Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-09-10, n. 201504225

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-09-10, n. 201504225
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201504225
Data del deposito : 10 settembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10214/2014 REG.RIC.

N. 04225/2015REG.PROV.COLL.

N. 10214/2014 REG.RIC.

N. 01109/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10214 del 2014, proposto dalla Pfizer Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati C F G e A P, con domicilio eletto presso A P in Roma, Via di Villa Sacchetti 11

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente -

ARPA

Lombardia, Regione Lombardia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Comune di Pioltello,
Provincia di Milano,
Comune di Rodano



sul ricorso numero di registro generale 1109 del 2015, proposto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

contro

Olon S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Roncelli e Vittorio Violante, con domicilio eletto presso Vittorio Violante in Roma, Via F. P. De Calboli, 60

nei confronti di

Comune di Pioltello,
Comune di Rodano,
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) - Lombardia,
Città Metropolitana di Milano,
Regione Lombardia,
Pfizer Italia S.r.l.

per la riforma, in entrambi i ricorsi, della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione I, n. 1835/2014


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente -

ARPA

Lombardia, della Regione Lombardia e della Olon S.p.a.;

Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale proposto in entrambi i ricorsi dalla Olon S.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato avvocati Police, l’avvocato dello Stato Garofoli, nonché gli avvocati Roncelli e Violante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Le vicende all’origine dei fatti di causa vengono descritte nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia.

Con ricorso proposto dinanzi a quel Tribunale amministrativo e recante il n. 2922/2013 la società Olon s.p.a., premesso di essere proprietaria di un’area posta all’interno del Sito di Interesse Nazionale di Pioltello - Rodano sulla quale insiste la cosiddetta Area Verde, ha impugnato il provvedimento di diffida in data 7 novembre 2013 con il quale il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione Generale Tutela Territorio e Risorse Idriche, l’aveva diffidata a rimuovere entro sei mesi tutti i rifiuti (scarti e materiali di risulta) stoccati nelle discariche abusive localizzate nelle aree A, B, C e D dell’Area Verde, ai sensi dell’articolo 3, comma 32, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e ad adottare tutte le misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza per impedire l’ulteriore diffusione della contaminazione, in attesa della completa rimozione dei rifiuti e, successivamente, fino al completamento delle indagini di caratterizzazione, all’individuazione di eventuali ulteriori fonti di contaminazione e alla rimozione o al trattamento delle stesse, fatto salvo il risarcimento dell’eventuale danno ambientale residuo ai sensi della Parte IV – Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006.

A sostegno del proprio gravame la società ricorrente deduceva la violazione del giudicato e l’eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento di potere, atteso che il medesimo Tribunale adìto, con tre diverse pronunce (sez. II, 27 giugno 2007, n. 5289, sez. IV, 20 maggio 2008, n. 1820 e 25 febbraio 2010, n. 458), aveva già disposto l’annullamento dei precedenti provvedimenti con i quali il medesimo Ministero intimato aveva impartito alla società l’ordine di procedere alla rimozione integrale dei materiali presenti nell’Area Verde, nonché alla messa in sicurezza e alla bonifica del sito e della falda, statuendo la carenza di responsabilità dell’istante per il deposito dei materiali rinvenuti, oltre che la carenza di istruttoria.

L’odierna appellata deduceva, inoltre, la violazione del comma 32 dell’articolo 3 della legge n. 549 del 1995, stante l’abrogazione implicita della medesima disposizione a seguito dell’entrata in vigore di normativa sopravvenuta con la medesima incompatibile (articoli 192, 240 e 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), la violazione dei princìpi del contraddittorio e di proporzionalità, oltre che l’eccesso di potere per carenza dei presupposti, per la violazione del principio “ chi inquina paga ”, per sviamento di potere, nonché la violazione dell’articolo 97 della Costituzione (principio di buon andamento dell’amministrazione), la carenza di istruttoria, il difetto di motivazione e l’incompetenza.

Con ricorso per motivi aggiunti la società istante ha impugnato il provvedimento in data 16 gennaio 2014 con il quale il Ministero aveva impartito alla stessa prescrizioni specifiche per la rimozione del materiale di risulta per cui è causa.

