposto ricorso per l’annullamento avanti al Tar per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma.

3. Con sentenza n. 119 del 3 maggio 2019 il Tar ha respinto il ricorso.

In primo luogo, il giudice di primo grado ha evidenziato l’ampia discrezionalità dell’Autorità prefettizia nell’apprezzamento circa l’adeguatezza delle misure di custodia adottate dal proprietario dell’arma.

In secondo luogo, si è osservato che la conservazione della pistola all’interno del cassetto di legno – quand’anche chiuso a chiave, come sostenuto dal ricorrente – non costituisce idonea cautela alla custodia dell’arma, visto e considerato che quest’ultima è stata agevolmente sottratta con minimi segni di effrazione sulla struttura del mobilio, come da documentazione fotografica in atti.

4. Il ricorrente ha impugnato l’indicata sentenza con appello notificato il 4 dicembre 2019 e depositato il successivo 27 dicembre.

5. Con il primo motivo di impugnazione si deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli articoli 24 e 97 Cost., 1, 3, 6, 7, 8 e 10, l. n. 241/1990, 2 TULPS, per aver l’Amministrazione omesso di comunicare l’avvio del procedimento, e per aver essa motivato il provvedimento finale richiamando per relationem un atto (nota del Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS- (RE) prot. n. -OMISSIS-) il cui contenuto non è stato reso conoscibile e disponibile al destinatario, giacché mai prodotto in giudizio.

Quanto alle ragioni di urgenza sottese al provvedimento, la difesa evidenzia come esse siano state ritenute apoditticamente sussistenti dall’Amministrazione, la quale tuttavia ha poi lasciato trascorrere 2 mesi tra l’informativa dei Carabinieri di -OMISSIS- (17.11.2018) e la notifica del provvedimento di divieto (14.01.2019).

6. Con il secondo motivo si deduce il vizio di eccesso di potere per illogicità e/o contraddittorietà e/o sproporzione della decisione assunta dall’Amministrazione, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto.

In merito, si contesta da una parte l’omessa valutazione della personalità del detentore delle armi, soggetto incensurato, e dall’altra si richiamano diverse pronunce della Corte di Cassazione, le quali hanno considerato come misure di custodia idonee precauzioni del tipo di quella adottata dall’appellante (arma custodita in un cassetto chiuso a chiave).

7. Con il terzo motivo si deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, laddove la Prefettura ha affermato che la pistola era conservata in un cassetto “non chiuso a chiave”.

Di contro, la difesa dell’appellante afferma che il cassetto fosse in realtà chiuso a chiave, come risulterebbe dal verbale di denuncia orale dell’11 novembre 2018, nonché dalle fotografie alla stessa allegate, le quali denoterebbero evidenti segni di effrazione cagionati dagli autori del furto.

8. Con il quarto motivo si deduce il vizio di omessa pronuncia da parte del Tar su un elemento decisivo per la risoluzione della controversia, e segnatamente l’istanza istruttoria formulata nel ricorso di primo grado diretta all’acquisizione della nota dei Carabinieri, richiamata nel provvedimento impugnato, dalla quale emergerebbe che il cassetto non era chiuso a chiave.

9. Con il quinto motivo di appello si lamenta l’illegittima integrazione giudiziale del provvedimento che sarebbe stata operata dal Tar, laddove il giudice amministrativo ha compiuto una valutazione di inadeguatezza delle cautele adottate dall’appellante, interpretando ex novo ed arbitrariamente la documentazione fotografica depositata in atti, non presa in considerazione in precedenza dall’Amministrazione.

10. Con atto del 9 gennaio 2020 il Ministero dell’Interno e l’UTG-Prefettura di Reggio Emilia si sono costituiti in giudizio, con mera comparsa di stile.

11. All’udienza pubblica del 14 luglio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

1. Preliminarmente, deve escludersi la fondatezza del primo motivo di appello, nella parte in cui si lamenta la mancata notifica della comunicazione di avvio del procedimento.

Sul punto, è sufficiente ribadire il costante indirizzo della Sezione per il quale “i provvedimenti in materia di armi, per la loro natura precauzionale e preventiva, in quanto volti a prevenire ogni pericolo per la pubblica e privata incolumità, sono portatori, ex se, di una esigenza di celerità del provvedere che consente, in applicazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990, di ovviare alla comunicazione di avvio del procedimento” (Consiglio di Stato, III sez., n. 715/2020).

A riguardo, è del tutto irrilevante la censura difensiva relativa alla notifica del provvedimento di divieto da parte dell’Amministrazione 2 mesi dopo la segnalazione operata dai Carabinieri di -OMISSIS-, considerato che tale intervallo temporale può ragionevolmente corrispondere a fisiologiche esigenze di svolgimento dell’istruttoria procedimentale e di conclusione del procedimento.