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. della Lombardia ha accolto il ricorso e ha disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla società Pfizer Italia s.r.l. (ricorso n. 10214/2014) la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.

La Pfizer Italia s.r.l. premette al riguardo di essere succeduta nei rapporti riconducibili alla società C Eba s.p.a. (che operava nel sito per cui è causa sino al 1978).

Le vicende societarie sono state così descritte alle pagine 5 e 6 dell’impugnata sentenza: nel 1978 la C Eba s.p.a. cambiò denominazione in Farmitalia C Eba S.p.a., che ne ha proseguito l’attività fino al 1986. Dopo essersi fusa per incorporazione nella Erbamont Industriale S.r.l. nel 1987, la società è divenuta Farmitalia C Eba S.r.l. dopo cambio di denominazione, venendo, poi, fusa per incorporazione nel 1994 in Pharmacia S.p.a. e, dopo un ulteriore cambio di denominazione, in Pharmacia &
Upjohn S.p.a., ora in liquidazione.

A seguito di ulteriori vicende societarie, l’appellante Pfizer Italia s.p.a. è quindi succeduta nei rapporti riconducibili alla società Pharmacia &
Upjohn S.p.a.

Ebbene, tanto premesso in ordine alle vicende societarie che hanno interessato la C Eba s.p.a., l’appellante rappresenta che il presente appello viene articolato in via meramente cautelativa, “ nella misura in cui dalla statuizione incidentale contenuta nella sentenza circa la (pretesa) responsabilità della C Eba s.p.a., dante causa di Pfizer, possa (erroneamente) farsi discendere anche una responsabilità in capo a Pfizer per la contaminazione dell’Area Verde ” (ricorso in appello, pagine 7 e 8).

Afferma al riguardo l’appellante che il proprio interesse all’impugnativa non deriva in via principale dalla statuizione contenuta nella sentenza in epigrafe relativa alla responsabilità della C Eba s.p.a. per il “ deposito incontrollato di rifiuti ”, quanto – piuttosto – dalla circostanza per cui il capo della sentenza che afferma tale responsabilità sia stato “ artatamente distorto ” da Olon nell’ambito di un giudizio civile da essa intentato al fine – appunto – di sentir dichiarare la condanna di Pfizer Italia s.p.a. al ristoro dei danni subiti e subendi per la bonifica del sito.

Pertanto, la Pfizer Italia s.p.a. chiede la riforma del richiamato capo della sentenza “ [solo] nell’ipotesi in cui si intendesse ricollegare alla menzionata statuizione del T.A.R. la portata di giudicato ”.

Tanto premesso dal punto di vista generale, con il primo motivo di appello la Pfizer Italia s.r.l. lamenta che i primi Giudici abbiano erroneamente omesso di considerare ché né la C Eba (dante causa), né la Pfizer Italia s.rl. (avente causa, appellante) avrebbero mai avuto nel proprio patrimonio obblighi o responsabilità connessi alla bonifica del sito per cui è causa, responsabilità di cui – al contrario – sarebbe gravata in via esclusiva la stessa Olon s.p.a. per espressa previsione degli atti con i quali la medesima ha acquistato la proprietà dell’Area Verde.

In particolare, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare le previsioni dell’Atto di conferimento del ramo di azienda intervenuto il 30 dicembre 1986 fra la C Eba s.p.a. (al tempo ridenominata Farmitalia C Eba s.p.a., dante causa della Pfizer Italia s.p.a.) e la Erba Biochimica s.r.l. (dante causa della Olon s.p.a.).

L’articolo 9 dell’atto in questione stabiliva che “ la società conferente [Farmitalia C Eba s.p.a.] risponderà della inesistenza di attività indicate nella situazione patrimoniale al 31 maggio 1986 ed aggiornata all’1.1.1987 che dovesse manifestarsi entro il 31 dicembre 1987, come pure risponderà dell’esistenza di passività non indicate nella situazione medesima, sempreché dovesse manifestarsi entro il 31 dicembre 1987 ”.

Secondo l’appellante, quindi, in base al richiamato atto di conferimento i pretesi obblighi di bonifica e ripristino (di cui essa nega comunque la sussistenza), in quanto riconducibili alla generica nozione di “passività” e in quanto emersi in data successiva al 31 dicembre 1987, non potrebbero che essere ricondotti alla sfera giuridica dell’acquirente Erba Biochimica s.r.l. (e quindi alla Olon s.p.a.).

Secondo l’appellante, del resto, il trasferimento in capo alla conferitaria Erba Biochimica s.r.l. (e quindi in capo alla Olon s.p.a.) della responsabilità per le passività emerse dopo il 1987 “ si giustifica pienamente nella logica della disciplina civilistica delle obbligazioni contrattuali, con l’esigenza di assicurare certezza dei rapporti giuridici e, in particolare, con la necessità di delimitare nel tempo la possibile responsabilità patrimoniale della C Eba verso la Erba Biochimica ” (ricorso in appello, pag. 11).

In definitiva, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere i primi Giudici omesso di valutare il contenuto del richiamato Atto di conferimento (di cui, invero, era stata omessa la stessa acquisizione al fascicolo di causa), dal quale sarebbe emerso con evidenza che “ gli obblighi e le responsabilità inerenti all’attività esercitata sul ramo d’azienda in cui è inclusa l’Area Verde sono state di conseguenza attribuite in via convenzionale ed espressa ad Erba Biochimica, conferitaria di tale ramo d’azienda ” (pag. 11 del ricorso in appello).

Ancora con il primo motivo di appello la Pfizer Italia s.p.a. osserva che i primi Giudici avrebbero omesso di valutare: i ) la circostanza per cui né l’odierna appellante, né la sua dante causa Pharmacia &
Upjohn s.p.a. hanno mai esercitato attività d’impresa sull’Area Verde, per cui è causa; ii ) la circostanza per cui, in base al più volte richiamato Atto di conferimento del dicembre 1986, la Erba Biochimica s.r.l. (dante causa di Olon) si fosse volontariamente accollata “ ogni responsabilità per i fatti anteriori al conferimento d’azienda del 1986, vale a dire anche [la] responsabilità per i depositi nell’Area Verde oggetto della presente controversia ” (pag. 13 del ricorso in appello).

Con il secondo motivo di appello, la Pfizer Italia s.r.l. lamenta che i primi Giudici avrebbero erroneamente ritenuto che alla sua dante causa fosse imputabile la realizzazione sull’Area Verde un “ deposito incontrollato di rifiuti ”.

Sotto tale aspetto la sentenza in epigrafe sarebbe erronea in quanto:

- la sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 458/2010 aveva già escluso che la C Eba s.p.a. avesse realizzato un siffatto deposito incontrollato di rifiuti, ritenendo che i sottoprodotti della lavorazione non fossero, appunto qualificabili come rifiuti. Pertanto, i primi Giudici si sarebbero erroneamente discostati dal precedente giudicato;

- la normativa ratione temporis applicabile escludeva qualunque assimilazione fra gli ‘scarti di lavorazioni industriali’ e i ‘rifiuti’ in quanto tali (sì da non potersi affermare che sussistessero specifici obblighi di bonifica e ripristino per i siti sui quali fossero stoccati siffatti scarti di lavorazione).

Quanto al secondo aspetto l’appellante osserva che solo con il decreto legislativo n. 22 del 1997 i ‘residui di processi industriali’ (e, più in generale, i ‘residui di produzione o di consumo in appresso non specificati’ di cui all’allegato ‘A’) sono stati ricondotti alla nozione di ‘rifiuti’.

Al contrario, per il periodo anteriore la materia risultava disciplinata dal d.P.R. 28 dicembre 1992, n. 915 il quale non sembrava ricondurre alla nozione di ‘rifiuto’ gli scarti di lavorazioni suscettibili di essere riutilizzati in un successivo ciclo produttivo.

Pertanto, alla luce della normativa ratione temporis rilevante, non sarebbe corretto affermare che la C Eba s.p.a. avesse realizzato sull’area un vero e proprio “ deposito incontrollato di rifiuti ”.