2. Parimenti non è meritevole di accoglimento il quarto motivo di impugnazione, laddove si deduce il vizio di omessa pronuncia del TAR ex art. 112 c.p.c.

Invero, il giudice di prime cure si è effettivamente pronunciato - quantomeno implicitamente - sulla necessità di acquisire la nota dei Carabinieri di -OMISSIS- richiesta dal ricorrente in primo grado.

Nella motivazione del giudice di prime cure si afferma infatti che “la custodia dell’arma in un cassetto del comò, chiuso a chiave ed aperto mediante effrazione (come afferma il ricorrente) o lasciato aperto (come affermano i Carabinieri), non esclude la possibilità di adozione del divieto” e che “la stessa documentazione fotografica depositata dal ricorrente palesa l’inidoneità del cassetto del comò, ancorché chiuso a chiave, ad integrare una sia pur minima protezione dell’arma”.

Siffatte statuizioni giudiziali consentono di affermare pianamente che il TAR ha considerato l’istanza istruttoria avanzata dal ricorrente, e ha ritenuto irrilevante darvi seguito per le considerazioni sopra citate in ordine all’inadeguatezza delle cautele apprestate.

3. Quanto alle doglianze oggetto del secondo, del terzo e del quinto motivo di appello, in ragione della stretta connessione che le caratterizza, si procederà ad una disamina congiunta dei relativi motivi di impugnazione.

3.1. I provvedimenti di diniego del porto d’armi e di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti sono disciplinati dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS.

Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.

Il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110/1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».

Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».

La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972;
Cons. St., Sez. III, 7 giugno 2018, n. 3435).

Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici.

Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l’Amministrazione compie nell’adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva.

L’apprezzamento discrezionale rimesso all’Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto. A tal fine, l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo di abuso delle armi, che deve essere desunta da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di abuso delle armi è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di abuso delle armi.

È in questa prospettiva, anticipatoria della difesa della legalità, che si collocano i provvedimenti con cui l’Autorità di pubblica sicurezza vieta la detenzione di armi, ai quali infatti viene riconosciuta natura cautelare e preventiva (ex multis, Cons. St., sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041). Ne è prova il costante orientamento di questa Sezione, secondo cui l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, addirittura senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814).

Tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell’art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che «il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne», considera sufficiente l’esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato.

Delineata in questi termini la natura latamente discrezionale dei provvedimenti de quibus, occorre indagare le implicazioni che da essa derivano sul piano dell’intensità del sindacato giurisdizionale.

È noto che dal tradizionale approccio del giudizio amministrativo, teso ad escludere ogni forma di sindacato sulla attività discrezionale, si è passati alla possibilità di riconoscere la piena cognizione dei fatti oggetto dell’indagine e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’Autorità amministrativa, con il solo limite dell’ottica del merito, preclusa al giudice, e comunque del sindacato non sostitutivo. Solo in questo modo, infatti, si garantisce il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, imposto dall’art. 113 Cost.

Consegue che la natura dei provvedimenti in esame non esclude né può legittimare un indebolimento del sindacato giurisdizionale. Al contrario, quanto più si estendono le maglie della discrezionalità dell’Autorità amministrativa, tanto più è necessario un sindacato penetrante da parte del giudice amministrativo volto ad evitare che sotto il mantello della discrezionalità possa celarsi un esercizio arbitrario della funzione amministrativa.

In questa logica, si pone del resto la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che, sia pur con riferimento alla discrezionalità tecnica delle Autorità amministrative indipendenti, ha affermato che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, teso a riscontrare vizi di manifesta illogicità e incongruenza, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, attraverso la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e il controllo sull’attendibilità tecnica della valutazione compiuta dall’Amministrazione, salvo il limite rappresentato dall’oggettivo margine di opinabilità (ex multis, Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 6050).

A maggior ragione, una forma penetrante di sindacato si impone a fronte di un’attività amministrativa che vede una scelta di opportunità afferente alla valutazione dei requisiti di legge. Anche qui la tutela giurisdizionale piena ed effettiva richiede un sindacato del giudice amministrativo pieno e particolarmente penetrante, che può estendersi sino al controllo dell’analisi dei fatti posti a fondamento del provvedimento, al fine di verificare se il potere attribuito all’Autorità amministrativa sia stato correttamente esercitato o presenti elementi di irragionevolezza o di erronea assunzione dei fatti.