Oltretutto, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:

- che la C Eba s.p.a. aveva presentato – già nell’agosto del 1976 – apposita domanda di autorizzazione (ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 maggio 1976, n. 319) per versare sul suolo, in apposite vasche, fanghi provenienti dall’impianto di depurazione;

- che la stessa C Eba s.p.a. aveva trasmesso alla competente provincia di Milano copia delle denunce di “ discarica esaurita ” e di “ impianti di smaltimento esistenti ”;

- che anche la giurisprudenza della Cassazione penale ha escluso che sia riconducibile alla nozione di ‘rifiuto’ il sottoprodotto o il materiale di scarto destinato alla riutilizzazione all’interno dello stesso insediamento produttivo dal quale promana.

Con un ulteriore motivo di appello la Pfizer Italia osserva che, anche a voler ritenere che la sua dante causa avesse effettivamente determinato uno stato di inquinamento sul sito nel corso degli anni settanta del Novecento, il punto è che la normativa ratione temporis rilevante non consentiva di determinare in suo danno alcun obbligo di bonifica o ripristino dei siti inquinati.

In particolare, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:

- che il Legislatore nazionale aveva introdotto soltanto dopo l’estinzione della C Eba s.p.a. (1987) siffatti obblighi di bonifica e ripristino (l’appellante richiama, al riguardo: i ) l’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997); ii ) l’articolo 3, comma 32 della l. 549 del 1995);

- che la C Eba s.p.a. non aveva mai avuto nel suo patrimonio obblighi o responsabilità per la bonifica dell’area per cui è causa (obblighi che sono stati introdotti dal Legislatore solo dopo l’estinzione della stessa C Eba s.p.a.);

- che, in ogni caso, non sussisteva neppure una prova concreta del fatto che l’inquinamento dell’area risalisse al periodo in cui in essa operava la C Eba s.p.a.;

- che, oltretutto, non potrebbe escludersi che l’inquinamento in questione sia stato cagionato da una delle diverse società che hanno operato sull’area nel corso degli anni (ad es., la SISAS – Società Italiana Serie Acetica Sintetica), ovvero la stessa Olon, la quale esercita pur sempre l’industria e il commercio di prodotti chimici, farmaceutici e cosmetici.

La sentenza in epigrafe è stata altresì impugnata in appello dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (ricorso n. 1109/2015) il quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi.

Con un primo motivo, il Ministero appellante lamenta che i primi Giudici avrebbero omesso di considerare il rilievo che, ai fini del decidere, andava riconosciuto alla previsione di cui al comma 32 dell’articolo 3 della l. 549 del 1995, secondo cui gli obblighi di bonifica e ripristino delle aree inquinate ricadono anche (e in via solidale) in capo al proprietario del sito sulla base di un mero criterio dominicale e anche in assenza di profili di responsabilità in ordine alla contaminazione del sito.

Tale responsabilità sorge in capo al proprietario dell’area laddove questi (al pari della società appellata) abbia omesso di presentare la denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della Regione.

Con un ulteriore motivo di appello (articolato in via subordinata) il Ministero sottolinea che alla società Olon non era stata ordinata unicamente la bonifica dell’area, ma anche l’adozione di misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza il cui carattere cautelare (e non sanzionatorio) non contrasta con l’applicazione del principio di matrice eurounitaria “chi inquina paga”, nonché con il principio di precauzione di cui all’articolo 191 del TFUE.

Al riguardo il Ministero appellante richiama l’orientamento giurisprudenziale di primo grado secondo cui l’applicazione dei principi eurounitari di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente non consente di ammettere che l’adozione di misure quali la messa in sicurezza di emergenza (prive di contenuto sanzionatorio e/o risarcitorio) possa essere subordinata al definitivo accertamento della responsabilità del proprietario dell’area inquinata.

Ed ancora, il Ministero appellante richiama l’orientamento secondo cui, siccome la declinazione del principio “chi inquina paga” mira ad evitare che (in mancanza di individuazione del responsabile) i costi della bonifica e del ripristino ambientale siano sopportati dalla collettività, allora è del tutto congruo – in siffatte ipotesi – configurare una forma di “oggettiva responsabilità imprenditoriale” che grava sul proprietario in relazione al mero dato dominicale.