Il giudice amministrativo è dunque chiamato a valutare la consistenza dei fatti posti a fondamento della determinazione dell’Autorità prefettizia in ordine all’esistenza dei requisiti di legge e al pericolo di abuso delle armi, di modo che il suo sindacato sull’esercizio della funzione amministrativa consenta non solo di vagliare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da essi secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva – e non sanzionatoria – della misura in esame.

In questa prospettiva, si chiede al giudice una valutazione sull’esercizio del potere amministrativo che, muovendo da un accesso pieno ai fatti rivelatori del pericolo, ne dimostri la ragionevolezza e la proporzionalità.

È opportuno rilevare che il principio di proporzionalità – compreso tra i principi di diritto europeo, ma già insito nella Costituzione, quale corollario del buon andamento ex art. 97 Cost. – si compone di tre elementi: idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto. È idonea la misura che permette il raggiungimento del fine, il conseguimento del risultato prefissato. La misura deve essere poi necessaria, vale a dire l’unica possibile per il raggiungimento del risultato prefissato. La proporzionalità in senso stretto richiede, invece, che la scelta amministrativa non rappresenti un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato. Il principio di ragionevolezza postula, invece, una coerenza tra la valutazione compiuta dall’Amministrazione e la decisione assunta.

3.2. Premesso quanto sopra, occorre tracciare i confini della nozione di “abuso” di cui all’articolo 39 TULPS.

Per indirizzo consolidato della Sezione, si ammette una interpretazione ampia della locuzione, per cui esso sussisterebbe ogniqualvolta venga fatto un uso non corretto dell’arma legittimamente detenuta, fino a ricomprendere nella fattispecie il non aver posto in essere le cautele necessarie per la sua custodia (ex multis Consiglio di Stato, III sezione, n. 6189/2014;
n. 4621/2018;
II sezione, n. 8693/2021).

Tale impostazione ermeneutica si fonda su ineludibili considerazioni di ordine logico e sistematico, dal momento che è evidente come il legislatore abbia inteso accordare eccezionalmente la possibilità di detenere armi e munizioni, e siffatta eccezione sarebbe vanificata se persone estranee potessero facilmente impadronirsi e servirsi di esse per le inadatte modalità di custodia adottate dal soggetto autorizzato.

Alla luce di siffatto quadro normativo e giurisprudenziale, ai fini della soluzione del caso di specie assume valore dirimente il profilo relativo all’adeguatezza della cautela posta in essere dall’appellante, ossia la conservazione della pistola regolarmente detenuta in un cassetto di legno della scrivania.


3.3. Sul punto - in disparte la quaestio facti relativa alla chiusura a chiave o meno del cassetto, oggetto del terzo motivo di impugnazione - riveste carattere assorbente la considerazione per cui il fatto stesso che l’arma sia stata agevolmente sottratta in occasione del furto in abitazione dimostra l’inidoneità delle cautele apprestate dall’appellante.

Per questa ragione risulta superflua la valutazione della cennata relazione dei Carabinieri.

Alla luce di quanto accaduto non risulta irragionevole né sproporzionata la determinazione assunta dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato.

Né valgono in senso contrario i richiami presenti nell’atto di appello alla giurisprudenza di legittimità, la quale in alcune occasioni ha ritenuto sufficiente ad escludere il reato di omessa custodia di armi (per il quale l’appellante è stato deferito ex art. 20, l. n. 110/1975) l’occultamento delle stesse in un punto non individuabile da terzi, ovvero in luogo chiuso dell’abitazione cui non è consentito l’accesso indiscriminato a chiunque.

Le valutazioni condotte in sede penale, infatti, assumono un diverso spessore, concernendo esse l’accertamento di un reato avente precipua finalità sanzionatoria, diversamente dalla subiecta materia che involge invece un provvedimento avente differenti presupposti e spiccata finalità preventiva e cautelare. In tale ambito, l’Amministrazione rimane sempre libera di apprezzare autonomamente e discrezionalmente le misure poste in essere dal detentore delle armi, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto (così Consiglio di Stato, sez. III, n. 5271/2016).

Da ultimo, deve escludersi l’invocato vizio di illegittima integrazione giudiziale del provvedimento da parte del Tar, atteso che le considerazioni svolte nella sentenza di primo grado hanno avuto ad oggetto una delle ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (idoneità delle cautele) valutando atti già acquisiti in seno al procedimento (foto allegate alla denuncia di furto) (cfr. Consiglio di Stato, VI sez., n. 359/2022;
n. 7383/2021;
sez. V, n. 4194/2013).

In esito a quanto sopra esposto e considerato, il secondo, il terzo e il quinto motivo di impugnazione non sono meritevoli di accoglimento.

4. In considerazione della particolarità della vicenda e della costituzione meramente formale dell’Amministrazione resistente, possono essere compensate le spese del grado di giudizio.

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