Inoltre, il Ministero adduce a sostegno delle proprie tesi la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE secondo cui, in applicazione del principio “chi inquina, paga”, deve ritenersi che, allorquando impongono misure di riparazione del danno ambientale, le Autorità pubbliche non sono tenute a dimostrare né un comportamento doloso o colposo, né un intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano considerate all’origine del danno ambientale.

Per quanto riguarda, poi, l’applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 191 del TFUE il Ministero appellante osserva che esso non osta all’operato di un’amministrazione la quale imponga ai privati l’adozione di provvedimenti appropriati al fine di prevenire rischi potenziali per l’ambiente (o, addirittura, al fine di predisporre adeguate misure di precauzione, secondo un modello ancora più prudenziale e volto alla tutela dei valori oggetto di protezione).

In base al complesso di ragioni appena evidenziate, il Ministero appellante osserva che la questione non può essere riguardata alla luce del solo disposto dell’articolo 242 del ‘Codice ambientale’, dovendosi tenere sul punto un approccio più generale che tenga adeguatamente conto del complesso dei principi costituzionali vigenti in subiecta materia . Riguardati secondo tale ottica i termini della questione, ne emerge non solo la liceità, ma addirittura la doverosità dell’operato dell’amministrazione, che ha ritenuto di imporre al proprietario dell’area adeguate misure di messa in sicurezza d’emergenza.

Ed ancora, il Ministero appellante suggerisce una ricostruzione di sistema secondo cui:

- il proprietario di un bene immobile debba rispondere anche del danno da inquinamento che il terreno continua a cagionare pur dopo l’acquisto in ragione degli effetti lesivi permanenti derivanti dall’inquinamento (ricorso in appello, pag. 14);

- il principio “chi inquina, paga” debba essere inteso nel senso che la locuzione “ chi ” non vada riferita solo a colui che, attraverso una condotta attiva, abbia abusato del territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche a colui che, con la propria condotta omissiva o negligente, “ nulla faccia per ridurre o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare ” ( ivi ).

Da ultimo, il Ministero appellante osserva che, secondo l’ id quod plerumque accidit , può certamente ritenersi esigibile in capo all’acquirente di un fondo potenzialmente inquinato una diligenza particolarmente qualificata nell’appurare preventivamente un possibile, pregresso inquinamento (con ogni accollo di responsabilità in caso di violazione di un siffatto obbligo di diligenza). In caso contrario, la complessiva disciplina di settore si presterebbe a comportamenti formalisticamente elusivi della normativa posta a tutela dell’ambiente.

In entrambi i giudizi si è costituita la società Olon s.p.a. (ricorrente in primo grado) la quale ha concluso nel senso della reiezione di entrambi gli appelli ed ha proposto altresì appello incidentale condizionato per l’ipotesi di mancata reiezione degli appelli medesimi.

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso n. 10214/2014 proposto dalla società Pfizer Italia s.r.l. avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato accolto in parte il ricorso proposto da una società proprietaria di un’area nell’ambito del Sito di Interesse Nazionale di Pioltello –Rodano e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui la società proprietaria era stata diffidata ad effettuare operazioni di messa in sicurezza di emergenza, di bonifica dell’area e di rimozione degli scarti e materiali di risulta (nell’ambito della sentenza in questione era stata dichiarata la responsabilità della società appellante per il riversaggio abusivo sull’area di tali materiali).

Giunge, altresì, all’esame del Collegio il ricorso in appello n. 1109/2015 che è stato proposto avverso la medesima sentenza dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

2. Prendendo le mosse dall’esame del ricorso in appello 10214/2014 il Collegio ritiene di esaminare in via prioritaria le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Olon s.p.a. con la memoria in data 22 gennaio 2015.

2.1. L’eccezione relativa al ritenuto difetto di giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo è infondata.

La Olon ha fondato tale eccezione sul rilievo secondo cui i motivi di appello fondati sul contenuto dell’atto di conferimento del 30 dicembre 1986 (il cui contenuto è stato descritto in premessa) esulerebbero dalla giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo, concernendo piuttosto “ i rapporti contrattuali ed extracontrattuali tra Olon e Pfizer ”, che resterebbero invece devoluti alla giurisdizione del Giudice ordinario.

Al riguardo la Pfizer Italia s.p.a. ha condivisibilmente osservato che, ai sensi dell’articolo 8 del cod. proc. amm., il G.A. nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale.

Ora, appare difficilmente contestabile che il richiamo al contenuto dell’atto di conferimento in data 30 dicembre 1986 (anche a prescindere dalle fondatezza delle deduzioni svolte sul punto dalla Pfizer Italia) sia idoneo a sortire un rilievo ai fini della res controversa in quanto inerisce la questione dell’imputabilità soggettiva (ai fini dell’applicazione della normativa in tema di danno ambientale) delle condotte realizzate prima dell’atto di conferimento medesimo.

Né a conclusioni diverse da quelle appena divisate può giungersi in relazione alla circostanza (sottolineata dalla Olon) secondo cui sarebbe già pendente un giudizio civile intentato dalla stessa Olon per ottenere la condanna di Pfizer al ristoro dei danni patrimoniali connessi con la bonifica del terreno.

E’ qui appena il caso di sottolineare che, una volta ravvisata l’inerenza del contenuto del più volte richiamato atto di conferimento anche ai fini della definizione del giudizio amministrativo (in cui parimenti viene in rilievo la questione della riferibilità delle condotte foriere di inquinamento), la sussistenza di un ulteriore e diverso giudizio instaurato dinanzi al Giudice munito di giurisdizione rappresenta una circostanza del tutto fisiologica dal punto di vista processuale, inidonea a determinare possibili conflitti di giudicato in ragione della cognitio solo incidentale demandata al Giudice amministrativo (e dell’insuscettibilità di determinare una res iudicata ).

2.2. Neppure può essere condivisa la tesi della Olon secondo cui la Pfizer Italia risulterebbe in concreto priva di uno specifico interesse a dedurre nella presente sede contenziosa circostanze già demandate alla cognitio del Giudice ordinario in sede risarcitoria.

Sotto tale aspetto (e al di là dell’osservazione di Pfizer Italia secondo cui il proprio interesse all’impugnazione deriverebbe dal fatto che il capo della sentenza che afferma la responsabilità della C Eba s.p.a. è stato addotto nell’ambito del giudizio civile di danno) non appare dubitabile l’interesse dell’avente causa (Pfizer Italia) a chiedere la riforma di una capo della sentenza con il quale è stata expressis verbis affermata la responsabilità della sua dante causa per l’inquinamento dell’area (ossia, per condotte dalle quali possono derivare conseguenze ripristinatorie piuttosto gravi, nonché conseguenze anche di rilievo penale).

E’ qui appena il caso di osservare che la pronuncia costitutiva di annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado è stata fondata dai primi Giudici su una circostanza (non attribuibilità della condotta di inquinamento alla dante causa della Olon e sua riferibilità alla condotta della dante causa della Pfizer Italia) certamente idonea a radicare in capo a quest’ultima la legittimazione e l’interesse ad ottenere la riforma in parte qua della richiamata statuizione.

2.3. I rilievi appena svolti risultano di per sé idonei a supportare la dedotta ammissibilità del gravame spiegato dalla Pfizer Italia e rendono, a ben vedere, inessenziali ai fini del decidere, le ulteriori questioni relative all’ammissibilità delle deduzioni fondate sul contenuto dell’atto di conferimento in data 30 dicembre 1986.

Si intende con ciò rappresentare che, quand’anche risultasse fondato il motivo di appello con cui si è lamentato che tali deduzioni fossero violative del generale divieto di nova in appello (articolo 104 del cod. proc. amm.), non ne resterebbero comunque destituite di fondamento le conclusioni appena svolte in punto di sussistenza di uno specifico interesse alla proposizione dell’appello in capo alla Pfizer Italia (interesse che risulta certamente esistente sulla base di quanto dinanzi osservato sub 2.2.).

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